Disabilità e prospettiva inclusiva oggi

MATR. N. _0000246724
ALMA MATER STUDIORUM
UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
Sede di RIMINI
CORSO di LAUREA in
EDUCATORE SOCIALE
Relazione finale in Pedagogia Speciale
“Disabilità e prospettiva inclusiva oggi: esperienza di
integrazione nel Centro Laboratorio Protetto G. Laruccia
della Comunità Papa Giovanni XXIII”
PRESENTATA DA
RELATORE
CLERICI FILIPPO
MALAGUTI ELENA
SESSIONE III
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
1
INDICE
 Introduzione
 Capitolo Primo: La logica dell’inclusione e le sfide dell’integrazione.
1.1 Introduzione
1.2 La situazione della società e dell’ambiente nel mondo di oggi
1.2a Il contributo della Scienza della Sostenibilità
1.2b Il modello di vita promosso dalla società capitalistica
1.3c La qualità della vita
1.3 Alcuni cenni storici sul processo d’inclusione dei disabili
1.4 Le logiche dell’inclusione come risposta concreta alla socializzazione del
deficit
1.5 Alcune riflessioni sulla realizzazione dell’inclusione
1.6 Il contributo significativo della Pedagogia
1.7 L’educatore specialista dell’inclusione
 Capitolo Secondo: Il contributo legislativo a favore dell’inclusione e
integrazione dei soggetti disabili.
2.1 Introduzione
2.2 Legge 104/92 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate”.
2.3 Legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”
2.4 Modello ICF del 2001 & Convenzione ONU sui diritti delle persone con
disabilità (2006)
2
 Capitolo Terzo: Il Centro Laboratorio Protetto Giovanni Laruccia
della Coop. La Fraternità della Comunità Papa Giovanni XXIII come
esperienza d’inclusione.
3.1 La comunità Papa Giovanni XXIII
3.2 Il centro laboratorio Protetto G. Laruccia
3.2a La relazione educativa
3.2b Il Progetto educativo Individualizzato
3.3 Descrizione delle attività svolte del Centro Laboratorio Protetto
3.4 Il CLP realizza attività “ad hoc”
3.5 la varietà delle attività favorisce l’inclusione
3
INTRODUZIONE
“…Mi potete prendere anche per sempre?” Questa frase ha accompagnato la
mia giovinezza e ha profondamente segnato la mia vita. La disse Elio, mio
fratello maggiore acquisito affetto da Psicosi, insortagli in giovane età a causa
dei continui abbandoni subiti da parte della famiglia di origine e da una
permanenza troppo lunga nei famosi manicomi, quando incontrò i miei genitori
ormai 28 anni fa. Io ho avuto la fortuna di nascere in una Casa Famiglia della
Comunità Papa Giovanni XXIII grazie alla scelta che i miei genitori hanno
fatto di “aderire” alla vocazione di questa comunità. Essi, hanno aperto la loro
famiglia, al tempo composta da tre giovani figli, all’accoglienza di persone che
per varie ragioni erano state escluse dalla partecipazione alla vita sociale, come
disabili, tossicodipendenti, etc.. ed Elio era uno di questi esclusi. La frase sopra
citata la ripete ancora oggi, quando ricorda la sua particolare storia personale,
iniziata nell’infanzia e proseguita per tutta la giovinezza, nella dura e
traumatica esperienza dell’Istituto vissuta sotto il peso della solitudine e
dell’esclusione. Quando parla dell’istituto, ripete spesso “li eri solo un numero,
nessuno ti voleva bene e per avere un po’ di attenzioni mi dovevo provocare
delle lesioni affinché in ospedale si prendessero cura di me.” Mi raccontava
anche delle interminabili giornate passate davanti alla vetrata d’ingresso della
struttura sperando che qualcuno lo andasse a riprendere.
Solo all’età di 22 anni trovò una giovane coppia che lo accolse come figlio
permettendogli di prendere parte a ciò che da sempre desiderava, sognava,
lottava: una famiglia che gli volesse bene. “…Mi potete prendere anche per
sempre?” questa frase mi colpisce tutt’ora ogni volta che la sento uscire dalla
sua bocca.
A seguito della sua storia, due sono i pensieri che mi accompagnano:
il primo pensiero che mi sorge è come sia possibile che una persona debba
soffrire così a lungo vivendo in una prolungata situazione di abbandono, di
solitudine, di disperazione totale. Ciò mi riempie il cuore di rabbia, mi assale
un sentimento di ingiustizia che con il tempo però si è trasformato in un senso
di responsabilità. Io ho avuto la possibilità, nel mio piccolo, di conoscere la
realtà che gli esclusi vivono, di scavalcare il muro dell’ignoranza e per questo
non posso accusare chi non ha aiutato Elio al tempo dell’Istituto, chi ha
4
permesso la sua esclusione, ma mi domando: “Io, oggi cosa posso fare per
combattere l’ingiustizia che crea esclusione?” E’ questa riflessione, che ha
accompagnato la mia adolescenza e che mi ha portato a intraprendere il
cammino di educatore.
Il secondo pensiero invece è legato al presente. Guardo Elio e penso a chi è
adesso, un uomo di cinquant’anni, sempre sorridente, mai superficiale, sempre
pronto ad aiutare gli altri mettendo a disposizione i suoi “talenti” e trasparente
come un bambino. Oggi Elio è un dono per tante persone. Ripensando alla mia
giovinezza capisco quanto sia stato importante nella mia formazione, nello
sviluppo della mia personalità: sin da piccolo infatti, grazie ai suoi racconti ho
conosciuto le ingiustizie e le logiche che le provocano, permettendomi di
focalizzare meglio le cose “che davvero contano nella vita”, riconoscendo
invece la superficialità che il mondo consumistico vuole vendere come
“felicità” o “essenzialità”. Vivere ogni giorno con persone che richiedono
attenzioni particolari, che dipendo da te in molte cose perché impossibilitate a
gestirsi autonomamente a causa del deficit, come per esempio farsi il bagno,
alzarsi, recarsi in un bar per guardare una partita, è una continua palestra
“all’alterocentrismo”. Riconoscere e rispettare l’altro chiunque esso sia
permette di uscire da se stessi e di fuggire agli egocentrismi che incatenano il
nostro Io, che attanagliano la nostra vita facendoci pensare di essere migliori,
intoccabili, tanto da concepire la realtà con schemi rigidi e lineari in cui noi
siamo i “buoni” e tutti gli altri sono i “cattivi”, noi i sani e gli altri i “malati”
non riuscendo a cogliere le sfumature, la ricchezza che l’altro è per noi. Credo
che mettere l’altro al centro della nostra vita decentrando il nostro ego sia fonte
di grande gioia e sia un tassello importante per una vita felice con chi ci
circonda.
Il lavoro che mi accingo a svolgere sulle logiche dell’inclusione sono segnate
profondamente da queste riflessioni che vogliono richiamare ognuno di noi a
combattere per eliminare le cause dell’esclusione, dell’emarginazione della
diversità e disabilità, vedendole come una ricchezza speciale di cui la società
non può privarsi.
Nel primo capitolo del mio lavoro porto avanti un’analisi del degrado
ambientale e sociale che caratterizza il nostro pianeta e le nostre società,
5
causato dalle perverse logiche di mercato che dominano incontrastate
sull’uomo e sull’ambiente. Logiche che come conseguenza, portano:
- a livello sociale, una “perdita dell’orientamento”; una perdita dei valori umani
(in ogni dimensione della vita) che dà quindi origine a varie forme di
emarginazione ed esclusione di tutto ciò che è diverso dalla “normalità”;
perdita che si manifesta anche a scuola che sembra aver perso il suo reale
obiettivo, formando “soggetti-massa”.
- a livello ambientale invece questo degrado si mostra in un incessante
esaurimento delle risorse naturali e un aumento delle catastrofi naturali,
mettendo in serio pericolo la vita di molti uomini.
Infine mostrerò come una possibile soluzione per uscire da questa “crisi”
profonda, sia rivedere i paradigmi di riferimento e lavorare per costruire una
nuova società democratica in cui l’inclusione della diversità sia lo snodo
centrale e il vero punto di svolta.
Nel secondo capitolo tratterò in particolare l’inclusione sociale dei disabili,
ripercorrendo le tappe legislative che hanno portato ad un maggiore
riconoscimento del “valore della diversità” a livello sociale, politico ed
europeo.
Nel terzo capitolo invece parlerò della mia esperienza di inclusione vissuta e
realizzata all’interno del Centro laboratorio Protetto Giovanni Laruccia della
Comunità Papa Giovanni XXIII.
6
1°CAPITOLO
LA LOGICA DELL’INCLUSIONE OGGI E LE SFIDE
DELL’INTEGRAZIONE
1.1 Introduzione
L’attuale società capitalistica occidentale neo-liberalista è fortemente
influenzata dall’economia di mercato. Essa si fonda su regole che generano
povertà ed esclusione perché antepongono gli interessi del mercato,
attualmente gestito dalle multinazionali, al benessere reale degli uomini e
all’equilibrio degli ecosistemi. Accade perciò che, al fine di incrementare i
propri capitali, il mercato calpesti i diritti di milioni di persone ed alteri gli
equilibri ecologici del pianeta.
In questo capitolo descriverò alcuni paradigmi necessari per porre le basi di
una nuova società democratica inclusiva che si mostri capace di garantire uno
sviluppo sostenibile, equo e solidale per l’intera umanità.
Tenterò di dimostrare come l’attuale modello di vita, promosso dalla società
capitalista odierna, necessiti di un ripensamento dei propri paradigmi al fine di
promuovere migliori qualità di vita per i suoi cittadini. La crisi economica,
sociale e ambientale che oggi sta investendo, come non mai, il nostro pianeta è
infatti la prova concreta dell’insostenibilità di questo modello.
Parlerò, della qualità della vita, concetto che fino ad oggi è stato associato al
PIL del Paese, ma che ora è necessario riformulare, osservando come essa
invece dipende da una molteplicità di fattori interagenti tra di loro, tra i quali
possiamo individuare la socialità, la felicità, l’occupazione lavorativa etc..
Illustrerò, il nuovo compito che la Pedagogia dovrà portare avanti in questo
momento di crisi sociale e valoriale, contribuendo da una parte ad uno sviluppo
ecologico equo e sostenibile delle società e dall’altra alla formulazione di
modelli educativo-formativi fondati su logiche inclusive necessari per
combattere l’esclusione della disabilità dalla società.
Infine mostrerò come la figura dell’educatore, inteso come specialista
dell’inclusione, sia l’artefice di azioni intenzionalmente educative e
7
riabilitative volte all’eliminazione delle cause, ambientali e sociali, che
causano esclusione. L’educatore, attraverso la realizzazione di progetti
educativi individualizzati, mediante il dialogo, l’ascolto attivo e il “farsi
carico” dell’altro, promuove e realizza l’inclusione sociale di soggetti esclusi
facendoli divenire cittadini attivi.
8
1.2 La situazione della società e dell’ambiente nel mondo di oggi
1.2a Il contributo della Scienza della Sostenibilità
Un contributo importante a denunciare l’iniquità e l’insostenibilità di queste
logiche economiche, deriva dalla collaborazione tra l’Unione Internazionale
per la Conservazione della Natura, il Programma Ambientale delle nazioni
Unite e il WWF i quali hanno dato origine ( nel 1980) al documento dal titolo
“World Conservation Strategy” all’interno del quale, per la prima volta in un
documento internazionale, si indica il concetto di sviluppo sostenibile.
Come conseguenza intorno agli anni ’90 si comincia a parlare, all’interno degli
ambiti di ricerca ecologici, della Scienza della Sostenibilità. Essa essendo
inserita in un percorso di formulazione-formazione, ancora non può essere
definita come disciplina scientifica matura in quanto non possiede chiare
componenti concettuali e teoriche.
Essa si fonda su riflessioni e ricerche derivate da diverse discipline, volte ad
analizzare le interazioni dinamiche tra sistemi naturali, sociali ed economici
cercando di comprendere i modi migliori per “gestirle”.
Attraverso il paradigma eco-sistemico, essa dimostra che i modelli sociali delle
società contemporanee, fondati su logiche di mercato, stanno mettendo a
rischio la sopravvivenza dell’ uomo sulla terra.
Il paradigma sistemico, vede la realtà come insieme di sistemi: il termine
“sistema” indica un “insieme di elementi che “stanno insieme” tanto da poter
essere distinti chiaramente dal resto”. Esso, perciò, legge i singoli fenomeni
non come isolati ma come parte di un tutto. La realtà che ci circonda così,
viene rappresentata come l’insieme di relazioni esistenti tra i Sistemi Naturali e
i Sistemi Sociali, i quali a loro volta sono inseriti all’interno del Sistema
Mondo.
I sistemi sociali e i sistemi naturali sono sistemi aperti in quanto per vivere
hanno bisogno di scambiare continuamente energia e materia con l’esterno.
Grazie a questi flussi continui riescono a concentrare ordine al proprio interno
ed espellere il disordine al loro esterno. Ciò garantisce e consente l’evoluzione
dei sistemi e il loro equilibrio.
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A partire da ciò, vediamo come oggi, i due sistemi sono in disequilibrio, in
quanto l’uomo, a causa delle sue logiche di mercato, sta sfruttando in modo
insostenibile il sistema naturale. Questo perché, in un determinato lasso di
tempo, sta consumando più risorse di quanto gli ecosistemi sono in grado di
produrre
nello
stesso
tempo.
Le
conseguenze
sono
riscontrabili
nell’inquinamento e nella carenza idrica, nell’inquinamento atmosferico, nel
degrado del suolo, nella eccessiva deforestazione, nella perdita della
biodiversità, nei grandi cambiamenti atmosferici, nella comparsa di patologia
resistenti agli antibiotici.
La ragione di questa situazione è da ricercarsi nell’idea di natura espressa da
Adam Smith, considerato fondatore del liberalismo, e nell’idea di “sviluppo”.
Secondo Adam Smith la natura era una risorsa immensa e pressoché
inesauribile. Da ciò nacque l’idea che la storia dell’umanità potesse essere
scritta in modo del tutto indipendente dalla natura, senza preoccuparsi di come
poter assorbire i rifiuti e distribuire i preziosi servizi da lei offerti quali la
regolazione climatica e l’impollinazione delle colture, come descritto
nell’ultimo rapporto del Worldwatch Institute, State of the world 2008.
Lo “sviluppo” fino ad oggi era inteso come un processo legato esclusivamente
ad una crescita quantitativa dei beni e delle risorse disponibili in un andamento
progressivo e illimitato. Perciò era un processo esclusivamente economico che
costringeva a trasformare e a distruggere l’ambiente naturale e i rapporti sociali
in vista di una produzione crescente di merci.
Oggi si fa strada una nuova visione di sviluppo chiamato sostenibile, che mette
fortemente in discussione l’attuale modello socio-economico e porta a nuova
logica: vivere meglio consumando molto meno. Non si tratta di una negazione
della crescita, come molti credono, bensì della crescita economica rispettosa
dei limiti ambientali. Il nuovo paradigma della sostenibilità riesce a collegare la
tutela dell'ambiente con la crescita economica, perché si fonda su un principio
coevolutivo che mira a tener conto della reciproca evoluzione dei sistemi
naturali e sistemi umani.
Lo sviluppo sostenibile offre un’idea di una società più prospera e più giusta,
con la promessa di un ambiente più pulito, più giusto e più sano: una società
che garantisca una migliore qualità di vita per tutti e per le generazioni future.
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Per raggiungere questi obiettivi nella pratica è necessario che la crescita
economica sostenga il progresso sociale e il rispetto dell’ambiente e che la
politica sociale sia alla base delle prestazioni economiche.
1.2b Il modello di vita promosso dalla società capitalistica
Oggi è di urgente necessità prestare attenzione ai grandi campanelli d’allarme
che ci provengono dall’ambiente, è di altrettanta importanza prestare attenzione
a quelli che ci provengono dalle nostre società. Infatti le logiche di mercato,
che hanno influenzato ogni aspetto della nostra vita, cominciano a mostrare i
loro frutti: privatizzazione, possesso, esclusione, intolleranza, povertà e
sfruttamento.
Non è raro ascoltare ai telegiornali notizie quali: atti violenti di intolleranza,
gruppi politici che legittimano la superiorità di una certa minoranza sociale su
basi territoriali; il viaggio di migliaia di persone immigrate che attraversano il
Mediterraneo per sfuggire alle violenze del loro paese causate da anni di
colonialismo occidentale rischiando la vita perché respinti; le lamentele sempre
più frequenti dei genitori che discriminano le scuole primarie per la presenza di
bambini stranieri o “portatori di problematicità che non si vuole incontrare e
tanto meno fare incontrare”1.
Inoltre sono ormai sapere di tutti le disparità economiche, scaturite, che
segnano il nostro pianeta: circa il 20% dell’ umanità consuma l’ 80% di risorse
naturali costringendo alla fame e alla inevitabile morte milioni di persone, il
rapporto delle Nazioni Unite denuncia che sono circa un miliardo coloro che
vivono sotto la soglia della povertà.
Come se non bastasse gli slogan che questa economia di mercato sbandiera in
ogni angolo della terra sono progresso, efficienza, qualità della vita, benessere
economico, ma la realtà è ben diversa! Tutti questi obiettivi non sono a favore
dell’uomo, del suo reale benessere, ma occasione di grandi guadagni per le
multinazionali che creano nuovi bisogni da soddisfare, proponendo attraverso
le assidue campagne pubblicitarie che scorrono sui televisori di milioni di
1
Elena Malaguti (2010) “Ecologia sociale e umana e resilienza. Processi e percorsi inclusivi
nella scuola di oggi”, Monografia pag.27
11
persone, sui muri di tutto il globo, modelli di vita consumistici. Tali modelli
promuovono stili di vita che sono stereotipati, irreali, esempio la campagna di
marketing di una nota multinazionale di prodotti alimentari che enfatizza una
tipologia di famiglia sempre in forma, sorridente e priva di preoccupazioni. I
modelli pubblicitari, perciò, creano aspettative e sogni irrealizzabili
precludendo il raggiungimento della felicità a tutti coloro che sono schiavi di
tali logiche.
L’esempio sopra citato vuole evidenziare che le logiche di mercato non sono a
favore dell’ uomo, ma sono al servizio del guadagno.
L’ideologia dominante della cultura contemporanea continua a porsi come
obiettivo ultimo il benessere e ad associare quindi la felicità di un individuo
con la sua ricchezza e con lo status sociale di appartenenza. Di conseguenza il
benessere di un paese, e quello dei suoi cittadini, è calcolato dal PIL (Prodotto
Interno Lordo). Ma siamo sicuri che questo indice possa riassumere il
benessere soggettivo? E’ evidente che all’ aumentare del PIL non corrisponde
necessariamente un miglioramento della vita. Il benessere di uno stato
dovrebbe essere determinato dal grado di soddisfazione, dalle aspettative di
vita dei suoi cittadini, dall’impatto ambientale, dalla vivibilità nelle città: ma
tutti questi indici non sembrano essere utili ad una valutazione che vuol essere
prettamente economica. A dimostrazione di ciò, nonostante l’occidente, in
questo ultimo secolo, abbia accresciuto le sue ricchezze e abbia vissuto il boom
economico, la sua popolazione non risulta essere più felice, anzi si assiste ad
un degrado sociale e naturale senza precedenti.
Le logiche di produzione e di consumo hanno influenzato anche i sistemi
scolastici e formativi tanto che il loro obiettivo primario non è fornire ad ogni
individuo le capacità, le conoscenze e le competenze per progettare e realizzare
il proprio progetto personale in rispetto alle proprie caratteristiche, ma
riassume la formazione in una semplicistica equazione studente uguale forza
lavoro. Il fine della formazione è perciò dotare il ragazzo di conoscenze
spendibili sul mercato, affinché vi possa entrare e affermasi economicamente.
Le materie insegnate quindi sono legate esclusivamente al mondo del lavoro,
tutto ciò che non è riconducibile al mercato viene bandito: le emozioni, la
crescita interpersonale etc. Con ciò si tradisce l’ideale pedagogico dello
sviluppo integrale del soggetto-persona nei tempi e nei luoghi delle sue età
12
generazionali e in rispetto delle caratteristiche personali. Un effetto collaterale
di tale modello educativo univoco e monodirezionale è la difficoltà che ogni
individuo ha di vedersi riconosciuta la propria soggettività.
Come dice Frabboni, Professore di Pedagogia Generale all’Università di
Bologna, “ l’Irripetibilità, l’Inviolabilità e l’irriducibilità”2, che sono valori
inviolabili dell’uomo, oggi sono minati perché chiunque non risponde alle
caratteristiche omologanti di “normalità” che questo modello pedagogico
sancisce è destinato a non essere accettato, riconosciuto e perciò felice. Ciò non
è accettabile, urge il grande cambiamento, il grande salto di qualità tanto
auspicato da molti cittadini del mondo.
1.2c Qualità della vita.
Oggi giorno assistiamo alla crescente necessità di rispondere alle sfide che la
complessità della società attuale ci pone quali: “lotta all’esclusione (della
diversità), alla marginalità e alla povertà, riconoscimento di pari diritti
nell’accesso all’istruzione, alla salute, miglioramento della qualità della vita e
sviluppo sostenibile”3. Per affrontare tali sfide è necessario che la società
odierna sia disposta a compiere un cambiamento dei propri paradigmi di
riferimento, i quali, attualmente, come abbiamo visto nel paragrafo precedente,
ruotano esclusivamente attorno alle logiche di mercato e perciò misurano la
qualità della vita con indicatori prettamente economici, riassumendo il
benessere soggettivo nell’equazione: felicità uguale ricchezza economica
(PIL). La qualità, ricondotta sostanzialmente ad un livello economico,
impregna le relazioni, l’istruzione, la formazione, l’educazione di logiche di
mercato che spesso e volentieri escludono chi non è idoneo ai criteri di
produzione e consumo. La logica di mercato è infatti fondata sugli imperativi
di efficacia ed efficienza che non tengono conto delle specificità di ogni uomo,
ma sanciscono con durezza la linea di demarcazione tra normalità e diversità,
abilità e inabilità, produttività e improduttività, che creano esclusione.
2
Franco Frabboni, (2006), “Educare in città”, Editori Riuniti, Roma, pag. 25.
Elena malaguti (a cura di), 2010, “Educazione inclusiva oggi? Ripensare i paradigmi di
riferimento e risignificare le esperienze”, Monografia, pag.25
3
13
Rivedere i paradigmi di riferimento della nostra società perciò, diviene un
passaggio necessario per porre le basi di una nuova società democratica
inclusiva in cui la qualità della vita si fonda su nuovi parametri più attenti alle
necessità degli uomini che del mercato. Essa dovrà essere aperta
all’accoglienza delle differenze e delle diversità individuali di ognuno, affinché
tutti possano partecipare e sviluppare a pieno il proprio diritto di cittadinanza
attiva, contribuendo alla realizzazione di una società democratica equa e
solidale.
Il tema della qualità della vita, è molto antico. Già Aristotele nell'Etica
Nicomachea ne ha parlato, usando il concetto di “Eudaimonia”, che in greco
significa "buon spirito" o felicità. Prima di lui, Platone aveva dedicato vari anni
della sua vita a organizzare praticamente il governo e la città perfetta. Ai due
filosofi greci si sono poi aggiunti lungo i secoli numerosi altri filosofi, religiosi,
sociologi che si sono cimentati a descrivere in dettaglio gli elementi necessari
per una comunità felice.
A riguardo della qualità di vita, l’uomo ha sempre cercato di individuare dei
parametri che ne permettessero una più chiara definizione.
Così, nel 1999, alcuni studiosi hanno creato una possibile classificazione di tali
indicatori raggruppandoli in tre macro-categorie:
-
Indicatori normativi: valutano l’efficacia delle scelte politiche;
-
Indicatori sulla soddisfazione individuale e/o felicità: valutano la
soddisfazione psicologica degli individui analizzando la realtà
soggettiva all’interno della quale vivono;
-
Indicatori descrittivi: valutano un insieme di variabili soggettive quali
indicatori di formazione e scolarizzazione “(quantità, qualità e
distribuzione della formazione, chi impara cosa, come, dove,
quando);occupazione
(struttura
dell’occupazione,
definizione
di
“occupazione” e “disoccupazione”)”4; energia (quantità e qualità del
consumo energetico e impatto ambientale);ambiente; diritti umani.
4
Carmelo Cannarella e Valeria Piccioni, Consiglio Nazionale delle Ricerche (a cura di)
“Dinamiche di Sviluppo ed Incremento della Competitività dei Territori Rurali” progetto 2004.
14
Questa classificazione ci porta a dimostrare come la qualità della vita sia
determinata da una molteplicità di fattori e non solo di quelli riconducibili al
PIL.
Il concetto di qualità è decisivo per definire gli obiettivi, per valutare e
significare le esperienze, per definire le aspirazioni e i progetti di vita di tutta
l’umanità, per fornire essenziali contributi anche nella definizione di politiche,
azioni e linee ispiratrici dello sviluppo. Il dibattito intorno alla qualità è molto
attuale, sia in contesti educativi che sociali e non è raro leggere su riviste inviti
a riflettere sulla qualità del cibo, del tempo o delle relazioni che abbiamo.
Il nuovo concetto di qualità della vita dovrebbe prendere in considerazione il
concetto di felicità. Sembra assurdo che il benessere di un individuo o di un
paese sia considerato esclusivamente sulla ricchezza posseduta e non sulla
felicità dei suoi cittadini.
La felicità sicuramente risulta essere l’indicatore più esplicativo del benessere
planetario, ma come afferma Robert Lane nelle società occidentali “il reddito,
l’istruzione, la salute e l’intelligenza sono costantemente aumentati negli ultimi
cinquant’anni, ma non hanno reso nessuno di noi più felice di prima”5. Anzi,
accade spesso, che persone che vivono in condizioni che giudichiamo
deplorevoli appaiono perfettamente felici a differenza di coloro che vivendo
nell’ozio spesso sono in situazioni di infelicità.
Da che cosa dipende allora la felicità?
Robert Lane sostiene che essa dipenda dalla socialità, in quanto il benessere di
un individuo dipende dall’approvazione del gruppo di appartenenza e della
società. Ne consegue che le aspettative sociali di standard di vita promosse
dalla società contemporanea siano prettamente economiche, come appartenere
ad uno status sociale elevato, possedere case di proprietà, svolgere un lavoro
remunerativo. Tali aspettative, creando pressioni sul soggetto, ne determinano
la possibilità di essere felice o infelice a seconda che possieda o meno le abilità
e le competenze necessarie per raggiungere gli standard di vita richiesti.
E’ necessario perciò che la società odierna ripensi i propri paradigmi di
riferimento per restituire all’uomo e al suo benessere la centralità, che in questo
ultimo secolo le logiche di mercato, hanno oscurato.
5
Nel Noddings, (2003), “Educazione e felicità. Un rapporto possibile, anzi necessario”, edizioni
Erikson, pag 47.
15
A tale proposito le logiche inclusive sembrano poter rispondere a questa
necessità di cambiamento, affermando l’importanza di valorizzare ogni
individuo e dare la possibilità a tutti di partecipare attivamente alla vita sociale.
L’inclusione rovescia l’idea di migliore o peggiore, di superiore o inferiore, di
ricco e povero, di idoneo o non idoneo restituendo pari dignità a tutti gli
uomini e concorrendo a creare una nuova società democratica fondata sulla
cooperazione, tolleranza, accoglienza, uguaglianza nella diversità.
Includere significa dare ad ognuno la possibilità di realizzare, all’ interno del
proprio contesto di vita, i diritti di libertà e di uguaglianza. Significa perciò
valorizzare le differenze e tutte le diversità considerandole come una sorgente
di ricchezza e come uno strumento valido per costruire un modello di vita che
permetta la “realizzazione dell’unità nella diversità”6. Includere vuol dire
offrire l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti cioè vivere in
condizioni di vita dignitose e di essere inseriti in un sistema di relazioni
soddisfacenti in modo che tutti, possano sentirsi parte della comunità sociale e
vivere inseriti in contesti relazionali in cui possono agire, scegliere e vedere
riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità. L’inclusione diviene pertanto
garante della valorizzazione di tutti gli uomini, e promuove la possibilità di
accogliere le differenze e le diversità individuali.
Perciò la sfida a cui è chiamata ad impegnarsi l’intera umanità è la creazione di
sistemi inclusivi che pongano le basi per una comunità accogliente.
1.3 Alcuni cenni storici sul processo d’inclusione dei disabili
L’integrazione della disabilità ha seguito un cammino lungo e tortuoso di cui io
ne ripercorrerò le tappe.
La diversità nell’uomo ha sempre suscitato paura, angoscia, preoccupazione,
inquietudine e repulsione, sentimenti a cui esso ha reagito con l’esclusione,
l’allontanamento da tutte le realtà sociali del “diverso” e il suo internamento in
6
V.Piazza, Trento, (1999) “Riflessioni sulla complessità dell’ integrazione e sui molti vantaggi
(per tutti) che porta con sé”, in D.Ianes, M. Tortello (a cura di), “Handicap e risorse per
l’integrazione. Nuovi elementi di qualità per una scuola inclusiva”, Erickson, pag 43.
16
strutture protette: “ la cultura occidentale proietta la paura della diversità sul
mondo, per circoscriverla e per tentare di rimuoverla o di controllarla”7.
Per molti secoli si sono protratte nei confronti dei “diversi” molteplici forme di
discriminazione, come l’etichettatura di “persone pericolose” da allontanare e
le forme di derisione per le loro difformità. Addirittura al tempo
dell’Inquisizione si era fatta strada l’idea del disabile come uomo sotto il
controllo del demonio.
Anche all’interno delle stesse famiglie, la nascita di un figlio “diverso”aveva
creato grossi problemi al punto tale da rinchiuderlo e isolarlo anche dalla vita
familiare o ponendo fine alla sua vita fin dalla nascita.
Nell’età moderna, invece, i soggetti “diversi” venivano internati in strutture
protette e controllati e trattati con uso di farmaci o mezzi di contenimento in
quanto il disabile era identificato con il malato. L’obiettivo era quello di
rieducare totalmente la persona, trasformandola. Questa forma di rieducazione
ebbe come conseguenza quella di portare l’attenzione dei medici a ricercare
esclusivamente le cause della loro malattia estraniandoli il più possibile dal
contesto sociale, affinché non potessero disturbare la società nella routine
quotidiana o creare disagi. L’emarginazione quindi era lo strumento
privilegiato per “curare” e “trattare” il diverso, il quale incontrava, come figura
professionale, solo il medico che lo trasformava in caso clinico su cui poter
studiare. Questa fase può essere definita della “medicalizzazione”.
Successivamente si assiste alla creazione di istituti destinati esclusivamente a
contenere persone emarginate, rifiutate, diseredate o con “handicap”. In questo
momento, i soggetti con disabilità, non vengono più trattati come casi clinici,
anche se vengono mantenuti isolati dalla società. Al posto della figura del
medico si ha l’educatore che è colui che rieduca attraverso il metodo della
punizione e del contenimento per migliorare o cambiare i problemi di coloro
che vengono definiti folli..
Ancora, al tempo degli istituti e dei manicomi, come si deduce, non si ha l’idea
della persona con disabilità come individuo portatore di risorse e ricchezze ma
come un soggetto privo di “valore” che bisogna trattare solo per un recupero
fisico o interiore.
7
Patrizia Gaspari, Milano, (2002) “Aver cura. Pedagogia speciale e territori di
confine”,edizioni Angelo Guerini, pag.27
17
Un cambiamento importante nella visione della diversità, si ha quando invece,
grandi personaggi, o meglio pedagogisti medici, come Itard, Seguin, Decroly e
Montessori portano una nuova visione del disabile e del “diverso” dando
origine alla Pedagogia Speciale.
E’ a partire da Itard che si fa risalire quindi il passaggio da uno studio
puramente medico ad un intervento più pedagogico e globale nei confronti
della persona disabile, ed è esso che parla dell’ ”educabilità” dell’individuo
anche in presenza di forti disabilità e si deve a lui l’importanza data alla
mediazione sociale nella crescita psicofisica del soggetto.
Seguin permette invece, il passaggio da una pedagogia focalizzata sul soggetto
ad una più incentrata sui contesti, sugli ambienti in cui il soggetto viene ad
agire e sui percorsi da intraprendere. L’obiettivo del percorso educativo è
pertanto quello di mirare alla socievolezza della persona nell’ambiente in cui
vive;
M. Montessori valorizza la dimensione del “fare da sé” del bambino e la
conseguente importanza dell’adulto nel fare da sostegno: per la Montessori
educare significa aiutare il bambino a tirar fuori la sua capacità auto educante
di cui è portatore;
Decroly, sottolinea “la necessità di individualizzare il percorso educativo per i
disabili e di legarlo ad una severa e approfondita valutazione funzionale delle
difficoltà dell’educando”8.
La Pedagogia speciale quindi è la scienza che ha come oggetto di studio la
disabilità. Essa si definisce come “pedagogia della complessità e della
diversità”9 finalizzata all’integrazione dei soggetti con deficit, handicap e con
bisogni educativi speciali.
- Con il termine deficit si indica la menomazione biologica che è la causa
dell’handicap.
- Con handicap invece si intende una situazione di svantaggio dovuta ad una
menomazione che “limita o impedisce al soggetto la possibilità di ricoprire il
ruolo normalmente proprio in base all’età, al sesso, e ai fattori culturali e
8
Luigi D’alonzo, (2010), intervento al Convegno SIPES “Integrazione delle persone con
disabilità.lo sguardo della pedagogia speciale”, pag 3.
9
P.Gaspari, Padova, (2001), “Un’ epistemologia per la Pedagogia Speciale”, in Studium
Educationis, (a cura di) A. Canevaro, “Pedagogia Speciale”, Ceda, n.3.pag.2
18
sociali. Lo svantaggio quindi proviene dalla diminuzione o dalla perdita della
capacità di conformasi alle aspettative o alle norme proprie dell’ambiente”10;
- Con il termine “bisogni educativi speciali” si intendono tutte quelle situazioni
non riconducibili a un deficit o a una disabilità, ma a forme di disagio sociale
come per esempio possono essere le situazioni degli immigrati, o di persone
che vivono in famiglie disagiate che forniscono scarse competenze etc…
Un obiettivo della Pedagogia speciale è la riduzione dell’handicap che viene
realizzato solo attraverso una socializzazione del deficit, ovvero attraverso la
creazione di una “cultura speciale” che porti un cambiamento nell’azione
comune, facendo sì che le attenzioni speciali diventino ordinarie, giungendo ad
un “pensare speciale”. La diversità quindi, acquisisce, anche grazie a questa
Pedagogia, un valore aggiunto, in quanto viene intesa come risorsa per tutti i
cittadini.
Si capisce come, nel corso del tempo, la percezione della figura del disabile sia
mutata permettendo così, intorno agli anni 60’, la messa in discussione dei
metodi educativi fino a quel momento utilizzati (punizione, contenimento,
isolamento, medicalizzazione etc…), che non avevano portato a nulla se non ad
un aumento della paura di tutto ciò che era diverso, rallentando e allungando
quindi i tempi di conoscenza di esso e della sua integrazione sociale.
La fase odierna, che parte da metà dello scorso secolo ad oggi, è caratterizzata
invece da grandi passi avanti nel senso dell’integrazione sociale, scolastica e
lavorativa del disabile e dell’abbattimento delle barriere architettoniche,
proprio perché è maturata la consapevolezza che è importante un suo ritorno
nei suoi luoghi di vita personali quali la famiglia, e una conseguente apertura
verso la società.
Le prime esperienze d’integrazione dei disabili nella società, realizzate in
Italia, sono da parte di associazioni tra cui la Comunità Papa Giovanni XXIII di
Rimini, fondata da
Don Oreste Benzi (1968). Comunità che opera
l’integrazione condividendo, all’interno delle case-famiglia, la situazione di
svantaggio dei disabili, costruendo con loro una nuova cultura in cui l’uomo
possa offrire i suoi “talenti”: come diceva Don Oreste Benzi “ nessuno è troppo
10
A.Canevaro, Milano,(1999), “ Pedagogia speciale. La riduzione dell’ handicap”. Bruno
Mondadori, p.11.
19
povero da non poter donare nulla e nessuno è troppo ricco da non aver bisogno
di ricevere”. Negli anni ’70 Don Oreste infatti , intuisce che “la persona ha
bisogno di relazioni significative, uniche, insostituibili che non possono essere
assicurate in un ambiente come quello dell’istituto dove vengono garantiti i
livelli assistenziali adeguati, ma non quelli di tipo familiare e parentale
garantiti da una figura paterna e materna. La famiglia aperta, allargata con i
bambini, i giovani, i nonni ed anche i diversamente abili risulta essere una
fonte di crescita armonica ed equilibrata per lo sviluppo psicofisico del
bambino. Una formazione all’alterocentrismo, alla solidarietà, alla gratuità
delle relazioni. Qui è realmente possibile una integrazione, dove chi prima
veniva istituzionalizzato a causa del suo handicap, oggi diventa protagonista di
storia, vivendo nelle realtà sociali dove ci sono tutti. Scuola, lavoro, tempo
libero.”11In queste realtà Don Oreste realizza davvero quell’integrazione che
oggi si richiede all’intera società.
E’ proprio grazie all’azione di sensibilizzazione e promozione del valore della
diversità ad opera della Comunità Papa Giovanni XXIII che si è giunti nel
1994 all’emanazione della legge 724 che sancisce la chiusura definitiva di
istituti e manicomi in Italia.
E’ sempre sul finire dello scorso secolo che viene modificato anche il termine
“disabile” trasformato in “divers-abile” (concetto rivisto dall’ ICF 2007 che
ritiene essere una definizione sbagliata concettualmente in quanto si afferma” il
rispetto per la differenza e l’accettazione di persone con disabilità come parte
della diversità umana”), proprio per sottolineare la presenza di abilità diverse
nel soggetto, e non una sola mancanza di competenze. Come dice infatti
Claudio Imprudente ( presidente del Centro di Documentazione Handicap di
Bologna) il “termine disabile obbedisce alla logica della staticità,
dell’immutabilità, la parola divers-abile sottolinea invece una positività.”12
11
Lessi V., Milano, (2008 ), “Don Oreste Benzi, un infaticabile apostolo della carità”,San Paolo
editore.
12
www.accaparlante.it (Claudio Imprudente)
20
1.4 Le logiche dell’inclusione come risposta concreta alla socializzazione del
deficit
La logica inclusiva, come abbiamo visto precedentemente, ha come obiettivo la
creazione di una nuova cultura, aperta e democratica, che valorizzi le
differenze e le peculiarità di cui l’individuo è portatore concependole come una
ricchezza da condividere. In questo modo ogni individuo troverà un terreno
fertile nel quale esprimere i propri e speciali “talenti”. L’inclusione proprio
grazie alla valorizzazione della diversità si pone esplicitamente contro qualsiasi
tipo di discriminazione che vede coinvolti soggetti diversi.
In questi ultimi decenni, si sono fatti grandi passi avanti nel riconoscimento e
nell’integrazione sociale del soggetto disabile, grazie a leggi, a movimenti
civili fondati sul volontariato, associazioni laiche e cattoliche, pedagogisti e
nuove pedagogie (pedagogia speciale).
E’ a partire dagli anni ‘60/‘70 che si considera l’importanza dell’integrazione
come valore da salvaguardare e da promuovere, che si comprende come essa
sia utile alla valorizzazione della vita umana e si incomincia ad agire per la sua
diffusione in tutti i contesti di vita: ecco che i disabili sono sempre più presenti
nella vita sociale, a scuola, nei supermercati, sui mezzi pubblici etc. tanto che
la loro presenza non fa più notizia, ma diventa fatto comune. Tutto ciò indica
che il lavoro svolto fino ad ora sta andando nella direzione giusta, quella di
garantire buoni livelli di qualità di vita anche per le persone con deficit.
Nonostante tale rivoluzione oggi si assiste, però, alla crescente esigenza
esplicitata dalle stesse associazioni, dalle famiglie, da insegnanti pedagogisti
etc. di creare una nuova società inclusiva e democratica che migliori la qualità
di vita di tutti i cittadini del mondo e specialmente di tutti coloro che non
vedono riconosciuti i propri diritti. Come denuncia, infatti, anche la
Convenzione ONU “nonostante questi vari strumenti e impegni, le persone con
disabilità continuano a incontrare ostacoli nella loro partecipazione alla società
come membri eguali della stessa e ad essere oggetto di violazioni dei loro
diritti umani in ogni parte del mondo”13.
13
G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura
di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson. (Preambolo)pag.176
21
A seguito della Convenzione ONU 2006 l’inclusione diviene l’imperativo degli
addetti ai lavori della nuova società democratica e il concetto di inclusione
entra con forza all’interno delle agende politiche italiane ed europee.
La Convenzione ha contribuito a compiere il significativo passaggio dal
concetto di integrazione al concetto di inclusione nella società dei soggetti
disabili (e non), denunciando l’imminente necessità di tale azione.
L’idea da essa promossa è rivoluzionaria, perché se prima si tentava in tutti i
modi di “inserire” i soggetti disabili all’interno di una realtà che si percepiva
“giusta”, oggi l’inclusione ripensa tale realtà in ottica evolutiva.
Il problema di inserimento del soggetto disabile nella società, infatti, era solo a
carico dell’interessato e non si prevedeva nessun coinvolgimento da parte delle
realtà sociali. Il soggetto così si trovava nella condizione di doversi “adeguare”
e modificare in base alle caratteristiche logistiche e organizzative della società:
l’integrazione era rivolta perciò solo alle persone disabili o portatori di deficit
ed era riferita a categorie speciali.
Oggi, invece, il concetto di inclusione diviene occasione per l’intera società di
ripensare e rivedere in chiave evolutiva la sua natura. Perché l’inclusione
valorizza la diversità e permette una valorizzazione delle caratteristiche di ogni
soggetto, trasformando così le nostre società in vere e proprie comunità
accoglienti che si modificano in base alle esigenze di tutti i suoi membri. Come
dice Silvia Tamberi: “l’entrata in scena della diversità e della disabilità è così
potente che scardina le consuetudini, richiede modificazioni e adattamenti sia
delle persone che entrano in relazione con essa, sia delle strutture, sia degli
ambienti.”14
L’inclusione per questo non è più un problema esclusivamente delle persone
con deficit, ma diviene occasione per tutti i cittadini di migliorare la propria
qualità di vita. Gli Stati Parti alla Convenzione Onu, al punto “m” del
Preambolo, riconoscono: “gli utili contributi, esistenti e potenziali, delle
persone con disabilità in favore del benessere generale e della diversità delle
loro comunità, e che la promozione del pieno godimento dei diritti umani e
delle libertà fondamentali e della piena partecipazione nella società da parte
delle persone con disabilità accrescerà il senso di appartenenza e apporterà
14
www.accaparlante.it ( articolo di Silvia Tamberi)
22
significativi progressi nello sviluppo umano, sociale ed economico della
società e nello sradicamento della povertà.”15
Quindi possiamo dire che l’inclusione riguarda tutte le persone o meglio la
condizione umana in generale.
Per ribadire la necessità di considerare la disabilità come possibilità della
condizione umana e non come uno “status” particolare, la Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ha inserito i diritti dei
disabili all’interno dei diritti umani sottolineando che:
“Combattere la disabilità non significa soltanto porre attenzione alla situazione
di alcune persone, ma promuovere la consapevolezza che ogni impegno per le
persone con disabilità è un impegno per tutti i cittadini, perché la disabilità è
una possibilità della condizione umana.”16
Includere vuol dire offrire ad ogni individuo l’opportunità di essere cittadino a
tutti gli effetti cioè vivere in condizioni di vita dignitose e di essere inseriti in
un sistema di relazioni soddisfacenti. Includere significa che tutti possano
sentirsi parte della comunità sociale e possano essere inseriti in contesti
relazionali in cui agire, scegliere e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la
propria identità. L’inclusione non nega il fatto che ognuno di noi è diverso e
non nega la presenza di disabilità o menomazioni, ma vuole spostare
l’attenzione dalla semplice analisi della persona e dei suoi deficit, all’analisi
del contesto in cui vive, cercando di individuare e rimuovere gli ostacoli che ne
impediscono una partecipazione attiva (approccio bio-psico-sociale ICF 2001
cfr. cap.2).
L’inclusione permette di combattere l’esclusione che fino ad ora le persone con
disabilità hanno vissuto e subito nel quotidiano e in diversi contesti quali: la
scuola, in cui il ragazzo spesso vive ai margini della classe; il mondo del
lavoro, che è sempre stato inaccessibile; il tempo libero, segnato dalla
solitudine tra le mura di casa. E’ importante perciò compiere uno spostamento
15
G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura
di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson. (Preambolo)pag.176
16
G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura
di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson. (Preambolo) pag.178
23
d’attenzione: curare il territorio per curare le persone andando oltre
l’erogazione dei servizi alla persona e promuovendo occasioni di dialogo e
confronto con la realtà sociali permettendo una socializzazione dell’handicap.
Grazie a questo cambiamento il territorio diviene destinatario di attenzioni
“educative” senza precedenti e co-protagonista in tale processo.
1.5 Alcune riflessioni sulla realizzazione dell’inclusione
Nel precedente paragrafo abbiamo evidenziato come in questi ultimi anni si
siano fatti grandi passi avanti nel ridefinire il concetto di disabilità in un ottica
inclusiva che grazie ad associazioni, pedagogisti, famiglie sta divenendo
sempre più una realtà diffusa. Ho ribadito quanto sia importante l’inclusione al
fine di garantire una cittadinanza attiva ad ogni individuo e come la logica
inclusiva diviene un occasione di crescita e miglioramento di tutto il tessuto
sociale: essa intende, infatti, intervenire nella disabilità attraverso il modello
bio-psico-sociale, promosso dall’ ICF 2007, che pone attenzioni educative
speciali sul territorio che ospita un soggetto disabile, dando un contributo
importante al miglioramento della qualità di vita di tutti i cittadini.
Trovare delle strategie per sviluppare logiche inclusive risulta essere molto
interessante, ma assai arduo in quanto, nonostante vi siano delle indicazioni
operative ben delineate, l’inclusione non è semplicemente il risultato di
procedure formali e standardizzate, ma è il frutto della creatività degli addetti
ai lavori, in quanto si può realizzare attraverso infinite pratiche che solo la
nostra fantasia può limitare. L’inclusione è nell’incontro, nel gioco, nello
studio, nella relazione, nelle procedure di inserimento lavorativo, nelle “leggi
ad doc”, in un saluto, in una amicizia. Insomma l’inclusione è possibile
realizzarla velocemente, tutti la possono promuovere, ma nello stesso tempo è
un processo sociale e culturale lungo, difficile da dirsi realizzato. L’inclusione
è un processo che pone l’accento sull’individuo con tutte le sue caratteristiche
personali irripetibili e sulla sua possibilità di partecipazione attiva alla sua vita
e alla vita sociale. Perciò qualsiasi attività che promuove tali obiettivi si può
definire inclusiva. Essa è riferita ad ogni individuo specialmente a chi viene
escluso ed emarginato.
24
La società, nel momento in cui si realizza l’inclusione, deve garantire i diritti
fondamentali di educazione, formazione e lavoro che si realizzano in sostegno
alla famiglia, scuola e inserimento lavorativo. Promuovere l’inclusione
significa perciò, migliorare qualitativamente la vita di tutti gli esseri umani, il
loro benessere, significa creare un mondo a misura di uomo, riconoscere
l’irripetibilità, irriducibilità e inviolabilità di ogni individuo, combattere
l’emarginazione e la discriminazione di uomini, significa creare un mondo più
“equo e solidale” attento ad ogni individuo.
Per realizzare l’inclusione a livello sociale sono necessari interventi volti a fare
superare le paure della diversità che tutt’ora permangono tra la gente comune.
Ciò deve quindi consentire di eliminare il principale ostacolo all’inclusione
sociale ovvero l’ignoranza e la conseguente paura del diverso. In tal senso sono
da sostenere e promuovere tutte le iniziative portate avanti da associazioni, enti
locali, famiglie a favore di una maggior conoscenza e dialogo tra disabilità e
“mondo sociale” come feste, meeting, open day di strutture, gare sportive etc…
L’impegno di ogni attore sociale, che intenda sensibilizzare l’opinione pubblica
su temi come l’inclusione dei soggetti disabili, deve rivolgersi alla creazione di
ponti tra disabilità e “normalità. La mia esperienza personale di educatore mi
ha insegnato che la relazione può divenire quel filo sottile che unisce le
diversità. Solo quando conosciamo, l’ignoto non ci fa più paura. Occorre agire
sul territorio creando situazioni che lo coinvolgano nella costruzione di
relazioni positive con la disabilità. Tali relazioni possono essere instaurate
tramite la costruzione di reti informali che pongano l’accento sulla ricerca di
un benessere comune dove ognuno possa trarne un giovamento e non sulla
condizione di disagio.
1.6 Il contributo significativo della Pedagogia
In questo momento storico di fronte alle sfide e ai cambiamenti attuali,
l’educazione sembra non riuscire più a definire i suoi contorni, i suoi obiettivi e
il senso del suo agire pedagogico. Il sentimento di incertezza che caratterizza la
contemporaneità, il parametro economico quale criterio di definizione di
modelli educativi e pedagogici rischiano di promuovere fenomeni, sentimenti
di esclusione e intolleranza. Oggi urge l’esigenza che la pedagogia riacquisti la
25
sua intenzionalità educativa e che scenda in campo per contribuire alle sfide di
questo secolo. Così il fine dell’educazione sarà quello di : “rendere le bambine
e i bambini capaci di divenire giovani adulti responsabili attivi, solidali,
cooperativi e in grado di contribuire a uno sviluppo ecologico equo e
sostenibile delle società trovando, in questo modo, il significato, lo scopo e la
felicità della propria esistenza individuale.”17
La Pedagogia può dare un grande contributo alla formulazione di modelli
educativo-formativi fondati su logiche inclusive solo se, come sostiene
Frabboni, sarà disponibile a rifondare le sue “canoniche” e polverose teorie
dell’educazione, basate su un modello occidentale di uomo standardizzato e
univoco: bianco maschio ricco sazio, per assumere delle ali Intercontinentali, e
ad essere una pedagogia a 360° che illumini la società e sia rivolta anche a una:
nera, femmina, povera e disperata. Per fare ciò la Pedagogia deve “avventurarsi
lungo altre frontiere epistemologiche capaci di elaborare teorie ermeneutiche
(teorie interpretative) in grado di porla all’interno della complessità e della
polidirezionalità del discorso educativo in una società complessa e in
transizione”18. Perciò la Pedagogia dovrà avere uno sguardo interculturale
aprendosi alle ibridazioni teoretiche e alle contaminazioni culturali.
L’attuale cultura di massa neo-liberalista, con il suo modello omologante, sta
mettendo in discussione il valore di qualsiasi forma di diversità e
compromettendo così la sua inclusione. Per promuovere il cambiamento
pedagogisti come, Paul Freire, Franco Frabboni, Nel Noddings 19, sono
concordi nell’affermare che il primo ambito in cui è necessario intervenire è la
formazione e nello specifico la formazione scolastica. E’ questo il luogo in cui
si formano e si sviluppano milioni di individui, i cittadini di oggi e di domani.
La formazione diviene così la sfida del Ventunesimo secolo che la Pedagogia
deve raccogliere a favore dell’inclusione.
Essa deve “essere in grado di rifornire le stagioni della vita sia di competenze
cognitive, intese come “formae mentis” (come capacità di ragionare con la
17
Elena Malaguti (a cura di) (2010), “Educazione inclusiva oggi?Ripensare i paradigmi di
riferimento e risignificare le esperienze”, Monografia pag.12
18
Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag.24.
19
Nel Noddings è Professoressa di education all’Università di Stanford ed è Presidente della
National Academy of Education.
26
propria testa), sia di sensibilità valoriali intese come testimonianza e impegno
collettivo sui grandi temi planetari di questa società complessa e del rischio: la
democrazia, la giustizia, la diversità, la cooperazione, la solidarietà, la pace”20.
Grazie a ciò nascerà “un mondo nuovo che si dovrà fare carico di un salto di
qualità per l’intera umanità. Un salto possibile se il suo modello di società
saprà essere rispettoso anzitutto della radice ontologica della vita. E poi dei
valori della libertà, della giustizia, della diversità, della dignità e del rispetto”21.
La formazione deve fondarsi, perciò, su alcuni imperativi:
-
Promuovere conoscenze e coscienze multiculturali aperte al diverso
combattendo l’etnocentrismo e gli stereotipi. Ciò è possibile solo se si
abbandonano modelli didattici chiusi come le tradizionali lezione
frontali, che imperversano in tutto il panorama scolastico italiano e non
solo, in cui l’allievo apprende passivamente delle conoscenze già
codificate da altri. Sarà utile invece promuovere apprendimenti attivi,
in cui il ragazzo diviene co-costruttore della propria conoscenza e
perciò della propria formazione. Questo tipo di apprendimento è più
orientato ai processi che ai prodotti e utilizza metodi didattici come la
ricerca-azione.
-
Favorire l’intercultura che è la paladina della diversità, perché
promuove la “compresenza di più modi di comunicare, di pensare, di
pregare e di sognare, significa mirare a un fecondo risultato
pedagogico”22. L’interculturalità crea una collettività disponibile a
concedere parte della propria cultura per accettare e interiorizzare
elementi culturali altrui. Questa pedagogia dell’alterità permette di
formare cittadini aperti al dialogo e alla contaminazione, capaci di
uscire da se stessi, entrare in altri mondi di pensiero e di valori
uscendone più arricchiti. L’interculturalità promuove, come dice
Frabboni, “città dell’amicizia”23 plurietniche, tolleranti e con un forte
clima democratico e aperto alla diversità.
20
Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pagg. 57-58.
Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag. 24.
22
Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag 59.
23
Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag 62.
21
27
A mio parere la nascita di una cultura democratica e sostenibile è
possibile
solo
se
ognuno
di
noi
acquisisce
una
coscienza
“interculturale” scegliendo di abbandonare i propri rigidi modelli
interpretativi che troppo spesso non rispettano chi è diverso da noi, ma
soprattutto le nostre personali caratteristiche che nella società neoliberale non possono essere accettate neppure da noi stessi
costringendoci a relegarle al nascondimento.
-
Perseguire l’interdisciplinarità.
Il modello di insegnamento/apprendimento di ispirazione deweyana si
declina
su
linee
culturali
trasversali
e
sistemiche
ovvero
interdisciplinari. Essa consente di comprendere la complessità della
realtà. Solo grazie ai diversi punti di vista è possibile tentare di
descrivere ciò che ci circonda, con le sue mille sfaccettature e con le
sue contraddizioni. Qui la diversità si rende protagonista a partire dalla
disabilità. La presenza in classe di un ragazzo disabile diviene vera e
propria possibilità di apprendimento di conoscenze nuove e speciali per
tutta la classe. L’apprendimento diviene multiplo, ognuno può
apportare il suo contributo. L’interdisciplinarietà evita di rimpicciolire
le ali larghe della cultura spesso ridotta in semplicistiche definizioni
ripetute come pappagalli dagli alunni, promuovendo, al contrario,
pratiche interdisciplinari che richiedono un ambiente didattico dalle
poliedriche modalità cognitive e socioaffettive a misura degli stili
cognitivi dei soggetti tutti e in particolare dei disabili. Grazie
all’interdisciplinarità la scuola si veste di un abito plurale. Rispettando
e valorizzando le diversità sia culturali che cognitive.
-
Sviluppare il pensiero plurale.
Grazie alla Interdisciplinarità e alla Multiculturalità infatti i ragazzi
acquisiscono la capacità di pensare con la propria testa, evitando
stereotipi e divenendo così i co-costruttori della propria formazione,
padroneggiando i processi che sono alla base dell’ apprendimento. Con
28
il pensiero plurale anche il concetto di conoscenza si modifica. Se fino
ad oggi, a scuola, si è data attenzione solo al micro-set della
conoscenza, ovvero ai quei saperi statici, definiti e acquisibili
mnemonicamente, perché utili e spendibili nel sistema produttivo, ora
diviene indispensabile che la pedagogia promuova il macro-set della
conoscenza, ovvero tutti quei saperi reali, carichi di tutta la loro
problematicità (es. teorie opposte e contrastanti possono essere tutte
giuste perché hanno punti di vista diversi dell’ oggetto), manipolabili
direttamente dal ragazzo. Questi ultimi infatti consentono al ragazzo di
sviluppare un apertura mentale utile alla creazione di “teste ben fatte”24
ovvero teste caratterizzate da autonomia intellettuale e da un pensiero
plurale.
Con il pensiero plurale si evidenzia che la conoscenza non è fissa, non è
statica, ma è frutto di una continua ricerca creativa perchè nel momento
che l’“io” apprende interviene creando un sapere nuovo. Ne consegue
che nessuno può sostenere di avere la conoscenza più “giusta” e che
ogni essere umano produce delle conoscenze valide, rispettabili e
uniche. Ogni individuo perciò grazie alla creatività produce saperi
irripetibili ed è sfida di educatori, pedagogisti, genitori e di tutto il
mondo sociale mettere in contatto questi saperi specialmente se
provengono da persone emarginate, deviate speciali.
-
Affinché
la
scuola
diventi
inclusiva,
occorre
promuovere
l’apprendimento cooperativo che valorizza la capacità di tutti e
promuove una cultura solidaristica. Ognuno porta i suoi talenti, ognuno
accoglie i contributi dell’altro al fine di formulare un sapere complesso
e socializzante. La scuola di oggi invece è improntata sulla
competitività, ovvero la “lotta di tutti contro tutti per essere il migliore
e affermare la propria supremazia”. La competitività oggi è promossa
dal culto neoliberalista del mercato, delle logiche di produzione e
consumo, e sta intossicando il panorama sociale e culturale. La scuola
perciò deve promuovere uno stile cooperativo che a differenza della
competitività promuove una crescita globale della persona, l’insorgere
24
Franco Frabboni, (2006), “Educare in città” Editori Riuniti, Roma, pag.45
29
di atti solidaristici e un conseguente impegno sociale. L’apprendimento
cooperativo
è un utile strumento per creare una umanità più
accogliente.
-
Obiettivo della formazione è creare quindi individui con “teste ben
fatte”, persone che sappiano essere “autonome” ovvero che sappiano
compiere delle scelte consapevoli per realizzare il proprio progetto
esistenziale personale, grazie ad uno zaino cognitivo che consenta loro
di combattere il soggetto-massa che la società odierna continua a
pubblicizzare in ogni angolo della terra.
-
La formazione deve inoltre promuovere l’etica solidaristica perché
l’essere umano è un essere in divenire per definizione e sin dalla sua
comparsa sulla terra è intervenuto su di essa prendendo decisioni,
scegliendo se essere a favore dell’etica o violarla. Oggi, invece, come
denuncia Paul Freire, il fatalismo neo-liberalista sta diffondendo l’ idea
che l’uomo non può più cambiare il mondo, e che per i milioni di
poveri che gridano la loro disperazione non si possa fare più niente. Per
questa ragione il pedagogista e “rivoluzionario” Freire sostiene che la
formazione deve prevedere anche formazione etica, solo così gli
individui potranno intervenire sul mondo e impegnarsi attivamente per
combattere le ingiustizie.
Con questa nuova idea di formazione è possibile sviluppare la società che
milioni di persone stanno aspettando.
1.7 L’educatore specialista dell’inclusione.
L’educatore è una figura professionale con il compito di agire nell’ambito dei
servizi socio-educativi ed educativi extrascolastici “mediante la formulazione e
l’attuazione di progetti educativi caratterizzati da intenzionalità e continuità
volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita
personale e di inserimento e partecipazione sociale, agendo sulla relazione
interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto
30
ambientale e sull’organizzazione dei servizi in campo educativo”25.
L’educatore professionale, perciò, diviene un tassello importante nel lavoro di
equipe dei servizi, poiché esso dà importanza all’intenzionalità nell’azione
educativa, alla capacità di agire con competenze e al “vivere con” l’altro. Tutto
ciò diventa quindi indispensabile per il raggiungimento dell’autonomia del
singolo, autonomia intesa come acquisizione di quelle competenze che mettono
l’individuo in condizione di progettare la propria vita
per realizzare
l’inserimento sociale e lavorativo.
Operare
come
educatore
professionale
significa
essere
“agente
di
cambiamento”, ovvero mettersi al “servizio del soggetto” apportando un
cambiamento significativo con la singola persona, nelle relazioni in cui è
inserito e negli ambienti in cui vive. Questo perché spesso una situazione di
disagio (spesso determinato da un handicap) può dare vita ad una
inadeguatezza delle relazioni interpersonali e sociali.
Per realizzare questo cambiamento l’educatore deve avere alla base della sua
azione tre imprescindibili requisiti:
-
Le competenze: metodologiche e cognitive
-
Le abilità: come capacità di saper fare, di intervenire
-
La riflessività necessaria per poter rileggere e valutare il lavoro
compiuto.
Tali requisiti si integrano tra di loro e permettono la realizzazione di percorsi
educativi di qualità.
L’educatore viene definito anche come operatore pedagogico, perché lavora sul
campo per conoscere la qualità della risorse e le problematiche presenti
nell’ambiente intervenendo con progetti educativi efficaci e personalizzati.
Il suo intervento è rivolto a :
-
Ridurre l’handicap attraverso una rimozione di tutti quegli elementi
ambientali, sociali, relazionali che possono costituire delle “barriere”
nell’agire e nella partecipazione sociale della persona.
25
M.Cardini e L.Molteni , (2003), “ L’educatore professionale. Guida per orientarsi nella
formazione e nel lavoro” Carocci Faber, Roma, pag.27
31
-
Favorire i processi di resilienza, intesa come la capacità di “resistere o
far fronte” a una situazione di stress o a una situazione negativa,
attraverso la messa in atto di meccanismi che permettono di trovare
possibili soluzioni, “vie di uscita”, e di riorganizzare positivamente la
propria vita.
Come afferma Michael Rutter la resilienza è “la capacità si svilupparsi
in modo accettabile a dispetto di uno stress o di un’avversità che
comporta normalmente il rischio di un esito negativo”26.
Si rende quindi necessario sviluppare le “determinanti della resilienza
quali la capacità di relazione, le competenze, l’iniziativa, la creatività,
la perspicacia, l’autonomia, il senso morale”27 affinché i “soggetti in
difficoltà”siano capaci di trovare soluzioni che gli permettano di
“rimbalzare”da una situazione di stress a una di tranquillità.
Quindi, lo strumento privilegiato del lavoro dell’educatore diventa la relazione
interpersonale che si viene ad instaurare con l’utente.
Qui i ruoli sono a-simmetrici e reciproci: l’A-simmetria non indica il ruolo di
autorità dell’educatore, ma il ruolo di guida e di punto fermo per l’educando;
la reciprocità si ha quando chi offre e chi riceve sono sullo stesso livello. Essa
implica che “l’altro sia il nostro riferimento”28 e ciò permette un’accoglienza
delle differenze e una disponibilità ad imparare dall’altro.
Quella che l’educatore instaura con l’educando viene definita “relazione di
aiuto e di cura”, perché come dice Carl Rogers “ha lo scopo di promuovere
nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità”29. Questa relazione presuppone
però una concezione positiva dell’uomo e delle sue possibilità di auto
trasformazione e di gestire in modo autonomo le proprie difficoltà una volte
che l’utente ha recuperato le capacità decisionali. L’educatore quindi deve
26
Elena Malaguti, (2005), “Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e
migliorarsi” Erickson, pag. 17
27
Elena Malaguti, (2005), “Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e
migliorarsi” Erickson, pag.18
28
Andrea Canevaro (2010), “Competenze professionali e sociali nella costruzione di processi e
percorsi inclusivi”, Monografia, pag.14
29
Enzo Catarsi (a cura di) (2005), “La relazione d’aiuto nella scuola e nei servizi socio
educativi”, Del cerro, Pisa,pag.10
32
permettere un processo di empowerment, ovvero un processo che porta ad
incrementare le capacità del soggetto.
Questa relazione di aiuto costringe l’educatore a mettersi in situazione di
ascolto e dialogo.
L’ascolto, che sarà ascolto attivo, permette di instaurare un efficace fiducia
reciproca predisponendo la comprensione dei pensieri delle preoccupazioni e
dei sentimenti degli altri ed implicando empatia, ovvero la capacità di mettersi
nei panni di un altro, di sentire, pensare e vedere il mondo come lui lo vede.
L’educatore, attraverso la tecnica del rispecchiamento verbale fa capire
all’utente di essere ascoltato e questo lo incoraggia ad instaurare una relazione
sincera e significativa.
Il dialogo, invece, è il vero strumento di cura e di aiuto perché attraverso esso
l’educatore e l’utente entrano in relazione, ma soprattutto iniziano a collaborare
e a lavorare intorno ad un progetto da creare insieme. Con il dialogo l’utente
capisce di essere riconosciuto dall’altro ed essere per questo valido ed
importante.
Il compito di educare quindi si può definire come un “formare”, un partecipare
in modo attivo al processo di autoformazione in cui il soggetto è il protagonista
e l’educatore è colui che sollecita e incentiva il cambiamento.
Gli obiettivi dell’intervento educativo possono essere riassunti in:

riduzione dell’handicap,

promozione della cittadinanza attiva,

integrazione sociale,

promozione delle risorse dell’individuo

raggiungimento dell’autonomia.
Per raggiungere tali obiettivi è necessario prevedere una sinergia di interventi
che l’educatore realizzerà nei vari contesti di vita dell’individuo a seguito di
una progettazione di equipe.
Nella pratica educativa è importate perseguire l’obiettivo dell’inclusione. Essa
è “la premessa indispensabile ad ogni possibilità di crescita e di sviluppo delle
potenzialità di ogni individuo, sia esso abile o disabile”30, ed è anche il passo
30
M.Gelati, ( 2006), “Pedagogia e integrazione. Dal pregiudizio agli interventi educativi”,
Carocci Editore, Urbino, pag.143.
33
necessario per ridurre le situazioni di svantaggio dalle quali derivano disagio e
marginalità nel soggetto.
34
2° CAPITOLO
IL CONTRIBUTO LEGISLATIVO A FAVORE DELL’INCLUSIONE E
INTEGRAZIONE DEI SOGGETTI DISABILI
2.1 Introduzione
In Italia, come accaduto in altri paesi Europei, l’attenzione sia delle istituzioni
pubbliche che della collettività nei confronti delle persone disabili è
progressivamente accresciuta nel corso degli ultimi decenni ed ha determinato
un notevole miglioramento nelle condizioni di salute, di vita autonoma e
d’integrazione sociale dei disabili.
Le vecchie politiche centrate sull’istituzionalizzazione e l’assistenzialismo,
sono state gradualmente superate da politiche sociali che hanno promosso le
pari opportunità e hanno delineato buone prassi realizzabili attraverso una
progressiva responsabilizzazione delle istituzioni, dell’associazionismo e del
privato sociale. Oggi la tutela e l’integrazione sociale delle persone con
disabilità sono riconosciute e tutelate anche in ambito legislativo.
Le leggi inizialmente avevano lo scopo di rispondere ai bisogni di assistenza
delle persone disabili, poi hanno cercato di dare risposta
alle crescenti
esigenze legate alla vita in famiglia e ai diversi contesti di vita quotidiana. Il
processo normativo che si è sviluppato nel corso dell’ultimo decennio è stato
segnato da traguardi raggiunti in ambito familiare, nell’educazione,
nell’istruzione e nel lavoro. I risultati raggiunti però non possono considerarsi
pienamente soddisfacenti, in quanto permangono delle “lacune” in diversi
settori e ambiti territoriali, che rendono indispensabile un’ulteriore sforzo
istituzionale.
Per compiere questo excursus lungo le leggi che si sono succedute nel tempo
seguirò un ordine cronologico, cercando di mettere in evidenza le differenze e
le evoluzioni apportate da ognuna di esse.
E’ a partire dagli anni ’60 e 70’ che vengono emanati i primi provvedimenti
legislativi a favore del riconoscimento della dignità sociale di tutti i cittadini.
-
E’ con la legge 482/68 ("Disciplina generale delle assunzioni
obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private")
35
che ha inizio il percorso di integrazione sociale per quelle categorie di
persone considerate “invalide” alle quali viene assegnato un posto di
lavoro obbligatorio, come recita il comma 1: “La presente legge
disciplina l’assunzione obbligatoria - presso le aziende private e le
amministrazioni dello Stato […] - degli invalidi di guerra militari e
civili, degli invalidi per servizio, degli invalidi per servizio, degli
invalidi civili, dei ciechi, dei sordomuti, degli orfani e delle vedove, dei
caduti in guerra o per servizio o sul lavoro, degli ex-turbecolotici e dei
profughi”.
-
La legge 118/71 ("Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5
e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili.") è la prima
norma organica sull’invalidità civile, in cui vengono create le
provvidenze economiche dell’assegno mensile e della pensione di
invalidità civile.
-
La legge 517/77 ("Norme sulla valutazione degli alunni e
sull'abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di
modifica dell'ordinamento scolastico") ha contribuito a favorire
l’integrazione sociale dei soggetti disabili e ha sancito l’abolizione, in
ambito scolastico, delle classi differenziate per i disabili, facendoli
rientrare nelle aule “comuni” in cui si attuano forme integrazione a
favore degli alunni portatori di handicap con la prestazione di
“insegnanti specializzati”. Un ulteriore cambiamento apportato da
questa legge è l’obbligo del docente di creare programmi diversificati
per i soggetti disabili.
-
Legge 180/78 ( "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e
obbligatori") ad opera del dottor Franco Basaglia ha introdotto
un’importante revisione degli ordinamenti sui manicomi e ha promosso
notevoli trasformazioni nel trattamento psichiatrico sul territorio.
Il dottor Basaglia denunciò l’effetto che il manicomio aveva sugli
internati: l’assenza del progetto di vita, la perdita della concetto di
36
futuro, l’essere costantemente in balia degli altri, il completo
annientamento della propria individualità causato dall’avere la giornata
scandita e organizzata su tempi dettati solo da esigenze organizzative.
Basaglia propose la chiusura dei manicomi, regolamentò il TSO
(Trattamento Sanitario Obbligatorio) creando servizi di igiene mentale
pubblica.
Questa legge aveva l’obiettivo di abbassare l’uso di terapie
farmacologiche e del contenimento fisico, instaurare una nuova
modalità comunicativa basata sui rapporti umani, riconoscere i diritti
dei pazienti e una vita di qualità.
Dagli anni ’90 ad oggi sono state emanate ulteriori leggi che andrò a
spiegare più nello specifico in quanto mi permettono di supportare la
mia argomentazione:

Legge 104 del 1992 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate”;

la Legge 162 del 1998 "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104,
concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap
grave"

Legge 68 del 1999 “Norme per diritto al lavoro dei disabili”

Classificazione dell’ OMS detta ICF del 2001 (Classificazione dello
stato di salute) che sostituisce la classificazione ICIDH del 1980;

“Convenzione delle nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilità”del 2006;
2.2 La legge 104/92 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate”
La legge 104/92 si pone come finalità:
 garantire “il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di
autonomia
della persona handicappata”
promuovendone la piena
37
integrazione in ambiti di vita specifici quali “la famiglia, la scuola,il lavoro
e la società”;
 prevenire e rimuovere “le condizioni invalidanti che impediscono lo
sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia
possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della
collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali”;
 perseguire “il recupero funzionale e sociale della persona affetta da
minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali” assicurando servizi e
prestazioni “per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni,
nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata”;
 predisporre “interventi volti a superare stati di emarginazione e di
esclusione sociale della persona handicappata”.
I soggetti aventi diritto a tali prestazioni sono riconducibili a tipologie precise
di persone ovvero a coloro che presentano handicap, agli stranieri e agli
apolidi.
Gli interventi da predisporre in favore di una piena integrazione nella società
devono essere realizzati in ambito familiare, scolastico, lavorativo e sociale.
Questi interventi, prevedono una sinergia di azioni tra i vari attori sociali
(Regioni, Comuni, Aziende sanitarie, Servizi sociali, scuole, Associazioni
etc…) in modo tale da tener conto della multidimensionalità della vita del
singolo al fine di promuovere una vera realizzazione del processo di inclusione
nella vita della collettività locale. E’ necessaria quindi: la “realizzazione di
programmi che prevedano prestazioni sanitarie e sociali integrate tra loro, che
valorizzino le abilità di ogni persona handicappata e agiscano sulla globalità
della situazione di handicap, coinvolgendo la famiglia e la comunità […]”31.
31
Legge 104/1992"Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate”, art.7.
38
La comunità quindi affiancata alla famiglia diventa “oggetto di osservazione”,
oggetto necessario per creare interventi ad ampio raggio: non sono più possibili
interventi limitati ad un ambito specifico di vita, come può essere la famiglia,
ora vengono richiesti interventi che permettano ad ogni ambito di fornire le
risposte adeguate alle esigenze individuali riducendo l’handicap.
L’obiettivo di fondo della 104/92 è proprio la realizzazione di progetti globali
condivisi come precisato all’articolo 7 sopra citato:
Il progetto globale si può intendere come una modalità di azione utile per
realizzare efficaci politiche di welfare locale, in quanto permette di individuare
i bisogni e le risorse da mettere a disposizione della persona disabile. In questo
modo è sul territorio nel suo complesso che si realizzano i progetti
individualizzati di integrazione sociale da parte degli enti locali. Non sono più
solo le figure specializzate o contesti speciali a lavorare a favore del disabile,
ma è la comunità sociale (comune, servizio sanitario e sociale, associazioni e
altri enti locali) che in prima persona partecipa e si impegna per integrare un
proprio cittadino. Il progetto personale perciò richiama ad una responsabilità
comunitaria e ad un impegno collettivo a favore della riduzione dell’ handicap
promuovendo così la piena e attiva cittadinanza dei soggetti. Il progetto globale
prevede una preliminare “presa in carico” del soggetto da parte dei servizi
presenti sul territorio di appartenenza. Essa è intesa come “il processo integrato
e continuativo attraverso cui deve essere garantito l’insieme degli interventi
coordinati sulle condizioni che ostacolano l’inserimento scolastico e lavorativo
che siano finalizzati a favorire la piena affermazione della personalità di ogni
individuo.”32 Gli interventi coordinati devono quindi influenzare le modalità e i
principi che sono alla base delle politiche socio assistenziali, sanitarie,
educative, formative ed occupazionali in modo tale da ridurre situazioni di
svantaggio delle persone disabili. Soltanto se i diversi enti locali sono disposti
a collaborare, si potrà realizzare un efficace progetto globale inclusivo. La
coordinazione delle azioni e la loro continuità durante tutto l’arco di vita
dell’individuo, sono le parole d’ordine degli interventi affinché si possano
garantire pari opportunità eliminando le discriminazioni sociali. Il progetto
globale deve tenere in considerazione tutte le stagioni della vita dell’individuo
32
http://www.ledha.it/allegati/SR_t_documenti/8/FILE_Documento.pdf (articolo di Danilo
Massi)
39
dando risposte specifiche come l’assistenza economica e psicologica, servizi
integrativi come centri diurni, soggiorni di vacanza, inserimenti lavorativi etc.
La legge 104/92 inoltre prevede:
In ambito familiare:

azioni volte all’informazione “per facilitare la comprensione dell'evento
e le possibilità di recupero e di integrazione della persona handicappata
nella società”;

azioni volte “ad assicurare la prevenzione primaria e secondaria in tutte
le fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del soggetto minore
per evitare o constatare tempestivamente l'insorgenza della minorazione
o per ridurre e superare i danni della minorazione sopraggiunta”;

forme di sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto
personale o familiare, strumenti e sussidi tecnici, prevedendo, nei casi
strettamente necessari e per il periodo indispensabile, interventi
economici integrativi per il raggiungimento degli obiettivi previsti;
In ambito scolastico ( per ogni ordine e grado):


Al bambino da 0 a 3 anni handicappato l'inserimento negli asili nido.
la creazione di una diagnosi funzionale, utile alla conoscenza dei punti
di forza e di difficoltà del soggetto, su cui poter poi predisporre un
piano educativo individualizzato, realizzato con la collaborazione dei
genitori, degli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado
di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la
partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico individuato
secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione;

l’istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni
staccate della scuola statale, a cui possono essere ammessi anche i
minori ricoverati nei centri di degenza, che non versino in situazioni di
handicap;
40

la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari,
socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul
territorio gestite da enti pubblici o privati;

la dotazione alle scuole e alle università di attrezzature tecniche e di
sussidi didattici nonché di ogni altra forma di ausilio tecnico necessari;

attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati;

la creazione, presso ogni circolo didattico ed istituto di scuola
secondaria di primo e secondo grado, di gruppi di studio e di lavoro
composti da insegnanti, operatori dei servizi, familiari e studenti con il
compito di collaborare alle iniziative educative e di integrazione
predisposte dal piano educativo.
In ambito lavorativo:
nella fase di preparazione al mondo del lavoro:

si prevede l'inserimento della persona handicappata negli ordinari corsi
di formazione professionale dei centri pubblici e privati garantendo agli
allievi handicappati, che non siano in grado di avvalersi dei metodi di
apprendimento ordinari, “l'acquisizione di una qualifica anche mediante
attività specifiche nell'ambito delle attività del centro di formazione
professionale tenendo conto dell'orientamento emerso dai piani
educativi individualizzati realizzati durante l'iter scolastico. A tal fine
forniscono ai centri i sussidi e le attrezzature necessarie.”

Si sottolinea come i corsi di formazione professionale debbono tener
conto delle diverse capacità ed esigenze della persona handicappata
che, di conseguenza,verrà inserita in classi comuni o in corsi specifici o
in corsi prelavorativi.

Agli allievi che abbiano frequentato i corsi è rilasciato un attestato di
frequenza utile ai fini della graduatoria per il collocamento obbligatorio
nel quadro economico-produttivo territoriale.
41

Le regioni disciplineranno l'istituzione e la tenuta dell'albo regionale
degli enti, istituzioni, cooperative sociali, di lavoro, di servizi e dei
centri di lavoro guidato, associazioni ed organizzazioni di volontariato
che svolgono attività idonee a favorire l'inserimento e l'integrazione
lavorativa di persone handicappate.
Nella fase di inserimento lavorativo:

in attesa di una nuova legge sul collocamento obbligatorio, tutti i
soggetti affetti da minorazione psichica, i quali abbiano una capacità
lavorativa che ne consenta l'impiego in mansioni compatibili alle
richieste lavorative, devono essere assunti in aziende o centri lavorativi.
In ambito sociale:
- per gli edifici

Si prevede l’eliminazione di tutte le barriere architettoniche, in quelle
opere le cui difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione
da parte delle persone handicappate;

Il Comitato per l'edilizia residenziale (CER) dispone che una quota dei
fondi per la realizzazione di opere di urbanizzazione e per interventi di
recupero sia utilizzata per la eliminazione delle barriere architettoniche
negli insediamenti di edilizia residenziale pubblica realizzati prima
della data di entrata in vigore della presente legge.

I piani sono modificati con integrazioni relative all'accessibilità degli
spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla
realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori
acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in
modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate.

La Cassa depositi e prestiti concede agli enti locali per la contrazione di
mutui con finalità di investimento, una quota almeno pari al 2 per cento
è destinata ai prestiti finalizzati ad interventi di ristrutturazione e
recupero;
42
- per il trasporto:

I comuni assicurano, nell'ambito delle proprie ordinarie risorse di
bilancio, modalità di trasporto individuali per le persone handicappate
non in grado di servirsi dei mezzi pubblici.

le regioni elaborano piani di mobilità delle persone handicappate che
prevedano servizi alternativi per le zone non coperte dai servizi di
trasporto collettivo

I piani di mobilità delle persone handicappate predisposti dalle regioni
sono coordinati con i piani di trasporto predisposti dai comuni.

L’ente ferrovie dello Stato dovrà provvedere a realizzare interventi per
l'eliminazione delle barriere architettoniche nelle strutture edilizie e nel
materiale rotabile appartenenti all'Ente medesimo

Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il
Ministro dei trasporti provvede alla omologazione di almeno un
prototipo di autobus urbano ed extraurbano, di taxi, di vagone
ferroviario, conformemente alle finalità della presente legge.

A favore dei titolari di patente di guida delle categorie A, B, o C
speciali, con incapacità motorie permanenti, le unità sanitarie locali
contribuiscono alla spesa per la modifica degli strumenti di guida;

Si prevede l’uso del contrassegno che deve essere apposto visibilmente
sul parabrezza del veicolo

I comuni assicurano appositi spazi riservati ai veicoli delle persone
handicappate, sia nei parcheggi gestiti direttamente o dati in
concessione, sia in quelli realizzati e gestiti da privati.
Questa legge segna una tappa importante in quanto è stata la prima “legge
quadro” che si è occupata della disabilità. Essa infatti riconosce la persona
disabile come detentrice di diritti, per la quale lo Stato dovrà prevedere misure
atte, a rimuovere le condizioni che creano una situazione di handicap, nel
momento in cui impediscono il raggiungimento dell’autonomia e la
partecipazione attiva del soggetto alla vita sociale.
La legge 104/92 ha saputo considerare la disabilità nella sua globalità,
mettendo in evidenza come l’integrazione sia possibile solo attraverso la
43
realizzazione di interventi attuati con la cooperazione dei diversi attori sociali
(Comuni, Servizi sociali e sanitari etc…). Tali interventi vengono realizzati
tenendo in considerazione i diversi ambiti sociali in cui il soggetto agisce:
famiglia, scuola, ambiente sociale, lavoro. Essa inoltre promuove l’idea che il
disabile debba rimanere nel suo contesto sociale prossimo, nella sua casa, nella
sua famiglia.
Soffermandoci, però, sulla definizione della persona con disabilità, notiamo
come essa viene definita: “ E' persona handicappata colui che presenta una
minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa
di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale
da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Tale definizione risente ancora della Classificazione dell’OMS del 1980
ICIDH, che pone l’accento solo sulla menomazione riducendo l’individuo al
suo deficit.
Infatti, il concetto di persona handicappata porta con sè una connotazione
negativa, in quanto la si definisce “per sottrazione”, cioè mettendo solo in
evidenza i deficit e la presenza di minorazioni che causano “difficoltà di
apprendimento, di relazione, di integrazione lavorativa”.
Questa visione dell’handicap, oggi è stata superata “dai nuovi paradigmi
culturali della disabilità”33 che spostano l’attenzione dall’handicap alla persona
come soggetto portatore di diritti umani e civili, perciò la disabilità viene
pensata come una “situazione di salute in un contesto sfavorevole”34.
La legge 104/92 viene modificata e integrata dalla legge 162/98 la quale
prevede:

la realizzazione di piani personalizzati per il soggetto con handicap di
“particolare gravità” (nel caso in cui ne venga fatta esplicita richiesta);

forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale come prestazioni
integrative a quelle già erogate dai Comuni (tali servizi verranno resi
dalle Regioni nei momenti in cui l’assistenza non sia fornita dai
Comuni, per esempio in certe ore della giornata e/o della settimana).
33
34
www.superando.it (articolo di Roberto Speziale)
www.superando.it (articolo di Roberto Speziale)
44
Così si mostra come sia proprio la società ( in questo caso rappresentata dalle
istituzioni) a farsi carico dei soggetti con disabilità, e si realizzi un
decentramento di competenze dalle Regioni ai Comuni, i quali collaborano al
fine di garantire i servizi.
2.3 Legge 68/1999 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”
Sempre a favore di una logica inclusiva e di partecipazione attiva delle persone
disabili si esprime la legge n.68 del 12.3.1999 recante: “ Norme per il diritto al
lavoro dei disabili” che compie una nuova interpretazione del welfare-state
maggiormente rivolto ai bisogni di questi cittadini. Pertanto tale provvedimento
intende l’inserimento o il reinserimento nel mondo produttivo di un soggetto
portatore di deficit come un percorso, un itinerario che parte dall’ individuo,
dall’analisi delle sue attitudine e competenze residue per passare poi al
contesto in cui il soggetto opera o potrebbe operare. L’obiettivo è riuscire a
tradurre le attitudini e capacità personali in abilità o competenze e far si che
l’ambiente sociale le riconosca e valorizzi. In questo modo le persone disabili
da utenti da assistere divengono soggetti che hanno diritto al lavoro, cittadini
da promuovere che possono e devono costituire una risorsa per la collettività.
La legge 68/99 si pone come finalità:

la promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle
persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di
collocamento mirato
E’ rivolta :
a) “alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche
o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una
riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento […]”;
b) “alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al
33 per cento[…]”;
c) “alle persone non vedenti o sordomute[…]”;
45
d) “alle persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per
servizio con minorazioni ascritte dalla prima all'ottava categoria[…]”
Essa prevede il collocamento mirato con il quale si intende:
“quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare
adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di
inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di
sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli
strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di
relazione.”
Le assunzioni obbligatorie devono seguire precise indicazioni:
“ I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze
lavoratori disabili nella seguente misura”:

7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;

2 lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;

1 lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.
Inoltre l’articolo 6 sancisce che:
“Gli organismi individuati dalle regioni […] di seguito denominati "uffici
competenti", provvedono, in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e
formativi del territorio,[…] alla programmazione, all'attuazione, alla verifica
degli interventi volti a favorire l'inserimento dei soggetti[...] nonché
all'avviamento lavorativo[…]e all'attuazione del collocamento mirato.”
All’articolo 13 :
Sono previste forme di agevolazioni contributive per le imprese “ estese anche
ai datori di lavoro che, pur non essendo soggetti agli obblighi della presente
legge, procedono all'assunzione di disabili.”
La legge 68/99
rappresenta una profonda innovazione nel
settore
dell’integrazione lavorativa dei disabili perché:
46
1) dà una nuova rappresentazione della persona disabile che da cittadino
da assister, diviene cittadino da promuover, in quanto si abbandona il
modello assistenziale della legge 482/68, a favore di un modello
integrativo che vede il disabile come soggetto con diritto al lavoro,
come cittadino da promuovere in quanto costituisce una risorsa per la
collettività;
2) si dà una diversa valutazione dell’invalidità. Attraverso apposite
commissioni emanate dal Ministero del Lavoro, vengono valutate le
residue capacità lavorative e le abilità dei soggetti al fine di creare
strumenti e prestazioni valide per il sostegno all’autonomia della
persona e il suo inserimento lavorativo;
3) con il “collocamento mirato” si pone attenzione alle caratteristiche
proprie del ragazzo e del posto di lavoro, agendo con azioni positive e
di sostegno, attraverso la rimozione dei problemi ambientali e
relazionali che ostacolano l’inserimento del disabile nell’ attività
lavorativa. Grazie a questo nuovo metodo si passa da una modalità di
inserimento impositiva ad una consensuale realizzata attraverso
l’individuazione di percorsi personalizzati volti ad aumentale le
capacità lavorative della persona e il livello di funzionalità e operatività
dell’ambiente lavorativo. Questa legge parte quindi da un approccio
integrato in quanto pone attenzione ad entrambi i soggetti interessati
all’inserimento mirato e cioè le persone disabili e il luogo di lavoro cioè
le aziende.
4) prevede una agevolazione contributiva per le imprese che intendono
percorrere il cammino dell’ inserimento lavorativo presso le proprie
aziende.
5) diminuisce la percentuale della quota di riserva da assegnare ai disabili,
in relazione al totale dei posti di lavoro, per le imprese di grandi
dimensioni, ma compie un estensione del ventaglio di imprese
destinatarie degli obblighi di assunzione allargandolo anche a quelle
che hanno tra i 15 e i 35 dipendenti. Tutto ciò al fine di garantire un
inserimento lavorativo più attento.
47
2.4 Modello ICF del 2001 & Convenzione ONU sui diritti delle persone con
disabilità (2006)
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2001, ha introdotto il
“Modello di Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità
e della Salute” denominato ICF, utile strumento per la ridefinizione del
concetto di disabilità e di realizzazione di risposte appropriate ai loro bisogni.
Il modello ICF è stato il risultato del processo di revisione del vecchio modello
ICIDH del 1980 promosso anch’esso dall’OMS, il quale fonda la sua
valutazione della disabilità su un modello prettamente medico e lineare che
considera la disabilità determinata solo da fattori patologici escludendo quelli
ambientali.
L’ICF è ritenuto uno strumento rivoluzionario perché:

Dà origine ad un nuovo approccio di analisi della disabilità.
Tale approccio è denominato bio-psico-sociale in quanto sottolinea
come la disabilità sia conseguenza di una molteplicità di cause che
interagiscono tra di loro e che possono essere ricondotte alle condizioni
di salute del soggetto (cause biologiche) e alle condizioni ambientali e
sociali in cui esso agisce. Da ciò ha origine l’approccio bio-psicosociale.
L’ambiente, con questo modello, diventa punto centrale di analisi per
agire nell’ottica della riduzione dell’handicap in quanto i suoi elementi
possono essere qualificati come “barriere”, nel caso in cui ostacolino
l’agire e le partecipazione sociale della persona, o come “facilitatori”
nel caso in cui le favoriscano. Si può quindi affermare che la disabilità è
un “rapporto sociale”35.

Il concetto di approccio bio-psico-sociale pone le sue radici nella teoria
ecologica di Bronfenbrenner. Essa evidenzia come lo sviluppo di ogni
35
G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura
di), Gardolo (TN),(2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove
prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson, pag 16.
48
individuo è il frutto dell’interazione tra “ambiente ecologico” (formato
da 4 sistemi ordinati ed inclusi una all’ altra) e il soggetto, ma la supera
e amplia il concetto di “sistema”. Se per l’autore tedesco la realtà può
essere raggruppata e semplificata in quattro sistemi concentrici
riconducibili ad una matriosca, l’approccio bio-psico-sociale, pur
sostenendo che la realtà è costituita da sistemi che interagiscono tra
loro, si rifiuta di compiere esemplificazioni schematiche e lineari. La
rappresentazione figurativa di tale approccio dovrà tenere presente la
complessità e la multidimensionalità della realtà.

La disabilità non è determinata solo dalle condizioni soggettive, perché
non è detto che a una menomazione corrispondano sempre e comunque
una diminuzione delle capacità del soggetto, ma anche dall’interazione
tra l’individuo e il suo ambiente. L’ICF, infatti, sostiene che
l’attenzione non può essere concentrata tutta sulla menomazione e sulla
condizione di salute, ma anche sulla vita della persona, sull’interazione
continua tra le persone e il loro contesto ambientale, psicologico e
sociale, tanto che con il termine disabile si indica “una condizione di
salute in un ambiente sfavorevole”. Infatti si afferma come, la salute di
un individuo influenza direttamente il suo contesto di vita (cambiando
le sue abitudini, le sue relazioni e il suo lavoro) così come questo
influenza la salute delle persone (in termine, per esempio, di
atteggiamenti, di barriere, o stress situazionale).
Grazie all’ICF, con il termine disabilità si indicano gli aspetti negativi
dell’interazione tra l’individuo e il suo ambiente. Questi aspetti negativi
comprendono le menomazioni fisiche, ma anche e soprattutto le
limitazioni dell’attività e le restrizioni della partecipazione sociale che
derivano dalla presenza di barriere ambientali. La grande rivoluzione
che il nuovo modello di classificazione del funzionamento della
disabilità e della salute apporta è l’idea che ogni persona, in qualunque
momento della vita, può avere una condizione di salute che in un
contesto sfavorevole diventa disabilità. Quest’ultima perciò non è più
un problema di un gruppo minoritario all’ interno di una comunità, ma
diviene esperienza che tutti, nell’arco della vita, possono sperimentare.
49

Il modello ICF, con questa nuova visione di disabilità, permette di
creare un nuovo paradigma di disabilità che fa compiere il passaggio
importante dal processo di integrazione a quello di inclusione sociale.
Questo processo permette di modificare anche le politiche sociali con
interventi volti all’eliminazione di forme di discriminazione, alla
rimozione di ostacoli e barriere che ne limitano la piena partecipazione
alla vita comunitaria. Non meno importanti sono le azione di
empowrement sociale e individuale, realizzate con lo scopo di
consentire il recupero della piena cittadinanza, delle capacità e delle
abilità personali che permettano ai soggetti di avere poteri decisionali
sulla loro vita.

L’ ICF è un valido strumento di progettazione dei percorsi individuali
di riabilitazione, di educazione, di lavoro delle persone con disabilità.
Tali progetti di vita vengono fatti da e con le persone con disabilità.

Ulteriori contributi offerti dall’ICF sono: a) il passaggio, sostenuto
dalla pedagogia speciale, dalle normative e dagli addetti ai lavori,
dalla definizione di che “cosa è la disabilità” al “chi sono le persone
con disabilità”, chiarimento necessario per progettare percorsi
individuali di educazione, riabilitazione, di lavoro delle persone con
disabilità; b) la creazione di un linguaggio standard che serva da
riferimento condiviso per la descrizione della salute e dei suoi stati,
affinché la comunicazione fra i diversi attori sociali quali, operatori
sanitari, insegnanti, ricercatori, amministrazione, popolazione sia
migliore al fine di realizzate i progetti individualizzati.
Il 13 Dicembre 2006 è stato approvata la “Convenzione delle Nazioni Unite sui
diritti della persone con disabilità”, convenzione che ha introdotto molte
trasformazioni culturali, sociali e politiche nel campo della disabilità. Il suo
scopo è quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno e uguale
godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con
disabilità. La convenzione riconosce che le persone con disabilità sono
discriminate e a causa dei pregiudizi, degli ostacoli e delle barriere che la
società gli pone, hanno mancanza di pari opportunità.
50
Per questo essa vuole proibire tutte le forme di discriminazione e garantire una
protezione legale contro le discriminazioni.
Di conseguenza gli Stati dovranno adottare tutte le misure legislative,
amministrative etc. al fine di abrogare qualsiasi legge, regolamento, pratica che
costituisca occasione di discriminazione.
Al fine di garantire i diritti dei disabili, la Convenzione ONU, inserisce i diritti
della persona con disabilità all’interno dei diritti umani facendo si che le
persone con handicap non siano più considerate come una “categoria speciale”,
ma che godano di pari opportunità in ogni ambito della vita.
Possiamo notare, però, come essa non dia una definizione esplicita e chiara del
concetto di disabilità, ma parli in modo più generale delle “persone con
disabilità”. Questo perché ancora, a livello internazionale, manca una unica e
condivisa definizione del concetto di “disabilità” (anche se l’ICF ne abbia
definita una). Definizione di difficile formulazione in quanto, per arrivare a ciò,
bisognerebbe spostare l’attenzione alla formulazione della differenza tra chi è
“normale” e chi “non lo è”. E come dice Matilde Leonardi a questo proposito:
“è utile porsi delle domande sull’uomo e riflettere sull’uomo “normale”, sul
tipo medio che è stato a lungo considerato, e per alcuni aspetti lo è ancora,
l’unico rappresentante a pieno titolo della razza umana”, modello a cui “ si fa
riferimento nella progettazione a qualsiasi livello, dall’urbanistica alla
legislativa”36.
Definizione quindi non semplice in quanto bisognerebbe elaborare un modello
comunemente accettato e che tenga conto anche delle differenze culturali.
Nonostante ciò all’articolo 1, la Convenzione, parla di persone disabili nei
termini di:
“coloro che presentano una duratura e sostanziale alterazione fisica, psichica,
intellettiva o sensoriale la cui interazione con varie barriere può costituire un
36
Matilde Leonardi, Lavis (TN), (2009), “Definire la disabilità e ridefinire le politiche alla luce
della Classificazione ICF” in “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Nuove prospettive per l’inclusione” G.Borgnolo,R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura,
R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura di ), pag.47
51
impedimento alla loro piena ed effettiva partecipazione nella società, sulla
base dell’uguaglianza con gli altri.”37
Tale definizione che rimane legata all’aspetto biologico della disabilità non
spingendosi oltre nel chiarimento di questa condizione, ma inserendola come
“parte della diversità umana”( art.3).
Comunque sia, la convenzione ONU vuole combattere tutti gli ostacoli, le
barriere e i pregiudizi che impediscono una cittadinanza attiva ai disabili
garantendo loro una progressiva inclusione sociale. Riqualifica il concetto di
cittadinanza che include anche quei soggetti che “in modo temporaneo o
permanente non sono in grado di rientrare nell’immagine classica del cittadino
come soggetto di diritti e di doveri”38. Promuove la consapevolezza che la
disabilità è una possibilità della condizione umana e perciò ogni cittadino è
chiamato ad impegnarsi per essa.
Riconosce, infine, il valore della disabilità e i contributi che essa può apportare
all’interno delle comunità in favore del benessere generale accrescendo il senso
di appartenenza e apportando progressi significativi nello sviluppo umano,
sociale ed economico della società.
A oggi sono 139 i paesi che hanno firmato la convenzione e già 50 l’hanno
ratificata( tra cui l’Italia). L’ONU inoltre ha istituito il comitato sui diritti delle
persone con disabilità per monitorare la sua reale applicazione nei diversi
paesi.
La convenzione ONU permette anche agli enti locali, Comuni Province e
Regioni di contribuire attraverso atti ufficiali che permettano alle associazioni
di persone con disabilità e ai loro familiari di applicare nei propri regolamenti,
nelle politiche e nei servizi i principi contenuti in essa.
Ora, possiamo riassumere schematicamente, i principi entro i quali la
Convenzione si muove:
37
G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura
di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson, pag.178
38
G.Borgnolo, R.De Camillis, C.Francescutti, L.Frattura, R.Troiano, G.Bassi, E. Tubaro (a cura
di), Gardolo (TN), (2009), “ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Nuove prospettive per l’inclusione”, Edizioni Erickson, pag.52-53
52
 Il rispetto della persona nelle sue scelte di autodeterminazione;
 La non discriminazione;
 L’integrazione sociale;
 L’accettazione delle condizioni di diversità della persona disabile;
 Il rispetto delle pari opportunità e dell’uguaglianza tra uomini e donne;
 Il rispetto dello sviluppo dei bambini disabili.
In questo capito capitolo abbiamo visto come le leggi in questi ultimi 20 anni
abbiano contribuito a delineare una vera e propria rivoluzione copernicana per
le persone disabili. Nel nuovo quadro legislativo è divenuto infatti prioritario
rimuovere innanzitutto le cause delle menomazioni, ampliare i confini dell’
autonomia individuale della persona disabile e lavorare su tutti i fronti alla sua
piena integrazione sociale e lavorativa.
Durante questo lungo percorso il concetto e l’approccio alla disabilità si è
evoluto: se ancora nella legge 104/92, si ha una definizione legata prettamente
al deficit e alla menomazione, per la quale si dispongono interventi integrati tra
loro e volti all’integrazione nei diversi contesti quali la famiglia, la scuola, il
lavoro e la società, con la legge 68/99 invece si intravede un mutamento di
paradigma. Si sviluppa l’idea che la disabilità possa divenire una risorsa per la
comunità. Il disabile da soggetto da assistere diventa soggetto che ha “diritto al
lavoro” per il quale si prevede una forma di collocamento mirato all’interno
delle aziende del territorio. In entrambe le leggi notiamo come la disabilità
viene considerata ancora come una categoria speciale.
Nel 2001 grazie al nuovo e innovativo “Modello di Classificazione
Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute” denominato
ICF, la disabilità viene definita come conseguenza di una interazione negativa
tra soggetto e ambiente e non è più determinata dal deficit. Perciò l’attenzione
viene spostata sui contesti di vita che possono porsi come “facilitatori” o
“ostacoli” allo sviluppo integrale del soggetto.
Con La convenzione ONU 2006, la disabilità diviene una possibilità della
condizione umana. Perciò la disabilità non è più prerogativa di un gruppo di
persone ben caratterizzate, ma può coinvolgere ogni essere umano colpito
nell’arco della vita da una perdita della salute o inserito in un contesto
53
sfavorevole. E’ per questo che i diritti dei disabili entrano a far parte dei Diritti
Umani in generale. L’ONU inoltre si impegna a combattere le barriere e i
pregiudizi che impediscono una cittadinanza attiva ai disabili garantendo
quindi una progressiva inclusione sociale.
54
3° CAPITOLO
IL CENTRO LABORATORIO PROTETTO G. LARUCCIA DELLA
COOP. LA FRATERNITA’ DELLA COMUNITA’ PAPA GIOVANNI
XXIII COME ESPERIENZA D’INCLUSIONE
3.1 La comunità Papa Giovanni XXIII
La Comunità Papa Giovanni XXIII, nasce intorno agli anni '60. I suoi membri
“per vocazione specifica, si impegnano a condividere direttamente la vita degli
ultimi, scegliendo di seguire Cristo povero, servo e sofferente, di rispondere
alla realizzazione del Regno di Dio, di partecipare alla missione di salvezza
della Chiesa. I membri della Comunità si impegnano nel sociale a rimuovere le
cause che provocano il bisogno, con un’azione non violenta, per un mondo più
giusto, divenendo voce di chi non ha voce.”39
Infatti, come abbiamo visto nel primo capitolo l’associazione Papa Giovanni
XXIII di don Oreste Benzi, dal 1968, si è battuta per il riconoscimento dei
diritti degli individui con disabilità attraverso campagne di sensibilizzazione e
di rimozione delle cause che creano ingiustizie come: chiusura degli istituti e
promozione
dell’integrazione
sociale,
battaglie
contro
le
barriere
architettoniche, battaglie per l’inserimento nel mondo del lavoro per garantire
il diritto all’occupazione.
Con il tempo nasce l’idea che i soggetti disabili possano partecipare alla vita
sociale attivamente, ognuno secondo le proprie abilità: nascono dunque le
cooperative sociali con l’obiettivo di eliminare le situazioni che portano e
favoriscono
l’emarginazione
delle
persone
disabili
promuovendone
l’integrazione sociale.
Per rispondere ai bisogni specifici degli individui, le cooperative sociali si
dividono in due tipologie:
•
Di tipo A, per rispondere ai bisogni socio-assistenziali ed educativi
delle persone svantaggiate che non sono ancora pronte o non possono
affrontare inserimenti lavorativi;
39
Comunità Papa Giovanni XXIII, Rimini, (2011) “ Carta di Fondazione, Statuto e direttorio”,
Editore Sempre, pag.19
55
•
Di tipo B, per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, creando
realtà anche in luoghi ove il lavoro è di difficile reperimento anche per i
normodotati.
Così, affinché le numerose cooperative della comunità potessero operare in
unità e sintonia si è dato origine il 24/06/1992 al “Consorzio Condividere Papa
Giovanni XXIII” che ha il compito di coordinarle, sostenerle e animarle.
L’obiettivo del Consorzio diviene quello di completare quanto avviato dalla
Comunità Papa Giovanni XXIII, per sostenere le iniziative riguardanti il lavoro
e l’inserimento in centri educativi, delle persone emarginate. Di particolare
importanza, è mettere in evidenza, come esso si fondi sul concetto, promosso
dalla Comunità, di “società del gratuito”40.
Infatti è grazie a questa società del gratuito che si sono venute a creare queste
realtà e le logiche che ne stanno alla base.
All’interno delle cooperative, troviamo i diversi centri diurni, i quali vengono
plasmati dalle linee fondamentali della comunità Papa Giovanni XXIII, che gli
danno forma e significato. L’obiettivo dei centri diurni, è quello di essere
luoghi
d’integrazione
eliminando
la
logica
dell’esclusione
e
dell’assistenzialismo. L’associazione afferma infatti che, il centro diurno debba
essere inteso come una piccola famiglia in cui quotidianamente si accompagna
la persona svantaggiata verso l’integrazione.
Il Centro Laboratorio Protetto (CLP) G.Laruccia, di cui io mi occuperò, è
gestito dalla cooperativa sociale “LA FRATERNITA’” a.r.l. che fa parte del
“Consorzio Condividere” nato all’interno dell’esperienza dell’Associazione
Comunità Papa Giovanni XXIII.
“La Cooperativa, è di tipo A e conformemente all’art. 1 della Legge 381/1991,
non ha scopo di lucro e si propone di perseguire l’interesse generale della
comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini
sviluppando fra essi lo spirito mutualistico e solidaristico.
Essa inoltre, si fonda su una visione dell’uomo che si rifà ai principi della
Chiesa Cattolica e si ispira ad una mutualità allargata, alla solidarietà, ad un
lavoro non basato sullo sfruttamento e alla priorità dell’uomo sul denaro e sul
profitto”41.
40
41
www.lafraternita.com
www.lafraternita.com
56
I Soci della Cooperativa, così, intendono perseguire questi scopi attraverso
l’incarnazione del Vangelo nella società, facendosi carico delle situazioni di
emarginazione, povertà e miseria, oppressione, sfruttamento e abbandono in
uno stile di condivisione diretta di vita con gli ultimi, facendo propria la
Vocazione e la missione che sono alla base della Associazione Comunità Papa
Giovanni XXIII.
La
coop.
La
fraternità,
come
dichiarato
nel
suo
sito
ufficiale
(www.lafraternita.com), si fonda sui seguenti principi pratici:
a) Centralità della persona;
b) Le persone svantaggiate diversamente-abili non siano oggetto d’assistenza,
ma soggetti attivi, tendendo al superamento dell’assistenzialismo;
c) Favorire lo sviluppo delle capacità specifiche di ciascuno ed a promuovere la
persona nella sua globalità, sviluppando tutte le potenzialità del soggetto;
d) Realizzare interventi personalizzati secondo i bisogni di ciascuno;
e) Sviluppare il più possibile il riconoscimento delle persone svantaggiate per
una partecipazione alla vita sociale ed una cittadinanza attiva;
f) Ricercare e rimuovere le cause che mantengono e creano svantaggio ed
emarginazione;
g) Sperimentare nel mondo del lavoro la così detta «società del gratuito».
3.2 Il Centro Laboratorio Protetto G.Laruccia
Il Centro Laboratorio Protetto Centro raccolta "G. LARUCCIA" è situato a
Camerano una frazione del comune di Poggio Berni (RN) presso via
dell’industria 7 e ha legale a Rimini in Via Valverde N°10/B.
La storia
Nei primi anni ‘80 all’interno della Comunità Papa Giovanni XXIII emerge il
bisogno di occupare e valorizzare la vita dei ragazzi con problemi psichici e
fisici che affollano le Casa Famiglia della stessa comunità. La Comunità, e
soprattutto
Giovanni
Laruccia,
membro
dell’associazione,
intuisce
l’importanza che il lavoro ha per la realizzazione della persona e la sua
integrazione.
57
Questa esigenza s’incontra con un’altra, altrettanto importante, e cioè quella di
raccogliere e riutilizzare materiali “scartati” favorendo un riciclo degli stessi.
Per questo, pensa di aprire un centro dove ridando vita a oggetti, indumenti
usati, si possa ridare valore (attraverso il lavoro) alle persone disagiate,
aiutandole a scoprire o riscoprire le propri abilità, facendoli divenire cittadini
attivi.
Così a Coriano (RN) presso la Casa famiglia Betania nasce quello che la
comunità battezzò “il Campo”: esso venne chiamato così, proprio perché,
inizialmente la raccolta e la selezione dei materiali avveniva in un campo
agricolo.
Dopo circa due anni si trasferisce a S. Aquilina (RN) dove comincia a
strutturarsi sia a livello di stabile, sia a livello organizzativo-educativo. Il
numero dei presenti aumenta di anno in anno e iniziano i primi inserimenti di
utenti da parte dell’USL.
Nel 1994 il Centro “il campo” entra a far parte della coop.”La fraternità’”,
grazie alla quale definisce in modo più preciso, gli strumenti e gli obiettivi
educativi. Successivamente,attraverso un processo di istituzionalizzazione di
tutta la coop “La fraternità’”, in accordo con l’USL, “il Campo” diviene Centro
Laboratorio Protetto Giovanni Laruccia.
Nel 1997 si trasferisce definitivamente in via dell’industria 7 a Camerano di
Poggioberni (RN). Qui all’attività di raccolta e selezione dei materiali si
aggiunge l’apertura di un punto vendita definito “mercatino dell’usato” che
oltre ad essere aperto al pubblico funge da magazzino della Comunità Papa
Giovanni XXIII, per sostenere i casi di bisogno segnalati dalle parrocchie e
dall’ USL stessa .
Il Centro ospita soggetti adulti con deficit psichici e fisici medio/lievi per i
quali non è stato possibile prevedere alcuna forma di inserimento lavorativo. Il
centro diurno può accogliere un numero massimo di 30 utenti, di entrambi i
sessi, senza una rigida e predeterminata suddivisione dei posti per soggetti
femminili e maschili. Attualmente presso la struttura vi sono 26 utenti di cui 5
non a retta. Inoltre dei 21 utenti 5 sono part-time, 7 provengono da casefamiglia dell’Associazione, mentre gli altri sono inseriti dall’USL di Rimini.
L’ammissione degli ospiti avviene su formale richiesta dell’Azienda USL di
residenza del soggetto al Responsabile del Laboratorio fornendo tutte le
58
informazioni utili alla conoscenza del caso. Il Laboratorio si impegna a fornire
risposta entro 15 gg. con motivazione scritta.
Una volta decisa l’accoglienza, il Laboratorio concorderà con il Servizio
dell’Azienda inviante la data e le modalità tecniche di inserimento. Più
precisamente gli inserimenti richiesti dall’AUSL prevedono un particolare
percorso. Come prima tappa si ha un preliminare incontro con l’assistente
sociale che ha in carico l’utente e insieme si valuta se l’ambiente e le attività
offerte sono adeguate al soggetto; successivamente l’utente, accompagnato
dall’assistente sociale e dai familiari, viene a visitare il CLP così che ci sia un
primo approccio; Quest’ultima fase preliminare è molto importante perché il
ragazzo verifica di persona se la struttura è confacente ai suoi interessi, a
seguito della quale si deciderà il suo inserimento o meno.
Le dimissioni dal CLP avvengono in seguito alla verifica, condotta dagli
educatori e dal Responsabile del Centro con la famiglia e con gli Operatori del
Servizio dell’ A.U.S.L. inviante, del raggiungimento degli obiettivi previsti o
della necessità di trasferimento ad altra struttura o realtà sociale più idonea.
Oppure quando la famiglia manifesti la decisione di dimettere il familiare per
motivazioni strettamente personali; in tal caso la famiglia stessa provvederà a
darne comunicazione al Servizio dell’ A.U.S.L. che effettuerà le valutazioni del
caso in accordo con il Centro.
Gli operatori che lavorano presso il CLP G.Laruccia assunti sono 9: si
dividono tra educatori e Operatori Socio Sanitari. Inoltre ci sono due soci
volontari che da circa 25 anni contribuiscono concretamente alla vita del
centro, 4 Volontari provenienti da percorsi di recupero dalla tossico dipendenza
e 1 Servizio civile.
L’idea del CLP G. Laruccia è svolgere attività che oltre ad avere un ruolo
educativo e riabilitativo abbiano anche finalità ecologiche.
Il CLP è una piccola realtà che è consapevole di come le logiche di mercato
che caratterizzano la contemporaneità, sono inique perché calpestano i diritti di
milioni di persone creando povertà ed emarginazione oltre ad arrecare danni
irreparabili all’ambiente. Perciò il campo vuole essere una realtà che propone
una nuova società, creata a partire dagli “ultimi”. Inoltre, il CLP dimostra che
per combattere queste logiche bisogna sviluppare la cooperazione, la
solidarietà, l’accoglienza, la tolleranza e la condivisione, ovvero bisogna
59
partire da una nuova logica che ponga l’uomo al centro del sistema economico
e sociale giungendo poi ad una valorizzazione delle diversità.
Il campo, nel concreto cerca di sviluppare questa nuova società tramite il
riconoscimento e la valorizzazione delle diversità dei disabili permettendogli di
partecipare attivamente alla loro vita ricoprendo un ruolo attivo in ambito
sociale e lavorativo apportando perciò il loro speciale contributo.
Inoltre, per opporsi alle logiche consumistiche, le attività che il centro svolge
possono essere definite ecologiche, in quanto si occupano di reimmettere nel
mercato oggetti, indumenti, mobili scartati dalla gente comune, ridandogli una
nuova vita evitando così che diventino ulteriori “rifiuti da smaltire”. Oltre a
questo, si svolgono attività di riciclaggio di toner e cartucce da stampa esaurite
e di carta proveniente da banche. Infine si porta avanti la raccolta differenziata,
che consente un riutilizzo dei materiali scartati.
Posso dire come, nonostante il nostro Centro sia una piccola realtà, essa vuole
rispondere a due grandi problemi che caratterizzano la contemporaneità:
l’esclusione di molte persone dal sistema produttivo e l’incombente problema
ecologico che è divenuto insostenibile.
La struttura
Il Centro Laboratorio Protetto è ubicato nella zona industriale di Camerano una
frazione di Poggioberni (RN). La strutture del centro è costituita da:
- Un punto vendita di 1000mq chiamato “mercatino dell’usato” aperto al
pubblico nei seguenti orari:
Lunedì, Martedi, Mercoledì, Venerdi dalle 9.00-12.30/ 15.00-19
Giovedì, Sabato 9.00-12.30
Il punto vendita è il “cuore” del CLP, ove gli utenti stanno per la maggior parte
del tempo e dove svolgono la maggior parte delle loro attività, come riordino
delle merci, pulizia ambiente, sistemazione del negozio e supporto ai clienti.
Il lavoro dei ragazzi all’interno del negozio è fonte di grande orgoglio, un
importante fonte di autostima. Lavorare non in un ambito speciale, ma
ordinario, come è un negozio, a contatto con gente esterna è una grande
occasione di inclusione. Ognuno apporta il proprio speciale contributo per
mantenere aperto il negozio, per vendere, per mantenere il proprio “posto di
lavoro”.
60
Il punto vendita è grande occasione di incontro tra i ragazzi e il tessuto sociale
prossimo: ogni giorno decine di clienti entrano in contatto con un mondo
nuovo, con abilità nuove, con relazioni simpatiche; ogni giorno i ragazzi
donano ai clienti questo nuovo mondo, questo nuovo modo di relazionarsi,
senza se e senza ma creando relazioni autentiche. I clienti entrando nel punto
vendita si incontrano con persone con le quali hanno ormai instaurato un
rapporto, una relazione, in alcuni casi anche una amicizia di vecchia data.
L’atmosfera del mercatino non è quella di un semplice negozio, gli articoli
sono gli stessi, ma la “diversità” fa la differenza. C’è un clima di festa, saluti e
abbracci sono all’ordine del giorno. Ogni ragazzo esprime se stesso, ciò che è,
tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti, il negozio diviene una grande famiglia in
cui i clienti e i ragazzi si relazionano, si raccontano le vicissitudini della vita e
a volte si aiutano. Osservo come problemi familiari di alcuni utenti diventino
preoccupazione di tutti, occasione di confronto. Non è raro vedere clienti che
seduti fuori dal negozio dialogano con i ragazzi e cercano di sostenerli
interessandosi ai loro problemi. In queste occasioni non so chi riceva di più, se
chi viene aiutato o chi aiuta.
Il CLP è un luogo che lascia spazio alle relazioni e chiunque sente il bisogno
di dialogare o scherzare trova qui “terreno fertile”, è il benvenuto, i ragazzi
accolgono tutti! Capita infatti, che diversi clienti soli, che hanno difficoltà
familiari e non hanno nessuno che li sostenga o che li ascolti, vengano ormai
regolarmente al CLP perché si sentono accolti.
Osservando quotidianamente questo incontro, tra la “società” e la “diversità”,
ho la possibilità di verificare con le mie mani come l’inclusione sia realizzabile
concretamente e come sia una risorsa per tutti.
Il punto vendita è il luogo “ad hoc” per l’inclusione perché consente agli utenti
di esprimere le proprie capacità e consente ai clienti di conoscere la bellezza
della diversità traendone giovamento.
Ogni tanto mentre svolgo le attività giornaliere, ad esempio carico mobili su un
camion di un cliente insieme ai ragazzi, mi guardo attorno e mi chiedo: “Ma
dov’è l’handicap?...Non lo vedi?... È li accanto a te, sta tenendo in mano un
pezzo di mobile!...Eppure io non lo vedo! Sono un ragazzo che sta caricando
un camion insieme ai propri colleghi, io ho il compito di organizzare l’attività
in modo che gli altri la possano svolgere adeguatamente, gli altri hanno il
61
compito di svolgerla”. Questa riflessione che ogni tanto riaffiora tra un carico e
l’altro, mi fa sempre pensare che l’handicap non esiste, si può solo creare: se
l’ambiente non accoglie e non rispetta i limiti di ciascuno di noi. Poi penso che
ognuno di noi è indispensabile: “Chi da solo potrebbe mai caricare un
camion?... Neanche il più efficiente degli operai!”.
- Un magazzino di 1000mq in cui vengono scaricate le merci in attesa della
cernita e dove vi sono aree autorizzate per lo stoccaggio di toner stampanti
esauste, carta, raee. Inoltre questo spazio funge da magazzino per la Comunità
Papa Giovanni XXIII per sostenere i casi di bisogno che incontra.
- Un ufficio di 20 mq che supporta a livello amministrativo tutte le attività del
Centro Laboratorio Protetto in cui lavorano diversi utenti che svolgono attività
di segreteria.
Il Centro Laboratorio Protetto è proprietario di tre mezzi da carico merci:
Ogni giorno tre camioncini, con a bordo un educatore e due utenti, escono dal
centro per recarsi a svolgere traslochi, sgomberi, ritiro materiale usato
(mobilio, oggettistica, vestiti) nelle abitazioni private; ritirare toner di
stampanti esauste, carta, presso banche, ditte private, pubblici uffici
convenzionati.
Descrizione della giornata
La vita del centro diurno si struttura attraverso orari precisi: dalle ore 9,00 alle
ore 17,00 tutti i giorni feriali secondo le seguenti modalità:
8,30-9,00 -
Arrivo degli utenti;
9,00-9,30 -
Accoglienza e comunicazione del programma e delle attività;
9,30-12,30 -
Attività lavorative;
12,30-13,00 - Pausa pranzo;
13,00-13,45 - Riposo;
13,45-14,00 - Preghiera per chi lo vuole;
14,00-16,45 - Attività lavorative e pulizie locali;
16,45-17,00 - Merenda;
17,00 -
Rientro e chiusura del laboratorio.
62
Il sabato previo accordo è possibile l’accoglienza dalle ore 09,00 alle 12,30
Durante questo orario si svolgono anche le altre attività di animazione socioriabilitative interne ed esterne. Queste attività vengono proposte agli utenti in
base alle loro esigenze o bisogni personali, e vengono realizzate all’interno di
piccoli gruppi insieme agli operatori.
Il centro chiude alla frequenza degli accolti in occasione delle festività
riconosciute.
Si prevede per gli utenti la possibilità di due settimane di ferie che vanno
concordate fra le parti.
All’interno delle proprie Attività, il laboratorio organizza una settimana di
vacanza in località climatica, in cui educatori e utenti possono continuare,
essendo presenti a tutti gli effetti, il percorso educativo in modo meno formale.
Finalità del centro diurno
In relazione alle finalità proprie della struttura, il Laboratorio Protetto,
persegue i seguenti obiettivi:
•
Offrire ospitalità diurna e assistenza qualificata ad ogni singolo utente,
attraverso interventi mirati e personalizzati atti all’acquisizione e/o al
mantenimento di capacità comportamentali, cognitive e affettivo relazionali.
•
Considerare ogni utente nella sua globalità, pur mirando a rilevarne le
potenzialità specifiche e a finalizzarle in attività riabilitative atte a
creare nuove forme di comunicazione e di linguaggio.
•
Sostenere e supportare le famiglie, favorendo la permanenza del
portatore di handicap nel proprio nucleo familiare.
•
Perseguire l’integrazione sociale degli utenti, sia attraverso il punto
vendita aperto al pubblico che sorge nella stessa struttura in cui ha sede
il centro e attraverso le diverse attività lavorative che si svolgono nei
paesi circostanti. Inoltre la frequentazione di strutture esterne a carattere
sportivo e sociale divengono un ulteriore occasione d’incontro.
63
Tali obiettivi vengono realizzati all’interno del Centro Laboratorio Protetto
attraverso un approccio multifattoriale, ovvero attraverso la compresenza di
azioni educative realizzate a diversi livelli, che consentano di rispondere in
modo globale al bisogno di inclusione del soggetto. L’inclusione perciò si
realizza attraverso:
- la creazione di una relazione educativa educatore-utente fondata su precisi
principi;
- Progetti Educativi Individualizzati, realizzati a partire da una messa "al
centro" della persona nella sua globalità, partono da una preliminare
osservazione delle sue capacità e dei suoi interessi, mettono in evidenza i
deficit e gli handicap per poter formulare interventi volti ad una loro riduzione.
I PEI vengono poi realizzati tenendo conto del contributo proveniente dalla
famiglia e dai servizi;
- attraverso attività che permettano un continuo dialogo e confronto con il
contesto sociale a loro vicino come: 1) attività socializzanti, che consentono
agli utenti di vivere momenti di festa. 2) attività di animazione socioriabilitative. 3) attività occupazionali-lavorative che consentono una messa alla
prova in ambito lavorativo, acquisizione di competenze lavorative etc.
3.2a La relazione educativa
Una buona relazione educativa parte da una buona professionalità degli
operatori.
L’equipe del centro cerca di creare la base per una comunicazione e relazione
autentica di condivisione, mettendo la persona nella condizione di poter
contribuire nel contesto circostante. L’integrazione si sviluppa attraverso la
creazione di una relazione attenta alla persona, pronta ad accogliere i suoi
momenti di benessere e malessere. Non a caso, operare come educatore,
significa essere “agente di cambiamento”, ovvero mettersi al “servizio del
soggetto”, con le proprie competenze, abilità e riflessività per apportare un
cambiamento significativo con la singola persona nelle relazioni in cui è
inserito e negli ambienti in cui vive.
La relazione così, diviene il cardine dell’intervento educativo la chiave che
consente di creare una fiducia reciproca tra educando ed educatore. La volontà
del Centro infatti è quella di : "portare gli utenti ad un incontro con le parti
64
positive della propria persona attraverso l’incontro e la relazione con figure
positive e significative che siano in grado di far vivere all’utente rapporti
individualizzati in cui sentirsi amati gratuitamente.”42 Questo perché pensiamo
che ogni persona rappresenti un valore imprescindibile ed inalienabile al di là
dei propri limiti, delle proprie capacità o condizioni psico-fisiche e la
consapevolezza di ciò la si riesce a far acquisire attraverso l’esperienza
dell’amore: sentirsi amati per poter amarsi ed amare.
Nella relazione, ricercata e favorita, tra utenti e operatori, le persone si sentono
scelte, si sentono volute bene e questo perché gli educatori condividono
quotidianamente con loro la vita. Inoltre, questa relazione, che si esprime nel
portare avanti insieme (utente operatore) le responsabilità e i compiti assegnati,
è, a mio e nostro avviso, essenziale nel cammino di ricostruzione della
personalità degli utenti.
Durante la mia pratica da educatore sperimento ogni giorno che la relazione è
davvero la base di ogni rapporto umano in generale ma anche, nello specifico
del Centro, base di ogni progetto educativo volto all'inclusione sociale.
Affinché però si instauri una relazione proficua, è necessario che l’educatore:
sia interessato all’educando; nutra nei suoi confronti stima dimostrandola
attraverso l’accoglienza incondizionata; abbia chiara la sua mission educativa;
nutra passione per il suo “lavoro” in modo tale da diventare un ricercatore
instancabile e voglioso di scoprire e ricercare le cause che creano ingiustizie
(ovvero tutti quegli elementi sociali, ambientali, relazionali che sono fonte di
handicap) per combatterle.
Molto importante per l'istaurarsi di una proficua relazione educativa è il
dialogo. Nonostante le attività lavorative del CLP debbano rispettare dei tempi
di produzione ben precisi, noi operatori, consapevoli dell’importanza del
dialogo nella relazione educativa, utilizziamo il momento delle attività, i
momenti di pausa, del pranzo per confrontarci, ascoltare i problemi, le
aspirazioni, le speranze dei ragazzi e dialogare con loro. Spesso sono proprio i
momenti informali che ci consentono di creare una relazione significativa con
il ragazzo e una sua conseguente apertura: con il dialogo l’utente capisce di
essere riconosciuto dall’altro ed essere per questo valido ed importante. Il
dialogo è il vero strumento di cura e di aiuto perché attraverso di esso si entra
42
www.lafraternita.com
65
in relazione, ma soprattutto iniziamo a collaborare e a lavorare insieme al
ragazzo intorno ad un progetto da creare insieme progettando il futuro e i passi
da compiere.
Per sviluppare un dialogo proficuo è necessario però porsi in condizione di
ascolto. In particolare l'ascolto attivo mi permette, attraverso il rispecchiamento
verbale, di instaurare un efficace relazione di fiducia reciproca predisponendo
il ragazzo a parlare dei pensieri delle preoccupazioni e dei sentimenti, delle
aspettative
dei
bisogni
o
difficoltà
che
vive,
rielaborandoli
contemporaneamente. Quando si parla però dei vissuti dei ragazzi, è bene dire
come si cerca continuamente di sviluppare in loro quelle "determinanti della
resilienza"43 che gli permetteranno di essere resilienti di fronte a situazioni di
stress, come la capacità di relazione, la creatività, l'autonomia etc...tutto ciò
passando anche attraverso il dialogo.
Tutto questo implica empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni di un
altro, di sentire, pensare e vedere il mondo come lui lo vede. L’ascolto e il
dialogo sono quindi due strumenti eccezionali di inclusione in quanto oltre a
permettere l’instaurarsi della relazione di cura che promuoverà lo sviluppo di
un progetto educativo, hanno grande rilevanza per l’inclusione perché
sanciscono il primo passo per il riconoscimento del soggetto il quale penserà
che
“se tu dialoghi con me allora esisto” e “se io esisto allora posso
partecipare attivamente insieme a te”.
Tutto questo diventa reale nella misura in cui noi riconosciamo al disabile un
ruolo nella società e cerchiamo in tutti i modi di metterlo nelle condizioni di
poterlo portare avanti con le sue abilità.
Inoltre, ogni giorno nel CLP tentiamo di favorire un processo di empowerment
nel ragazzo, ovvero un processo che porta ad incrementare le sue capacità
attraverso le attività lavorative e ricreative, perché le abilità presenti sono il
primo passo per acquistare autostima e fiducia in sè stessi. Quindi nella
relazione con l'utente siamo molto attenti a cogliere tali abilità e a lavorare per
un loro potenziamento o per un loro sviluppo.
43
Elena Malaguti, (2005), “Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e
migliorarsi” Erickson, pag 18.
66
Una caratteristica del Centro Laboratorio protetto è che gli educatori sono tutti
membri della Comunità Papa Giovanni XXIII e per vocazione scelgono di
vivere la “condivisione”.
Ovvero come scritto nella Carta di Fondazione dell’associazione, approvata il
25 marzo 2004 dal Pontificio Consiglio per i laici: “i membri della Comunità
per vocazione specifica s’impegnano a condividere direttamente la vita degli
ultimi (di tutti coloro che il mondo attraverso le sue logiche inique emargina);
cioè mettendo la propria vita con la loro vita, facendosi carico della loro
situazione, mettendo la propria spalla sotto la loro croce, accettando di farsi
liberare dal Signore attraverso loro […]modificano il modo di gestire la
famiglia, la professione, […] l’uso del denaro, il tempo libero”44.
La condivisone perciò mette in evidenza due aspetti pedagogici molto
importanti nella professione dell’educatore che all’interno del centro cerchiamo
di sviluppare: il primo è individuabile nella frase sopra scritta “farsi liberare
[…] attraverso loro”. Con questa affermazione, che non è rivolta solo ai
credenti ma direi essere un fondamento pedagogico, si vuole dire come grazie
alla relazione con l’altro, attraverso i suoi pregi e difetti, io (educatore) posso
liberarmi dai miei pregiudizi, dalle mie certezze che mi impediscono di
comprendere a pieno l'unicità dell'altro, giungendo a dire, come dice Canevaro
"che la nostra impreparazione a volte è totale"45 e che "l'altro è il nostro
riferimento"46 da cui possiamo imparare qualcosa di nuovo. In questo modo
realizziamo la reciprocità.
Il secondo aspetto indispensabile è avere la consapevolezza che l'incontro con
l’altro ci modifica nel profondo. Infatti è chiaro oramai come i nostri ragazzi
abbiano dentro di loro dei "doni”, delle proprie specificità che se accolte e fatte
proprie divengono anche per noi educatori “agente di cambiamento”nella
nostra vita, ovvero ci portano a modificare "il modo di gestire la famiglia, la
44
Comunità Papa Giovanni XXIII, Rimini, (2011) “ Carta di Fondazione, Statuto e direttorio”,
Editore Sempre, pag.19
45
Andrea Canevaro (2010), “Competenze professionali e sociali nella costruzione di processi e
percorsi inclusivi”, Monografia, pag 16.
46
Andrea Canevaro (2010), “Competenze professionali e sociali nella costruzione di processi e
percorsi inclusivi”, Monografia, pag14
67
professione, … l’ uso del denaro, il tempo libero” guardando tutto con occhi
diversi.
La condivisione quindi diviene la strada maestra per poter realizzare un
percorso di inclusione, in quanto il disabile si sente accolto e parte di un mondo
che riconosce la sua ricchezza e che vuole il suo "speciale contributo" per
realizzare una società più equa e giusta, più "a misura di uomo."
La condivisione per poter essere tale però richiede un impegno che va oltre la
dimensione lavorativa o comunque va oltre il tempo passato insieme ai ragazzi
al Centro. Se davvero si vuol condividere la vita "con gli ultimi", e si vuole
realizzare quell'inclusione globale, il nostro impegno continuerà anche nei
giorni di festa, nei giorni di ferie, giorni in cui il nostro pensiero potrà, per certi
istanti, essere rivolto a mantenere un possibile contatto (anche solo telefonico)
con quei ragazzi che sono soli o che non hanno amici con cui svagarsi, e che
potrà portarli a condividere con le famiglie degli operatori, delle uscite o delle
feste come per esempio può essere il "capodanno". Infatti l'inclusione si
realizza anche attraverso le scelte, lo stile di vita e le parole che si dicono,
anche da una semplice telefonata il ragazzo si sentirà "tenuto in
considerazione" e pensato e ciò gioverà al suo benessere psicologico.
La condivisione quindi richiede un interrogarsi continuamente se si può fare
qualcosa per "alleviare" sentimenti di solitudine o di tristezza che alcuni
ragazzi possono provare quando tornano a casa, proprio perché spesso i
familiari sono anziani e faticano a organizzare uscite o svaghi, relegandoli in
casa.
Certi quindi del valore della reciprocità e spinti dalla vocazione a vivere la
“condivisione” gli operatori della struttura cercano, ognuno con le proprie e
personali caratteristiche, di vivere al meglio questa relazione volta
all'inclusione dei ragazzi.
3.2b Il Progetto Educativo Individualizzato
Anche il
Progetto Educativo Individualizzato fa parte di quel percorso
realizzato a favore dell’integrazione sociale. Attraverso di esso si mostra tutto
l’interesse e l’attenzione che una particolare realtà sociale in cui il soggetto
vive, ha su di esso. Infatti il PEI per essere tale deve avere alla sua base il
68
concetto del prendersi cura totalmente di una persona. Con ciò non si vuole
sottolineare l’incapacità del soggetto di sviluppare il proprio progetto di vita,
ma si vuole evidenziare un'intenzionalità educativa volta ad aiutare e a
facilitare l’interazione, l’inclusione del soggetto con l’ambiente.
L’equipe del CLP in occasione dell’inserimento di un nuovo utente, o durante
lo svolgersi di un Progetto Educativo Individualizzato, compie una
osservazione dello stesso, mediante documenti ufficiali, al fine di prendere atto
del deficit e progettare un PEI che miri a ridurre l’handicap attraverso una
riduzione di tutti quegli elementi ambientali, sociali, relazionali che possono
costituire delle “barriere” nell’agire e nella partecipazione sociale della
persona.
Al centro di questo progetto c’è la persona con la sua disabilità, con i suoi
rapporti familiari, con i suoi interessi, con le sue abilità e potenzialità e
l'obiettivo a cui si vuole giungere è lo sviluppo del benessere psicofisico del
soggetto realizzato attraverso la formulazione di percorsi aderenti alle sue
caratteristiche a quelle dell’ambiente.
Questo valido strumento d'integrazione è continuamente sostenuto e aggiornato
dagli educatori del centro, dal servizio territoriale e dalla famiglia: in questo
modo si dimostra così come l’interesse per il singolo provenga da più parti, da
più attori sociali i quali si fanno carico di trovare soluzioni in ogni ambito
d'azione.
Specifico che i rapporti con la famiglia del soggetto possono essere tenuti per
via telefonica, attraverso incontri organizzati presso il Centro, incontri
domiciliari, incontri di gruppo, feste organizzate, gite o vacanze organizzate.
Nell’ambito della frequenza, è riconosciuta ai familiari la possibilità di
osservare il figlio/a durante lo svolgimento delle attività educative, previo
accordo con il responsabile del Centro, tenuto conto del diritto alla privacy dei
soggetti e del rispetto delle attività programmate.
La comunicazione con le famiglie è un punto molto importante che ci permette
di poter capire in profondità la situazione di handicap del figlio, creando
intervenenti più aderenti e globali, e ci permette però anche di sostenere,
guidare la famiglia nella gestione e nelle modalità di relazione con il figlio,
supportandola nei momenti di crisi e di sconforto.
69
La metodologia utilizzata nella realizzazione del PEI, prevede:
•
il lavoro di equipe degli educatori con il Responsabile della struttura
per non frantumare gli interventi, ma per dare un’organica elaborazione
e progettualità delle esperienze vissute ;
•
all’inizio di ogni anno educativo e nel momento della presa in carico
delle persone, la formulazione di un progetto di intervento globale del
Laboratorio e un progetto di intervento individuale per ogni singolo
utente.
•
nel progetto la dichiarazione esplicita delle ipotesi, degli obiettivi da
raggiungere, delle risorse e degli strumenti necessari alla sua
realizzazione.
Inoltre si prevedono verifiche nel corso della
realizzazione per modificare o integrare l’ipotesi iniziale.
Concretamente sono previsti:
- incontri annuali di programmazione e verifica generale interni al centro - un
incontro settimanale in cui organizzare e ordinare le varie attività lavorative, i
compiti di ogni educatore e discutere sulle eventuali problematiche o conquiste
dei ragazzi;
- incontri periodici di verifica del progetto con il servizio dell’AUSL inviante e
eventualmente con i familiari.
-incontri periodici dei responsabili dei centri con il presidente della cooperativa
in cui si coordinano le attività comuni ai singoli centri e le eventuali richieste di
inserimento.
-la partecipazione a corsi di formazione o aggiornamento per gli educatori
organizzati sia dal Consorzio Condividere sia da enti esterni.
Tutti i documenti, le relazioni sull’utente, i PEI vengono conservati in una
Cartella Individuale che accompagna la persona durante tutto il suo percorso
all’ interno del centro.
Il PEI è suddiviso in aree di intervento al fine di consentire una osservazione
obiettiva e completa e una pianificazione delle attività educative. Le aree prese
in considerazione coinvolgono diverse dimensione della vita e perciò ci
70
permettono di realizzare, in collaborazione con i servizi territoriali, un progetto
globale volto a realizzare l’ inclusione.
Aree educative:
Area delle autonomie di base: quest’area comprende le autonomie sociali di
base, le autonomie domestiche e di cura personale.
Intervenire sulle autonomie di base è importante in quanto permette al
soggetto di migliorare il suo adattamento e il suo inserimento nell’ambiente
circostante.
La riscoperta del valore positivo della propria persona porta alla modifica del
rapporto con se stessi. Restituire dignità all’utente significa sia educarlo ad
avere un corretto rapporto con i proprio corpo (cura del corpo, alimentazione
etc…) che con l’ambiente sociale (uso del denaro, gestione del tempo e dello
spazio)
Area della comunicazione, dell'espressione e dello sviluppo di interessi: questa
area è importante perché pone l’attenzione alle diverse modalità di
comunicazione e di espressione utilizzate dal ragazzo, in modo da intervenire
nel caso in cui siano inadeguate.
E’ importante aiutare il ragazzo a comunicare i propri pensieri ed esprimere gli
stati d’animo in modo da poterli condividere con gli altri rielaborandoli. Gli
interessi giocano un ruolo decisivo in quanto sono fonte di motivazione e
occasione di rinforzo positivo delle proprie abilità.
Area della socialità e delle relazioni: questa area è importante per favorire
l’instaurarsi di relazioni positive significative con le altre persone, le cui
caratteristiche dovranno essere: solidarietà, tolleranza e rispetto verso se stessi
e gli altri.
Ciò permette al soggetto di sentirsi riconosciuto nella sua soggettività
consentendogli di poter allargare la sfera relazionale anche all’ambito più
ampio della società.
Area delle abilità e dello sviluppo di competenze: in questa area si scoprono
abilità latenti (che a causa dell’handicap non sono mai emerse) e se insegnano
di nuove.
71
Riscoprire o scoprire delle abilità consente al soggetto di sviluppare un certo
grado di autostima, essenziale per poter pensare un proprio progetto
esistenziale. A tale fine, il lavoro è strumento fondamentale nella formazione
dell’identità personale necessaria per la costruzione del proprio sé.
3.3 Descrizione delle attività svolte nel Centro Laboratorio Protetto G.
Laruccia
Le attività che il Centro svolge sono attività socio - riabilitative finalizzate al
recupero sociale psico-fisico, relazionale di ogni utente e volte pertanto
all’inclusione. Le attività possono essere raggruppate in:
•
Attività volte al recupero educativo dell’utente, finalizzato sia al
raggiungimento del rispetto della propria persona, attraverso una
adeguata dieta, la cura della propria persona ecc.., sia al rispetto delle
regole generali e dell’autonomia;
•
Attività socializzanti, periodiche ed occasionali, volte ad abituare gli
utenti a stare insieme per collaborare e solidarizzare creando occasioni
di dialogo e di relazione tra disabilità e mondo sociale tramite
l’organizzazione di gite mensili, campeggi, momenti ludico ricreativi;
Le attività socializzanti vengono svolte principalmente durante l’orario
di apertura del Centro e le mete sono uscite didattiche presso parchi
tematici, ristoranti, gite in località climatiche. In queste occasioni i
ragazzi hanno l’opportunità di svagarsi, di vivere una giornata insieme
diversa dalle altre: è bello vedere come momenti informali gli
consentano di fare emergere le loro abilità, i loro interessi e curiosità
che solitamente durante la quotidianità non affiorano. Queste occasioni
consentono di passare più tempo insieme, dialogare con più tranquillità
coltivando e accrescendo le relazioni interpersonali. Purtroppo mi
accorgo troppo spesso che, passare una giornata in piscina, per noi
operatori non è una cosa eccezionale, ma per alcuni ragazzi è un
avvenimento che attendono con trepidazione. Le uscite sono
caratterizzate da un clima molto bello, non è raro che per accontentare
72
un desiderio di qualche ragazzo l’intero gruppo debba modificare il
programma dell’uscita, ma ciò è molto bello, anche nel tempo libero ci
si aspetta e si desidera che l’altro sia felice. In queste occasioni mi
rendo conto che non vi sono operatori e utenti, educatori e educandi, ma
che siamo un bellissimo gruppo proprio perché siamo molto vari.
Inoltre durante l’anno vi sono altri momenti di socializzazione che
vanno oltre l’orario di apertura del centro come feste di capodanno, la
cena di Natale o altre occasioni. Queste uscite contribuiscono a
sviluppare l’idea del Centro Laboratorio Protetto come una “grande
famiglia”. Precedentemente nel paragrafo sulla relazione educativa ho
messo in evidenza come la “condivisione” debba essere intesa come un
vivere insieme “con” l’altro, perciò la vita non si vive solo nel centro,
ma riguarda tutti gli ambiti. I ragazzi grazie a queste occasioni si
sentono davvero riconosciuti, accolti, voluti bene e ciò facilita la nascita
di una relazione significativa che è il cardine di un buon progetto
educativo.
•
Attività di animazione socio-riabilitative, per le quali si prevede una
volta a settimana la partecipazione dei ragazzi a laboratori di danza
terapia presso la palestra APG23.
“Il Progetto danza/suono/movimento “pone in relazione tra di loro tre tecniche
riabilitative particolarmente specifiche della comunicazione non - verbale. La
danza, la danzaterapia che rappresenta la perfetta interrelazione tra individuo,
spazio, suono e movimento e la perfetta interrelazione tra la scoperta del corpo
proprio, individuale, e del corpo espressivo all’interno del gruppo. Il suono che
stimola il corpo e offre la possibilità di realizzare un’esperienza totale della
sensazione musicale. Il movimento è il “lavoro” del corpo nello spazio e si
collega al senso cinestetico, cioè all’esperienza dell’esistenza di una unità
corporea statica e dinamica."47 Nella danzaterapia, che prende come modello l’
insegnamento di M. Fux, i soggetti vengono aiutati con immagini e con oggetti
concreti non strutturati (teli,sfere,cubi...) ad entrare in relazione attraverso il
47
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73
proprio corpo, con il suono e con il silenzio e a beneficiare delle emozioni e dei
sentimenti che si rivelano nel dialogo tonico emotivo. Il percorso riguarda
l’esplorazione dello spazio, l’osservazione e l’incontro con il proprio stile di
movimento e con le proprie capacità fisiche, l’incontro con gli oggetti sonori e
con lo sviluppo del ritmo e dell’ armonia.”48
•
Attività occupazionali - lavorative, volte al recupero delle potenzialità
di sviluppo personale e di relazione della persona.
La Costituzione Italiana definisce nell’articolo 1, come “L’Italia è una
Repubblica democratica fondata sul lavoro” e per questo secondo il Centro,
diventa importante riconoscere il lavoro come “diritto/dovere” di ogni persona.
Diritto perché ognuno di noi ha delle doti da poter usare e far fruttare al fine di
costruire “il bene comune” apportando quindi il proprio contributo.
Dovere perché è compito e responsabilità di ogni uomo impegnarsi per
costruire “la storia” e permettere il progresso e lo sviluppo sociale.
Il lavoro diventa strumento fondamentale di costruzione del diritto di
cittadinanza, elemento cardine dell’identità di ogni soggetto, e fattore
indispensabile di socializzazione.
- Il lavoro permette la cittadinanza. Attraverso di esso infatti, l’educatore
riesce ad instaurare con il ragazzo disabile una relazione di responsabilità
fondata sull’impegno, sulla serietà e sulla condivisione d’intenti che
permettono al soggetto di sentirsi parte di un progetto comune da realizzare
insieme, maturando la cittadinanza attiva. Cittadinanza attiva che diviene
elemento cardine nella creazione della propria identità: il soggetto vedendo
riconosciuto il suo ruolo sociale attivo, sviluppa una consapevolezza di sè che
lo porta a riconoscere e a sviluppare la sua identità.
Il lavoro per questo può essere definito come riabilitativo in quanto attraverso
l’individuazione di piccole responsabilità, da far assumere all’utente sia nella
gestione della struttura che all’interno delle fasi del ciclo produttivo permette
questa ricostruzione identitaria.
- Il lavoro permette la socializzazione. La socializzazione che al Centro viene
realizzata in diversi modi, prima di tutto all'interno del gruppo di lavoro
entrando in relazione con gli educatori e i compagni, poi all'interno del
48
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74
mercatino in cui i ragazzi intrattengono relazioni con i diversi clienti e infine
grazie ai lavori svolti al di fuori del Centro, nel momento in cui si devono
effettuare sgomberi o traslochi. In quest'ultimo caso i ragazzi sono
completamente esterni alla struttura lavorativa e possono sperimentare da soli
la socializzazione nel contesto più ampio con persone mai conosciute prima.
Come emerge infatti, negli incontri d'équipe, la socializzazione all'esterno del
centro è vissuta dai ragazzi con molto entusiasmo e apporta dei risultati positivi
anche per il Centro. Questo perché, come prima cosa i ragazzi sono capaci di
relazionarsi in modo adeguato e simpatico con i clienti, creando perciò un
clima di serenità e confidenza che si allontana molto dai metodi usati in
contesti lavorativi impersonali. Come seconda cosa perché non è raro che i
clienti mostrino curiosità e incredulità di fronte all'efficienza e all'allegria con
cui i ragazzi lavorano, i quali spesso vengono elogiati e ricordati con affetto,
permettendo così un avvicinamento della realtà sociale più ampia al Centro.
- Il lavoro permette lo sviluppo dell'autostima. Il lavoro realizzato al CLP,
essendo basato su attività lavorative messe in relazione quotidianamente con il
"mercato", permette al soggetto di acquisire sempre nuove competenze
favorendo un accrescimento dell’autostima. Quest’ultima secondo Johan Rawls
è molto importante nel cammino di sviluppo e nel processo di costruzione
dell’autonomia del soggetto perché “include il senso che una persona ha del
proprio valore, la sicurezza che le proprie valutazioni e progetti sono validi e la
convinzione della propria capacità di realizzarli. Se pensiamo che i nostri
progetti non abbiano valore non possiamo considerali con piacere, ne trarne
soddisfazione dalla loro realizzazione”49. Autostima che nel Centro il ragazzo
può sviluppare grazie a diversi momenti, come per esempio quando gli
educatori e a volte anche i clienti, riconoscono l'impegno e gli sforzi, fisici e
psicologici (come resistere alla fatica, o lavorare anche contro voglia)
compiuti, e quindi donano valore e importanza per ciò che ha fatto, facendolo
sentire utile e quindi felice del suo nuovo ruolo sociale.
Anche questo,
contribuisce a far accrescere nel ragazzo un maggiore “rispetto per sé”
essenziale per il suo benessere generale.
49
Nel Nodding, (2005), “Educazione e felicità. Un rapporto possibile, anzi necessario”, Erikson,
Trento, pag. 204.
75
Altri effetti positivi che il lavoro porta sono individuabili in uno stimolo
positivo nel favorire il rapporto con la realtà, e nello sviluppo dell'autonomia.
- Il rapporto con la realtà è un importante strumento di integrazione perché
mette a contatto la persona con la realtà esterna con il mondo del lavoro e con
l’ambiente, così facendo ogni ragazzo sviluppa dentro di sé l’idea che il lavoro
è fondamentale per la propria vita ed è per questo che ogni giorno dovrà
impegnarsi. Il frutto del suo lavoro, realizzato nel Centro e venduto nel
mercatino, diventerà perciò necessario per molti e fonte di sostentamento per la
struttura ospitante.
- Lo sviluppo dell’autonomia invece, vediamo essere il risultato finale di tutto
il processo illustrato fino ad ora, che parte da una prima acquisizione di abilità
e competenze, per poi passare attraverso lo sviluppo dell'identità personale e
del ruolo sociale che permette al singolo di veder riconosciuto il suo valore e
giunge così alla possibilità del ragazzo di divenire il "responsabile" di attività
particolari legate al ciclo produttivo etc... Il lavoro si configura perciò come
artefice di questo risultato.
Le attività lavorative sono:
- ritiro e stoccaggio di toner e cartucce da stampa esaurite (cod. rifiuto: 160216
e 080318) al fine di reciclarle.
Questa attività viene svolta rispettando le norme vigenti del settore, pertanto
abbiamo l’autorizzazione al trasporto di tali rifiuti rilasciata dalla
Motorizzazione Civile di Bologna e l’autorizzazione allo stoccaggio all’interno
di aree prestabilite che l’ARPA ha rilasciato. Il servizio si svolge
prevalentemente presso aziende del territorio della provincia di Rimini e di
Pesaro-Urbino che necessitano dello smaltimento. Ad oggi sono ormai 2000 le
aziende che supportiamo. Questa attività è iniziata sul finire degli novanta e
con il passare del tempo le richieste di ritiro aumentano aumentando così anche
il l’impegno del CLP. Questa attività lavorativa permette agli utenti della
struttura di svolgere le seguenti attività: carico e scarico box toner;
preparazione e montaggio dei box toner seguendo la successione corretta;
stoccaggio dei box contenenti cartucce esauste costruendo bancali messi in
sicurezza e successivamente immagazzinati con l’ausilio del carrello
sollevatore; recarsi con un operatore presso le aziende a ritirare i box toner. Si
76
può osservare che le diverse mansioni richiedono competenze e caratteristiche
fisiche diverse così da permettere ad ogni ragazzo di partecipare alle attività.
Le abilità richieste in questa attività sono molto diverse, ci sono compiti molto
semplici, come scaricare i “box toner” che richiedono poco tempo e mansioni
impegnative come recarsi con un operatore presso le aziende a ritirarli e ciò
richiede una tenuta al lavoro paragonabile ad un “lavoro normale”. Ciò
consente all’equipe educativa di sperimentare come il ragazzo si comporta in
situazioni “normali”, se è in grado di sopportare tempi di lavoro convenzionali.
Grazie a ciò è possibile costruire progetti veramente “ad hoc”.
L’attività lavorativa dei toner è proficua, le ditte ci pagano lo smaltimento e i
toner ritirati vengono poi venduti a ditte specializzate per ricaricarle.
- il ritiro, stoccaggio e trasformazione carta:
questa attività si è sviluppata recentemente in quanto all’interno del CLP vi era
il problema di inserire nelle attività soggetti che avessero difficoltà a muoversi
non riuscendo perciò a svolgere nessun lavoro in modo continuativo mettendo
così in pericolo lo sviluppo delle proprie capacità. A Gennaio 2011 attraverso
la collaborazione con HERA siamo riusciti a stipulare una convenzione con la
Banca UniCredit riguardo il ritiro di carta come rifiuto. A fronte di ciò ci siamo
organizzati, abbiamo ricevuto dall’ ARPA le autorizzazioni per il trasporto,
stoccaggio e trasformazione della carta. L’attività oggi vede coinvolto un
gruppo che varia da cinque a sei utenti con la supervisione di un educatore. La
staticità di questo lavoro ha permesso a diversi utenti di partecipare attivamente
al lavoro, ad accrescere i tempi di attenzione e in alcuni casi anche di svolgere
l’attività con responsabilità. Molto interessante è osservare come l’ambiente
possa giocare un ruolo importante nella riduzione dell’handicap. Persone che
per deficit motori non riuscivano ad inserirsi attivamente nelle attività
dinamiche oggi sono responsabili di piccoli gruppi (sempre supervisionati
dall’operatore) e stupisce il grado di produttività.
-attività di carico/scarico merci:
questa attività non è svolta da un gruppo di lavoro preciso, ma all’arrivo dei
camion carichi di merci gli utenti presenti abbandonano le attività che svolgono
regolarmente per collaborare alla sistemazione della merce. Questa attività è
77
importante perché richiede un certo grado di responsabilità, ovvero proprio
perché non c’è un gruppo addetto allo scarico, ognuno deve rendersi
disponibile autonomamente.
Anche in questa attività ogni ragazzo mette a disposizione i suoi doni.
Solitamente un ragazzo sale sul camion per sistemare la merce perché è molto
bravo a sfruttare tutti gli spazi, un altro prende un mobile pesante perché la sua
struttura fisica glielo consente, chi ha più difficoltà contribuisce ad occuparsi
delle ante degli armadi o cuscini etc. Tutti contribuiscono, potremmo dire che
“tutti sono necessari e tutti sono indispensabili” al fine di portare a termine i
lavori è utile che una squadra abbia nel suo organico più abilità.
Questa attività inoltre riguarda il carico e scarico di mezzi privati che o hanno
comprato o portano merci. Questa è una grande occasione di confronto tra gli
utenti e il mondo sociale.
- attività di cernita materiale usato:
le merci scaricate vengono posizionate nel magazzino dove un gruppo di
lavoro le seleziona dividendole tra scarti e oggetti vendibili. Questa attività è
molto amata dai ragazzi perché consente di trovare oggetti particolari e utensili
strani. La suddivisione dei materiali richiede la capacità di classificare, di
riconoscere i materiali e di valutare il loro stato. Ciò contribuisce a sviluppare
l’attenzione alla realtà circostante e conseguentemente ad uscire dal proprio
mondo psichico. Successivamente alla cernita la merce in buono stato viene
posizionata all’interno di ceste in base alla tipologia: oggetti da cucina, libri,
cd, oggetti di antiquariato e trasportata autonomamente dai ragazzi in negozio.
-attività di sistemazione merci/negozio/assistenza ai clienti:
le merci arrivate nel negozio vengono sistemate negli appositi scaffali o aree.
Questa operazione viene effettuata dai ragazzi con la supervisione
dell’educatore. L’operatore, nel corso dell’attività, promuove una sempre
maggiore responsabilità dell’utente affinché sappia posizionare in modo
corretto le merci facendo attenzione a non urtare i clienti che si muovono nel
negozio. Il punto vendita è suddiviso in aree in base alla disposizione della
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merce, alcune di esse sono affidate ad utenti che, avendone le abilità, hanno il
compito di supervisionarle, mantenerle in ordine e accertarsi dello stato degli
oggetti, e supportare il cliente. Le attività che si svolgono all’interno del
mercatino dell’usato consentono un incontro giornaliero, caratterizzato dalle
competenze (l’assistenza ai clienti), tra disabilità e mondo sociale. Accade così
che ogni giorno mobilio, indumenti e oggetti usati, divengono occasione di
incontro e di scambio.
-attività di selezione e sistemazione panni usati:
gli indumenti usati che vengono raccolti nelle abitazioni sono guardati e
selezionati da un operatore con gruppo di 5/6 utenti all’interno del magazzino.
Ogni mese si visionano circa 60 quintali di indumenti, quelli messi in buono
stato vengono venduti in negozio gli altri vengono venduti ad una ditta di
Napoli che ne fa pezze per le industrie.
- attività di segreteria:
questa attività si svolge in ufficio insieme al responsabile della struttura e a
un’impiegata. Tale attività si è sviluppata per rispondere alle esigenze di un
utente di accrescere la sue abilità cognitive, manuali ed organizzative in vista
di un futuro inserimento lavorativo in ambito amministrativo. Ogni giorno due
ragazze svolgono mansioni come preparare lettere informative per le ditte,
nostre clienti, fotocopiare documenti, precompilare dei formulari etc.
-attività di prelievo di mobilio, oggettistica, etc dalle abitazioni private e
piccoli traslochi:
questa attività viene svolta giornalmente da almeno due gruppi che ogni
mattina si recano nelle abitazioni private che hanno richiesto il nostro
intervento per svuotare la casa o donarci un mobilio. Le squadre di questa
attività sono composte da due utenti e un operatore. La scelta degli utenti viene
presa dall’equipe del centro che valuta le caratteristiche del lavoro, il luogo in
cui si dovrà svolgere e le caratteristiche dell’utente al fine di evitare
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incongruenze. Tale attività perciò si svolge all’esterno della struttura ed è
occasione di incontro tra i ragazzi e il tessuto sociale. Questo incontro come
detto sopra è all’insegna delle competenze, i ragazzi lavorano sodo
trasportando mobili su e giù da trombe delle scale, strade, scantinati, centri
abitati. Chi usufruisce del nostro sevizio solitamente si stupisce dell’efficienza
e della simpatia. E’ incredibile vedere persone che fino a qualche hanno fa
erano chiusi in istituti camminare in piazza Ferrari posizionata al centro di
Rimini con un divano in mano mentre svolgono efficacemente il loro lavoro.
E’ proprio vero che l’ambiente, considerato nel suo senso più ampio, fa la
differenza.
3.4 Il CLP realizza attività "ad hoc"
Le attività svolte all’interno del Laboratorio vengono organizzate in modo da
rispettare le caratteristiche personali di ogni utente al fine di promuoverne
l’inclusione.
L’equipe del centro ha dedicato molto tempo nella cura degli ambienti affinché
ogni utente possa sentirsi a suo agio e possa muoversi autonomamente
all’interno della struttura acquisendo padronanza degli spazi e possa svolgere
regolarmente le attività lavorative. Creare uno spazio adatto alle caratteristiche
psicofisiche del ragazzo è importante in quanto si giunge ad eliminare tutte
quelle barriere materiali e psicologiche che impediscono al soggetto di
esprimersi.
L’ambiente perciò è un punto centrale di analisi per agire nell’ottica della
riduzione dell’handicap. Tutte le attività lavorative si svolgono in spazi "ad
hoc” che consentono il regolare svolgimento delle attività. Ad esempio:
all’interno della struttura non vi sono barriere architettoniche; i bagni sono
forniti di ausili specifici; per permettere ad un utente con difficoltà di
movimento di svolgere l’attività di stoccaggio abbiamo fornito alcuni spazi di
specifici ausili come sedie e sponde applicate al tavolo di lavoro e abbiamo
installato un particolare impianto di riscaldamento; le tre squadre di lavoro, che
ogni giorno con i pulmini escono dal centro per recarsi nelle abitazioni private,
vengono composte tenendo conto del tipo di lavoro, del luogo in cui si svolgerà
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e delle caratteristiche personali degli utenti in modo da evitare incongruenze;
inoltre tutte le attività si svolgono mediante procedure ormai consolidate nel
tempo che aiutano i ragazzi a compierle e portarle a termine con successo. Ad
esempio, quando si caricano o scaricano i camion due operatori si posizionano
uno sul camion, per consegnare la merce ai ragazzi e l’altro nel magazzino per
riceverle, mentre i ragazzi trasportano gli oggetti in fila indiana consentendo un
regolare e continuo ritmo. Infine, ai ragazzi sono state insegnate diverse
tecniche per sollevare oggetti e mobili per evitare sforzi inutili e per garantire
la loro sicurezza.
3.5La varietà delle attività favorisce l'inclusione
Come analizzato prima la maggior parte delle attività che si svolgono in
struttura sono prettamente lavorative e pertanto è importante che le attività
siano molto varie per consentire ad ogni ragazzo di trovare quella più adatta
alle proprie caratteristiche.
Durante la mia esperienza nel CLP ho potuto osservare come questo abbia
consentito ai nuovi arrivati di trovare un proprio spazio, di appassionarsi e di
vivere responsabilmente quella particolare attività.
Inoltre l’elasticità e la disponibilità della struttura permette di sviluppare nuove
attività lavorative per rispondere meglio alle esigenze psicofisiche dell’utente.
E’ bello osservare come ogni nuovo arrivato trovi il proprio posto, e porti con
sé una novità. Recentemente al CLP è stata inserita una donna che sapeva
svolgere molto bene le pulizie degli ambienti e nonostante al centro ci sia una
addetta esterna alle pulizie, le abilità della nuova arrivata sono divenute
un’occasione per migliorare ulteriormente l’ordine del negozio. In un'altra
occasione un ragazzino appena inserito dopo un periodo di prova, che lo ha
visto coinvolto in tutte le diverse attività, si è ricavato un suo spazio,
raccogliendo per tutto il magazzino gli scatoloni scartati mettendoli negli
appositi bidoni. Fino a quel momento questa attività non era ricoperta da
nessuno e non era neanche una “attività strutturata”, infatti i cartoni erano un
impiccio per tutte le altre attività. Oggi D. è l’addetto alla raccolta differenziata
della carta.
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Il CLP consente veramente di valorizzare le abilità e le competenze degli
utenti, perché è attento a creare attività ad hoc ed è disponibile a modificare le
proprie attività convenzionali per dare spazio alle capacità che nel corso del
tempo i soggetti hanno riscoperto o acquisito.
Tutte le attività del Laboratorio vengono svolte in gruppo perché si riconosce
l’importanza pedagogica e riabilitativa dell’apprendimento cooperativo.
Le attività lavorative posso essere svolte come:
-Attività di grande gruppo (6 o 7 utenti con 2 educatori);
-Attività di gruppo ristretto (4 o 5 utenti con 1 o 2 educatori
Lavorare in gruppo permette ad ognuno di trovare il proprio spazio e di mettere
a disposizione le proprie competenze al fine di portare a termine nel migliore
dei modi l’attività lavorativa.
Nello svolgere ogni giorno tali attività insieme ai ragazzi capita molto spesso di
osservare come lavorare in gruppo sia indispensabile, perché permette di
sviluppare, attraverso il dialogo, un senso di appartenenza e responsabilità che
altrimenti è difficile promuovere. Molto spesso mentre lavoriamo qualche
ragazzo dice: “…siamo proprio una bella squadra!” Il senso di appartenenza è
importante per sviluppare il proprio sé, “io appartengo perciò esisto”.
Appartenere significa anche condividere con gli altri un proprio progetto di
vita.
Inoltre lavorare in gruppo consente di compiere un intervento socioriabilitativo che tenga in considerazione la globalità del soggetto in quanto si
interviene contemporaneamente sull’area relazionale e sociale, sull’area della
comunicazione, sullo sviluppo delle autonomie personali e sulle abilità e
competenze.
Durante le attività è sempre presente un educatore di riferimento che garantisce
l’adeguatezza del setting lavorativo promuovendo l’integrazione tra i ragazzi,
specialmente nel caso in cui si presentano difficoltà relazionali tra di loro, e lo
svolgimento regolare dell’attività, che può essere disturbata dalla stanchezza o
da problemi logistici. La grande scommessa che ogni giorno si rinnova è
riuscire a far si che ognuno sia messo nella condizione di portare a termine
l’attività lavorativa ed essere produttivo. La produttività per i ragazzi è motivo
di grande orgoglio personale tanto che dopo aver venduto e successivamente
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caricato i mobili sul camion, qualche ragazzo dice: “oggi abbiamo guadagnato
la pagnotta!”
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CONCLUSIONE
Tutto ciò che ho descritto nei capitoli precedenti mette in luce l’esigenza di
apportare un radicale cambiamento di paradigma all’interno delle società
occidentali. L’ideologia neo-liberalista del mercato, quale essere vivente in
grado di autoregolarsi mediante la domanda/offerta, oggi è fallita. I milioni di
poveri che vivono sotto la soglia di povertà e che muoiono come “formiche”, la
iniqua divisione delle risorse naturali tra nord e sud del mondo, l’insostenibilità
di stili di vita consumistici che degradano i sistemi naturali in modo
irreparabile e minacciano gli stessi servizi che essi offrono all’intera umanità
come la regolazione climatica o il ciclo dell’acqua, sono i frutti delle perverse
logiche di mercato tanto denunciate dall’ambientalista Wandana Schiva. Per
questo emerge come la visione neo-liberista odierna si fondi sul possesso,
sull’esclusione e sullo sfruttamento.
L’inclusione, perciò oggi, sembra poter essere una risposta concreta per
combattere l’esclusione, l’emarginazione che sono sempre causate da forme
d’ingiustizia.
Mediante il mio lavoro di ricerca e osservazione sul campo ho cercato di
dimostrare come centri laboratori protetti, che si basano su precisi principi,
oggi possono essere una risposta per molti ragazzi e ragazze esclusi dal tessuto
sociale prossimo a causa della loro disabilità. Il Centro Laboratorio Protetto
G.Laruccia, che nasce dall’esperienza di condivisione della Comunità Papa
Giovanni XXIII, è quindi una realtà che attraverso attività lavorative crea ponti
tra la disabilità e il mondo sociale promuovendo una vera inclusione. Come già
descritto in precedenza è importante ricordare che tale incontro è caratterizzato
dalle competenze, ovvero i ragazzi si presentano a tale appuntamento con un
bagaglio di conoscenze e capacità tali da svolgere un lavoro concreto, utile,
remunerativo.
Durante la realizzazione di questo lavoro mi è sorta una riflessione:
l’inclusione per essere realizzata nel concreto, ha sicuramente bisogno di
interventi formali quali leggi ad “hoc” per categorie escluse o esperienze di
inclusione ad opera di istituzioni o associazioni, ma necessita in particolare di
una presa di coscienza da parte di tutti nel capire che la vera sfida inclusiva si
gioca dentro ognuno di noi. Sono fermamente convinto che qualsiasi processo
di inclusione nasce da una disponibilità che il singolo dà nel momento in cui
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sceglie di fare spazio all’altro, di farsi modificare e contaminare da lui e sceglie
di includere. Disponibilità che scaturisce dal riconoscimento dell’altro e delle
sue caratteristiche personali che vengono connotate di valore e unicità tanto da
portare tutti gli attori coinvolti a beneficiare di questo incontro. I frutti che
derivano da ciò, sono quindi individuabili nella cooperazione, nella solidarietà
e nella condivisione. L’inclusione perciò si realizza nella quotidianità,
scegliendo per esempio di essere attento al vicino di casa, al compagno di
classe, ai propri figli e richiede, come detto prima, un cambiamento interiore, la
voglia di mettersi in gioco in prima persona, di abbandonare le certezze e gli
stereotipi per abbracciare punti di vista pluralistici.
L’inclusione come si deduce, non ha semplici formule per realizzarsi, ma è
frutto
di
un
cammino
interiore,
del
passaggio
dall’egocentrismo
all’alterocentrismo, dall’io al noi. Così, la nascita di una nuova cultura
democratica inclusiva a “misura” di uomo nasce dapprima da una rivoluzione
interiore che ognuno di noi può scegliere o meno di intraprendere e
successivamente da azioni formali da parte di istituzioni, associazioni etc.
Il bisogno di inclusione non riguarda solo i soggetti svantaggiati come disabili
o immigrati dal sud del mondo o qualsiasi altra categoria riconosciuta come
tale, ma riguarda tutti i cittadini del mondo, ogni essere umano a prescindere
del suo stato di salute, dal sesso e dalla nazionalità ha bisogno di essere
riconosciuto e rispettato per ciò che è, di avere relazioni significative, di
partecipare attivamente alla sua vita, di prendere parte alla vita sociale
apportando il suo speciale contributo. La disabilità, perciò come succede
spesso si fa portavoce di bisogni non solo suoi, ma di tutti ovvero affermare la
centralità dell’uomo affinché migliori la qualità di vita di tutti i cittadini del
mondo.
Durante la mia esperienza di educatore ho la possibilità ogni giorno di vivere
con persone cosi dette disabili e mi accorgo che la disabilità è davvero relativa,
non perché non esiste, o perché non la voglia riconoscere, ma perché dipende
dai punti di vista, è logico che se osservo solo le “mancanze” di una persona
queste lo caratterizzeranno, ma utilizzare tale logica è pericoloso,
diventeremmo un “modo di disabili!”.
D’altra parte potremmo indossare gli occhiali della diversità e ci
accorgeremmo che nonostante le logiche consumistiche tanto promosse
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dall’ideologia neo-liberale che mira a omologare l’umanità e a classificarla in
ricchi, poveri, buoni, cattivi, l’intera umanità nella sua diversità risulta essere
costituita di unicità. Possiamo così affermare, ritornando alla citazione di
Herman Hesse e Narciso e Boccadoro, che “…la nostra meta non è di
trasformarci l’uno l’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e di imparare a vedere e
a rispettare nell’altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro complemento.”
86
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