N° 180 - Adarteventi

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N° 180
IL SENSO DI COLPA DEL SOPRAVVISSUTO: CASE REPORT
Giulia Di Francesco, Pescara
Giulia Di Francesco, Pierpaola Sciarra, Ballarini Valeria
INTRODUZIONE: A partire dal momento della comunicazione della diagnosi e durante tutto l’iter
terapeutico, la persona affetta da tumore alterna momenti di disperazione a momenti di speranza.
Ma anche quando ad un paziente viene comunicata la risoluzione della malattia, non tutti i problemi
scompaiono insieme alla causa prima che li ha generati. Sempre più spesso, infatti, si sente parlare
delle problematiche psicologiche dei long-survivors. Lavorando con i pazienti ematologici che hanno
“superato la malattia”, ci si trova di fronte a situazioni cliniche sovrapponibili alla Sindrome del
Sopravvissuto. Nel lungo-sopravvivente sono spesso presenti sintomi quali: ansia, stati depressivi
cronici, disturbi della memoria, sintomi post-traumatici da stress e difficoltà relazionali e sociali. In
questo caso specifico verranno esplorati stati depressivi causati dal senso di colpa per chi non c’è
l’ha fatta.
CASO CLINICO: Marta è una donna di 41 anni con diagnosi di Leucemia Mieloide Acuta giunta in
reparto nel gennaio 2014. Durante i ricoveri, la paziente conosce Sara di età 47, con la medesima
diagnosi e come lei all’inizio della fase di induzione chemioterapica. Durante questo tempo di
ospedalizzazione tra Marta e Sara nasce una relazione di amicizia e di supporto reciproco. In
remissione completa Marta affronta a settembre un trapianto di midollo mentre Sara a tre mesi dalla
terapia di consolidamento verrà diagnosticata una recidiva. Nonostante le strade di queste due
donne si separano la relazione di sostegno e di vicinanza che le univa rimarrà tale fino alla morte di
Sara.
IL RUOLO DELLO PSICOLOGO: Dopo la morte di Sara, per Marta si aprono nuovi scenari emotivi
quali angoscia e chiusura. Marta vive una vita di privazioni interpretandole come un tentativo di
espiazione, inoltre esprime la sua sensazione di ineludibilità rispetto un evento catastrofico (recidiva
di malattia). La presa in carico psicologica di entrambe le pazienti viene fatta alla diagnosi, ma in
questa fase particolare il lavoro dello psicologo si è focalizzato sul riconoscimento di meccanismi
come l’identificazione, il senso di colpa e l’angoscia legata alla paura di un ritorno di malattia.
Ridimensionare anche il suo grado di controllo rispetto gli eventi ha fatto sì che la paziente non si
percepisse più come dannosa rispetto a eventi che non dipendessero da lei.
CONCLUSIONI: Il significato psicologico della sopravvivenza dal tumore spesso non è vissuta
come fortuna nella sfortuna, ma viene ad assumere connotati ambivalenti. La remissione è un ritorno
ad una quasi normalità fisica e potenzialmente relazionale, ma in realtà vi è un difficile equilibrio tra
speranza di guarire e paura per il futuro. La necessità di un periodo di terapia di mantenimento e le
visite periodiche sono un richiamo continuo alla precarietà e alla possibilità di una recidiva, che
spesso non dà preavvisi e viene scoperta in occasione delle analisi cliniche. D’altro canto un periodo
così lungo di terapia e controlli rende difficile abbandonare il ruolo di malato e riassumere le
responsabilità familiari, sociali e lavorative dopo il trauma di aver bruscamente incontrato la reale
possibilità di morire. Su questo si innesta una sorta di necessità di tenere un orizzonte ristretto, di
rinunciare a progetti ed ambizioni per un misto di sensi di colpa e di inspiegabilità del perché si è
sopravvissuti al posto di persone meno fortunate.
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