MATR. N. _0000246724 ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Sede di RIMINI CORSO di LAUREA in EDUCATORE SOCIALE Relazione finale in Pedagogia Speciale “Disabilità e prospettiva inclusiva oggi: esperienza di integrazione nel Centro Laboratorio Protetto G. Laruccia della Comunità Papa Giovanni XXIII” PRESENTATA DA RELATORE CLERICI FILIPPO MALAGUTI ELENA SESSIONE III ANNO ACCADEMICO 2010-2011 1 INDICE Introduzione Capitolo Primo: La logica dell’inclusione e le sfide dell’integrazione. 1.1 Introduzione 1.2 La situazione della società e dell’ambiente nel mondo di oggi 1.2a Il contributo della Scienza della Sostenibilità 1.2b Il modello di vita promosso dalla società capitalistica 1.3c La qualità della vita 1.3 Alcuni cenni storici sul processo d’inclusione dei disabili 1.4 Le logiche dell’inclusione come risposta concreta alla socializzazione del deficit 1.5 Alcune riflessioni sulla realizzazione dell’inclusione 1.6 Il contributo significativo della Pedagogia 1.7 L’educatore specialista dell’inclusione Capitolo Secondo: Il contributo legislativo a favore dell’inclusione e integrazione dei soggetti disabili. 2.1 Introduzione 2.2 Legge 104/92 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. 2.3 Legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” 2.4 Modello ICF del 2001 & Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006) 2 Capitolo Terzo: Il Centro Laboratorio Protetto Giovanni Laruccia della Coop. La Fraternità della Comunità Papa Giovanni XXIII come esperienza d’inclusione. 3.1 La comunità Papa Giovanni XXIII 3.2 Il centro laboratorio Protetto G. Laruccia 3.2a La relazione educativa 3.2b Il Progetto educativo Individualizzato 3.3 Descrizione delle attività svolte del Centro Laboratorio Protetto 3.4 Il CLP realizza attività “ad hoc” 3.5 la varietà delle attività favorisce l’inclusione 3 INTRODUZIONE “…Mi potete prendere anche per sempre?” Questa frase ha accompagnato la mia giovinezza e ha profondamente segnato la mia vita. La disse Elio, mio fratello maggiore acquisito affetto da Psicosi, insortagli in giovane età a causa dei continui abbandoni subiti da parte della famiglia di origine e da una permanenza troppo lunga nei famosi manicomi, quando incontrò i miei genitori ormai 28 anni fa. Io ho avuto la fortuna di nascere in una Casa Famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII grazie alla scelta che i miei genitori hanno fatto di “aderire” alla vocazione di questa comunità. Essi, hanno aperto la loro famiglia, al tempo composta da tre giovani figli, all’accoglienza di persone che per varie ragioni erano state escluse dalla partecipazione alla vita sociale, come disabili, tossicodipendenti, etc.. ed Elio era uno di questi esclusi. La frase sopra citata la ripete ancora oggi, quando ricorda la sua particolare storia personale, iniziata nell’infanzia e proseguita per tutta la giovinezza, nella dura e traumatica esperienza dell’Istituto vissuta sotto il peso della solitudine e dell’esclusione. Quando parla dell’istituto, ripete spesso “li eri solo un numero, nessuno ti voleva bene e per avere un po’ di attenzioni mi dovevo provocare delle lesioni affinché in ospedale si prendessero cura di me.” Mi raccontava anche delle interminabili giornate passate davanti alla vetrata d’ingresso della struttura sperando che qualcuno lo andasse a riprendere. Solo all’età di 22 anni trovò una giovane coppia che lo accolse come figlio permettendogli di prendere parte a ciò che da sempre desiderava, sognava, lottava: una famiglia che gli volesse bene. “…Mi potete prendere anche per sempre?” questa frase mi colpisce tutt’ora ogni volta che la sento uscire dalla sua bocca. A seguito della sua storia, due sono i pensieri che mi accompagnano: il primo pensiero che mi sorge è come sia possibile che una persona debba soffrire così a lungo vivendo in una prolungata situazione di abbandono, di solitudine, di disperazione totale. Ciò mi riempie il cuore di rabbia, mi assale un sentimento di ingiustizia che con il tempo però si è trasformato in un senso di responsabilità. Io ho avuto la possibilità, nel mio piccolo, di conoscere la realtà che gli esclusi vivono, di scavalcare il muro dell’ignoranza e per questo non posso accusare chi non ha aiutato Elio al tempo dell’Istituto, chi ha 4 permesso la sua esclusione, ma mi domando: “Io, oggi cosa posso fare per combattere l’ingiustizia che crea esclusione?” E’ questa riflessione, che ha accompagnato la mia adolescenza e che mi ha portato a intraprendere il cammino di educatore. Il secondo pensiero invece è legato al presente. Guardo Elio e penso a chi è adesso, un uomo di cinquant’anni, sempre sorridente, mai superficiale, sempre pronto ad aiutare gli altri mettendo a disposizione i suoi “talenti” e trasparente come un bambino. Oggi Elio è un dono per tante persone. Ripensando alla mia giovinezza capisco quanto sia stato importante nella mia formazione, nello sviluppo della mia personalità: sin da piccolo infatti, grazie ai suoi racconti ho conosciuto le ingiustizie e le logiche che le provocano, permettendomi di focalizzare meglio le cose “che davvero contano nella vita”, riconoscendo invece la superficialità che il mondo consumistico vuole vendere come “felicità” o “essenzialità”. Vivere ogni giorno con persone che richiedono attenzioni particolari, che dipendo da te in molte cose perché impossibilitate a gestirsi autonomamente a causa del deficit, come per esempio farsi il bagno, alzarsi, recarsi in un bar per guardare una partita, è una continua palestra “all’alterocentrismo”. Riconoscere e rispettare l’altro chiunque esso sia permette di uscire da se stessi e di fuggire agli egocentrismi che incatenano il nostro Io, che attanagliano la nostra vita facendoci pensare di essere migliori, intoccabili, tanto da concepire la realtà con schemi rigidi e lineari in cui noi siamo i “buoni” e tutti gli altri sono i “cattivi”, noi i sani e gli altri i “malati” non riuscendo a cogliere le sfumature, la ricchezza che l’altro è per noi. Credo che mettere l’altro al centro della nostra vita decentrando il nostro ego sia fonte di grande gioia e sia un tassello importante per una vita felice con chi ci circonda. Il lavoro che mi accingo a svolgere sulle logiche dell’inclusione sono segnate profondamente da queste riflessioni che vogliono richiamare ognuno di noi a combattere per eliminare le cause dell’esclusione, dell’emarginazione della diversità e disabilità, vedendole come una ricchezza speciale di cui la società non può privarsi. Nel primo capitolo del mio lavoro porto avanti un’analisi del degrado ambientale e sociale che caratterizza il nostro pianeta e le nostre società, 5 causato dalle perverse logiche di mercato che dominano incontrastate sull’uomo e sull’ambiente. Logiche che come conseguenza, portano: - a livello sociale, una “perdita dell’orientamento”; una perdita dei valori umani (in ogni dimensione della vita) che dà quindi origine a varie forme di emarginazione ed esclusione di tutto ciò che è diverso dalla “normalità”; perdita che si manifesta anche a scuola che sembra aver perso il suo reale obiettivo, formando “soggetti-massa”. - a livello ambientale invece questo degrado si mostra in un incessante esaurimento delle risorse naturali e un aumento delle catastrofi naturali, mettendo in serio pericolo la vita di molti uomini. Infine mostrerò come una possibile soluzione per uscire da questa “crisi” profonda, sia rivedere i paradigmi di riferimento e lavorare per costruire una nuova società democratica in cui l’inclusione della diversità sia lo snodo centrale e il vero punto di svolta. Nel secondo capitolo tratterò in particolare l’inclusione sociale dei disabili, ripercorrendo le tappe legislative che hanno portato ad un maggiore riconoscimento del “valore della diversità” a livello sociale, politico ed europeo. Nel terzo capitolo invece parlerò della mia esperienza di inclusione vissuta e realizzata all’interno del Centro laboratorio Protetto Giovanni Laruccia della Comunità Papa Giovanni XXIII. 6 1°CAPITOLO LA LOGICA DELL’INCLUSIONE OGGI E LE SFIDE DELL’INTEGRAZIONE 1.1 Introduzione L’attuale società capitalistica occidentale neo-liberalista è fortemente influenzata dall’economia di mercato. Essa si fonda su regole che generano povertà ed esclusione perché antepongono gli interessi del mercato, attualmente gestito dalle multinazionali, al benessere reale degli uomini e all’equilibrio degli ecosistemi. Accade perciò che, al fine di incrementare i propri capitali, il mercato calpesti i diritti di milioni di persone ed alteri gli equilibri ecologici del pianeta. In questo capitolo descriverò alcuni paradigmi necessari per porre le basi di una nuova società democratica inclusiva che si mostri capace di garantire uno sviluppo sostenibile, equo e solidale per l’intera umanità. Tenterò di dimostrare come l’attuale modello di vita, promosso dalla società capitalista odierna, necessiti di un ripensamento dei propri paradigmi al fine di promuovere migliori qualità di vita per i suoi cittadini. La crisi economica, sociale e ambientale che oggi sta investendo, come non mai, il nostro pianeta è infatti la prova concreta dell’insostenibilità di questo modello. Parlerò, della qualità della vita, concetto che fino ad oggi è stato associato al PIL del Paese, ma che ora è necessario riformulare, osservando come essa invece dipende da una molteplicità di fattori interagenti tra di loro, tra i quali possiamo individuare la socialità, la felicità, l’occupazione lavorativa etc.. Illustrerò, il nuovo compito che la Pedagogia dovrà portare avanti in questo momento di crisi sociale e valoriale, contribuendo da una parte ad uno sviluppo ecologico equo e sostenibile delle società e dall’altra alla formulazione di modelli educativo-formativi fondati su logiche inclusive necessari per combattere l’esclusione della disabilità dalla società. Infine mostrerò come la figura dell’educatore, inteso come specialista dell’inclusione, sia l’artefice di azioni intenzionalmente educative e 7 riabilitative volte all’eliminazione delle cause, ambientali e sociali, che causano esclusione. L’educatore, attraverso la realizzazione di progetti educativi individualizzati, mediante il dialogo, l’ascolto attivo e il “farsi carico” dell’altro, promuove e realizza l’inclusione sociale di soggetti esclusi facendoli divenire cittadini attivi. 8 1.2 La situazione della società e dell’ambiente nel mondo di oggi 1.2a Il contributo della Scienza della Sostenibilità Un contributo importante a denunciare l’iniquità e l’insostenibilità di queste logiche economiche, deriva dalla collaborazione tra l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, il Programma Ambientale delle nazioni Unite e il WWF i quali hanno dato origine ( nel 1980) al documento dal titolo “World Conservation Strategy” all’interno del quale, per la prima volta in un documento internazionale, si indica il concetto di sviluppo sostenibile. Come conseguenza intorno agli anni ’90 si comincia a parlare, all’interno degli ambiti di ricerca ecologici, della Scienza della Sostenibilità. Essa essendo inserita in un percorso di formulazione-formazione, ancora non può essere definita come disciplina scientifica matura in quanto non possiede chiare componenti concettuali e teoriche. Essa si fonda su riflessioni e ricerche derivate da diverse discipline, volte ad analizzare le interazioni dinamiche tra sistemi naturali, sociali ed economici cercando di comprendere i modi migliori per “gestirle”. Attraverso il paradigma eco-sistemico, essa dimostra che i modelli sociali delle società contemporanee, fondati su logiche di mercato, stanno mettendo a rischio la sopravvivenza dell’ uomo sulla terra. Il paradigma sistemico, vede la realtà come insieme di sistemi: il termine “sistema” indica un “insieme di elementi che “stanno insieme” tanto da poter essere distinti chiaramente dal resto”. Esso, perciò, legge i singoli fenomeni non come isolati ma come parte di un tutto. La realtà che ci circonda così, viene rappresentata come l’insieme di relazioni esistenti tra i Sistemi Naturali e i Sistemi Sociali, i quali a loro volta sono inseriti all’interno del Sistema Mondo. I sistemi sociali e i sistemi naturali sono sistemi aperti in quanto per vivere hanno bisogno di scambiare continuamente energia e materia con l’esterno. Grazie a questi flussi continui riescono a concentrare ordine al proprio interno ed espellere il disordine al loro esterno. Ciò garantisce e consente l’evoluzione dei sistemi e il loro equilibrio. 9 A partire da ciò, vediamo come oggi, i due sistemi sono in disequilibrio, in quanto l’uomo, a causa delle sue logiche di mercato, sta sfruttando in modo insostenibile il sistema naturale. Questo perché, in un determinato lasso di tempo, sta consumando più risorse di quanto gli ecosistemi sono in grado di produrre nello stesso tempo. Le conseguenze sono riscontrabili nell’inquinamento e nella carenza idrica, nell’inquinamento atmosferico, nel degrado del suolo, nella eccessiva deforestazione, nella perdita della biodiversità, nei grandi cambiamenti atmosferici, nella comparsa di patologia resistenti agli antibiotici. La ragione di questa situazione è da ricercarsi nell’idea di natura espressa da Adam Smith, considerato fondatore del liberalismo, e nell’idea di “sviluppo”. Secondo Adam Smith la natura era una risorsa immensa e pressoché inesauribile. Da ciò nacque l’idea che la storia dell’umanità potesse essere scritta in modo del tutto indipendente dalla natura, senza preoccuparsi di come poter assorbire i rifiuti e distribuire i preziosi servizi da lei offerti quali la regolazione climatica e l’impollinazione delle colture, come descritto nell’ultimo rapporto del Worldwatch Institute, State of the world 2008. Lo “sviluppo” fino ad oggi era inteso come un processo legato esclusivamente ad una crescita quantitativa dei beni e delle risorse disponibili in un andamento progressivo e illimitato. Perciò era un processo esclusivamente economico che costringeva a trasformare e a distruggere l’ambiente naturale e i rapporti sociali in vista di una produzione crescente di merci. Oggi si fa strada una nuova visione di sviluppo chiamato sostenibile, che mette fortemente in discussione l’attuale modello socio-economico e porta a nuova logica: vivere meglio consumando molto meno. Non si tratta di una negazione della crescita, come molti credono, bensì della crescita economica rispettosa dei limiti ambientali. Il nuovo paradigma della sostenibilità riesce a collegare la tutela dell'ambiente con la crescita economica, perché si fonda su un principio coevolutivo che mira a tener conto della reciproca evoluzione dei sistemi naturali e sistemi umani. Lo sviluppo sostenibile offre un’idea di una società più prospera e più giusta, con la promessa di un ambiente più pulito, più giusto e più sano: una società che garantisca una migliore qualità di vita per tutti e per le generazioni future. 10 Per raggiungere questi obiettivi nella pratica è necessario che la crescita economica sostenga il progresso sociale e il rispetto dell’ambiente e che la politica sociale sia alla base delle prestazioni economiche. 1.2b Il modello di vita promosso dalla società capitalistica Oggi è di urgente necessità prestare attenzione ai grandi campanelli d’allarme che ci provengono dall’ambiente, è di altrettanta importanza prestare attenzione a quelli che ci provengono dalle nostre società. Infatti le logiche di mercato, che hanno influenzato ogni aspetto della nostra vita, cominciano a mostrare i loro frutti: privatizzazione, possesso, esclusione, intolleranza, povertà e sfruttamento. Non è raro ascoltare ai telegiornali notizie quali: atti violenti di intolleranza, gruppi politici che legittimano la superiorità di una certa minoranza sociale su basi territoriali; il viaggio di migliaia di persone immigrate che attraversano il Mediterraneo per sfuggire alle violenze del loro paese causate da anni di colonialismo occidentale rischiando la vita perché respinti; le lamentele sempre più frequenti dei genitori che discriminano le scuole primarie per la presenza di bambini stranieri o “portatori di problematicità che non si vuole incontrare e tanto meno fare incontrare”1. Inoltre sono ormai sapere di tutti le disparità economiche, scaturite, che segnano il nostro pianeta: circa il 20% dell’ umanità consuma l’ 80% di risorse naturali costringendo alla fame e alla inevitabile morte milioni di persone, il rapporto delle Nazioni Unite denuncia che sono circa un miliardo coloro che vivono sotto la soglia della povertà. Come se non bastasse gli slogan che questa economia di mercato sbandiera in ogni angolo della terra sono progresso, efficienza, qualità della vita, benessere economico, ma la realtà è ben diversa! Tutti questi obiettivi non sono a favore dell’uomo, del suo reale benessere, ma occasione di grandi guadagni per le multinazionali che creano nuovi bisogni da soddisfare, proponendo attraverso le assidue campagne pubblicitarie che scorrono sui televisori di milioni di 1 Elena Malaguti (2010) “Ecologia sociale e umana e resilienza. Processi e percorsi inclusivi nella scuola di oggi”, Monografia pag.27 11 persone, sui muri di tutto il globo, modelli di vita consumistici. Tali modelli promuovono stili di vita che sono stereotipati, irreali, esempio la campagna di marketing di una nota multinazionale di prodotti alimentari che enfatizza una tipologia di famiglia sempre in forma, sorridente e priva di preoccupazioni. I modelli pubblicitari, perciò, creano aspettative e sogni irrealizzabili precludendo il raggiungimento della felicità a tutti coloro che sono schiavi di tali logiche. L’esempio sopra citato vuole evidenziare che le logiche di mercato non sono a favore dell’ uomo, ma sono al servizio del guadagno. L’ideologia dominante della cultura contemporanea continua a porsi come obiettivo ultimo il benessere e ad associare quindi la felicità di un individuo con la sua ricchezza e con lo status sociale di appartenenza. Di conseguenza il benessere di un paese, e quello dei suoi cittadini, è calcolato dal PIL (Prodotto Interno Lordo). Ma siamo sicuri che questo indice possa riassumere il benessere soggettivo? E’ evidente che all’ aumentare del PIL non corrisponde necessariamente un miglioramento della vita. Il benessere di uno stato dovrebbe essere determinato dal grado di soddisfazione, dalle aspettative di vita dei suoi cittadini, dall’impatto ambientale, dalla vivibilità nelle città: ma tutti questi indici non sembrano essere utili ad una valutazione che vuol essere prettamente economica. A dimostrazione di ciò, nonostante l’occidente, in questo ultimo secolo, abbia accresciuto le sue ricchezze e abbia vissuto il boom economico, la sua popolazione non risulta essere più felice, anzi si assiste ad un degrado sociale e naturale senza precedenti. Le logiche di produzione e di consumo hanno influenzato anche i sistemi scolastici e formativi tanto che il loro obiettivo primario non è fornire ad ogni individuo le capacità, le conoscenze e le competenze per progettare e realizzare il proprio progetto personale in rispetto alle proprie caratteristiche, ma riassume la formazione in una semplicistica equazione studente uguale forza lavoro. Il fine della formazione è perciò dotare il ragazzo di conoscenze spendibili sul mercato, affinché vi possa entrare e affermasi economicamente. Le materie insegnate quindi sono legate esclusivamente al mondo del lavoro, tutto ciò che non è riconducibile al mercato viene bandito: le emozioni, la crescita interpersonale etc. Con ciò si tradisce l’ideale pedagogico dello sviluppo integrale del soggetto-persona nei tempi e nei luoghi delle sue età 12 generazionali e in rispetto delle caratteristiche personali. Un effetto collaterale di tale modello educativo univoco e monodirezionale è la difficoltà che ogni individuo ha di vedersi riconosciuta la propria soggettività. Come dice Frabboni, Professore di Pedagogia Generale all’Università di Bologna, “ l’Irripetibilità, l’Inviolabilità e l’irriducibilità”2, che sono valori inviolabili dell’uomo, oggi sono minati perché chiunque non risponde alle caratteristiche omologanti di “normalità” che questo modello pedagogico sancisce è destinato a non essere accettato, riconosciuto e perciò felice. Ciò non è accettabile, urge il grande cambiamento, il grande salto di qualità tanto auspicato da molti cittadini del mondo. 1.2c Qualità della vita. Oggi giorno assistiamo alla crescente necessità di rispondere alle sfide che la complessità della società attuale ci pone quali: “lotta all’esclusione (della diversità), alla marginalità e alla povertà, riconoscimento di pari diritti nell’accesso all’istruzione, alla salute, miglioramento della qualità della vita e sviluppo sostenibile”3. Per affrontare tali sfide è necessario che la società odierna sia disposta a compiere un cambiamento dei propri paradigmi di riferimento, i quali, attualmente, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, ruotano esclusivamente attorno alle logiche di mercato e perciò misurano la qualità della vita con indicatori prettamente economici, riassumendo il benessere soggettivo nell’equazione: felicità uguale ricchezza economica (PIL). La qualità, ricondotta sostanzialmente ad un livello economico, impregna le relazioni, l’istruzione, la formazione, l’educazione di logiche di mercato che spesso e volentieri escludono chi non è idoneo ai criteri di produzione e consumo. La logica di mercato è infatti fondata sugli imperativi di efficacia ed efficienza che non tengono conto delle specificità di ogni uomo, ma sanciscono con durezza la linea di demarcazione tra normalità e diversità, abilità e inabilità, produttività e improduttività, che creano esclusione. 2 Franco Frabboni, (2006), “Educare in città”, Editori Riuniti, Roma, pag. 25. Elena malaguti (a cura di), 2010, “Educazione inclusiva oggi? Ripensare i paradigmi di riferimento e risignificare le esperienze”, Monografia, pag.25 3 13 Rivedere i paradigmi di riferimento della nostra società perciò, diviene un passaggio necessario per porre le basi di una nuova società democratica inclusiva in cui la qualità della vita si fonda su nuovi parametri più attenti alle necessità degli uomini che del mercato. Essa dovrà essere aperta all’accoglienza delle differenze e delle diversità individuali di ognuno, affinché tutti possano partecipare e sviluppare a pieno il proprio diritto di cittadinanza attiva, contribuendo alla realizzazione di una società democratica equa e solidale. Il tema della qualità della vita, è molto antico. Già Aristotele nell'Etica Nicomachea ne ha parlato, usando il concetto di “Eudaimonia”, che in greco significa "buon spirito" o felicità. Prima di lui, Platone aveva dedicato vari anni della sua vita a organizzare praticamente il governo e la città perfetta. Ai due filosofi greci si sono poi aggiunti lungo i secoli numerosi altri filosofi, religiosi, sociologi che si sono cimentati a descrivere in dettaglio gli elementi necessari per una comunità felice. A riguardo della qualità di vita, l’uomo ha sempre cercato di individuare dei parametri che ne permettessero una più chiara definizione. Così, nel 1999, alcuni studiosi hanno creato una possibile classificazione di tali indicatori raggruppandoli in tre macro-categorie: - Indicatori normativi: valutano l’efficacia delle scelte politiche; - Indicatori sulla soddisfazione individuale e/o felicità: valutano la soddisfazione psicologica degli individui analizzando la realtà soggettiva all’interno della quale vivono; - Indicatori descrittivi: valutano un insieme di variabili soggettive quali indicatori di formazione e scolarizzazione “(quantità, qualità e distribuzione della formazione, chi impara cosa, come, dove, quando);occupazione (struttura dell’occupazione, definizione di “occupazione” e “disoccupazione”)”4; energia (quantità e qualità del consumo energetico e impatto ambientale);ambiente; diritti umani. 4 Carmelo Cannarella e Valeria Piccioni, Consiglio Nazionale delle Ricerche (a cura di) “Dinamiche di Sviluppo ed Incremento della Competitività dei Territori Rurali” progetto 2004. 14 Questa classificazione ci porta a dimostrare come la qualità della vita sia determinata da una molteplicità di fattori e non solo di quelli riconducibili al PIL. Il concetto di qualità è decisivo per definire gli obiettivi, per valutare e significare le esperienze, per definire le aspirazioni e i progetti di vita di tutta l’umanità, per fornire essenziali contributi anche nella definizione di politiche, azioni e linee ispiratrici dello sviluppo. Il dibattito intorno alla qualità è molto attuale, sia in contesti educativi che sociali e non è raro leggere su riviste inviti a riflettere sulla qualità del cibo, del tempo o delle relazioni che abbiamo. Il nuovo concetto di qualità della vita dovrebbe prendere in considerazione il concetto di felicità. Sembra assurdo che il benessere di un individuo o di un paese sia considerato esclusivamente sulla ricchezza posseduta e non sulla felicità dei suoi cittadini. La felicità sicuramente risulta essere l’indicatore più esplicativo del benessere planetario, ma come afferma Robert Lane nelle società occidentali “il reddito, l’istruzione, la salute e l’intelligenza sono costantemente aumentati negli ultimi cinquant’anni, ma non hanno reso nessuno di noi più felice di prima”5. Anzi, accade spesso, che persone che vivono in condizioni che giudichiamo deplorevoli appaiono perfettamente felici a differenza di coloro che vivendo nell’ozio spesso sono in situazioni di infelicità. Da che cosa dipende allora la felicità? Robert Lane sostiene che essa dipenda dalla socialità, in quanto il benessere di un individuo dipende dall’approvazione del gruppo di appartenenza e della società. Ne consegue che le aspettative sociali di standard di vita promosse dalla società contemporanea siano prettamente economiche, come appartenere ad uno status sociale elevato, possedere case di proprietà, svolgere un lavoro remunerativo. Tali aspettative, creando pressioni sul soggetto, ne determinano la possibilità di essere felice o infelice a seconda che possieda o meno le abilità e le competenze necessarie per raggiungere gli standard di vita richiesti. E’ necessario perciò che la società odierna ripensi i propri paradigmi di riferimento per restituire all’uomo e al suo benessere la centralità, che in questo ultimo secolo le logiche di mercato, hanno oscurato. 5 Nel Noddings, (2003), “Educazione e felicità. Un rapporto possibile, anzi necessario”, edizioni Erikson, pag 47. 15 A tale proposito le logiche inclusive sembrano poter rispondere a questa necessità di cambiamento, affermando l’importanza di valorizzare ogni individuo e dare la possibilità a tutti di partecipare attivamente alla vita sociale. L’inclusione rovescia l’idea di migliore o peggiore, di superiore o inferiore, di ricco e povero, di idoneo o non idoneo restituendo pari dignità a tutti gli uomini e concorrendo a creare una nuova società democratica fondata sulla cooperazione, tolleranza, accoglienza, uguaglianza nella diversità. Includere significa dare ad ognuno la possibilità di realizzare, all’ interno del proprio contesto di vita, i diritti di libertà e di uguaglianza. Significa perciò valorizzare le differenze e tutte le diversità considerandole come una sorgente di ricchezza e come uno strumento valido per costruire un modello di vita che permetta la “realizzazione dell’unità nella diversità”6. Includere vuol dire offrire l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti cioè vivere in condizioni di vita dignitose e di essere inseriti in un sistema di relazioni soddisfacenti in modo che tutti, possano sentirsi parte della comunità sociale e vivere inseriti in contesti relazionali in cui possono agire, scegliere e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità. L’inclusione diviene pertanto garante della valorizzazione di tutti gli uomini, e promuove la possibilità di accogliere le differenze e le diversità individuali. Perciò la sfida a cui è chiamata ad impegnarsi l’intera umanità è la creazione di sistemi inclusivi che pongano le basi per una comunità accogliente. 1.3 Alcuni cenni storici sul processo d’inclusione dei disabili L’integrazione della disabilità ha seguito un cammino lungo e tortuoso di cui io ne ripercorrerò le tappe. La diversità nell’uomo ha sempre suscitato paura, angoscia, preoccupazione, inquietudine e repulsione, sentimenti a cui esso ha reagito con l’esclusione, l’allontanamento da tutte le realtà sociali del “diverso” e il suo internamento in 6 V.Piazza, Trento, (1999) “Riflessioni sulla complessità dell’ integrazione e sui molti vantaggi (per tutti) che porta con sé”, in D.Ianes, M. Tortello (a cura di), “Handicap e risorse per l’integrazione. Nuovi elementi di qualità per una scuola inclusiva”, Erickson, pag 43. 16 strutture protette: “ la cultura occidentale proietta la paura della diversità sul mondo, per circoscriverla e per tentare di rimuoverla o di controllarla”7. Per molti secoli si sono protratte nei confronti dei “diversi” molteplici forme di discriminazione, come l’etichettatura di “persone pericolose” da allontanare e le forme di derisione per le loro difformità. Addirittura al tempo dell’Inquisizione si era fatta strada l’idea del disabile come uomo sotto il controllo del demonio. Anche all’interno delle stesse famiglie, la nascita di un figlio “diverso”aveva creato grossi problemi al punto tale da rinchiuderlo e isolarlo anche dalla vita familiare o ponendo fine alla sua vita fin dalla nascita. Nell’età moderna, invece, i soggetti “diversi” venivano internati in strutture protette e controllati e trattati con uso di farmaci o mezzi di contenimento in quanto il disabile era identificato con il malato. L’obiettivo era quello di rieducare totalmente la persona, trasformandola. Questa forma di rieducazione ebbe come conseguenza quella di portare l’attenzione dei medici a ricercare esclusivamente le cause della loro malattia estraniandoli il più possibile dal contesto sociale, affinché non potessero disturbare la società nella routine quotidiana o creare disagi. L’emarginazione quindi era lo strumento privilegiato per “curare” e “trattare” il diverso, il quale incontrava, come figura professionale, solo il medico che lo trasformava in caso clinico su cui poter studiare. Questa fase può essere definita della “medicalizzazione”. Successivamente si assiste alla creazione di istituti destinati esclusivamente a contenere persone emarginate, rifiutate, diseredate o con “handicap”. In questo momento, i soggetti con disabilità, non vengono più trattati come casi clinici, anche se vengono mantenuti isolati dalla società. Al posto della figura del medico si ha l’educatore che è colui che rieduca attraverso il metodo della punizione e del contenimento per migliorare o cambiare i problemi di coloro che vengono definiti folli.. Ancora, al tempo degli istituti e dei manicomi, come si deduce, non si ha l’idea della persona con disabilità come individuo portatore di risorse e ricchezze ma come un soggetto privo di “valore” che bisogna trattare solo per un recupero fisico o interiore. 7 Patrizia Gaspari, Milano, (2002) “Aver cura. Pedagogia speciale e territori di confine”,edizioni Angelo Guerini, pag.27 17 Un cambiamento importante nella visione della diversità, si ha quando invece, grandi personaggi, o meglio pedagogisti medici, come Itard, Seguin, Decroly e Montessori portano una nuova visione del disabile e del “diverso” dando origine alla Pedagogia Speciale. E’ a partire da Itard che si fa risalire quindi il passaggio da uno studio puramente medico ad un intervento più pedagogico e globale nei confronti della persona disabile, ed è esso che parla dell’ ”educabilità” dell’individuo anche in presenza di forti disabilità e si deve a lui l’importanza data alla mediazione sociale nella crescita psicofisica del soggetto. Seguin permette invece, il passaggio da una pedagogia focalizzata sul soggetto ad una più incentrata sui contesti, sugli ambienti in cui il soggetto viene ad agire e sui percorsi da intraprendere. L’obiettivo del percorso educativo è pertanto quello di mirare alla socievolezza della persona nell’ambiente in cui vive; M. Montessori valorizza la dimensione del “fare da sé” del bambino e la conseguente importanza dell’adulto nel fare da sostegno: per la Montessori educare significa aiutare il bambino a tirar fuori la sua capacità auto educante di cui è portatore; Decroly, sottolinea “la necessità di individualizzare il percorso educativo per i disabili e di legarlo ad una severa e approfondita valutazione funzionale delle difficoltà dell’educando”8. La Pedagogia speciale quindi è la scienza che ha come oggetto di studio la disabilità. Essa si definisce come “pedagogia della complessità e della diversità”9 finalizzata all’integrazione dei soggetti con deficit, handicap e con bisogni educativi speciali. - Con il termine deficit si indica la menomazione biologica che è la causa dell’handicap. - Con handicap invece si intende una situazione di svantaggio dovuta ad una menomazione che “limita o impedisce al soggetto la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio in base all’età, al sesso, e ai fattori culturali e 8 Luigi D’alonzo, (2010), intervento al Convegno SIPES “Integrazione delle persone con disabilità.lo sguardo della pedagogia speciale”, pag 3. 9 P.Gaspari, Padova, (2001), “Un’ epistemologia per la Pedagogia Speciale”, in Studium Educationis, (a cura di) A. Canevaro, “Pedagogia Speciale”, Ceda, n.3.pag.2 18 sociali. Lo svantaggio quindi proviene dalla diminuzione o dalla perdita della capacità di conformasi alle aspettative o alle norme proprie dell’ambiente”10; - Con il termine “bisogni educativi speciali” si intendono tutte quelle situazioni non riconducibili a un deficit o a una disabilità, ma a forme di disagio sociale come per esempio possono essere le situazioni degli immigrati, o di persone che vivono in famiglie disagiate che forniscono scarse competenze etc… Un obiettivo della Pedagogia speciale è la riduzione dell’handicap che viene realizzato solo attraverso una socializzazione del deficit, ovvero attraverso la creazione di una “cultura speciale” che porti un cambiamento nell’azione comune, facendo sì che le attenzioni speciali diventino ordinarie, giungendo ad un “pensare speciale”. La diversità quindi, acquisisce, anche grazie a questa Pedagogia, un valore aggiunto, in quanto viene intesa come risorsa per tutti i cittadini. Si capisce come, nel corso del tempo, la percezione della figura del disabile sia mutata permettendo così, intorno agli anni 60’, la messa in discussione dei metodi educativi fino a quel momento utilizzati (punizione, contenimento, isolamento, medicalizzazione etc…), che non avevano portato a nulla se non ad un aumento della paura di tutto ciò che era diverso, rallentando e allungando quindi i tempi di conoscenza di esso e della sua integrazione sociale. La fase odierna, che parte da metà dello scorso secolo ad oggi, è caratterizzata invece da grandi passi avanti nel senso dell’integrazione sociale, scolastica e lavorativa del disabile e dell’abbattimento delle barriere architettoniche, proprio perché è maturata la consapevolezza che è importante un suo ritorno nei suoi luoghi di vita personali quali la famiglia, e una conseguente apertura verso la società. Le prime esperienze d’integrazione dei disabili nella società, realizzate in Italia, sono da parte di associazioni tra cui la Comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini, fondata da Don Oreste Benzi (1968). Comunità che opera l’integrazione condividendo, all’interno delle case-famiglia, la situazione di svantaggio dei disabili, costruendo con loro una nuova cultura in cui l’uomo possa offrire i suoi “talenti”: come diceva Don Oreste Benzi “ nessuno è troppo 10 A.Canevaro, Milano,(1999), “ Pedagogia speciale. La riduzione dell’ handicap”. Bruno Mondadori, p.11. 19 povero da non poter donare nulla e nessuno è troppo ricco da non aver bisogno di ricevere”. Negli anni ’70 Don Oreste infatti , intuisce che “la persona ha bisogno di relazioni significative, uniche, insostituibili che non possono essere assicurate in un ambiente come quello dell’istituto dove vengono garantiti i livelli assistenziali adeguati, ma non quelli di tipo familiare e parentale garantiti da una figura paterna e materna. La famiglia aperta, allargata con i bambini, i giovani, i nonni ed anche i diversamente abili risulta essere una fonte di crescita armonica ed equilibrata per lo sviluppo psicofisico del bambino. Una formazione all’alterocentrismo, alla solidarietà, alla gratuità delle relazioni. Qui è realmente possibile una integrazione, dove chi prima veniva istituzionalizzato a causa del suo handicap, oggi diventa protagonista di storia, vivendo nelle realtà sociali dove ci sono tutti. Scuola, lavoro, tempo libero.”11In queste realtà Don Oreste realizza davvero quell’integrazione che oggi si richiede all’intera società. E’ proprio grazie all’azione di sensibilizzazione e promozione del valore della diversità ad opera della Comunità Papa Giovanni XXIII che si è giunti nel 1994 all’emanazione della legge 724 che sancisce la chiusura definitiva di istituti e manicomi in Italia. E’ sempre sul finire dello scorso secolo che viene modificato anche il termine “disabile” trasformato in “divers-abile” (concetto rivisto dall’ ICF 2007 che ritiene essere una definizione sbagliata concettualmente in quanto si afferma” il rispetto per la differenza e l’accettazione di persone con disabilità come parte della diversità umana”), proprio per sottolineare la presenza di abilità diverse nel soggetto, e non una sola mancanza di competenze. Come dice infatti Claudio Imprudente ( presidente del Centro di Documentazione Handicap di Bologna) il “termine disabile obbedisce alla logica della staticità, dell’immutabilità, la parola divers-abile sottolinea invece una positività.”12 11 Lessi V., Milano, (2008 ), “Don Oreste Benzi, un infaticabile apostolo della carità”,San Paolo editore. 12 www.accaparlante.it (Claudio Imprudente) 20 1.4 Le logiche dell’inclusione come risposta concreta alla socializzazione del deficit La logica inclusiva, come abbiamo visto precedentemente, ha come obiettivo la creazione di una nuova cultura, aperta e democratica, che valorizzi le differenze e le peculiarità di cui l’individuo è portatore concependole come una ricchezza da condividere. In questo modo ogni individuo troverà un terreno fertile nel quale esprimere i propri e speciali “talenti”. L’inclusione proprio grazie alla valorizzazione della diversità si pone esplicitamente contro qualsiasi tipo di discriminazione che vede coinvolti soggetti diversi. In questi ultimi decenni, si sono fatti grandi passi avanti nel riconoscimento e nell’integrazione sociale del soggetto disabile, grazie a leggi, a movimenti civili fondati sul volontariato, associazioni laiche e cattoliche, pedagogisti e nuove pedagogie (pedagogia speciale). E’ a partire dagli anni ‘60/‘70 che si considera l’importanza dell’integrazione come valore da salvaguardare e da promuovere, che si comprende come essa sia utile alla valorizzazione della vita umana e si incomincia ad agire per la sua diffusione in tutti i contesti di vita: ecco che i disabili sono sempre più presenti nella vita sociale, a scuola, nei supermercati, sui mezzi pubblici etc. tanto che la loro presenza non fa più notizia, ma diventa fatto comune. Tutto ciò indica che il lavoro svolto fino ad ora sta andando nella direzione giusta, quella di garantire buoni livelli di qualità di vita anche per le persone con deficit. Nonostante tale rivoluzione oggi si assiste, però, alla crescente esigenza esplicitata dalle stesse associazioni, dalle famiglie, da insegnanti pedagogisti etc. di creare una nuova società inclusiva e democratica che migliori la qualità di vita di tutti i cittadini del mondo e specialmente di tutti coloro che non vedono riconosciuti i propri diritti. Come denuncia, infatti, anche la Convenzione ONU “nonostante questi vari strumenti e impegni, le persone con disabilità continuano a incontrare ostacoli nella loro partecipazione alla società come membri eguali della stessa e ad essere oggetto di violazioni dei loro diritti umani in ogni parte del mondo”13. 13 G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson. (Preambolo)pag.176 21 A seguito della Convenzione ONU 2006 l’inclusione diviene l’imperativo degli addetti ai lavori della nuova società democratica e il concetto di inclusione entra con forza all’interno delle agende politiche italiane ed europee. La Convenzione ha contribuito a compiere il significativo passaggio dal concetto di integrazione al concetto di inclusione nella società dei soggetti disabili (e non), denunciando l’imminente necessità di tale azione. L’idea da essa promossa è rivoluzionaria, perché se prima si tentava in tutti i modi di “inserire” i soggetti disabili all’interno di una realtà che si percepiva “giusta”, oggi l’inclusione ripensa tale realtà in ottica evolutiva. Il problema di inserimento del soggetto disabile nella società, infatti, era solo a carico dell’interessato e non si prevedeva nessun coinvolgimento da parte delle realtà sociali. Il soggetto così si trovava nella condizione di doversi “adeguare” e modificare in base alle caratteristiche logistiche e organizzative della società: l’integrazione era rivolta perciò solo alle persone disabili o portatori di deficit ed era riferita a categorie speciali. Oggi, invece, il concetto di inclusione diviene occasione per l’intera società di ripensare e rivedere in chiave evolutiva la sua natura. Perché l’inclusione valorizza la diversità e permette una valorizzazione delle caratteristiche di ogni soggetto, trasformando così le nostre società in vere e proprie comunità accoglienti che si modificano in base alle esigenze di tutti i suoi membri. Come dice Silvia Tamberi: “l’entrata in scena della diversità e della disabilità è così potente che scardina le consuetudini, richiede modificazioni e adattamenti sia delle persone che entrano in relazione con essa, sia delle strutture, sia degli ambienti.”14 L’inclusione per questo non è più un problema esclusivamente delle persone con deficit, ma diviene occasione per tutti i cittadini di migliorare la propria qualità di vita. Gli Stati Parti alla Convenzione Onu, al punto “m” del Preambolo, riconoscono: “gli utili contributi, esistenti e potenziali, delle persone con disabilità in favore del benessere generale e della diversità delle loro comunità, e che la promozione del pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali e della piena partecipazione nella società da parte delle persone con disabilità accrescerà il senso di appartenenza e apporterà 14 www.accaparlante.it ( articolo di Silvia Tamberi) 22 significativi progressi nello sviluppo umano, sociale ed economico della società e nello sradicamento della povertà.”15 Quindi possiamo dire che l’inclusione riguarda tutte le persone o meglio la condizione umana in generale. Per ribadire la necessità di considerare la disabilità come possibilità della condizione umana e non come uno “status” particolare, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ha inserito i diritti dei disabili all’interno dei diritti umani sottolineando che: “Combattere la disabilità non significa soltanto porre attenzione alla situazione di alcune persone, ma promuovere la consapevolezza che ogni impegno per le persone con disabilità è un impegno per tutti i cittadini, perché la disabilità è una possibilità della condizione umana.”16 Includere vuol dire offrire ad ogni individuo l’opportunità di essere cittadino a tutti gli effetti cioè vivere in condizioni di vita dignitose e di essere inseriti in un sistema di relazioni soddisfacenti. Includere significa che tutti possano sentirsi parte della comunità sociale e possano essere inseriti in contesti relazionali in cui agire, scegliere e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità. L’inclusione non nega il fatto che ognuno di noi è diverso e non nega la presenza di disabilità o menomazioni, ma vuole spostare l’attenzione dalla semplice analisi della persona e dei suoi deficit, all’analisi del contesto in cui vive, cercando di individuare e rimuovere gli ostacoli che ne impediscono una partecipazione attiva (approccio bio-psico-sociale ICF 2001 cfr. cap.2). L’inclusione permette di combattere l’esclusione che fino ad ora le persone con disabilità hanno vissuto e subito nel quotidiano e in diversi contesti quali: la scuola, in cui il ragazzo spesso vive ai margini della classe; il mondo del lavoro, che è sempre stato inaccessibile; il tempo libero, segnato dalla solitudine tra le mura di casa. E’ importante perciò compiere uno spostamento 15 G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson. (Preambolo)pag.176 16 G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson. (Preambolo) pag.178 23 d’attenzione: curare il territorio per curare le persone andando oltre l’erogazione dei servizi alla persona e promuovendo occasioni di dialogo e confronto con la realtà sociali permettendo una socializzazione dell’handicap. Grazie a questo cambiamento il territorio diviene destinatario di attenzioni “educative” senza precedenti e co-protagonista in tale processo. 1.5 Alcune riflessioni sulla realizzazione dell’inclusione Nel precedente paragrafo abbiamo evidenziato come in questi ultimi anni si siano fatti grandi passi avanti nel ridefinire il concetto di disabilità in un ottica inclusiva che grazie ad associazioni, pedagogisti, famiglie sta divenendo sempre più una realtà diffusa. Ho ribadito quanto sia importante l’inclusione al fine di garantire una cittadinanza attiva ad ogni individuo e come la logica inclusiva diviene un occasione di crescita e miglioramento di tutto il tessuto sociale: essa intende, infatti, intervenire nella disabilità attraverso il modello bio-psico-sociale, promosso dall’ ICF 2007, che pone attenzioni educative speciali sul territorio che ospita un soggetto disabile, dando un contributo importante al miglioramento della qualità di vita di tutti i cittadini. Trovare delle strategie per sviluppare logiche inclusive risulta essere molto interessante, ma assai arduo in quanto, nonostante vi siano delle indicazioni operative ben delineate, l’inclusione non è semplicemente il risultato di procedure formali e standardizzate, ma è il frutto della creatività degli addetti ai lavori, in quanto si può realizzare attraverso infinite pratiche che solo la nostra fantasia può limitare. L’inclusione è nell’incontro, nel gioco, nello studio, nella relazione, nelle procedure di inserimento lavorativo, nelle “leggi ad doc”, in un saluto, in una amicizia. Insomma l’inclusione è possibile realizzarla velocemente, tutti la possono promuovere, ma nello stesso tempo è un processo sociale e culturale lungo, difficile da dirsi realizzato. L’inclusione è un processo che pone l’accento sull’individuo con tutte le sue caratteristiche personali irripetibili e sulla sua possibilità di partecipazione attiva alla sua vita e alla vita sociale. Perciò qualsiasi attività che promuove tali obiettivi si può definire inclusiva. Essa è riferita ad ogni individuo specialmente a chi viene escluso ed emarginato. 24 La società, nel momento in cui si realizza l’inclusione, deve garantire i diritti fondamentali di educazione, formazione e lavoro che si realizzano in sostegno alla famiglia, scuola e inserimento lavorativo. Promuovere l’inclusione significa perciò, migliorare qualitativamente la vita di tutti gli esseri umani, il loro benessere, significa creare un mondo a misura di uomo, riconoscere l’irripetibilità, irriducibilità e inviolabilità di ogni individuo, combattere l’emarginazione e la discriminazione di uomini, significa creare un mondo più “equo e solidale” attento ad ogni individuo. Per realizzare l’inclusione a livello sociale sono necessari interventi volti a fare superare le paure della diversità che tutt’ora permangono tra la gente comune. Ciò deve quindi consentire di eliminare il principale ostacolo all’inclusione sociale ovvero l’ignoranza e la conseguente paura del diverso. In tal senso sono da sostenere e promuovere tutte le iniziative portate avanti da associazioni, enti locali, famiglie a favore di una maggior conoscenza e dialogo tra disabilità e “mondo sociale” come feste, meeting, open day di strutture, gare sportive etc… L’impegno di ogni attore sociale, che intenda sensibilizzare l’opinione pubblica su temi come l’inclusione dei soggetti disabili, deve rivolgersi alla creazione di ponti tra disabilità e “normalità. La mia esperienza personale di educatore mi ha insegnato che la relazione può divenire quel filo sottile che unisce le diversità. Solo quando conosciamo, l’ignoto non ci fa più paura. Occorre agire sul territorio creando situazioni che lo coinvolgano nella costruzione di relazioni positive con la disabilità. Tali relazioni possono essere instaurate tramite la costruzione di reti informali che pongano l’accento sulla ricerca di un benessere comune dove ognuno possa trarne un giovamento e non sulla condizione di disagio. 1.6 Il contributo significativo della Pedagogia In questo momento storico di fronte alle sfide e ai cambiamenti attuali, l’educazione sembra non riuscire più a definire i suoi contorni, i suoi obiettivi e il senso del suo agire pedagogico. Il sentimento di incertezza che caratterizza la contemporaneità, il parametro economico quale criterio di definizione di modelli educativi e pedagogici rischiano di promuovere fenomeni, sentimenti di esclusione e intolleranza. Oggi urge l’esigenza che la pedagogia riacquisti la 25 sua intenzionalità educativa e che scenda in campo per contribuire alle sfide di questo secolo. Così il fine dell’educazione sarà quello di : “rendere le bambine e i bambini capaci di divenire giovani adulti responsabili attivi, solidali, cooperativi e in grado di contribuire a uno sviluppo ecologico equo e sostenibile delle società trovando, in questo modo, il significato, lo scopo e la felicità della propria esistenza individuale.”17 La Pedagogia può dare un grande contributo alla formulazione di modelli educativo-formativi fondati su logiche inclusive solo se, come sostiene Frabboni, sarà disponibile a rifondare le sue “canoniche” e polverose teorie dell’educazione, basate su un modello occidentale di uomo standardizzato e univoco: bianco maschio ricco sazio, per assumere delle ali Intercontinentali, e ad essere una pedagogia a 360° che illumini la società e sia rivolta anche a una: nera, femmina, povera e disperata. Per fare ciò la Pedagogia deve “avventurarsi lungo altre frontiere epistemologiche capaci di elaborare teorie ermeneutiche (teorie interpretative) in grado di porla all’interno della complessità e della polidirezionalità del discorso educativo in una società complessa e in transizione”18. Perciò la Pedagogia dovrà avere uno sguardo interculturale aprendosi alle ibridazioni teoretiche e alle contaminazioni culturali. L’attuale cultura di massa neo-liberalista, con il suo modello omologante, sta mettendo in discussione il valore di qualsiasi forma di diversità e compromettendo così la sua inclusione. Per promuovere il cambiamento pedagogisti come, Paul Freire, Franco Frabboni, Nel Noddings 19, sono concordi nell’affermare che il primo ambito in cui è necessario intervenire è la formazione e nello specifico la formazione scolastica. E’ questo il luogo in cui si formano e si sviluppano milioni di individui, i cittadini di oggi e di domani. La formazione diviene così la sfida del Ventunesimo secolo che la Pedagogia deve raccogliere a favore dell’inclusione. Essa deve “essere in grado di rifornire le stagioni della vita sia di competenze cognitive, intese come “formae mentis” (come capacità di ragionare con la 17 Elena Malaguti (a cura di) (2010), “Educazione inclusiva oggi?Ripensare i paradigmi di riferimento e risignificare le esperienze”, Monografia pag.12 18 Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag.24. 19 Nel Noddings è Professoressa di education all’Università di Stanford ed è Presidente della National Academy of Education. 26 propria testa), sia di sensibilità valoriali intese come testimonianza e impegno collettivo sui grandi temi planetari di questa società complessa e del rischio: la democrazia, la giustizia, la diversità, la cooperazione, la solidarietà, la pace”20. Grazie a ciò nascerà “un mondo nuovo che si dovrà fare carico di un salto di qualità per l’intera umanità. Un salto possibile se il suo modello di società saprà essere rispettoso anzitutto della radice ontologica della vita. E poi dei valori della libertà, della giustizia, della diversità, della dignità e del rispetto”21. La formazione deve fondarsi, perciò, su alcuni imperativi: - Promuovere conoscenze e coscienze multiculturali aperte al diverso combattendo l’etnocentrismo e gli stereotipi. Ciò è possibile solo se si abbandonano modelli didattici chiusi come le tradizionali lezione frontali, che imperversano in tutto il panorama scolastico italiano e non solo, in cui l’allievo apprende passivamente delle conoscenze già codificate da altri. Sarà utile invece promuovere apprendimenti attivi, in cui il ragazzo diviene co-costruttore della propria conoscenza e perciò della propria formazione. Questo tipo di apprendimento è più orientato ai processi che ai prodotti e utilizza metodi didattici come la ricerca-azione. - Favorire l’intercultura che è la paladina della diversità, perché promuove la “compresenza di più modi di comunicare, di pensare, di pregare e di sognare, significa mirare a un fecondo risultato pedagogico”22. L’interculturalità crea una collettività disponibile a concedere parte della propria cultura per accettare e interiorizzare elementi culturali altrui. Questa pedagogia dell’alterità permette di formare cittadini aperti al dialogo e alla contaminazione, capaci di uscire da se stessi, entrare in altri mondi di pensiero e di valori uscendone più arricchiti. L’interculturalità promuove, come dice Frabboni, “città dell’amicizia”23 plurietniche, tolleranti e con un forte clima democratico e aperto alla diversità. 20 Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pagg. 57-58. Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag. 24. 22 Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag 59. 23 Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag 62. 21 27 A mio parere la nascita di una cultura democratica e sostenibile è possibile solo se ognuno di noi acquisisce una coscienza “interculturale” scegliendo di abbandonare i propri rigidi modelli interpretativi che troppo spesso non rispettano chi è diverso da noi, ma soprattutto le nostre personali caratteristiche che nella società neoliberale non possono essere accettate neppure da noi stessi costringendoci a relegarle al nascondimento. - Perseguire l’interdisciplinarità. Il modello di insegnamento/apprendimento di ispirazione deweyana si declina su linee culturali trasversali e sistemiche ovvero interdisciplinari. Essa consente di comprendere la complessità della realtà. Solo grazie ai diversi punti di vista è possibile tentare di descrivere ciò che ci circonda, con le sue mille sfaccettature e con le sue contraddizioni. Qui la diversità si rende protagonista a partire dalla disabilità. La presenza in classe di un ragazzo disabile diviene vera e propria possibilità di apprendimento di conoscenze nuove e speciali per tutta la classe. L’apprendimento diviene multiplo, ognuno può apportare il suo contributo. L’interdisciplinarietà evita di rimpicciolire le ali larghe della cultura spesso ridotta in semplicistiche definizioni ripetute come pappagalli dagli alunni, promuovendo, al contrario, pratiche interdisciplinari che richiedono un ambiente didattico dalle poliedriche modalità cognitive e socioaffettive a misura degli stili cognitivi dei soggetti tutti e in particolare dei disabili. Grazie all’interdisciplinarità la scuola si veste di un abito plurale. Rispettando e valorizzando le diversità sia culturali che cognitive. - Sviluppare il pensiero plurale. Grazie alla Interdisciplinarità e alla Multiculturalità infatti i ragazzi acquisiscono la capacità di pensare con la propria testa, evitando stereotipi e divenendo così i co-costruttori della propria formazione, padroneggiando i processi che sono alla base dell’ apprendimento. Con 28 il pensiero plurale anche il concetto di conoscenza si modifica. Se fino ad oggi, a scuola, si è data attenzione solo al micro-set della conoscenza, ovvero ai quei saperi statici, definiti e acquisibili mnemonicamente, perché utili e spendibili nel sistema produttivo, ora diviene indispensabile che la pedagogia promuova il macro-set della conoscenza, ovvero tutti quei saperi reali, carichi di tutta la loro problematicità (es. teorie opposte e contrastanti possono essere tutte giuste perché hanno punti di vista diversi dell’ oggetto), manipolabili direttamente dal ragazzo. Questi ultimi infatti consentono al ragazzo di sviluppare un apertura mentale utile alla creazione di “teste ben fatte”24 ovvero teste caratterizzate da autonomia intellettuale e da un pensiero plurale. Con il pensiero plurale si evidenzia che la conoscenza non è fissa, non è statica, ma è frutto di una continua ricerca creativa perchè nel momento che l’“io” apprende interviene creando un sapere nuovo. Ne consegue che nessuno può sostenere di avere la conoscenza più “giusta” e che ogni essere umano produce delle conoscenze valide, rispettabili e uniche. Ogni individuo perciò grazie alla creatività produce saperi irripetibili ed è sfida di educatori, pedagogisti, genitori e di tutto il mondo sociale mettere in contatto questi saperi specialmente se provengono da persone emarginate, deviate speciali. - Affinché la scuola diventi inclusiva, occorre promuovere l’apprendimento cooperativo che valorizza la capacità di tutti e promuove una cultura solidaristica. Ognuno porta i suoi talenti, ognuno accoglie i contributi dell’altro al fine di formulare un sapere complesso e socializzante. La scuola di oggi invece è improntata sulla competitività, ovvero la “lotta di tutti contro tutti per essere il migliore e affermare la propria supremazia”. La competitività oggi è promossa dal culto neoliberalista del mercato, delle logiche di produzione e consumo, e sta intossicando il panorama sociale e culturale. La scuola perciò deve promuovere uno stile cooperativo che a differenza della competitività promuove una crescita globale della persona, l’insorgere 24 Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag.45 29 di atti solidaristici e un conseguente impegno sociale. L’apprendimento cooperativo è un utile strumento per creare una umanità più accogliente. - Obiettivo della formazione è creare quindi individui con “teste ben fatte”, persone che sappiano essere “autonome” ovvero che sappiano compiere delle scelte consapevoli per realizzare il proprio progetto esistenziale personale, grazie ad uno zaino cognitivo che consenta loro di combattere il soggetto-massa che la società odierna continua a pubblicizzare in ogni angolo della terra. - La formazione deve inoltre promuovere l’etica solidaristica perché l’essere umano è un essere in divenire per definizione e sin dalla sua comparsa sulla terra è intervenuto su di essa prendendo decisioni, scegliendo se essere a favore dell’etica o violarla. Oggi, invece, come denuncia Paul Freire, il fatalismo neo-liberalista sta diffondendo l’ idea che l’uomo non può più cambiare il mondo, e che per i milioni di poveri che gridano la loro disperazione non si possa fare più niente. Per questa ragione il pedagogista e “rivoluzionario” Freire sostiene che la formazione deve prevedere anche formazione etica, solo così gli individui potranno intervenire sul mondo e impegnarsi attivamente per combattere le ingiustizie. Con questa nuova idea di formazione è possibile sviluppare la società che milioni di persone stanno aspettando. 1.7 L’educatore specialista dell’inclusione. L’educatore è una figura professionale con il compito di agire nell’ambito dei servizi socio-educativi ed educativi extrascolastici “mediante la formulazione e l’attuazione di progetti educativi caratterizzati da intenzionalità e continuità volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale e di inserimento e partecipazione sociale, agendo sulla relazione interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto 30 ambientale e sull’organizzazione dei servizi in campo educativo”25. L’educatore professionale, perciò, diviene un tassello importante nel lavoro di equipe dei servizi, poiché esso dà importanza all’intenzionalità nell’azione educativa, alla capacità di agire con competenze e al “vivere con” l’altro. Tutto ciò diventa quindi indispensabile per il raggiungimento dell’autonomia del singolo, autonomia intesa come acquisizione di quelle competenze che mettono l’individuo in condizione di progettare la propria vita per realizzare l’inserimento sociale e lavorativo. Operare come educatore professionale significa essere “agente di cambiamento”, ovvero mettersi al “servizio del soggetto” apportando un cambiamento significativo con la singola persona, nelle relazioni in cui è inserito e negli ambienti in cui vive. Questo perché spesso una situazione di disagio (spesso determinato da un handicap) può dare vita ad una inadeguatezza delle relazioni interpersonali e sociali. Per realizzare questo cambiamento l’educatore deve avere alla base della sua azione tre imprescindibili requisiti: - Le competenze: metodologiche e cognitive - Le abilità: come capacità di saper fare, di intervenire - La riflessività necessaria per poter rileggere e valutare il lavoro compiuto. Tali requisiti si integrano tra di loro e permettono la realizzazione di percorsi educativi di qualità. L’educatore viene definito anche come operatore pedagogico, perché lavora sul campo per conoscere la qualità della risorse e le problematiche presenti nell’ambiente intervenendo con progetti educativi efficaci e personalizzati. Il suo intervento è rivolto a : - Ridurre l’handicap attraverso una rimozione di tutti quegli elementi ambientali, sociali, relazionali che possono costituire delle “barriere” nell’agire e nella partecipazione sociale della persona. 25 M.Cardini e L.Molteni , (2003), “ L’educatore professionale. Guida per orientarsi nella formazione e nel lavoro” Carocci Faber, Roma, pag.27 31 - Favorire i processi di resilienza, intesa come la capacità di “resistere o far fronte” a una situazione di stress o a una situazione negativa, attraverso la messa in atto di meccanismi che permettono di trovare possibili soluzioni, “vie di uscita”, e di riorganizzare positivamente la propria vita. Come afferma Michael Rutter la resilienza è “la capacità si svilupparsi in modo accettabile a dispetto di uno stress o di un’avversità che comporta normalmente il rischio di un esito negativo”26. Si rende quindi necessario sviluppare le “determinanti della resilienza quali la capacità di relazione, le competenze, l’iniziativa, la creatività, la perspicacia, l’autonomia, il senso morale”27 affinché i “soggetti in difficoltà”siano capaci di trovare soluzioni che gli permettano di “rimbalzare”da una situazione di stress a una di tranquillità. Quindi, lo strumento privilegiato del lavoro dell’educatore diventa la relazione interpersonale che si viene ad instaurare con l’utente. Qui i ruoli sono a-simmetrici e reciproci: l’A-simmetria non indica il ruolo di autorità dell’educatore, ma il ruolo di guida e di punto fermo per l’educando; la reciprocità si ha quando chi offre e chi riceve sono sullo stesso livello. Essa implica che “l’altro sia il nostro riferimento”28 e ciò permette un’accoglienza delle differenze e una disponibilità ad imparare dall’altro. Quella che l’educatore instaura con l’educando viene definita “relazione di aiuto e di cura”, perché come dice Carl Rogers “ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità”29. Questa relazione presuppone però una concezione positiva dell’uomo e delle sue possibilità di auto trasformazione e di gestire in modo autonomo le proprie difficoltà una volte che l’utente ha recuperato le capacità decisionali. L’educatore quindi deve 26 Elena Malaguti, (2005), “Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi” Erickson, pag. 17 27 Elena Malaguti, (2005), “Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi” Erickson, pag.18 28 Andrea Canevaro (2010), “Competenze professionali e sociali nella costruzione di processi e percorsi inclusivi”, Monografia, pag.14 29 Enzo Catarsi (a cura di) (2005), “La relazione d’aiuto nella scuola e nei servizi socio educativi”, Del cerro, Pisa,pag.10 32 permettere un processo di empowerment, ovvero un processo che porta ad incrementare le capacità del soggetto. Questa relazione di aiuto costringe l’educatore a mettersi in situazione di ascolto e dialogo. L’ascolto, che sarà ascolto attivo, permette di instaurare un efficace fiducia reciproca predisponendo la comprensione dei pensieri delle preoccupazioni e dei sentimenti degli altri ed implicando empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni di un altro, di sentire, pensare e vedere il mondo come lui lo vede. L’educatore, attraverso la tecnica del rispecchiamento verbale fa capire all’utente di essere ascoltato e questo lo incoraggia ad instaurare una relazione sincera e significativa. Il dialogo, invece, è il vero strumento di cura e di aiuto perché attraverso esso l’educatore e l’utente entrano in relazione, ma soprattutto iniziano a collaborare e a lavorare intorno ad un progetto da creare insieme. Con il dialogo l’utente capisce di essere riconosciuto dall’altro ed essere per questo valido ed importante. Il compito di educare quindi si può definire come un “formare”, un partecipare in modo attivo al processo di autoformazione in cui il soggetto è il protagonista e l’educatore è colui che sollecita e incentiva il cambiamento. Gli obiettivi dell’intervento educativo possono essere riassunti in: riduzione dell’handicap, promozione della cittadinanza attiva, integrazione sociale, promozione delle risorse dell’individuo raggiungimento dell’autonomia. Per raggiungere tali obiettivi è necessario prevedere una sinergia di interventi che l’educatore realizzerà nei vari contesti di vita dell’individuo a seguito di una progettazione di equipe. Nella pratica educativa è importate perseguire l’obiettivo dell’inclusione. Essa è “la premessa indispensabile ad ogni possibilità di crescita e di sviluppo delle potenzialità di ogni individuo, sia esso abile o disabile”30, ed è anche il passo 30 M.Gelati, ( 2006), “Pedagogia e integrazione. Dal pregiudizio agli interventi educativi”, Carocci Editore, Urbino, pag.143. 33 necessario per ridurre le situazioni di svantaggio dalle quali derivano disagio e marginalità nel soggetto. 34 2° CAPITOLO IL CONTRIBUTO LEGISLATIVO A FAVORE DELL’INCLUSIONE E INTEGRAZIONE DEI SOGGETTI DISABILI 2.1 Introduzione In Italia, come accaduto in altri paesi Europei, l’attenzione sia delle istituzioni pubbliche che della collettività nei confronti delle persone disabili è progressivamente accresciuta nel corso degli ultimi decenni ed ha determinato un notevole miglioramento nelle condizioni di salute, di vita autonoma e d’integrazione sociale dei disabili. Le vecchie politiche centrate sull’istituzionalizzazione e l’assistenzialismo, sono state gradualmente superate da politiche sociali che hanno promosso le pari opportunità e hanno delineato buone prassi realizzabili attraverso una progressiva responsabilizzazione delle istituzioni, dell’associazionismo e del privato sociale. Oggi la tutela e l’integrazione sociale delle persone con disabilità sono riconosciute e tutelate anche in ambito legislativo. Le leggi inizialmente avevano lo scopo di rispondere ai bisogni di assistenza delle persone disabili, poi hanno cercato di dare risposta alle crescenti esigenze legate alla vita in famiglia e ai diversi contesti di vita quotidiana. Il processo normativo che si è sviluppato nel corso dell’ultimo decennio è stato segnato da traguardi raggiunti in ambito familiare, nell’educazione, nell’istruzione e nel lavoro. I risultati raggiunti però non possono considerarsi pienamente soddisfacenti, in quanto permangono delle “lacune” in diversi settori e ambiti territoriali, che rendono indispensabile un’ulteriore sforzo istituzionale. Per compiere questo excursus lungo le leggi che si sono succedute nel tempo seguirò un ordine cronologico, cercando di mettere in evidenza le differenze e le evoluzioni apportate da ognuna di esse. E’ a partire dagli anni ’60 e 70’ che vengono emanati i primi provvedimenti legislativi a favore del riconoscimento della dignità sociale di tutti i cittadini. - E’ con la legge 482/68 ("Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private") 35 che ha inizio il percorso di integrazione sociale per quelle categorie di persone considerate “invalide” alle quali viene assegnato un posto di lavoro obbligatorio, come recita il comma 1: “La presente legge disciplina l’assunzione obbligatoria - presso le aziende private e le amministrazioni dello Stato […] - degli invalidi di guerra militari e civili, degli invalidi per servizio, degli invalidi per servizio, degli invalidi civili, dei ciechi, dei sordomuti, degli orfani e delle vedove, dei caduti in guerra o per servizio o sul lavoro, degli ex-turbecolotici e dei profughi”. - La legge 118/71 ("Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili.") è la prima norma organica sull’invalidità civile, in cui vengono create le provvidenze economiche dell’assegno mensile e della pensione di invalidità civile. - La legge 517/77 ("Norme sulla valutazione degli alunni e sull'abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell'ordinamento scolastico") ha contribuito a favorire l’integrazione sociale dei soggetti disabili e ha sancito l’abolizione, in ambito scolastico, delle classi differenziate per i disabili, facendoli rientrare nelle aule “comuni” in cui si attuano forme integrazione a favore degli alunni portatori di handicap con la prestazione di “insegnanti specializzati”. Un ulteriore cambiamento apportato da questa legge è l’obbligo del docente di creare programmi diversificati per i soggetti disabili. - Legge 180/78 ( "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori") ad opera del dottor Franco Basaglia ha introdotto un’importante revisione degli ordinamenti sui manicomi e ha promosso notevoli trasformazioni nel trattamento psichiatrico sul territorio. Il dottor Basaglia denunciò l’effetto che il manicomio aveva sugli internati: l’assenza del progetto di vita, la perdita della concetto di 36 futuro, l’essere costantemente in balia degli altri, il completo annientamento della propria individualità causato dall’avere la giornata scandita e organizzata su tempi dettati solo da esigenze organizzative. Basaglia propose la chiusura dei manicomi, regolamentò il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) creando servizi di igiene mentale pubblica. Questa legge aveva l’obiettivo di abbassare l’uso di terapie farmacologiche e del contenimento fisico, instaurare una nuova modalità comunicativa basata sui rapporti umani, riconoscere i diritti dei pazienti e una vita di qualità. Dagli anni ’90 ad oggi sono state emanate ulteriori leggi che andrò a spiegare più nello specifico in quanto mi permettono di supportare la mia argomentazione: Legge 104 del 1992 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”; la Legge 162 del 1998 "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave" Legge 68 del 1999 “Norme per diritto al lavoro dei disabili” Classificazione dell’ OMS detta ICF del 2001 (Classificazione dello stato di salute) che sostituisce la classificazione ICIDH del 1980; “Convenzione delle nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”del 2006; 2.2 La legge 104/92 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” La legge 104/92 si pone come finalità: garantire “il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata” promuovendone la piena 37 integrazione in ambiti di vita specifici quali “la famiglia, la scuola,il lavoro e la società”; prevenire e rimuovere “le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali”; perseguire “il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali” assicurando servizi e prestazioni “per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata”; predisporre “interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata”. I soggetti aventi diritto a tali prestazioni sono riconducibili a tipologie precise di persone ovvero a coloro che presentano handicap, agli stranieri e agli apolidi. Gli interventi da predisporre in favore di una piena integrazione nella società devono essere realizzati in ambito familiare, scolastico, lavorativo e sociale. Questi interventi, prevedono una sinergia di azioni tra i vari attori sociali (Regioni, Comuni, Aziende sanitarie, Servizi sociali, scuole, Associazioni etc…) in modo tale da tener conto della multidimensionalità della vita del singolo al fine di promuovere una vera realizzazione del processo di inclusione nella vita della collettività locale. E’ necessaria quindi: la “realizzazione di programmi che prevedano prestazioni sanitarie e sociali integrate tra loro, che valorizzino le abilità di ogni persona handicappata e agiscano sulla globalità della situazione di handicap, coinvolgendo la famiglia e la comunità […]”31. 31 Legge 104/1992"Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, art.7. 38 La comunità quindi affiancata alla famiglia diventa “oggetto di osservazione”, oggetto necessario per creare interventi ad ampio raggio: non sono più possibili interventi limitati ad un ambito specifico di vita, come può essere la famiglia, ora vengono richiesti interventi che permettano ad ogni ambito di fornire le risposte adeguate alle esigenze individuali riducendo l’handicap. L’obiettivo di fondo della 104/92 è proprio la realizzazione di progetti globali condivisi come precisato all’articolo 7 sopra citato: Il progetto globale si può intendere come una modalità di azione utile per realizzare efficaci politiche di welfare locale, in quanto permette di individuare i bisogni e le risorse da mettere a disposizione della persona disabile. In questo modo è sul territorio nel suo complesso che si realizzano i progetti individualizzati di integrazione sociale da parte degli enti locali. Non sono più solo le figure specializzate o contesti speciali a lavorare a favore del disabile, ma è la comunità sociale (comune, servizio sanitario e sociale, associazioni e altri enti locali) che in prima persona partecipa e si impegna per integrare un proprio cittadino. Il progetto personale perciò richiama ad una responsabilità comunitaria e ad un impegno collettivo a favore della riduzione dell’ handicap promuovendo così la piena e attiva cittadinanza dei soggetti. Il progetto globale prevede una preliminare “presa in carico” del soggetto da parte dei servizi presenti sul territorio di appartenenza. Essa è intesa come “il processo integrato e continuativo attraverso cui deve essere garantito l’insieme degli interventi coordinati sulle condizioni che ostacolano l’inserimento scolastico e lavorativo che siano finalizzati a favorire la piena affermazione della personalità di ogni individuo.”32 Gli interventi coordinati devono quindi influenzare le modalità e i principi che sono alla base delle politiche socio assistenziali, sanitarie, educative, formative ed occupazionali in modo tale da ridurre situazioni di svantaggio delle persone disabili. Soltanto se i diversi enti locali sono disposti a collaborare, si potrà realizzare un efficace progetto globale inclusivo. La coordinazione delle azioni e la loro continuità durante tutto l’arco di vita dell’individuo, sono le parole d’ordine degli interventi affinché si possano garantire pari opportunità eliminando le discriminazioni sociali. Il progetto globale deve tenere in considerazione tutte le stagioni della vita dell’individuo 32 http://www.ledha.it/allegati/SR_t_documenti/8/FILE_Documento.pdf (articolo di Danilo Massi) 39 dando risposte specifiche come l’assistenza economica e psicologica, servizi integrativi come centri diurni, soggiorni di vacanza, inserimenti lavorativi etc. La legge 104/92 inoltre prevede: In ambito familiare: azioni volte all’informazione “per facilitare la comprensione dell'evento e le possibilità di recupero e di integrazione della persona handicappata nella società”; azioni volte “ad assicurare la prevenzione primaria e secondaria in tutte le fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del soggetto minore per evitare o constatare tempestivamente l'insorgenza della minorazione o per ridurre e superare i danni della minorazione sopraggiunta”; forme di sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto personale o familiare, strumenti e sussidi tecnici, prevedendo, nei casi strettamente necessari e per il periodo indispensabile, interventi economici integrativi per il raggiungimento degli obiettivi previsti; In ambito scolastico ( per ogni ordine e grado): Al bambino da 0 a 3 anni handicappato l'inserimento negli asili nido. la creazione di una diagnosi funzionale, utile alla conoscenza dei punti di forza e di difficoltà del soggetto, su cui poter poi predisporre un piano educativo individualizzato, realizzato con la collaborazione dei genitori, degli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione; l’istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale, a cui possono essere ammessi anche i minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazioni di handicap; 40 la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da enti pubblici o privati; la dotazione alle scuole e alle università di attrezzature tecniche e di sussidi didattici nonché di ogni altra forma di ausilio tecnico necessari; attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati; la creazione, presso ogni circolo didattico ed istituto di scuola secondaria di primo e secondo grado, di gruppi di studio e di lavoro composti da insegnanti, operatori dei servizi, familiari e studenti con il compito di collaborare alle iniziative educative e di integrazione predisposte dal piano educativo. In ambito lavorativo: nella fase di preparazione al mondo del lavoro: si prevede l'inserimento della persona handicappata negli ordinari corsi di formazione professionale dei centri pubblici e privati garantendo agli allievi handicappati, che non siano in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento ordinari, “l'acquisizione di una qualifica anche mediante attività specifiche nell'ambito delle attività del centro di formazione professionale tenendo conto dell'orientamento emerso dai piani educativi individualizzati realizzati durante l'iter scolastico. A tal fine forniscono ai centri i sussidi e le attrezzature necessarie.” Si sottolinea come i corsi di formazione professionale debbono tener conto delle diverse capacità ed esigenze della persona handicappata che, di conseguenza,verrà inserita in classi comuni o in corsi specifici o in corsi prelavorativi. Agli allievi che abbiano frequentato i corsi è rilasciato un attestato di frequenza utile ai fini della graduatoria per il collocamento obbligatorio nel quadro economico-produttivo territoriale. 41 Le regioni disciplineranno l'istituzione e la tenuta dell'albo regionale degli enti, istituzioni, cooperative sociali, di lavoro, di servizi e dei centri di lavoro guidato, associazioni ed organizzazioni di volontariato che svolgono attività idonee a favorire l'inserimento e l'integrazione lavorativa di persone handicappate. Nella fase di inserimento lavorativo: in attesa di una nuova legge sul collocamento obbligatorio, tutti i soggetti affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacità lavorativa che ne consenta l'impiego in mansioni compatibili alle richieste lavorative, devono essere assunti in aziende o centri lavorativi. In ambito sociale: - per gli edifici Si prevede l’eliminazione di tutte le barriere architettoniche, in quelle opere le cui difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione da parte delle persone handicappate; Il Comitato per l'edilizia residenziale (CER) dispone che una quota dei fondi per la realizzazione di opere di urbanizzazione e per interventi di recupero sia utilizzata per la eliminazione delle barriere architettoniche negli insediamenti di edilizia residenziale pubblica realizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge. I piani sono modificati con integrazioni relative all'accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate. La Cassa depositi e prestiti concede agli enti locali per la contrazione di mutui con finalità di investimento, una quota almeno pari al 2 per cento è destinata ai prestiti finalizzati ad interventi di ristrutturazione e recupero; 42 - per il trasporto: I comuni assicurano, nell'ambito delle proprie ordinarie risorse di bilancio, modalità di trasporto individuali per le persone handicappate non in grado di servirsi dei mezzi pubblici. le regioni elaborano piani di mobilità delle persone handicappate che prevedano servizi alternativi per le zone non coperte dai servizi di trasporto collettivo I piani di mobilità delle persone handicappate predisposti dalle regioni sono coordinati con i piani di trasporto predisposti dai comuni. L’ente ferrovie dello Stato dovrà provvedere a realizzare interventi per l'eliminazione delle barriere architettoniche nelle strutture edilizie e nel materiale rotabile appartenenti all'Ente medesimo Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dei trasporti provvede alla omologazione di almeno un prototipo di autobus urbano ed extraurbano, di taxi, di vagone ferroviario, conformemente alle finalità della presente legge. A favore dei titolari di patente di guida delle categorie A, B, o C speciali, con incapacità motorie permanenti, le unità sanitarie locali contribuiscono alla spesa per la modifica degli strumenti di guida; Si prevede l’uso del contrassegno che deve essere apposto visibilmente sul parabrezza del veicolo I comuni assicurano appositi spazi riservati ai veicoli delle persone handicappate, sia nei parcheggi gestiti direttamente o dati in concessione, sia in quelli realizzati e gestiti da privati. Questa legge segna una tappa importante in quanto è stata la prima “legge quadro” che si è occupata della disabilità. Essa infatti riconosce la persona disabile come detentrice di diritti, per la quale lo Stato dovrà prevedere misure atte, a rimuovere le condizioni che creano una situazione di handicap, nel momento in cui impediscono il raggiungimento dell’autonomia e la partecipazione attiva del soggetto alla vita sociale. La legge 104/92 ha saputo considerare la disabilità nella sua globalità, mettendo in evidenza come l’integrazione sia possibile solo attraverso la 43 realizzazione di interventi attuati con la cooperazione dei diversi attori sociali (Comuni, Servizi sociali e sanitari etc…). Tali interventi vengono realizzati tenendo in considerazione i diversi ambiti sociali in cui il soggetto agisce: famiglia, scuola, ambiente sociale, lavoro. Essa inoltre promuove l’idea che il disabile debba rimanere nel suo contesto sociale prossimo, nella sua casa, nella sua famiglia. Soffermandoci, però, sulla definizione della persona con disabilità, notiamo come essa viene definita: “ E' persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. Tale definizione risente ancora della Classificazione dell’OMS del 1980 ICIDH, che pone l’accento solo sulla menomazione riducendo l’individuo al suo deficit. Infatti, il concetto di persona handicappata porta con sè una connotazione negativa, in quanto la si definisce “per sottrazione”, cioè mettendo solo in evidenza i deficit e la presenza di minorazioni che causano “difficoltà di apprendimento, di relazione, di integrazione lavorativa”. Questa visione dell’handicap, oggi è stata superata “dai nuovi paradigmi culturali della disabilità”33 che spostano l’attenzione dall’handicap alla persona come soggetto portatore di diritti umani e civili, perciò la disabilità viene pensata come una “situazione di salute in un contesto sfavorevole”34. La legge 104/92 viene modificata e integrata dalla legge 162/98 la quale prevede: la realizzazione di piani personalizzati per il soggetto con handicap di “particolare gravità” (nel caso in cui ne venga fatta esplicita richiesta); forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale come prestazioni integrative a quelle già erogate dai Comuni (tali servizi verranno resi dalle Regioni nei momenti in cui l’assistenza non sia fornita dai Comuni, per esempio in certe ore della giornata e/o della settimana). 33 34 www.superando.it (articolo di Roberto Speziale) www.superando.it (articolo di Roberto Speziale) 44 Così si mostra come sia proprio la società ( in questo caso rappresentata dalle istituzioni) a farsi carico dei soggetti con disabilità, e si realizzi un decentramento di competenze dalle Regioni ai Comuni, i quali collaborano al fine di garantire i servizi. 2.3 Legge 68/1999 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” Sempre a favore di una logica inclusiva e di partecipazione attiva delle persone disabili si esprime la legge n.68 del 12.3.1999 recante: “ Norme per il diritto al lavoro dei disabili” che compie una nuova interpretazione del welfare-state maggiormente rivolto ai bisogni di questi cittadini. Pertanto tale provvedimento intende l’inserimento o il reinserimento nel mondo produttivo di un soggetto portatore di deficit come un percorso, un itinerario che parte dall’ individuo, dall’analisi delle sue attitudine e competenze residue per passare poi al contesto in cui il soggetto opera o potrebbe operare. L’obiettivo è riuscire a tradurre le attitudini e capacità personali in abilità o competenze e far si che l’ambiente sociale le riconosca e valorizzi. In questo modo le persone disabili da utenti da assistere divengono soggetti che hanno diritto al lavoro, cittadini da promuovere che possono e devono costituire una risorsa per la collettività. La legge 68/99 si pone come finalità: la promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato E’ rivolta : a) “alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento […]”; b) “alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento[…]”; c) “alle persone non vedenti o sordomute[…]”; 45 d) “alle persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all'ottava categoria[…]” Essa prevede il collocamento mirato con il quale si intende: “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione.” Le assunzioni obbligatorie devono seguire precise indicazioni: “ I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili nella seguente misura”: 7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; 2 lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; 1 lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti. Inoltre l’articolo 6 sancisce che: “Gli organismi individuati dalle regioni […] di seguito denominati "uffici competenti", provvedono, in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio,[…] alla programmazione, all'attuazione, alla verifica degli interventi volti a favorire l'inserimento dei soggetti[...] nonché all'avviamento lavorativo[…]e all'attuazione del collocamento mirato.” All’articolo 13 : Sono previste forme di agevolazioni contributive per le imprese “ estese anche ai datori di lavoro che, pur non essendo soggetti agli obblighi della presente legge, procedono all'assunzione di disabili.” La legge 68/99 rappresenta una profonda innovazione nel settore dell’integrazione lavorativa dei disabili perché: 46 1) dà una nuova rappresentazione della persona disabile che da cittadino da assister, diviene cittadino da promuover, in quanto si abbandona il modello assistenziale della legge 482/68, a favore di un modello integrativo che vede il disabile come soggetto con diritto al lavoro, come cittadino da promuovere in quanto costituisce una risorsa per la collettività; 2) si dà una diversa valutazione dell’invalidità. Attraverso apposite commissioni emanate dal Ministero del Lavoro, vengono valutate le residue capacità lavorative e le abilità dei soggetti al fine di creare strumenti e prestazioni valide per il sostegno all’autonomia della persona e il suo inserimento lavorativo; 3) con il “collocamento mirato” si pone attenzione alle caratteristiche proprie del ragazzo e del posto di lavoro, agendo con azioni positive e di sostegno, attraverso la rimozione dei problemi ambientali e relazionali che ostacolano l’inserimento del disabile nell’ attività lavorativa. Grazie a questo nuovo metodo si passa da una modalità di inserimento impositiva ad una consensuale realizzata attraverso l’individuazione di percorsi personalizzati volti ad aumentale le capacità lavorative della persona e il livello di funzionalità e operatività dell’ambiente lavorativo. Questa legge parte quindi da un approccio integrato in quanto pone attenzione ad entrambi i soggetti interessati all’inserimento mirato e cioè le persone disabili e il luogo di lavoro cioè le aziende. 4) prevede una agevolazione contributiva per le imprese che intendono percorrere il cammino dell’ inserimento lavorativo presso le proprie aziende. 5) diminuisce la percentuale della quota di riserva da assegnare ai disabili, in relazione al totale dei posti di lavoro, per le imprese di grandi dimensioni, ma compie un estensione del ventaglio di imprese destinatarie degli obblighi di assunzione allargandolo anche a quelle che hanno tra i 15 e i 35 dipendenti. Tutto ciò al fine di garantire un inserimento lavorativo più attento. 47 2.4 Modello ICF del 2001 & Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006) L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2001, ha introdotto il “Modello di Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute” denominato ICF, utile strumento per la ridefinizione del concetto di disabilità e di realizzazione di risposte appropriate ai loro bisogni. Il modello ICF è stato il risultato del processo di revisione del vecchio modello ICIDH del 1980 promosso anch’esso dall’OMS, il quale fonda la sua valutazione della disabilità su un modello prettamente medico e lineare che considera la disabilità determinata solo da fattori patologici escludendo quelli ambientali. L’ICF è ritenuto uno strumento rivoluzionario perché: Dà origine ad un nuovo approccio di analisi della disabilità. Tale approccio è denominato bio-psico-sociale in quanto sottolinea come la disabilità sia conseguenza di una molteplicità di cause che interagiscono tra di loro e che possono essere ricondotte alle condizioni di salute del soggetto (cause biologiche) e alle condizioni ambientali e sociali in cui esso agisce. Da ciò ha origine l’approccio bio-psicosociale. L’ambiente, con questo modello, diventa punto centrale di analisi per agire nell’ottica della riduzione dell’handicap in quanto i suoi elementi possono essere qualificati come “barriere”, nel caso in cui ostacolino l’agire e le partecipazione sociale della persona, o come “facilitatori” nel caso in cui le favoriscano. Si può quindi affermare che la disabilità è un “rapporto sociale”35. Il concetto di approccio bio-psico-sociale pone le sue radici nella teoria ecologica di Bronfenbrenner. Essa evidenzia come lo sviluppo di ogni 35 G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura di), Gardolo (TN),(2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson, pag 16. 48 individuo è il frutto dell’interazione tra “ambiente ecologico” (formato da 4 sistemi ordinati ed inclusi una all’ altra) e il soggetto, ma la supera e amplia il concetto di “sistema”. Se per l’autore tedesco la realtà può essere raggruppata e semplificata in quattro sistemi concentrici riconducibili ad una matriosca, l’approccio bio-psico-sociale, pur sostenendo che la realtà è costituita da sistemi che interagiscono tra loro, si rifiuta di compiere esemplificazioni schematiche e lineari. La rappresentazione figurativa di tale approccio dovrà tenere presente la complessità e la multidimensionalità della realtà. La disabilità non è determinata solo dalle condizioni soggettive, perché non è detto che a una menomazione corrispondano sempre e comunque una diminuzione delle capacità del soggetto, ma anche dall’interazione tra l’individuo e il suo ambiente. L’ICF, infatti, sostiene che l’attenzione non può essere concentrata tutta sulla menomazione e sulla condizione di salute, ma anche sulla vita della persona, sull’interazione continua tra le persone e il loro contesto ambientale, psicologico e sociale, tanto che con il termine disabile si indica “una condizione di salute in un ambiente sfavorevole”. Infatti si afferma come, la salute di un individuo influenza direttamente il suo contesto di vita (cambiando le sue abitudini, le sue relazioni e il suo lavoro) così come questo influenza la salute delle persone (in termine, per esempio, di atteggiamenti, di barriere, o stress situazionale). Grazie all’ICF, con il termine disabilità si indicano gli aspetti negativi dell’interazione tra l’individuo e il suo ambiente. Questi aspetti negativi comprendono le menomazioni fisiche, ma anche e soprattutto le limitazioni dell’attività e le restrizioni della partecipazione sociale che derivano dalla presenza di barriere ambientali. La grande rivoluzione che il nuovo modello di classificazione del funzionamento della disabilità e della salute apporta è l’idea che ogni persona, in qualunque momento della vita, può avere una condizione di salute che in un contesto sfavorevole diventa disabilità. Quest’ultima perciò non è più un problema di un gruppo minoritario all’ interno di una comunità, ma diviene esperienza che tutti, nell’arco della vita, possono sperimentare. 49 Il modello ICF, con questa nuova visione di disabilità, permette di creare un nuovo paradigma di disabilità che fa compiere il passaggio importante dal processo di integrazione a quello di inclusione sociale. Questo processo permette di modificare anche le politiche sociali con interventi volti all’eliminazione di forme di discriminazione, alla rimozione di ostacoli e barriere che ne limitano la piena partecipazione alla vita comunitaria. Non meno importanti sono le azione di empowrement sociale e individuale, realizzate con lo scopo di consentire il recupero della piena cittadinanza, delle capacità e delle abilità personali che permettano ai soggetti di avere poteri decisionali sulla loro vita. L’ ICF è un valido strumento di progettazione dei percorsi individuali di riabilitazione, di educazione, di lavoro delle persone con disabilità. Tali progetti di vita vengono fatti da e con le persone con disabilità. Ulteriori contributi offerti dall’ICF sono: a) il passaggio, sostenuto dalla pedagogia speciale, dalle normative e dagli addetti ai lavori, dalla definizione di che “cosa è la disabilità” al “chi sono le persone con disabilità”, chiarimento necessario per progettare percorsi individuali di educazione, riabilitazione, di lavoro delle persone con disabilità; b) la creazione di un linguaggio standard che serva da riferimento condiviso per la descrizione della salute e dei suoi stati, affinché la comunicazione fra i diversi attori sociali quali, operatori sanitari, insegnanti, ricercatori, amministrazione, popolazione sia migliore al fine di realizzate i progetti individualizzati. Il 13 Dicembre 2006 è stato approvata la “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti della persone con disabilità”, convenzione che ha introdotto molte trasformazioni culturali, sociali e politiche nel campo della disabilità. Il suo scopo è quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno e uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con disabilità. La convenzione riconosce che le persone con disabilità sono discriminate e a causa dei pregiudizi, degli ostacoli e delle barriere che la società gli pone, hanno mancanza di pari opportunità. 50 Per questo essa vuole proibire tutte le forme di discriminazione e garantire una protezione legale contro le discriminazioni. Di conseguenza gli Stati dovranno adottare tutte le misure legislative, amministrative etc. al fine di abrogare qualsiasi legge, regolamento, pratica che costituisca occasione di discriminazione. Al fine di garantire i diritti dei disabili, la Convenzione ONU, inserisce i diritti della persona con disabilità all’interno dei diritti umani facendo si che le persone con handicap non siano più considerate come una “categoria speciale”, ma che godano di pari opportunità in ogni ambito della vita. Possiamo notare, però, come essa non dia una definizione esplicita e chiara del concetto di disabilità, ma parli in modo più generale delle “persone con disabilità”. Questo perché ancora, a livello internazionale, manca una unica e condivisa definizione del concetto di “disabilità” (anche se l’ICF ne abbia definita una). Definizione di difficile formulazione in quanto, per arrivare a ciò, bisognerebbe spostare l’attenzione alla formulazione della differenza tra chi è “normale” e chi “non lo è”. E come dice Matilde Leonardi a questo proposito: “è utile porsi delle domande sull’uomo e riflettere sull’uomo “normale”, sul tipo medio che è stato a lungo considerato, e per alcuni aspetti lo è ancora, l’unico rappresentante a pieno titolo della razza umana”, modello a cui “ si fa riferimento nella progettazione a qualsiasi livello, dall’urbanistica alla legislativa”36. Definizione quindi non semplice in quanto bisognerebbe elaborare un modello comunemente accettato e che tenga conto anche delle differenze culturali. Nonostante ciò all’articolo 1, la Convenzione, parla di persone disabili nei termini di: “coloro che presentano una duratura e sostanziale alterazione fisica, psichica, intellettiva o sensoriale la cui interazione con varie barriere può costituire un 36 Matilde Leonardi, Lavis (TN), (2009), “Definire la disabilità e ridefinire le politiche alla luce della Classificazione ICF” in “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione” G.Borgnolo,R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura di ), pag.47 51 impedimento alla loro piena ed effettiva partecipazione nella società, sulla base dell’uguaglianza con gli altri.”37 Tale definizione che rimane legata all’aspetto biologico della disabilità non spingendosi oltre nel chiarimento di questa condizione, ma inserendola come “parte della diversità umana”( art.3). Comunque sia, la convenzione ONU vuole combattere tutti gli ostacoli, le barriere e i pregiudizi che impediscono una cittadinanza attiva ai disabili garantendo loro una progressiva inclusione sociale. Riqualifica il concetto di cittadinanza che include anche quei soggetti che “in modo temporaneo o permanente non sono in grado di rientrare nell’immagine classica del cittadino come soggetto di diritti e di doveri”38. Promuove la consapevolezza che la disabilità è una possibilità della condizione umana e perciò ogni cittadino è chiamato ad impegnarsi per essa. Riconosce, infine, il valore della disabilità e i contributi che essa può apportare all’interno delle comunità in favore del benessere generale accrescendo il senso di appartenenza e apportando progressi significativi nello sviluppo umano, sociale ed economico della società. A oggi sono 139 i paesi che hanno firmato la convenzione e già 50 l’hanno ratificata( tra cui l’Italia). L’ONU inoltre ha istituito il comitato sui diritti delle persone con disabilità per monitorare la sua reale applicazione nei diversi paesi. La convenzione ONU permette anche agli enti locali, Comuni Province e Regioni di contribuire attraverso atti ufficiali che permettano alle associazioni di persone con disabilità e ai loro familiari di applicare nei propri regolamenti, nelle politiche e nei servizi i principi contenuti in essa. Ora, possiamo riassumere schematicamente, i principi entro i quali la Convenzione si muove: 37 G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson, pag.178 38 G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson, pag.52-53 52 Il rispetto della persona nelle sue scelte di autodeterminazione; La non discriminazione; L’integrazione sociale; L’accettazione delle condizioni di diversità della persona disabile; Il rispetto delle pari opportunità e dell’uguaglianza tra uomini e donne; Il rispetto dello sviluppo dei bambini disabili. In questo capito capitolo abbiamo visto come le leggi in questi ultimi 20 anni abbiano contribuito a delineare una vera e propria rivoluzione copernicana per le persone disabili. Nel nuovo quadro legislativo è divenuto infatti prioritario rimuovere innanzitutto le cause delle menomazioni, ampliare i confini dell’ autonomia individuale della persona disabile e lavorare su tutti i fronti alla sua piena integrazione sociale e lavorativa. Durante questo lungo percorso il concetto e l’approccio alla disabilità si è evoluto: se ancora nella legge 104/92, si ha una definizione legata prettamente al deficit e alla menomazione, per la quale si dispongono interventi integrati tra loro e volti all’integrazione nei diversi contesti quali la famiglia, la scuola, il lavoro e la società, con la legge 68/99 invece si intravede un mutamento di paradigma. Si sviluppa l’idea che la disabilità possa divenire una risorsa per la comunità. Il disabile da soggetto da assistere diventa soggetto che ha “diritto al lavoro” per il quale si prevede una forma di collocamento mirato all’interno delle aziende del territorio. In entrambe le leggi notiamo come la disabilità viene considerata ancora come una categoria speciale. Nel 2001 grazie al nuovo e innovativo “Modello di Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute” denominato ICF, la disabilità viene definita come conseguenza di una interazione negativa tra soggetto e ambiente e non è più determinata dal deficit. Perciò l’attenzione viene spostata sui contesti di vita che possono porsi come “facilitatori” o “ostacoli” allo sviluppo integrale del soggetto. Con La convenzione ONU 2006, la disabilità diviene una possibilità della condizione umana. Perciò la disabilità non è più prerogativa di un gruppo di persone ben caratterizzate, ma può coinvolgere ogni essere umano colpito nell’arco della vita da una perdita della salute o inserito in un contesto 53 sfavorevole. E’ per questo che i diritti dei disabili entrano a far parte dei Diritti Umani in generale. L’ONU inoltre si impegna a combattere le barriere e i pregiudizi che impediscono una cittadinanza attiva ai disabili garantendo quindi una progressiva inclusione sociale. 54 3° CAPITOLO IL CENTRO LABORATORIO PROTETTO G. LARUCCIA DELLA COOP. LA FRATERNITA’ DELLA COMUNITA’ PAPA GIOVANNI XXIII COME ESPERIENZA D’INCLUSIONE 3.1 La comunità Papa Giovanni XXIII La Comunità Papa Giovanni XXIII, nasce intorno agli anni '60. I suoi membri “per vocazione specifica, si impegnano a condividere direttamente la vita degli ultimi, scegliendo di seguire Cristo povero, servo e sofferente, di rispondere alla realizzazione del Regno di Dio, di partecipare alla missione di salvezza della Chiesa. I membri della Comunità si impegnano nel sociale a rimuovere le cause che provocano il bisogno, con un’azione non violenta, per un mondo più giusto, divenendo voce di chi non ha voce.”39 Infatti, come abbiamo visto nel primo capitolo l’associazione Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, dal 1968, si è battuta per il riconoscimento dei diritti degli individui con disabilità attraverso campagne di sensibilizzazione e di rimozione delle cause che creano ingiustizie come: chiusura degli istituti e promozione dell’integrazione sociale, battaglie contro le barriere architettoniche, battaglie per l’inserimento nel mondo del lavoro per garantire il diritto all’occupazione. Con il tempo nasce l’idea che i soggetti disabili possano partecipare alla vita sociale attivamente, ognuno secondo le proprie abilità: nascono dunque le cooperative sociali con l’obiettivo di eliminare le situazioni che portano e favoriscono l’emarginazione delle persone disabili promuovendone l’integrazione sociale. Per rispondere ai bisogni specifici degli individui, le cooperative sociali si dividono in due tipologie: • Di tipo A, per rispondere ai bisogni socio-assistenziali ed educativi delle persone svantaggiate che non sono ancora pronte o non possono affrontare inserimenti lavorativi; 39 Comunità Papa Giovanni XXIII, Rimini, (2011) “ Carta di Fondazione, Statuto e direttorio”, Editore Sempre, pag.19 55 • Di tipo B, per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, creando realtà anche in luoghi ove il lavoro è di difficile reperimento anche per i normodotati. Così, affinché le numerose cooperative della comunità potessero operare in unità e sintonia si è dato origine il 24/06/1992 al “Consorzio Condividere Papa Giovanni XXIII” che ha il compito di coordinarle, sostenerle e animarle. L’obiettivo del Consorzio diviene quello di completare quanto avviato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, per sostenere le iniziative riguardanti il lavoro e l’inserimento in centri educativi, delle persone emarginate. Di particolare importanza, è mettere in evidenza, come esso si fondi sul concetto, promosso dalla Comunità, di “società del gratuito”40. Infatti è grazie a questa società del gratuito che si sono venute a creare queste realtà e le logiche che ne stanno alla base. All’interno delle cooperative, troviamo i diversi centri diurni, i quali vengono plasmati dalle linee fondamentali della comunità Papa Giovanni XXIII, che gli danno forma e significato. L’obiettivo dei centri diurni, è quello di essere luoghi d’integrazione eliminando la logica dell’esclusione e dell’assistenzialismo. L’associazione afferma infatti che, il centro diurno debba essere inteso come una piccola famiglia in cui quotidianamente si accompagna la persona svantaggiata verso l’integrazione. Il Centro Laboratorio Protetto (CLP) G.Laruccia, di cui io mi occuperò, è gestito dalla cooperativa sociale “LA FRATERNITA’” a.r.l. che fa parte del “Consorzio Condividere” nato all’interno dell’esperienza dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. “La Cooperativa, è di tipo A e conformemente all’art. 1 della Legge 381/1991, non ha scopo di lucro e si propone di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini sviluppando fra essi lo spirito mutualistico e solidaristico. Essa inoltre, si fonda su una visione dell’uomo che si rifà ai principi della Chiesa Cattolica e si ispira ad una mutualità allargata, alla solidarietà, ad un lavoro non basato sullo sfruttamento e alla priorità dell’uomo sul denaro e sul profitto”41. 40 41 www.lafraternita.com www.lafraternita.com 56 I Soci della Cooperativa, così, intendono perseguire questi scopi attraverso l’incarnazione del Vangelo nella società, facendosi carico delle situazioni di emarginazione, povertà e miseria, oppressione, sfruttamento e abbandono in uno stile di condivisione diretta di vita con gli ultimi, facendo propria la Vocazione e la missione che sono alla base della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. La coop. La fraternità, come dichiarato nel suo sito ufficiale (www.lafraternita.com), si fonda sui seguenti principi pratici: a) Centralità della persona; b) Le persone svantaggiate diversamente-abili non siano oggetto d’assistenza, ma soggetti attivi, tendendo al superamento dell’assistenzialismo; c) Favorire lo sviluppo delle capacità specifiche di ciascuno ed a promuovere la persona nella sua globalità, sviluppando tutte le potenzialità del soggetto; d) Realizzare interventi personalizzati secondo i bisogni di ciascuno; e) Sviluppare il più possibile il riconoscimento delle persone svantaggiate per una partecipazione alla vita sociale ed una cittadinanza attiva; f) Ricercare e rimuovere le cause che mantengono e creano svantaggio ed emarginazione; g) Sperimentare nel mondo del lavoro la così detta «società del gratuito». 3.2 Il Centro Laboratorio Protetto G.Laruccia Il Centro Laboratorio Protetto Centro raccolta "G. LARUCCIA" è situato a Camerano una frazione del comune di Poggio Berni (RN) presso via dell’industria 7 e ha legale a Rimini in Via Valverde N°10/B. La storia Nei primi anni ‘80 all’interno della Comunità Papa Giovanni XXIII emerge il bisogno di occupare e valorizzare la vita dei ragazzi con problemi psichici e fisici che affollano le Casa Famiglia della stessa comunità. La Comunità, e soprattutto Giovanni Laruccia, membro dell’associazione, intuisce l’importanza che il lavoro ha per la realizzazione della persona e la sua integrazione. 57 Questa esigenza s’incontra con un’altra, altrettanto importante, e cioè quella di raccogliere e riutilizzare materiali “scartati” favorendo un riciclo degli stessi. Per questo, pensa di aprire un centro dove ridando vita a oggetti, indumenti usati, si possa ridare valore (attraverso il lavoro) alle persone disagiate, aiutandole a scoprire o riscoprire le propri abilità, facendoli divenire cittadini attivi. Così a Coriano (RN) presso la Casa famiglia Betania nasce quello che la comunità battezzò “il Campo”: esso venne chiamato così, proprio perché, inizialmente la raccolta e la selezione dei materiali avveniva in un campo agricolo. Dopo circa due anni si trasferisce a S. Aquilina (RN) dove comincia a strutturarsi sia a livello di stabile, sia a livello organizzativo-educativo. Il numero dei presenti aumenta di anno in anno e iniziano i primi inserimenti di utenti da parte dell’USL. Nel 1994 il Centro “il campo” entra a far parte della coop.”La fraternità’”, grazie alla quale definisce in modo più preciso, gli strumenti e gli obiettivi educativi. Successivamente,attraverso un processo di istituzionalizzazione di tutta la coop “La fraternità’”, in accordo con l’USL, “il Campo” diviene Centro Laboratorio Protetto Giovanni Laruccia. Nel 1997 si trasferisce definitivamente in via dell’industria 7 a Camerano di Poggioberni (RN). Qui all’attività di raccolta e selezione dei materiali si aggiunge l’apertura di un punto vendita definito “mercatino dell’usato” che oltre ad essere aperto al pubblico funge da magazzino della Comunità Papa Giovanni XXIII, per sostenere i casi di bisogno segnalati dalle parrocchie e dall’ USL stessa . Il Centro ospita soggetti adulti con deficit psichici e fisici medio/lievi per i quali non è stato possibile prevedere alcuna forma di inserimento lavorativo. Il centro diurno può accogliere un numero massimo di 30 utenti, di entrambi i sessi, senza una rigida e predeterminata suddivisione dei posti per soggetti femminili e maschili. Attualmente presso la struttura vi sono 26 utenti di cui 5 non a retta. Inoltre dei 21 utenti 5 sono part-time, 7 provengono da casefamiglia dell’Associazione, mentre gli altri sono inseriti dall’USL di Rimini. L’ammissione degli ospiti avviene su formale richiesta dell’Azienda USL di residenza del soggetto al Responsabile del Laboratorio fornendo tutte le 58 informazioni utili alla conoscenza del caso. Il Laboratorio si impegna a fornire risposta entro 15 gg. con motivazione scritta. Una volta decisa l’accoglienza, il Laboratorio concorderà con il Servizio dell’Azienda inviante la data e le modalità tecniche di inserimento. Più precisamente gli inserimenti richiesti dall’AUSL prevedono un particolare percorso. Come prima tappa si ha un preliminare incontro con l’assistente sociale che ha in carico l’utente e insieme si valuta se l’ambiente e le attività offerte sono adeguate al soggetto; successivamente l’utente, accompagnato dall’assistente sociale e dai familiari, viene a visitare il CLP così che ci sia un primo approccio; Quest’ultima fase preliminare è molto importante perché il ragazzo verifica di persona se la struttura è confacente ai suoi interessi, a seguito della quale si deciderà il suo inserimento o meno. Le dimissioni dal CLP avvengono in seguito alla verifica, condotta dagli educatori e dal Responsabile del Centro con la famiglia e con gli Operatori del Servizio dell’ A.U.S.L. inviante, del raggiungimento degli obiettivi previsti o della necessità di trasferimento ad altra struttura o realtà sociale più idonea. Oppure quando la famiglia manifesti la decisione di dimettere il familiare per motivazioni strettamente personali; in tal caso la famiglia stessa provvederà a darne comunicazione al Servizio dell’ A.U.S.L. che effettuerà le valutazioni del caso in accordo con il Centro. Gli operatori che lavorano presso il CLP G.Laruccia assunti sono 9: si dividono tra educatori e Operatori Socio Sanitari. Inoltre ci sono due soci volontari che da circa 25 anni contribuiscono concretamente alla vita del centro, 4 Volontari provenienti da percorsi di recupero dalla tossico dipendenza e 1 Servizio civile. L’idea del CLP G. Laruccia è svolgere attività che oltre ad avere un ruolo educativo e riabilitativo abbiano anche finalità ecologiche. Il CLP è una piccola realtà che è consapevole di come le logiche di mercato che caratterizzano la contemporaneità, sono inique perché calpestano i diritti di milioni di persone creando povertà ed emarginazione oltre ad arrecare danni irreparabili all’ambiente. Perciò il campo vuole essere una realtà che propone una nuova società, creata a partire dagli “ultimi”. Inoltre, il CLP dimostra che per combattere queste logiche bisogna sviluppare la cooperazione, la solidarietà, l’accoglienza, la tolleranza e la condivisione, ovvero bisogna 59 partire da una nuova logica che ponga l’uomo al centro del sistema economico e sociale giungendo poi ad una valorizzazione delle diversità. Il campo, nel concreto cerca di sviluppare questa nuova società tramite il riconoscimento e la valorizzazione delle diversità dei disabili permettendogli di partecipare attivamente alla loro vita ricoprendo un ruolo attivo in ambito sociale e lavorativo apportando perciò il loro speciale contributo. Inoltre, per opporsi alle logiche consumistiche, le attività che il centro svolge possono essere definite ecologiche, in quanto si occupano di reimmettere nel mercato oggetti, indumenti, mobili scartati dalla gente comune, ridandogli una nuova vita evitando così che diventino ulteriori “rifiuti da smaltire”. Oltre a questo, si svolgono attività di riciclaggio di toner e cartucce da stampa esaurite e di carta proveniente da banche. Infine si porta avanti la raccolta differenziata, che consente un riutilizzo dei materiali scartati. Posso dire come, nonostante il nostro Centro sia una piccola realtà, essa vuole rispondere a due grandi problemi che caratterizzano la contemporaneità: l’esclusione di molte persone dal sistema produttivo e l’incombente problema ecologico che è divenuto insostenibile. La struttura Il Centro Laboratorio Protetto è ubicato nella zona industriale di Camerano una frazione di Poggioberni (RN). La strutture del centro è costituita da: - Un punto vendita di 1000mq chiamato “mercatino dell’usato” aperto al pubblico nei seguenti orari: Lunedì, Martedi, Mercoledì, Venerdi dalle 9.00-12.30/ 15.00-19 Giovedì, Sabato 9.00-12.30 Il punto vendita è il “cuore” del CLP, ove gli utenti stanno per la maggior parte del tempo e dove svolgono la maggior parte delle loro attività, come riordino delle merci, pulizia ambiente, sistemazione del negozio e supporto ai clienti. Il lavoro dei ragazzi all’interno del negozio è fonte di grande orgoglio, un importante fonte di autostima. Lavorare non in un ambito speciale, ma ordinario, come è un negozio, a contatto con gente esterna è una grande occasione di inclusione. Ognuno apporta il proprio speciale contributo per mantenere aperto il negozio, per vendere, per mantenere il proprio “posto di lavoro”. 60 Il punto vendita è grande occasione di incontro tra i ragazzi e il tessuto sociale prossimo: ogni giorno decine di clienti entrano in contatto con un mondo nuovo, con abilità nuove, con relazioni simpatiche; ogni giorno i ragazzi donano ai clienti questo nuovo mondo, questo nuovo modo di relazionarsi, senza se e senza ma creando relazioni autentiche. I clienti entrando nel punto vendita si incontrano con persone con le quali hanno ormai instaurato un rapporto, una relazione, in alcuni casi anche una amicizia di vecchia data. L’atmosfera del mercatino non è quella di un semplice negozio, gli articoli sono gli stessi, ma la “diversità” fa la differenza. C’è un clima di festa, saluti e abbracci sono all’ordine del giorno. Ogni ragazzo esprime se stesso, ciò che è, tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti, il negozio diviene una grande famiglia in cui i clienti e i ragazzi si relazionano, si raccontano le vicissitudini della vita e a volte si aiutano. Osservo come problemi familiari di alcuni utenti diventino preoccupazione di tutti, occasione di confronto. Non è raro vedere clienti che seduti fuori dal negozio dialogano con i ragazzi e cercano di sostenerli interessandosi ai loro problemi. In queste occasioni non so chi riceva di più, se chi viene aiutato o chi aiuta. Il CLP è un luogo che lascia spazio alle relazioni e chiunque sente il bisogno di dialogare o scherzare trova qui “terreno fertile”, è il benvenuto, i ragazzi accolgono tutti! Capita infatti, che diversi clienti soli, che hanno difficoltà familiari e non hanno nessuno che li sostenga o che li ascolti, vengano ormai regolarmente al CLP perché si sentono accolti. Osservando quotidianamente questo incontro, tra la “società” e la “diversità”, ho la possibilità di verificare con le mie mani come l’inclusione sia realizzabile concretamente e come sia una risorsa per tutti. Il punto vendita è il luogo “ad hoc” per l’inclusione perché consente agli utenti di esprimere le proprie capacità e consente ai clienti di conoscere la bellezza della diversità traendone giovamento. Ogni tanto mentre svolgo le attività giornaliere, ad esempio carico mobili su un camion di un cliente insieme ai ragazzi, mi guardo attorno e mi chiedo: “Ma dov’è l’handicap?...Non lo vedi?... È li accanto a te, sta tenendo in mano un pezzo di mobile!...Eppure io non lo vedo! Sono un ragazzo che sta caricando un camion insieme ai propri colleghi, io ho il compito di organizzare l’attività in modo che gli altri la possano svolgere adeguatamente, gli altri hanno il 61 compito di svolgerla”. Questa riflessione che ogni tanto riaffiora tra un carico e l’altro, mi fa sempre pensare che l’handicap non esiste, si può solo creare: se l’ambiente non accoglie e non rispetta i limiti di ciascuno di noi. Poi penso che ognuno di noi è indispensabile: “Chi da solo potrebbe mai caricare un camion?... Neanche il più efficiente degli operai!”. - Un magazzino di 1000mq in cui vengono scaricate le merci in attesa della cernita e dove vi sono aree autorizzate per lo stoccaggio di toner stampanti esauste, carta, raee. Inoltre questo spazio funge da magazzino per la Comunità Papa Giovanni XXIII per sostenere i casi di bisogno che incontra. - Un ufficio di 20 mq che supporta a livello amministrativo tutte le attività del Centro Laboratorio Protetto in cui lavorano diversi utenti che svolgono attività di segreteria. Il Centro Laboratorio Protetto è proprietario di tre mezzi da carico merci: Ogni giorno tre camioncini, con a bordo un educatore e due utenti, escono dal centro per recarsi a svolgere traslochi, sgomberi, ritiro materiale usato (mobilio, oggettistica, vestiti) nelle abitazioni private; ritirare toner di stampanti esauste, carta, presso banche, ditte private, pubblici uffici convenzionati. Descrizione della giornata La vita del centro diurno si struttura attraverso orari precisi: dalle ore 9,00 alle ore 17,00 tutti i giorni feriali secondo le seguenti modalità: 8,30-9,00 - Arrivo degli utenti; 9,00-9,30 - Accoglienza e comunicazione del programma e delle attività; 9,30-12,30 - Attività lavorative; 12,30-13,00 - Pausa pranzo; 13,00-13,45 - Riposo; 13,45-14,00 - Preghiera per chi lo vuole; 14,00-16,45 - Attività lavorative e pulizie locali; 16,45-17,00 - Merenda; 17,00 - Rientro e chiusura del laboratorio. 62 Il sabato previo accordo è possibile l’accoglienza dalle ore 09,00 alle 12,30 Durante questo orario si svolgono anche le altre attività di animazione socioriabilitative interne ed esterne. Queste attività vengono proposte agli utenti in base alle loro esigenze o bisogni personali, e vengono realizzate all’interno di piccoli gruppi insieme agli operatori. Il centro chiude alla frequenza degli accolti in occasione delle festività riconosciute. Si prevede per gli utenti la possibilità di due settimane di ferie che vanno concordate fra le parti. All’interno delle proprie Attività, il laboratorio organizza una settimana di vacanza in località climatica, in cui educatori e utenti possono continuare, essendo presenti a tutti gli effetti, il percorso educativo in modo meno formale. Finalità del centro diurno In relazione alle finalità proprie della struttura, il Laboratorio Protetto, persegue i seguenti obiettivi: • Offrire ospitalità diurna e assistenza qualificata ad ogni singolo utente, attraverso interventi mirati e personalizzati atti all’acquisizione e/o al mantenimento di capacità comportamentali, cognitive e affettivo relazionali. • Considerare ogni utente nella sua globalità, pur mirando a rilevarne le potenzialità specifiche e a finalizzarle in attività riabilitative atte a creare nuove forme di comunicazione e di linguaggio. • Sostenere e supportare le famiglie, favorendo la permanenza del portatore di handicap nel proprio nucleo familiare. • Perseguire l’integrazione sociale degli utenti, sia attraverso il punto vendita aperto al pubblico che sorge nella stessa struttura in cui ha sede il centro e attraverso le diverse attività lavorative che si svolgono nei paesi circostanti. Inoltre la frequentazione di strutture esterne a carattere sportivo e sociale divengono un ulteriore occasione d’incontro. 63 Tali obiettivi vengono realizzati all’interno del Centro Laboratorio Protetto attraverso un approccio multifattoriale, ovvero attraverso la compresenza di azioni educative realizzate a diversi livelli, che consentano di rispondere in modo globale al bisogno di inclusione del soggetto. L’inclusione perciò si realizza attraverso: - la creazione di una relazione educativa educatore-utente fondata su precisi principi; - Progetti Educativi Individualizzati, realizzati a partire da una messa "al centro" della persona nella sua globalità, partono da una preliminare osservazione delle sue capacità e dei suoi interessi, mettono in evidenza i deficit e gli handicap per poter formulare interventi volti ad una loro riduzione. I PEI vengono poi realizzati tenendo conto del contributo proveniente dalla famiglia e dai servizi; - attraverso attività che permettano un continuo dialogo e confronto con il contesto sociale a loro vicino come: 1) attività socializzanti, che consentono agli utenti di vivere momenti di festa. 2) attività di animazione socioriabilitative. 3) attività occupazionali-lavorative che consentono una messa alla prova in ambito lavorativo, acquisizione di competenze lavorative etc. 3.2a La relazione educativa Una buona relazione educativa parte da una buona professionalità degli operatori. L’equipe del centro cerca di creare la base per una comunicazione e relazione autentica di condivisione, mettendo la persona nella condizione di poter contribuire nel contesto circostante. L’integrazione si sviluppa attraverso la creazione di una relazione attenta alla persona, pronta ad accogliere i suoi momenti di benessere e malessere. Non a caso, operare come educatore, significa essere “agente di cambiamento”, ovvero mettersi al “servizio del soggetto”, con le proprie competenze, abilità e riflessività per apportare un cambiamento significativo con la singola persona nelle relazioni in cui è inserito e negli ambienti in cui vive. La relazione così, diviene il cardine dell’intervento educativo la chiave che consente di creare una fiducia reciproca tra educando ed educatore. La volontà del Centro infatti è quella di : "portare gli utenti ad un incontro con le parti 64 positive della propria persona attraverso l’incontro e la relazione con figure positive e significative che siano in grado di far vivere all’utente rapporti individualizzati in cui sentirsi amati gratuitamente.”42 Questo perché pensiamo che ogni persona rappresenti un valore imprescindibile ed inalienabile al di là dei propri limiti, delle proprie capacità o condizioni psico-fisiche e la consapevolezza di ciò la si riesce a far acquisire attraverso l’esperienza dell’amore: sentirsi amati per poter amarsi ed amare. Nella relazione, ricercata e favorita, tra utenti e operatori, le persone si sentono scelte, si sentono volute bene e questo perché gli educatori condividono quotidianamente con loro la vita. Inoltre, questa relazione, che si esprime nel portare avanti insieme (utente operatore) le responsabilità e i compiti assegnati, è, a mio e nostro avviso, essenziale nel cammino di ricostruzione della personalità degli utenti. Durante la mia pratica da educatore sperimento ogni giorno che la relazione è davvero la base di ogni rapporto umano in generale ma anche, nello specifico del Centro, base di ogni progetto educativo volto all'inclusione sociale. Affinché però si instauri una relazione proficua, è necessario che l’educatore: sia interessato all’educando; nutra nei suoi confronti stima dimostrandola attraverso l’accoglienza incondizionata; abbia chiara la sua mission educativa; nutra passione per il suo “lavoro” in modo tale da diventare un ricercatore instancabile e voglioso di scoprire e ricercare le cause che creano ingiustizie (ovvero tutti quegli elementi sociali, ambientali, relazionali che sono fonte di handicap) per combatterle. Molto importante per l'istaurarsi di una proficua relazione educativa è il dialogo. Nonostante le attività lavorative del CLP debbano rispettare dei tempi di produzione ben precisi, noi operatori, consapevoli dell’importanza del dialogo nella relazione educativa, utilizziamo il momento delle attività, i momenti di pausa, del pranzo per confrontarci, ascoltare i problemi, le aspirazioni, le speranze dei ragazzi e dialogare con loro. Spesso sono proprio i momenti informali che ci consentono di creare una relazione significativa con il ragazzo e una sua conseguente apertura: con il dialogo l’utente capisce di essere riconosciuto dall’altro ed essere per questo valido ed importante. Il dialogo è il vero strumento di cura e di aiuto perché attraverso di esso si entra 42 www.lafraternita.com 65 in relazione, ma soprattutto iniziamo a collaborare e a lavorare insieme al ragazzo intorno ad un progetto da creare insieme progettando il futuro e i passi da compiere. Per sviluppare un dialogo proficuo è necessario però porsi in condizione di ascolto. In particolare l'ascolto attivo mi permette, attraverso il rispecchiamento verbale, di instaurare un efficace relazione di fiducia reciproca predisponendo il ragazzo a parlare dei pensieri delle preoccupazioni e dei sentimenti, delle aspettative dei bisogni o difficoltà che vive, rielaborandoli contemporaneamente. Quando si parla però dei vissuti dei ragazzi, è bene dire come si cerca continuamente di sviluppare in loro quelle "determinanti della resilienza"43 che gli permetteranno di essere resilienti di fronte a situazioni di stress, come la capacità di relazione, la creatività, l'autonomia etc...tutto ciò passando anche attraverso il dialogo. Tutto questo implica empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni di un altro, di sentire, pensare e vedere il mondo come lui lo vede. L’ascolto e il dialogo sono quindi due strumenti eccezionali di inclusione in quanto oltre a permettere l’instaurarsi della relazione di cura che promuoverà lo sviluppo di un progetto educativo, hanno grande rilevanza per l’inclusione perché sanciscono il primo passo per il riconoscimento del soggetto il quale penserà che “se tu dialoghi con me allora esisto” e “se io esisto allora posso partecipare attivamente insieme a te”. Tutto questo diventa reale nella misura in cui noi riconosciamo al disabile un ruolo nella società e cerchiamo in tutti i modi di metterlo nelle condizioni di poterlo portare avanti con le sue abilità. Inoltre, ogni giorno nel CLP tentiamo di favorire un processo di empowerment nel ragazzo, ovvero un processo che porta ad incrementare le sue capacità attraverso le attività lavorative e ricreative, perché le abilità presenti sono il primo passo per acquistare autostima e fiducia in sè stessi. Quindi nella relazione con l'utente siamo molto attenti a cogliere tali abilità e a lavorare per un loro potenziamento o per un loro sviluppo. 43 Elena Malaguti, (2005), “Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi” Erickson, pag 18. 66 Una caratteristica del Centro Laboratorio protetto è che gli educatori sono tutti membri della Comunità Papa Giovanni XXIII e per vocazione scelgono di vivere la “condivisione”. Ovvero come scritto nella Carta di Fondazione dell’associazione, approvata il 25 marzo 2004 dal Pontificio Consiglio per i laici: “i membri della Comunità per vocazione specifica s’impegnano a condividere direttamente la vita degli ultimi (di tutti coloro che il mondo attraverso le sue logiche inique emargina); cioè mettendo la propria vita con la loro vita, facendosi carico della loro situazione, mettendo la propria spalla sotto la loro croce, accettando di farsi liberare dal Signore attraverso loro […]modificano il modo di gestire la famiglia, la professione, […] l’uso del denaro, il tempo libero”44. La condivisone perciò mette in evidenza due aspetti pedagogici molto importanti nella professione dell’educatore che all’interno del centro cerchiamo di sviluppare: il primo è individuabile nella frase sopra scritta “farsi liberare […] attraverso loro”. Con questa affermazione, che non è rivolta solo ai credenti ma direi essere un fondamento pedagogico, si vuole dire come grazie alla relazione con l’altro, attraverso i suoi pregi e difetti, io (educatore) posso liberarmi dai miei pregiudizi, dalle mie certezze che mi impediscono di comprendere a pieno l'unicità dell'altro, giungendo a dire, come dice Canevaro "che la nostra impreparazione a volte è totale"45 e che "l'altro è il nostro riferimento"46 da cui possiamo imparare qualcosa di nuovo. In questo modo realizziamo la reciprocità. Il secondo aspetto indispensabile è avere la consapevolezza che l'incontro con l’altro ci modifica nel profondo. Infatti è chiaro oramai come i nostri ragazzi abbiano dentro di loro dei "doni”, delle proprie specificità che se accolte e fatte proprie divengono anche per noi educatori “agente di cambiamento”nella nostra vita, ovvero ci portano a modificare "il modo di gestire la famiglia, la 44 Comunità Papa Giovanni XXIII, Rimini, (2011) “ Carta di Fondazione, Statuto e direttorio”, Editore Sempre, pag.19 45 Andrea Canevaro (2010), “Competenze professionali e sociali nella costruzione di processi e percorsi inclusivi”, Monografia, pag 16. 46 Andrea Canevaro (2010), “Competenze professionali e sociali nella costruzione di processi e percorsi inclusivi”, Monografia, pag14 67 professione, … l’ uso del denaro, il tempo libero” guardando tutto con occhi diversi. La condivisione quindi diviene la strada maestra per poter realizzare un percorso di inclusione, in quanto il disabile si sente accolto e parte di un mondo che riconosce la sua ricchezza e che vuole il suo "speciale contributo" per realizzare una società più equa e giusta, più "a misura di uomo." La condivisione per poter essere tale però richiede un impegno che va oltre la dimensione lavorativa o comunque va oltre il tempo passato insieme ai ragazzi al Centro. Se davvero si vuol condividere la vita "con gli ultimi", e si vuole realizzare quell'inclusione globale, il nostro impegno continuerà anche nei giorni di festa, nei giorni di ferie, giorni in cui il nostro pensiero potrà, per certi istanti, essere rivolto a mantenere un possibile contatto (anche solo telefonico) con quei ragazzi che sono soli o che non hanno amici con cui svagarsi, e che potrà portarli a condividere con le famiglie degli operatori, delle uscite o delle feste come per esempio può essere il "capodanno". Infatti l'inclusione si realizza anche attraverso le scelte, lo stile di vita e le parole che si dicono, anche da una semplice telefonata il ragazzo si sentirà "tenuto in considerazione" e pensato e ciò gioverà al suo benessere psicologico. La condivisione quindi richiede un interrogarsi continuamente se si può fare qualcosa per "alleviare" sentimenti di solitudine o di tristezza che alcuni ragazzi possono provare quando tornano a casa, proprio perché spesso i familiari sono anziani e faticano a organizzare uscite o svaghi, relegandoli in casa. Certi quindi del valore della reciprocità e spinti dalla vocazione a vivere la “condivisione” gli operatori della struttura cercano, ognuno con le proprie e personali caratteristiche, di vivere al meglio questa relazione volta all'inclusione dei ragazzi. 3.2b Il Progetto Educativo Individualizzato Anche il Progetto Educativo Individualizzato fa parte di quel percorso realizzato a favore dell’integrazione sociale. Attraverso di esso si mostra tutto l’interesse e l’attenzione che una particolare realtà sociale in cui il soggetto vive, ha su di esso. Infatti il PEI per essere tale deve avere alla sua base il 68 concetto del prendersi cura totalmente di una persona. Con ciò non si vuole sottolineare l’incapacità del soggetto di sviluppare il proprio progetto di vita, ma si vuole evidenziare un'intenzionalità educativa volta ad aiutare e a facilitare l’interazione, l’inclusione del soggetto con l’ambiente. L’equipe del CLP in occasione dell’inserimento di un nuovo utente, o durante lo svolgersi di un Progetto Educativo Individualizzato, compie una osservazione dello stesso, mediante documenti ufficiali, al fine di prendere atto del deficit e progettare un PEI che miri a ridurre l’handicap attraverso una riduzione di tutti quegli elementi ambientali, sociali, relazionali che possono costituire delle “barriere” nell’agire e nella partecipazione sociale della persona. Al centro di questo progetto c’è la persona con la sua disabilità, con i suoi rapporti familiari, con i suoi interessi, con le sue abilità e potenzialità e l'obiettivo a cui si vuole giungere è lo sviluppo del benessere psicofisico del soggetto realizzato attraverso la formulazione di percorsi aderenti alle sue caratteristiche a quelle dell’ambiente. Questo valido strumento d'integrazione è continuamente sostenuto e aggiornato dagli educatori del centro, dal servizio territoriale e dalla famiglia: in questo modo si dimostra così come l’interesse per il singolo provenga da più parti, da più attori sociali i quali si fanno carico di trovare soluzioni in ogni ambito d'azione. Specifico che i rapporti con la famiglia del soggetto possono essere tenuti per via telefonica, attraverso incontri organizzati presso il Centro, incontri domiciliari, incontri di gruppo, feste organizzate, gite o vacanze organizzate. Nell’ambito della frequenza, è riconosciuta ai familiari la possibilità di osservare il figlio/a durante lo svolgimento delle attività educative, previo accordo con il responsabile del Centro, tenuto conto del diritto alla privacy dei soggetti e del rispetto delle attività programmate. La comunicazione con le famiglie è un punto molto importante che ci permette di poter capire in profondità la situazione di handicap del figlio, creando intervenenti più aderenti e globali, e ci permette però anche di sostenere, guidare la famiglia nella gestione e nelle modalità di relazione con il figlio, supportandola nei momenti di crisi e di sconforto. 69 La metodologia utilizzata nella realizzazione del PEI, prevede: • il lavoro di equipe degli educatori con il Responsabile della struttura per non frantumare gli interventi, ma per dare un’organica elaborazione e progettualità delle esperienze vissute ; • all’inizio di ogni anno educativo e nel momento della presa in carico delle persone, la formulazione di un progetto di intervento globale del Laboratorio e un progetto di intervento individuale per ogni singolo utente. • nel progetto la dichiarazione esplicita delle ipotesi, degli obiettivi da raggiungere, delle risorse e degli strumenti necessari alla sua realizzazione. Inoltre si prevedono verifiche nel corso della realizzazione per modificare o integrare l’ipotesi iniziale. Concretamente sono previsti: - incontri annuali di programmazione e verifica generale interni al centro - un incontro settimanale in cui organizzare e ordinare le varie attività lavorative, i compiti di ogni educatore e discutere sulle eventuali problematiche o conquiste dei ragazzi; - incontri periodici di verifica del progetto con il servizio dell’AUSL inviante e eventualmente con i familiari. -incontri periodici dei responsabili dei centri con il presidente della cooperativa in cui si coordinano le attività comuni ai singoli centri e le eventuali richieste di inserimento. -la partecipazione a corsi di formazione o aggiornamento per gli educatori organizzati sia dal Consorzio Condividere sia da enti esterni. Tutti i documenti, le relazioni sull’utente, i PEI vengono conservati in una Cartella Individuale che accompagna la persona durante tutto il suo percorso all’ interno del centro. Il PEI è suddiviso in aree di intervento al fine di consentire una osservazione obiettiva e completa e una pianificazione delle attività educative. Le aree prese in considerazione coinvolgono diverse dimensione della vita e perciò ci 70 permettono di realizzare, in collaborazione con i servizi territoriali, un progetto globale volto a realizzare l’ inclusione. Aree educative: Area delle autonomie di base: quest’area comprende le autonomie sociali di base, le autonomie domestiche e di cura personale. Intervenire sulle autonomie di base è importante in quanto permette al soggetto di migliorare il suo adattamento e il suo inserimento nell’ambiente circostante. La riscoperta del valore positivo della propria persona porta alla modifica del rapporto con se stessi. Restituire dignità all’utente significa sia educarlo ad avere un corretto rapporto con i proprio corpo (cura del corpo, alimentazione etc…) che con l’ambiente sociale (uso del denaro, gestione del tempo e dello spazio) Area della comunicazione, dell'espressione e dello sviluppo di interessi: questa area è importante perché pone l’attenzione alle diverse modalità di comunicazione e di espressione utilizzate dal ragazzo, in modo da intervenire nel caso in cui siano inadeguate. E’ importante aiutare il ragazzo a comunicare i propri pensieri ed esprimere gli stati d’animo in modo da poterli condividere con gli altri rielaborandoli. Gli interessi giocano un ruolo decisivo in quanto sono fonte di motivazione e occasione di rinforzo positivo delle proprie abilità. Area della socialità e delle relazioni: questa area è importante per favorire l’instaurarsi di relazioni positive significative con le altre persone, le cui caratteristiche dovranno essere: solidarietà, tolleranza e rispetto verso se stessi e gli altri. Ciò permette al soggetto di sentirsi riconosciuto nella sua soggettività consentendogli di poter allargare la sfera relazionale anche all’ambito più ampio della società. Area delle abilità e dello sviluppo di competenze: in questa area si scoprono abilità latenti (che a causa dell’handicap non sono mai emerse) e se insegnano di nuove. 71 Riscoprire o scoprire delle abilità consente al soggetto di sviluppare un certo grado di autostima, essenziale per poter pensare un proprio progetto esistenziale. A tale fine, il lavoro è strumento fondamentale nella formazione dell’identità personale necessaria per la costruzione del proprio sé. 3.3 Descrizione delle attività svolte nel Centro Laboratorio Protetto G. Laruccia Le attività che il Centro svolge sono attività socio - riabilitative finalizzate al recupero sociale psico-fisico, relazionale di ogni utente e volte pertanto all’inclusione. Le attività possono essere raggruppate in: • Attività volte al recupero educativo dell’utente, finalizzato sia al raggiungimento del rispetto della propria persona, attraverso una adeguata dieta, la cura della propria persona ecc.., sia al rispetto delle regole generali e dell’autonomia; • Attività socializzanti, periodiche ed occasionali, volte ad abituare gli utenti a stare insieme per collaborare e solidarizzare creando occasioni di dialogo e di relazione tra disabilità e mondo sociale tramite l’organizzazione di gite mensili, campeggi, momenti ludico ricreativi; Le attività socializzanti vengono svolte principalmente durante l’orario di apertura del Centro e le mete sono uscite didattiche presso parchi tematici, ristoranti, gite in località climatiche. In queste occasioni i ragazzi hanno l’opportunità di svagarsi, di vivere una giornata insieme diversa dalle altre: è bello vedere come momenti informali gli consentano di fare emergere le loro abilità, i loro interessi e curiosità che solitamente durante la quotidianità non affiorano. Queste occasioni consentono di passare più tempo insieme, dialogare con più tranquillità coltivando e accrescendo le relazioni interpersonali. Purtroppo mi accorgo troppo spesso che, passare una giornata in piscina, per noi operatori non è una cosa eccezionale, ma per alcuni ragazzi è un avvenimento che attendono con trepidazione. Le uscite sono caratterizzate da un clima molto bello, non è raro che per accontentare 72 un desiderio di qualche ragazzo l’intero gruppo debba modificare il programma dell’uscita, ma ciò è molto bello, anche nel tempo libero ci si aspetta e si desidera che l’altro sia felice. In queste occasioni mi rendo conto che non vi sono operatori e utenti, educatori e educandi, ma che siamo un bellissimo gruppo proprio perché siamo molto vari. Inoltre durante l’anno vi sono altri momenti di socializzazione che vanno oltre l’orario di apertura del centro come feste di capodanno, la cena di Natale o altre occasioni. Queste uscite contribuiscono a sviluppare l’idea del Centro Laboratorio Protetto come una “grande famiglia”. Precedentemente nel paragrafo sulla relazione educativa ho messo in evidenza come la “condivisione” debba essere intesa come un vivere insieme “con” l’altro, perciò la vita non si vive solo nel centro, ma riguarda tutti gli ambiti. I ragazzi grazie a queste occasioni si sentono davvero riconosciuti, accolti, voluti bene e ciò facilita la nascita di una relazione significativa che è il cardine di un buon progetto educativo. • Attività di animazione socio-riabilitative, per le quali si prevede una volta a settimana la partecipazione dei ragazzi a laboratori di danza terapia presso la palestra APG23. “Il Progetto danza/suono/movimento “pone in relazione tra di loro tre tecniche riabilitative particolarmente specifiche della comunicazione non - verbale. La danza, la danzaterapia che rappresenta la perfetta interrelazione tra individuo, spazio, suono e movimento e la perfetta interrelazione tra la scoperta del corpo proprio, individuale, e del corpo espressivo all’interno del gruppo. Il suono che stimola il corpo e offre la possibilità di realizzare un’esperienza totale della sensazione musicale. Il movimento è il “lavoro” del corpo nello spazio e si collega al senso cinestetico, cioè all’esperienza dell’esistenza di una unità corporea statica e dinamica."47 Nella danzaterapia, che prende come modello l’ insegnamento di M. Fux, i soggetti vengono aiutati con immagini e con oggetti concreti non strutturati (teli,sfere,cubi...) ad entrare in relazione attraverso il 47 www.lafraternita.com 73 proprio corpo, con il suono e con il silenzio e a beneficiare delle emozioni e dei sentimenti che si rivelano nel dialogo tonico emotivo. Il percorso riguarda l’esplorazione dello spazio, l’osservazione e l’incontro con il proprio stile di movimento e con le proprie capacità fisiche, l’incontro con gli oggetti sonori e con lo sviluppo del ritmo e dell’ armonia.”48 • Attività occupazionali - lavorative, volte al recupero delle potenzialità di sviluppo personale e di relazione della persona. La Costituzione Italiana definisce nell’articolo 1, come “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e per questo secondo il Centro, diventa importante riconoscere il lavoro come “diritto/dovere” di ogni persona. Diritto perché ognuno di noi ha delle doti da poter usare e far fruttare al fine di costruire “il bene comune” apportando quindi il proprio contributo. Dovere perché è compito e responsabilità di ogni uomo impegnarsi per costruire “la storia” e permettere il progresso e lo sviluppo sociale. Il lavoro diventa strumento fondamentale di costruzione del diritto di cittadinanza, elemento cardine dell’identità di ogni soggetto, e fattore indispensabile di socializzazione. - Il lavoro permette la cittadinanza. Attraverso di esso infatti, l’educatore riesce ad instaurare con il ragazzo disabile una relazione di responsabilità fondata sull’impegno, sulla serietà e sulla condivisione d’intenti che permettono al soggetto di sentirsi parte di un progetto comune da realizzare insieme, maturando la cittadinanza attiva. Cittadinanza attiva che diviene elemento cardine nella creazione della propria identità: il soggetto vedendo riconosciuto il suo ruolo sociale attivo, sviluppa una consapevolezza di sè che lo porta a riconoscere e a sviluppare la sua identità. Il lavoro per questo può essere definito come riabilitativo in quanto attraverso l’individuazione di piccole responsabilità, da far assumere all’utente sia nella gestione della struttura che all’interno delle fasi del ciclo produttivo permette questa ricostruzione identitaria. - Il lavoro permette la socializzazione. La socializzazione che al Centro viene realizzata in diversi modi, prima di tutto all'interno del gruppo di lavoro entrando in relazione con gli educatori e i compagni, poi all'interno del 48 www.lafraternita.org 74 mercatino in cui i ragazzi intrattengono relazioni con i diversi clienti e infine grazie ai lavori svolti al di fuori del Centro, nel momento in cui si devono effettuare sgomberi o traslochi. In quest'ultimo caso i ragazzi sono completamente esterni alla struttura lavorativa e possono sperimentare da soli la socializzazione nel contesto più ampio con persone mai conosciute prima. Come emerge infatti, negli incontri d'équipe, la socializzazione all'esterno del centro è vissuta dai ragazzi con molto entusiasmo e apporta dei risultati positivi anche per il Centro. Questo perché, come prima cosa i ragazzi sono capaci di relazionarsi in modo adeguato e simpatico con i clienti, creando perciò un clima di serenità e confidenza che si allontana molto dai metodi usati in contesti lavorativi impersonali. Come seconda cosa perché non è raro che i clienti mostrino curiosità e incredulità di fronte all'efficienza e all'allegria con cui i ragazzi lavorano, i quali spesso vengono elogiati e ricordati con affetto, permettendo così un avvicinamento della realtà sociale più ampia al Centro. - Il lavoro permette lo sviluppo dell'autostima. Il lavoro realizzato al CLP, essendo basato su attività lavorative messe in relazione quotidianamente con il "mercato", permette al soggetto di acquisire sempre nuove competenze favorendo un accrescimento dell’autostima. Quest’ultima secondo Johan Rawls è molto importante nel cammino di sviluppo e nel processo di costruzione dell’autonomia del soggetto perché “include il senso che una persona ha del proprio valore, la sicurezza che le proprie valutazioni e progetti sono validi e la convinzione della propria capacità di realizzarli. Se pensiamo che i nostri progetti non abbiano valore non possiamo considerali con piacere, ne trarne soddisfazione dalla loro realizzazione”49. Autostima che nel Centro il ragazzo può sviluppare grazie a diversi momenti, come per esempio quando gli educatori e a volte anche i clienti, riconoscono l'impegno e gli sforzi, fisici e psicologici (come resistere alla fatica, o lavorare anche contro voglia) compiuti, e quindi donano valore e importanza per ciò che ha fatto, facendolo sentire utile e quindi felice del suo nuovo ruolo sociale. Anche questo, contribuisce a far accrescere nel ragazzo un maggiore “rispetto per sé” essenziale per il suo benessere generale. 49 Nel Nodding, (2005), “Educazione e felicità. Un rapporto possibile, anzi necessario”, Erikson, Trento, pag. 204. 75 Altri effetti positivi che il lavoro porta sono individuabili in uno stimolo positivo nel favorire il rapporto con la realtà, e nello sviluppo dell'autonomia. - Il rapporto con la realtà è un importante strumento di integrazione perché mette a contatto la persona con la realtà esterna con il mondo del lavoro e con l’ambiente, così facendo ogni ragazzo sviluppa dentro di sé l’idea che il lavoro è fondamentale per la propria vita ed è per questo che ogni giorno dovrà impegnarsi. Il frutto del suo lavoro, realizzato nel Centro e venduto nel mercatino, diventerà perciò necessario per molti e fonte di sostentamento per la struttura ospitante. - Lo sviluppo dell’autonomia invece, vediamo essere il risultato finale di tutto il processo illustrato fino ad ora, che parte da una prima acquisizione di abilità e competenze, per poi passare attraverso lo sviluppo dell'identità personale e del ruolo sociale che permette al singolo di veder riconosciuto il suo valore e giunge così alla possibilità del ragazzo di divenire il "responsabile" di attività particolari legate al ciclo produttivo etc... Il lavoro si configura perciò come artefice di questo risultato. Le attività lavorative sono: - ritiro e stoccaggio di toner e cartucce da stampa esaurite (cod. rifiuto: 160216 e 080318) al fine di reciclarle. Questa attività viene svolta rispettando le norme vigenti del settore, pertanto abbiamo l’autorizzazione al trasporto di tali rifiuti rilasciata dalla Motorizzazione Civile di Bologna e l’autorizzazione allo stoccaggio all’interno di aree prestabilite che l’ARPA ha rilasciato. Il servizio si svolge prevalentemente presso aziende del territorio della provincia di Rimini e di Pesaro-Urbino che necessitano dello smaltimento. Ad oggi sono ormai 2000 le aziende che supportiamo. Questa attività è iniziata sul finire degli novanta e con il passare del tempo le richieste di ritiro aumentano aumentando così anche il l’impegno del CLP. Questa attività lavorativa permette agli utenti della struttura di svolgere le seguenti attività: carico e scarico box toner; preparazione e montaggio dei box toner seguendo la successione corretta; stoccaggio dei box contenenti cartucce esauste costruendo bancali messi in sicurezza e successivamente immagazzinati con l’ausilio del carrello sollevatore; recarsi con un operatore presso le aziende a ritirare i box toner. Si 76 può osservare che le diverse mansioni richiedono competenze e caratteristiche fisiche diverse così da permettere ad ogni ragazzo di partecipare alle attività. Le abilità richieste in questa attività sono molto diverse, ci sono compiti molto semplici, come scaricare i “box toner” che richiedono poco tempo e mansioni impegnative come recarsi con un operatore presso le aziende a ritirarli e ciò richiede una tenuta al lavoro paragonabile ad un “lavoro normale”. Ciò consente all’equipe educativa di sperimentare come il ragazzo si comporta in situazioni “normali”, se è in grado di sopportare tempi di lavoro convenzionali. Grazie a ciò è possibile costruire progetti veramente “ad hoc”. L’attività lavorativa dei toner è proficua, le ditte ci pagano lo smaltimento e i toner ritirati vengono poi venduti a ditte specializzate per ricaricarle. - il ritiro, stoccaggio e trasformazione carta: questa attività si è sviluppata recentemente in quanto all’interno del CLP vi era il problema di inserire nelle attività soggetti che avessero difficoltà a muoversi non riuscendo perciò a svolgere nessun lavoro in modo continuativo mettendo così in pericolo lo sviluppo delle proprie capacità. A Gennaio 2011 attraverso la collaborazione con HERA siamo riusciti a stipulare una convenzione con la Banca UniCredit riguardo il ritiro di carta come rifiuto. A fronte di ciò ci siamo organizzati, abbiamo ricevuto dall’ ARPA le autorizzazioni per il trasporto, stoccaggio e trasformazione della carta. L’attività oggi vede coinvolto un gruppo che varia da cinque a sei utenti con la supervisione di un educatore. La staticità di questo lavoro ha permesso a diversi utenti di partecipare attivamente al lavoro, ad accrescere i tempi di attenzione e in alcuni casi anche di svolgere l’attività con responsabilità. Molto interessante è osservare come l’ambiente possa giocare un ruolo importante nella riduzione dell’handicap. Persone che per deficit motori non riuscivano ad inserirsi attivamente nelle attività dinamiche oggi sono responsabili di piccoli gruppi (sempre supervisionati dall’operatore) e stupisce il grado di produttività. -attività di carico/scarico merci: questa attività non è svolta da un gruppo di lavoro preciso, ma all’arrivo dei camion carichi di merci gli utenti presenti abbandonano le attività che svolgono regolarmente per collaborare alla sistemazione della merce. Questa attività è 77 importante perché richiede un certo grado di responsabilità, ovvero proprio perché non c’è un gruppo addetto allo scarico, ognuno deve rendersi disponibile autonomamente. Anche in questa attività ogni ragazzo mette a disposizione i suoi doni. Solitamente un ragazzo sale sul camion per sistemare la merce perché è molto bravo a sfruttare tutti gli spazi, un altro prende un mobile pesante perché la sua struttura fisica glielo consente, chi ha più difficoltà contribuisce ad occuparsi delle ante degli armadi o cuscini etc. Tutti contribuiscono, potremmo dire che “tutti sono necessari e tutti sono indispensabili” al fine di portare a termine i lavori è utile che una squadra abbia nel suo organico più abilità. Questa attività inoltre riguarda il carico e scarico di mezzi privati che o hanno comprato o portano merci. Questa è una grande occasione di confronto tra gli utenti e il mondo sociale. - attività di cernita materiale usato: le merci scaricate vengono posizionate nel magazzino dove un gruppo di lavoro le seleziona dividendole tra scarti e oggetti vendibili. Questa attività è molto amata dai ragazzi perché consente di trovare oggetti particolari e utensili strani. La suddivisione dei materiali richiede la capacità di classificare, di riconoscere i materiali e di valutare il loro stato. Ciò contribuisce a sviluppare l’attenzione alla realtà circostante e conseguentemente ad uscire dal proprio mondo psichico. Successivamente alla cernita la merce in buono stato viene posizionata all’interno di ceste in base alla tipologia: oggetti da cucina, libri, cd, oggetti di antiquariato e trasportata autonomamente dai ragazzi in negozio. -attività di sistemazione merci/negozio/assistenza ai clienti: le merci arrivate nel negozio vengono sistemate negli appositi scaffali o aree. Questa operazione viene effettuata dai ragazzi con la supervisione dell’educatore. L’operatore, nel corso dell’attività, promuove una sempre maggiore responsabilità dell’utente affinché sappia posizionare in modo corretto le merci facendo attenzione a non urtare i clienti che si muovono nel negozio. Il punto vendita è suddiviso in aree in base alla disposizione della 78 merce, alcune di esse sono affidate ad utenti che, avendone le abilità, hanno il compito di supervisionarle, mantenerle in ordine e accertarsi dello stato degli oggetti, e supportare il cliente. Le attività che si svolgono all’interno del mercatino dell’usato consentono un incontro giornaliero, caratterizzato dalle competenze (l’assistenza ai clienti), tra disabilità e mondo sociale. Accade così che ogni giorno mobilio, indumenti e oggetti usati, divengono occasione di incontro e di scambio. -attività di selezione e sistemazione panni usati: gli indumenti usati che vengono raccolti nelle abitazioni sono guardati e selezionati da un operatore con gruppo di 5/6 utenti all’interno del magazzino. Ogni mese si visionano circa 60 quintali di indumenti, quelli messi in buono stato vengono venduti in negozio gli altri vengono venduti ad una ditta di Napoli che ne fa pezze per le industrie. - attività di segreteria: questa attività si svolge in ufficio insieme al responsabile della struttura e a un’impiegata. Tale attività si è sviluppata per rispondere alle esigenze di un utente di accrescere la sue abilità cognitive, manuali ed organizzative in vista di un futuro inserimento lavorativo in ambito amministrativo. Ogni giorno due ragazze svolgono mansioni come preparare lettere informative per le ditte, nostre clienti, fotocopiare documenti, precompilare dei formulari etc. -attività di prelievo di mobilio, oggettistica, etc dalle abitazioni private e piccoli traslochi: questa attività viene svolta giornalmente da almeno due gruppi che ogni mattina si recano nelle abitazioni private che hanno richiesto il nostro intervento per svuotare la casa o donarci un mobilio. Le squadre di questa attività sono composte da due utenti e un operatore. La scelta degli utenti viene presa dall’equipe del centro che valuta le caratteristiche del lavoro, il luogo in cui si dovrà svolgere e le caratteristiche dell’utente al fine di evitare 79 incongruenze. Tale attività perciò si svolge all’esterno della struttura ed è occasione di incontro tra i ragazzi e il tessuto sociale. Questo incontro come detto sopra è all’insegna delle competenze, i ragazzi lavorano sodo trasportando mobili su e giù da trombe delle scale, strade, scantinati, centri abitati. Chi usufruisce del nostro sevizio solitamente si stupisce dell’efficienza e della simpatia. E’ incredibile vedere persone che fino a qualche hanno fa erano chiusi in istituti camminare in piazza Ferrari posizionata al centro di Rimini con un divano in mano mentre svolgono efficacemente il loro lavoro. E’ proprio vero che l’ambiente, considerato nel suo senso più ampio, fa la differenza. 3.4 Il CLP realizza attività "ad hoc" Le attività svolte all’interno del Laboratorio vengono organizzate in modo da rispettare le caratteristiche personali di ogni utente al fine di promuoverne l’inclusione. L’equipe del centro ha dedicato molto tempo nella cura degli ambienti affinché ogni utente possa sentirsi a suo agio e possa muoversi autonomamente all’interno della struttura acquisendo padronanza degli spazi e possa svolgere regolarmente le attività lavorative. Creare uno spazio adatto alle caratteristiche psicofisiche del ragazzo è importante in quanto si giunge ad eliminare tutte quelle barriere materiali e psicologiche che impediscono al soggetto di esprimersi. L’ambiente perciò è un punto centrale di analisi per agire nell’ottica della riduzione dell’handicap. Tutte le attività lavorative si svolgono in spazi "ad hoc” che consentono il regolare svolgimento delle attività. Ad esempio: all’interno della struttura non vi sono barriere architettoniche; i bagni sono forniti di ausili specifici; per permettere ad un utente con difficoltà di movimento di svolgere l’attività di stoccaggio abbiamo fornito alcuni spazi di specifici ausili come sedie e sponde applicate al tavolo di lavoro e abbiamo installato un particolare impianto di riscaldamento; le tre squadre di lavoro, che ogni giorno con i pulmini escono dal centro per recarsi nelle abitazioni private, vengono composte tenendo conto del tipo di lavoro, del luogo in cui si svolgerà 80 e delle caratteristiche personali degli utenti in modo da evitare incongruenze; inoltre tutte le attività si svolgono mediante procedure ormai consolidate nel tempo che aiutano i ragazzi a compierle e portarle a termine con successo. Ad esempio, quando si caricano o scaricano i camion due operatori si posizionano uno sul camion, per consegnare la merce ai ragazzi e l’altro nel magazzino per riceverle, mentre i ragazzi trasportano gli oggetti in fila indiana consentendo un regolare e continuo ritmo. Infine, ai ragazzi sono state insegnate diverse tecniche per sollevare oggetti e mobili per evitare sforzi inutili e per garantire la loro sicurezza. 3.5La varietà delle attività favorisce l'inclusione Come analizzato prima la maggior parte delle attività che si svolgono in struttura sono prettamente lavorative e pertanto è importante che le attività siano molto varie per consentire ad ogni ragazzo di trovare quella più adatta alle proprie caratteristiche. Durante la mia esperienza nel CLP ho potuto osservare come questo abbia consentito ai nuovi arrivati di trovare un proprio spazio, di appassionarsi e di vivere responsabilmente quella particolare attività. Inoltre l’elasticità e la disponibilità della struttura permette di sviluppare nuove attività lavorative per rispondere meglio alle esigenze psicofisiche dell’utente. E’ bello osservare come ogni nuovo arrivato trovi il proprio posto, e porti con sé una novità. Recentemente al CLP è stata inserita una donna che sapeva svolgere molto bene le pulizie degli ambienti e nonostante al centro ci sia una addetta esterna alle pulizie, le abilità della nuova arrivata sono divenute un’occasione per migliorare ulteriormente l’ordine del negozio. In un'altra occasione un ragazzino appena inserito dopo un periodo di prova, che lo ha visto coinvolto in tutte le diverse attività, si è ricavato un suo spazio, raccogliendo per tutto il magazzino gli scatoloni scartati mettendoli negli appositi bidoni. Fino a quel momento questa attività non era ricoperta da nessuno e non era neanche una “attività strutturata”, infatti i cartoni erano un impiccio per tutte le altre attività. Oggi D. è l’addetto alla raccolta differenziata della carta. 81 Il CLP consente veramente di valorizzare le abilità e le competenze degli utenti, perché è attento a creare attività ad hoc ed è disponibile a modificare le proprie attività convenzionali per dare spazio alle capacità che nel corso del tempo i soggetti hanno riscoperto o acquisito. Tutte le attività del Laboratorio vengono svolte in gruppo perché si riconosce l’importanza pedagogica e riabilitativa dell’apprendimento cooperativo. Le attività lavorative posso essere svolte come: -Attività di grande gruppo (6 o 7 utenti con 2 educatori); -Attività di gruppo ristretto (4 o 5 utenti con 1 o 2 educatori Lavorare in gruppo permette ad ognuno di trovare il proprio spazio e di mettere a disposizione le proprie competenze al fine di portare a termine nel migliore dei modi l’attività lavorativa. Nello svolgere ogni giorno tali attività insieme ai ragazzi capita molto spesso di osservare come lavorare in gruppo sia indispensabile, perché permette di sviluppare, attraverso il dialogo, un senso di appartenenza e responsabilità che altrimenti è difficile promuovere. Molto spesso mentre lavoriamo qualche ragazzo dice: “…siamo proprio una bella squadra!” Il senso di appartenenza è importante per sviluppare il proprio sé, “io appartengo perciò esisto”. Appartenere significa anche condividere con gli altri un proprio progetto di vita. Inoltre lavorare in gruppo consente di compiere un intervento socioriabilitativo che tenga in considerazione la globalità del soggetto in quanto si interviene contemporaneamente sull’area relazionale e sociale, sull’area della comunicazione, sullo sviluppo delle autonomie personali e sulle abilità e competenze. Durante le attività è sempre presente un educatore di riferimento che garantisce l’adeguatezza del setting lavorativo promuovendo l’integrazione tra i ragazzi, specialmente nel caso in cui si presentano difficoltà relazionali tra di loro, e lo svolgimento regolare dell’attività, che può essere disturbata dalla stanchezza o da problemi logistici. La grande scommessa che ogni giorno si rinnova è riuscire a far si che ognuno sia messo nella condizione di portare a termine l’attività lavorativa ed essere produttivo. La produttività per i ragazzi è motivo di grande orgoglio personale tanto che dopo aver venduto e successivamente 82 caricato i mobili sul camion, qualche ragazzo dice: “oggi abbiamo guadagnato la pagnotta!” 83 CONCLUSIONE Tutto ciò che ho descritto nei capitoli precedenti mette in luce l’esigenza di apportare un radicale cambiamento di paradigma all’interno delle società occidentali. L’ideologia neo-liberalista del mercato, quale essere vivente in grado di autoregolarsi mediante la domanda/offerta, oggi è fallita. I milioni di poveri che vivono sotto la soglia di povertà e che muoiono come “formiche”, la iniqua divisione delle risorse naturali tra nord e sud del mondo, l’insostenibilità di stili di vita consumistici che degradano i sistemi naturali in modo irreparabile e minacciano gli stessi servizi che essi offrono all’intera umanità come la regolazione climatica o il ciclo dell’acqua, sono i frutti delle perverse logiche di mercato tanto denunciate dall’ambientalista Wandana Schiva. Per questo emerge come la visione neo-liberista odierna si fondi sul possesso, sull’esclusione e sullo sfruttamento. L’inclusione, perciò oggi, sembra poter essere una risposta concreta per combattere l’esclusione, l’emarginazione che sono sempre causate da forme d’ingiustizia. Mediante il mio lavoro di ricerca e osservazione sul campo ho cercato di dimostrare come centri laboratori protetti, che si basano su precisi principi, oggi possono essere una risposta per molti ragazzi e ragazze esclusi dal tessuto sociale prossimo a causa della loro disabilità. Il Centro Laboratorio Protetto G.Laruccia, che nasce dall’esperienza di condivisione della Comunità Papa Giovanni XXIII, è quindi una realtà che attraverso attività lavorative crea ponti tra la disabilità e il mondo sociale promuovendo una vera inclusione. Come già descritto in precedenza è importante ricordare che tale incontro è caratterizzato dalle competenze, ovvero i ragazzi si presentano a tale appuntamento con un bagaglio di conoscenze e capacità tali da svolgere un lavoro concreto, utile, remunerativo. Durante la realizzazione di questo lavoro mi è sorta una riflessione: l’inclusione per essere realizzata nel concreto, ha sicuramente bisogno di interventi formali quali leggi ad “hoc” per categorie escluse o esperienze di inclusione ad opera di istituzioni o associazioni, ma necessita in particolare di una presa di coscienza da parte di tutti nel capire che la vera sfida inclusiva si gioca dentro ognuno di noi. Sono fermamente convinto che qualsiasi processo di inclusione nasce da una disponibilità che il singolo dà nel momento in cui 84 sceglie di fare spazio all’altro, di farsi modificare e contaminare da lui e sceglie di includere. Disponibilità che scaturisce dal riconoscimento dell’altro e delle sue caratteristiche personali che vengono connotate di valore e unicità tanto da portare tutti gli attori coinvolti a beneficiare di questo incontro. I frutti che derivano da ciò, sono quindi individuabili nella cooperazione, nella solidarietà e nella condivisione. L’inclusione perciò si realizza nella quotidianità, scegliendo per esempio di essere attento al vicino di casa, al compagno di classe, ai propri figli e richiede, come detto prima, un cambiamento interiore, la voglia di mettersi in gioco in prima persona, di abbandonare le certezze e gli stereotipi per abbracciare punti di vista pluralistici. L’inclusione come si deduce, non ha semplici formule per realizzarsi, ma è frutto di un cammino interiore, del passaggio dall’egocentrismo all’alterocentrismo, dall’io al noi. Così, la nascita di una nuova cultura democratica inclusiva a “misura” di uomo nasce dapprima da una rivoluzione interiore che ognuno di noi può scegliere o meno di intraprendere e successivamente da azioni formali da parte di istituzioni, associazioni etc. Il bisogno di inclusione non riguarda solo i soggetti svantaggiati come disabili o immigrati dal sud del mondo o qualsiasi altra categoria riconosciuta come tale, ma riguarda tutti i cittadini del mondo, ogni essere umano a prescindere del suo stato di salute, dal sesso e dalla nazionalità ha bisogno di essere riconosciuto e rispettato per ciò che è, di avere relazioni significative, di partecipare attivamente alla sua vita, di prendere parte alla vita sociale apportando il suo speciale contributo. La disabilità, perciò come succede spesso si fa portavoce di bisogni non solo suoi, ma di tutti ovvero affermare la centralità dell’uomo affinché migliori la qualità di vita di tutti i cittadini del mondo. Durante la mia esperienza di educatore ho la possibilità ogni giorno di vivere con persone cosi dette disabili e mi accorgo che la disabilità è davvero relativa, non perché non esiste, o perché non la voglia riconoscere, ma perché dipende dai punti di vista, è logico che se osservo solo le “mancanze” di una persona queste lo caratterizzeranno, ma utilizzare tale logica è pericoloso, diventeremmo un “modo di disabili!”. D’altra parte potremmo indossare gli occhiali della diversità e ci accorgeremmo che nonostante le logiche consumistiche tanto promosse 85 dall’ideologia neo-liberale che mira a omologare l’umanità e a classificarla in ricchi, poveri, buoni, cattivi, l’intera umanità nella sua diversità risulta essere costituita di unicità. Possiamo così affermare, ritornando alla citazione di Herman Hesse e Narciso e Boccadoro, che “…la nostra meta non è di trasformarci l’uno l’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e di imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro complemento.” 86 BIBLIOGRAFIA GENERALE Elena Malaguti (a cura di) (2010), “Educazione inclusiva oggi?Ripensare i paradigmi di riferimento e risignificare le esperienze”, Monografia Andrea Canevaro (2010), “Competenze professionali e sociali nella costruzione di processi e percorsi inclusivi”, Monografia Elena Malaguti (2010), “Ecologia sociale e umana e resilienza. Processi e percorsi inclusivi nella scuola di oggi”, Monografia Paulo Freire, (2004), “Pedagogia dell’autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa”, Ega (Edizioni Gruppo Abele) P.Gaspari (2001), “Un’ epistemologia per la Pedagogia Speciale”, in Studium Educationis, (a cura di) A. Canevaro, “Pedagogia Speciale”, Ceda, Padova n.3. P. 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