CAPITOLO 30 La fisica dei quanti La maggior parte delle immagini che conosciamo sono fatte di luce visibile. Quelle che non lo sono, come i termogrammi o le immagini radiografiche, impiegano comunque radiazioni elettromagnetiche, anche se di un altro tipo. Fino a un’ottantina di anni fa, l’idea di comporre un’immagine servendosi di particelle anziché di radiazioni sarebbe sembrata assurda, come se si fosse proposto di fare un ritratto facendo rimbalzare palline di pittura sul soggetto da ritrarre. Poco dopo il 1920, tuttavia, i fisici scoprirono che le onde luminose si comportano spesso come particelle e che, viceversa, le particelle, come gli elettroni, spesso si comportano come onde. In effetti le proprietà ondulatorie degli elettroni possono essere utilizzate per creare immagini particolarmente dettagliate, come questa fotografia di una cavalletta realizzata con un microscopio a scansione elettronica. In questo capitolo esamineremo le leggi, talvolta apparentemente bizzarre, che descrivono il comportamento della natura nel regno atomico e in quello subatomico, e parleremo degli eventi che tra il 1890 e il 1940 le portarono alla luce, rivoluzionando tutta la fisica. P er comprendere il comportamento della natura a livello atomico, è necessario introdurre nella fisica alcuni concetti nuovi e modificarne altri. In questo capitolo analizzeremo le idee fondamentali della fisica quantistica e mostreremo come esse portino a una comprensione più approfondita dei sistemi microscopici, analogamente al modo in cui la relatività estende la fisica al regno delle alte velocità. Prese insieme, la relatività e la fisica dei quanti forniscono le basi di quella che oggi chiamiamo fisica moderna. Inizieremo il capitolo introducendo il concetto di quantizzazione, secondo il quale una grandezza fisica, come l’energia, varia per quantità discrete e non con la continuità prevista dalla fisica classica. Questo concetto porta all’idea di fotone, che può essere pensato come una “particella” di luce. In seguito vedremo che proprio come la luce può comportarsi come una particella, così le particelle – gli elettroni, i protoni e i neutroni – possono comportarsi come onde. Infine esamineremo l’incertezza fondamentale che la natura ondulatoria della materia introduce nella nostra conoscenza delle grandezze fisiche, rendendo possibili comportamenti classicamente “proibiti” come l’effetto tunnel quantistico. Contenuti 1. La radiazione di corpo nero e l’ipotesi di Planck sulla quantizzazione dell’energia 1047 2. I fotoni e l’effetto fotoelettrico 1050 3. La massa e la quantità di moto del fotone 1056 4. La diffusione dei fotoni e l’effetto Compton 1057 5. L’ipotesi di de Broglie e il dualismo onda-particella 1060 6. Il principio di indeterminazione di Heisenberg 7. L’effetto tunnel quantistico 1064 1068 1 . L a r a d i a z i o n e d i c o r p o n e r o e l ’ i p o t e s i d i P l a n c k s u l l a q u a n t i z z a z i o n e d e l l ’ e n e r g i a 1047 1. La radiazione di corpo nero e l’ipotesi di Planck sulla quantizzazione dell’energia Se vi è mai capitato di guardare l’interno di una fornace calda da un’apertura di piccole dimensioni, avrete notato il bagliore della luce tipica delle alte temperature. Per quanto possa sembrare inverosimile, questa luce ha avuto un ruolo centrale nella rivoluzione che sconvolse la fisica all’inizio del ’900. Fu lo studio di sistemi di questo tipo a far introdurre nella fisica l’idea della quantizzazione dell’energia, cioè che l’energia possa assumere soltanto valori discreti. Per la precisione, alla fine dell’800 i fisici si erano messi a studiare attentamente la radiazione elettromagnetica emessa da un sistema fisico noto come corpo nero. Un esempio di corpo nero è illustrato nella figura 1. Si tratta di un corpo cavo con una piccola apertura verso il mondo esterno, proprio come una fornace. La luce che entra nella cavità attraverso l’apertura viene riflessa molte volte dalle pareti interne e finisce per essere assorbita completamente. È per questa ragione che il sistema è detto “nero”, anche se non è necessario che il materiale di cui è fatto sia davvero nero. La luce che entra in un corpo nero è assorbita completamente. ▲ FIGURA 1 Un corpo nero ideale I corpi che assorbono la maggior parte della luce incidente, anche se non tutta, costituiscono approssimazioni ragionevoli di un corpo nero, mentre i corpi altamente riflettenti e brillanti non possono essere presi come approssimazione. Come abbiamo visto nel capitolo 15, i corpi in grado di assorbire la radiazione sono anche in grado di emetterla. Perciò un corpo nero ideale è anche un radiatore ideale. Il classico esperimento che si esegue con un corpo nero, infatti, è il seguente: si scalda il corpo nero fino a una data temperatura T e si misura la quantità di radiazione elettromagnetica che emette a una data frequenza f. Si ripete la misura per varie frequenze e si riportano i risultati su un grafico. La figura 2 illustra i risultati di un tipico esperimento sulla radiazione di corpo nero per differenti temperature. Osserviamo l’andamento dell’intensità della radiazione emessa: di scarsa entità a basse frequenze, la radiazione presenta un picco nella regione delle frequenze intermedie per attenuarsi man mano che ci si sposta verso le frequenze più alte. Ciò che è veramente notevole nell’esperimento del corpo nero è il fatto seguente: La distribuzione dell’energia della radiazione emessa da un corpo nero non dipende dal materiale con cui è costruito il corpo, ma solo dalla sua temperatura T. Perciò un corpo nero di acciaio e uno di legno danno esattamente lo stesso risultato quando sono portati alla stessa temperatura. Quando i fisici osservano qualcosa che è indipendente dai dettagli del sistema è chiaro che stanno osservando un fenomeno di importanza fondamentale. È proprio quello che accadde con la radiazione di corpo nero. Due aspetti delle curve della radiazione di corpo nero mostrate nella figura 2 hanno un’importanza particolare. Anzitutto notiamo che all’aumentare della temperatura aumenta l’area sottesa dalla curva. Dal momento che quest’ultima è una misura dell’energia totale emessa dal corpo nero, ciò significa che all’aumentare della temperatura del corpo aumenta anche l’energia emessa da esso. Il secondo aspetto degno di nota è che all’aumentare della temperatura assoluta T il picco della curva si sposta verso frequenze maggiori. Questo spostamento del massimo con la temperatura è descritto dalla legge dello spostamento di Wien: 1,2 Regione visibile 1 0,8 0,6 0,4 6000 K 3000 K 0,2 5 10 15 20 Frequenza (1014 Hz) a) 10 12 000 K 8 6 4 6000 K 2 5 10 Frequenza 15 20 (1014 Hz) b) Legge dello spostamento di Wien fpicco = 15,88 ⭈ 1010 s-1 ⭈ K-12T In un corpo nero ideale la luce incidente è assorbita completamente. Nel caso qui raffigurato l’assorbimento è dovuto alle molteplici riflessioni all’interno della cavità. Il corpo nero e la radiazione elettromagnetica contenuta al suo interno sono in equilibrio termico a una certa temperatura T. Intensità relativa Un corpo nero ideale assorbe tutta la luce che incide su di esso. Intensità relativa Corpo nero [1] Nel SI si misura in hertz (1 Hz ⫽ 1 s⫺1). C’è quindi un legame diretto fra la temperatura di un corpo e la frequenza della radiazione emessa con maggiore intensità. ▲ FIGURA 2 La radiazione di corpo nero La radiazione di corpo nero in funzione della frequenza a varie temperature: a) 3000 K e 6000 K; b) 6000 K e 12 000 K. Osserviamo che all’aumentare della temperatura il picco della radiazione emessa si sposta verso frequenze più elevate. 1048 C A P I T O L O 3 0 L a f i s i c a d e i q u a n t i 1. VERIFICA DEI CONCETTI Confronta le temperature Betelgeuse è una stella gigante rossa della costellazione di Orione; Rigel è una stella bianca azzurrognola della stessa costellazione. Rispetto a quella di Rigel, la temperatura superficiale di Betelgeuse è: A maggiore. B minore. C uguale. RAGIONAMENTO E DISCUSSIONE Ricordiamo che la luce rossa ha una frequenza minore della luce blu. Per la legge dello spostamento di Wien, quindi, una stella rossa ha una temperatura minore di una stella blu. Perciò Beltegeuse ha una temperatura superficiale minore. R I S P O S TA La risposta corretta è la B: la temperatura superficiale di Beltegeuse è minore di quella di Rigel. ▲ Tutti i corpi emettono radiazione elettromagnetica in un intervallo di frequenze. La frequenza emessa con maggiore intensità dipende dalla temperatura del corpo, come specificato dalla legge di Wien. Il bullone incandescente in questa fotografia irraggia principalmente nell’infrarosso ma è abbastanza caldo (qualche migliaio di kelvin) da far sì che una parte significativa della sua radiazione ricada nella regione rossa dello spettro visibile. Gli altri bulloni sono troppo freddi per irraggiare una quantità osservabile di luce visibile. Per rendere più chiara la conclusione della precedente verifica dei concetti, analizziamo più attentamente la figura 2. Alla temperatura più bassa tra quelle raffigurate, 3000 K, la radiazione è più intensa all’estremo rosso dello spettro visibile che all’estremo blu. A questa temperatura, un corpo (ad esempio la resistenza di una stufa elettrica) ci apparirebbe di color rosso fuoco; la maggior parte della radiazione, inoltre, è nell’infrarosso e perciò non è visibile. Un corpo nero a 6000 K, ad esempio la superficie del Sole, emette una radiazione intensa nello spettro visibile, sebbene la radiazione all’estremo rosso sia ancora più intensa che all’estremo blu. È per questo motivo che la luce del Sole ci appare giallognola. A 12 000 K, infine, un corpo nero appare bianco-bluastro e la maggior parte della sua radiazione è nell’ultravioletto. Nel prossimo esercizio determineremo la temperatura della stella Rigel in base alla posizione del suo picco di emissione. ESERCIZIO FISICA INTORNO A NOI Misurare la temperatura di una stella 1 Calcola la temperatura superficiale della stella Rigel, sapendo che il picco della sua radiazione si trova a una frequenza di 1,17 ⭈ 1015 Hz. [T = fpicco ⫽ 1,17 ⭈ 1015 Hz = 19 900 K. 5,88 ⭈ 1010 s-1 ⭈ K-1 5,88 ⭈ 1010 s-1 ⭈ K-1 Questa temperatura è un po’ più del triplo di quella del Sole. La radiazione di corpo nero ci permette di determinare la temperatura di una stella distante che non potremo mai visitare] Planck e l’ipotesi dei quanti Sebbene verso la fine dell’800 la radiazione di corpo nero fosse ben conosciuta dal punto di vista sperimentale, c’era ancora un problema da risolvere. I tentativi di trovare una spiegazione teorica alle curve della radiazione di corpo nero utilizzando la fisica classica fallivano, e fallivano miseramente. Per capire la natura del problema analizziamo, le curve mostrate nella figura 3. La curva verde rappresenta il risultato sperimentale della radiazione di un corpo nero a una data temperatura. La curva blu, al contrario, mostra la previsione teorica della fisica classica. È chiaro che il risultato classico non può essere valido, poiché la curva diverge all’infinito alle alte frequenze e ciò implicherebbe che il corpo nero emetta sotto forma di radiazione una quantità infinita di energia. Questa situazione assurda di divergenza alle alte frequenze viene chiamata catastrofe ultravioletta. Il fisico tedesco Max Planck (1858-1947) lavorò a lungo e duramente sul problema e alla fine riuscì a trovare una funzione matematica che si accordava con gli esperimenti per qualsiasi frequenza. Il problema successivo che lo scienziato tedesco dovette affrontare fu quello di riuscire a ricondurre la funzione a un principio che la giustificasse. Scoprì che l’unico modo era partire da un’ipotesi audace e rivoluzionaria: l’energia della radiazione 1 . L a r a d i a z i o n e d i c o r p o n e r o e l ’ i p o t e s i d i P l a n c k s u l l a q u a n t i z z a z i o n e d e l l ’ e n e r g i a 1049 di un corpo nero alla frequenza f deve essere un multiplo intero del prodotto di una costante (h) per la frequenza; in altre parole, l’energia è quantizzata: En = nhf n = 0, 1, 2, 3, Á [2] La costante h dell’espressione è nota come costante di Planck e ha il valore seguente: Frequenza Costante di Planck, h h = 6,63 ⭈ 10-34 J ⭈ s [3] Nel SI si misura in joule per secondo (J ⭈ s). Oggi riconosciamo h come una delle costanti fondamentali della natura, sullo stesso piano di altre costanti come la velocità della luce nel vuoto e la massa a riposo dell’elettrone. L’ipotesi della quantizzazione dell’energia costituisce un allontanamento dalla fisica classica, nella quale l’energia può assumere qualsiasi valore. Nel calcolo di Planck l’energia può avere solo i valori discreti hf, 2hf, 3hf, e così via. A causa di questa quantizzazione, quando un sistema passa da uno stato a un altro la sua energia può variare solo per salti quantizzati, mai inferiori ad hf. Come si può vedere dal piccolo valore della costante di Planck, l’incremento fondamentale hf, il quanto di energia, è incredibilmente piccolo. Nel prossimo esempio svolto analizzeremo la dimensione del quanto e il valore del numero quantico n di un tipico sistema macroscopico. 1 . E S E M P I O S V O LT O Osservazione sperimentale e predizione di Planck Intensità relativa Quantizzazione dell’energia Predizione classica ▲ FIGURA 3 La catastrofe ultravioletta La fisica classica prevede per la radiazione di corpo nero una distribuzione di intensità che aumenta indefinitamente all’aumentare della frequenza. Tale risultato è noto come “catastrofe ultravioletta”. Partendo dall’ipotesi che l’energia fosse quantizzata, Planck riuscì a derivare una curva in accordo con i risultati sperimentali. I numeri quantici Supponi che la massima velocità di una massa di 1,2 kg attaccata a una molla con una costante elastica di 35 N/m sia 0,95 m/s. a) Calcola la frequenza di oscillazione e l’energia totale del sistema massa-molla. b) Determina le dimensioni di un quanto di energia del sistema. c) Assumendo che l’energia di questo sistema soddisfi la relazione En ⴝ nhf, determina il numero quantico n. DESCRIZIONE DEL PROBLEMA La figura mostra la massa di 1,2 kg che oscilla attaccata a una molla con una costante elastica di 35 N/m. Quando la massa passa per la sua posizione di equilibrio, la sua velocità è massima e vale vmax ⫽ 0,95 m/s. In quell’istante tutta l’energia del sistema è sotto forma di energia cinetica della massa. y k = 35 N/m S T R AT E G I A a) Possiamo determinare la frequenza di oscillazione utilizzando le relazio- y=0 ni v = 2k>m e v ⫽ 2pf . L’energia totale è data semplicemente dall’energia cinetica della massa quando passa per la posizione di equilibrio, E = Kmax = 12 mv2max. b) L’energia di un quanto è hf, dove f è la frequenza calcolata in a). c) Il numero quantico n si ricava dalla relazione En ⫽ nhf. SOLUZIONE a) Calcoliamo la frequenza di oscillazione utilizzando la relazione v = 2k>m = 2pf: Per determinare l’energia totale E del sistema calcoliamo la massima energia cinetica della massa (12 mv2max): vmax = 0,95 m/s m = 1,2 kg k = 2pf Am 35 N>m 1 k 1 = 0,86 Hz f = = 2p A m 2p A 1,2 kg v = E = 12 mv2max = 1211,2 kg210,95 m/s22 = 0,54 J b) L’energia di un quanto è hf, dove f ⫽ 0,86 Hz: hf = 16,63 ⭈ 10-34 J ⭈ s210,86 Hz2 = 5,7 ⭈ 10-34 J c) Poniamo En ⫽ nhf uguale all’energia totale del sistema e ricaviamo n: En = nhf 0,54 J En = 9,5 ⭈ 1032 n = = hf 5,7 ⭈ 10-34 J 1050 C A P I T O L O 3 0 L a f i s i c a d e i q u a n t i O S S E R VA Z I O N I I valori trovati in b) e c) hanno dimensioni incredibili. Il quanto, ad esempio, è dell’ordine di 10⫺34 J: a titolo di paragone, l’energia necessaria per rompere un legame in una molecola di DNA è dell’ordine di 10⫺20 J. Perciò il quanto di un sistema macroscopico è circa 1014 volte più piccolo dell’energia necessaria per modificare una molecola. Analogamente, il numero di quanti presenti nel sistema, più o meno 1033, è paragonabile al numero di atomi contenuti in quattro piscine olimpiche. P R O VA T U Se il quanto di energia di una massa di 1,5 kg attaccata a una molla è 0,8 ⭈ 10⫺33 J, qual è la costante elastica della molla? [k ⫽ 86 N/m] Problemi simili: 10 e 79. È chiaro, quindi, che i numeri quantici di un sistema macroscopico sono incredibilmente grandi e che la differenza tra due numeri successivi è talmente piccola da non essere rilevabile; analogamente, la variazione di energia da uno stato quantico al successivo è così piccola da non poter essere misurata sperimentalmente. Di fatto, quindi, l’energia di un sistema macroscopico sembra variare con continuità, anche se in realtà varia per piccoli salti. In un sistema atomico, invece, i salti di energia sono di grande importanza; lo vedremo meglio nel prossimo paragrafo. Tornando alla catastrofe ultravioletta, adesso siamo in grado di capire in che modo l’ipotesi di Planck elimina la divergenza alle alte frequenze prevista dalla fisica classica. Nella teoria di Planck, più alta è la frequenza f e maggiore è il quanto di energia hf. All’aumentare della frequenza, quindi, aumenta la quantità di energia necessaria anche per il più piccolo salto quantico. Un corpo nero, tuttavia, possiede solo una quantità finita di energia e dunque non può fornire la grande quantità di energia necessaria per produrre un salto quantico corrispondente a una frequenza estremamente elevata; ecco perché alle alte frequenze l’intensità della radiazione emessa tende a zero. Nonostante la teoria sulla quantizzazione dell’energia permettesse di descrivere adeguatamente i risultati sperimentali per la radiazione di corpo nero, né Planck né gli altri fisici ne erano pienamente soddisfatti: l’idea, infatti, sembrava costruita ad hoc e appariva più come un espediente matematico che come una vera rappresentazione della natura. Con il lavoro di Einstein, che presenteremo nel prossimo paragrafo, i dubbi sulla teoria dei quanti, apparentemente fondati, iniziarono a dissolversi. 2. I fotoni e l’effetto fotoelettrico Per Max Planck la quantizzazione dell’energia del corpo nero era probabilmente legata alle vibrazioni quantizzate degli atomi delle pareti del corpo nero. Così come una corda vincolata ai due estremi può produrre onde stazionarie solo per frequenze discrete ben definite (capitolo 18), è possibile che anche gli atomi di un corpo nero vibrino solo per determinati valori discreti dell’energia. Quel che è certo è che Planck non pensava che l’energia della luce di un corpo nero potesse essere quantizzata, poiché la maggior parte dei fisici pensava che la luce fosse un’onda e che in quanto tale potesse avere qualsiasi energia. Un fisico giovane e temerario di nome Albert Einstein, invece, prese seriamente in considerazione l’idea della quantizzazione dell’energia e la applicò alla radiazione di corpo nero. Einstein fece l’ipotesi che anche la luce fosse formata da pacchetti di energia, i fotoni, e che questi obbedissero all’ipotesi di Planck sulla quantizzazione dell’energia; in altre parole, un fascio di luce di frequenza f è costituito da fotoni la cui energia data dalla relazione seguente: Energia di un fotone di frequenza f E ⫽ hf [4] Nel SI si misura in joule (J). In un fascio di luce di frequenza f, quindi, l’energia può assumere solo i valori hf, 2hf, 3hf, e così via.