Relazione convegno “ Non vi è cosa più ingiusta che fare parti

Relazione convegno
“ Non vi è cosa più ingiusta che fare parti uguali tra diseguali”. Con questa frase di Don Milani posso
sintetizzare il contenuto ricco e variegato dei diversi interventi dei relatori al convegno dal titolo “
Inclusione scolastica ed autonomia dell’alunno con disabilità”.
Vorrei così condividere con i miei colleghi le riflessioni sulle quali si è puntata l’attenzione in tale evento.
Inclusione vuol dire che il ragazzo con disabilità ha gli stessi diritti degli altri suoi compagni e non dei
privilegi: cioè, niente di più niente di meno. Inclusione vuol dire che il ragazzo con disabilità o bisogni
educativi speciali è innanzitutto un ragazzo come tutti gli altri. Non si può, pertanto, parlare di inclusione se
non si tengono presenti tutti gli aspetti individuali del singolo.
Il disabile non è tale perché incapace di fare qualcosa, ma lo diventa nel momento in cui trova delle
barriere nella società, che non garantiscono l’uguaglianza sociale. Ecco perché fare inclusione vuol dire
intervenire sul contesto sociale, famigliare. Vuol dire analizzare a 360 gradi la vita del singolo ed intervenire
per almeno ridurre le tante barriere sociali. In tal senso, il compito principale spetta a tutti gli enti locali.
In questo contesto si inquadra l’utilizzo nelle scuole dell’ ICF, che analizza tutte le diverse componenti
dell’individuo, occupandosi sia della struttura biologica sia di quella sociale. L’obiettivo è quello di trovare
risposte sociali ed ambientali utilizzando un linguaggio standard che vale per qualsiasi ragazzo in quanto
persona. L’ICF è, infatti, la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute di
ognuno.
L’Italia già dagli anni settanta è Paese all’avanguardia in tema di integrazione ed inclusione scolastica.
Proprio per questo la normativa è ricca, le linee guida sono leggi e pertanto vanno rispettate. Il nostro
Stato è Paese capofila nell’abolizione delle scuole speciali. Tale traguardo non deve essere intaccato da una
società talvolta poco attenta a simili questioni. Dispiace, infatti, quando genitori di ragazzi con disabilità,
davanti a barriere e tabù sociali, sono costretti ad auspicare il ritorno delle scuole appunto speciali.
Inclusione vuol dire, perciò, dare al ragazzo disabile tutte le possibilità e le carte giuste per decidere sul
proprio futuro anche lavorativo. Nell’ambito dell’orientamento scolastico, l’adolescente non dovrebbe
essere influenzato nella scelta della scuola secondaria di secondo grado. Non dovrebbe essere condizionato
dalla sua condizione di disabile. Anche tale ragazzo dovrebbe essere protagonista della propria crescita.
La scuola ha come compito quello di attuare per ogni alunno un progetto di vita attraverso processi atti a
sviluppare autostima ed autonomia. Gli insegnanti molto probabilmente non raccoglieranno i frutti del
proprio lavoro: sin dalla scuola dell’infanzia si dovranno studiare percorsi educativi e didattici che
porteranno alla formazione dell’adulto. Dovremmo imparare a pensare che di fronte non abbiamo dei
ragazzi, ma dei futuri cittadini/genitori/lavoratori. Il lavoro dell’insegnante avrà dei risultati a lungo termine
e dovrà essere finalizzato a rendere l’alunno autonomo. Ad oggi, non pochi sono sul territorio provinciale gli
sportelli informativi e di consulenza rivolti alle famiglie dei discenti con disabilità nel momento della scelta
dell’Istituto superiore.
Un ulteriore aspetto sul quale vale la pena soffermarci è, di certo, quello relativo le tecniche e le didattiche
di apprendimento degli alunni certificati, bes e non. Tutto può essere sintetizzato nello slogan “ Insegno
come ciascuno apprende”. Dunque l’arte dell’insegnare necessita di continue evoluzioni, adattamenti,
compromessi atti a cogliere le richieste e i bisogni di apprendimento di ogni discente.
Ma come sta mutando la popolazione in tema di alunni con disabilità o bisogni educativi speciali? I dati
parlano chiaro: è in aumento la certificazione di disabilità nella scuola dell’infanzia. Vi è un incremento
soprattutto dei casi di autismo. E poi successivamente di diagnosi di disturbi evolutivi. Sulla stessa
traiettoria è la tendenza di etichettare un alunno quale Bes. A detta degli esperti, stiamo vivendo in una
società che sta facilmente “handicappando” la popolazione dei minori. A volte dipende dal desiderio di
genitori e neuropsichiatri di tutelare i ragazzi.
Anche tra gli alunni stranieri aumenta la percentuale di disabile intellettivo.
Per concludere, si può di cero asserire che la scuola italiana ha sicuramente raggiunto dei traguardi
soddisfacenti in tema di integrazione, ma non si può dire lo stesso su quello dell’inclusione. La strada non
ancora è breve, perché costellata da impedimenti anche culturali. La società nella sua totalità deve
sottoscrivere un accordo con se stessa per permettere un cambiamento di rotta. La scuola ha l’arduo
compito di operare in concorde sinergia con famiglie ed enti locali.