LE SMANIE PER LA VILLEGGIATURA

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PROSA
venerdì 17, sabato 18 febbraio - ore 21
domenica 19 febbraio - ore 15,30
TEATRO ARIOSTO
2005-2006
una coproduzione
Le Belle Bandiere - Diablogues
Teatro degli Incamminati
in collaborazione con
Teatro Comunale Ebe Stignani di Imola
LE SMANIE PER
LA VILLEGGIATURA
elaborato e diretto da
di Carlo Goldoni
Elena Bucci, Stefano Randisi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano
luci di Maurizio Viani
costumi di Andrea Stanisci
parrucchiera Denia Donati
maschere Stefano Perocco di Medusa e Lando Francini
suono Alessia Massai
direttore di scena Giuliano Toson
assistente alla regia Gaetano Colella
con
LE SMANIE PER LA VILLEGGIATURA
di CARLO GOLDONI
Elena Bucci Giacinta e Vittoria
Stefano Randisi Fulgenzio e servi
Marco Sgrosso Leonardo e Guglielmo
Enzo Vetrano Filippo e Ferdinando
si ringrazia Ivano Marescotti per aver prestato gentilmente la sua voce a Carlo Goldoni
“E i quattro, protagonisti e caratteristi a un tempo, gareggiano in bravura in una gara
che non li pone in confronto tra loro ma con se stessi, impegnati a passare di continuo
da un carattere al suo contrario in un perenne superamento.”
Franco Quadri, “La Repubblica”
“Un senso di futilità per il vacuo agitarsi di problemi inesistenti, la pesantezza ostinata
e ottusa del desiderio insaziabile e impaziente di ‘avere’ per potere apparire, l’oppressione
di un cieco conformismo che spinge a inseguire mete e mode imposte, sono sensazioni
che diventano temi portanti e che ben lievitano con folle gioco teatrale nella quale la
compagnia fa vivere Le smanie della villeggiatura.”
Magda Poli, “Corriere della Sera”
“Non si finirà mai di scavare dentro quest’opera dagli infiniti significati, molti dei quali
rovesciabili in chiave attuale.”
Antonio Audino, “Il Sole 24 Ore”
“...una prova davvero maiuscola, fra l’altro, aggiungendo al testo originale irresistibili
battute a soggetto sulla confusione indotta da Goldoni con i continui cambi di ambiente
e da loro stessi con l’assumersi ciascuno di più ruoli, rendono come meglio non si
potrebbe l’amara comicità di una simile danza sul vuoto.”
Enrico Fiore, “Il Mattino”
Quella che viene rappresentata al Teatro Ariosto dal cast proveniente dalle compagnie
Le Belle Bandiere e Diablogues è un’atipica versione dell’opera di Goldoni: Elena Bucci,
Stefano Rendisi, Marco Sgrosso e Enzo Vetrano firmano questa regia collettiva
interpretando tutti gli undici personaggi della commedia con un italiano "rivisitato" in
chiave contemporanea.
Del resto anche il filo conduttore del testo è attuale: recarsi in villeggiatura non è motivo
di riposo fisico e mentale, ma un esercizio della propria vanità dei quali erano avvezzi
i ceti medio alti della società veneziana ai tempi di Goldoni, come parte dell'odierna
borghesia occidentale.
Prima commedia della trilogia La villeggiatura del 1756 — cui fanno seguito Le avventure
della villeggiatura e Il ritorno dalla villeggiatura —, riprende in realtà in forma compiuta
un tema che l'autore aveva già sfruttato in precedenza, dal Momolo sul Brenta del 1739,
per giungere fino ai Malcontenti del 1759, con una trama senza intreccio che riesce
a creare occasioni di divertimento e di riflessione sulle intemperanze di mode e costumi.
La vicenda è ambientata a Livorno nelle ore che precedono la partenza per la villeggiatura
di Leonardo, innamorato di Giacinta e fratello di Vittoria. La decisione da parte del padre
della ragazza di partire in compagnia di Guglielmo, uno scaltro spasimante, irrita
Leonardo al punto da rinunciare più volte per gelosia alla partenza nonostante le
"smanie" della sorella che si era fatta confezionare da un sarto un grazioso mariage
per l'occasione... La situazione crea tutta una serie comica di equivoci, ripicche da
innamorati, liti tra
fratelli, fino alla
rinuncia spontanea di Guglielmo
consequenziale
alla dichiarazione
di Leonardo nei
confronti di Giacinta di fronte al
padre Filippo.
La scenografia è
scarna, e a ricordare il settecento
rimangono solo i
costumi e la natura del testo.
“La collaborazione artistica tra le nostre due compagnie — che ha dato origine al
fortunato progetto triennale di rilettura e reinvenzione dei testi classici Il berretto a
sonagli, Anfitrione di Molière e Il mercante di Venezia — ha permesso di creare una
compagnia solida, in grado di reggere un ‘repertorio’ e che assomiglia a quello della
tradizione ‘all’antica italiana’.
Siamo registi di noi stessi e degli altri attori, ma siamo anche in scena, garantendoci
così una continua freschezza e verifica dello spettacolo, pur nel corso delle tante
repliche che affollano il nostro calendario.
Allo stesso tempo, pur provenendo da un teatro di ricerca che ha preteso giustamente
dagli attori consapevolezza, cultura e autonomia nel proprio fare, ci sentiamo alieni
dai pericoli di un eccessivo intellettualismo che spesso — in periodi di scarsa
cultura teatrale — allontana il pubblico
dal piacere del teatro. Cerchiamo di
restare vicini alla concretezza e ai particolari della scena, a tutto ciò che di
indicibile si scopre solo durante le prove,
quando i testi del passato rivelano la
loro grande attualità confermando una
vicinanza tra gli umani che annulla il
tempo.
Tentiamo anche di avvalerci di collaborazioni — sia per quanto riguarda i tecnici che gli attori — che durino nel tempo,
per costruire un alfabeto comune e un’affine sensibilità etica e artistica.
Prendendo atto di ciò che siamo, ci siamo resi conto che il percorso di rilettura
dei classici non soltanto non era finito,
ma anzi si apriva a nuove possibilità.
L’appuntamento che ci attendeva era
quello con l’italianissimo Goldoni, che
allo stesso tempo riesce ad essere l’erede della grande tradizione della commedia dell’arte e il suo magistrale traditore.
Ha dato una forma definitiva ai misteriosi canovacci, limitando l’arbitrio degli attori,
pur offrendo loro personaggi e ruoli meravigliosi, ha rubato e modificato gli esilaranti
meccanismi teatrali dando loro un segno che, partendo dal puro divertimento, ha
trasformato i suoi testi in brucianti manifesti e denunce di una crisi sociale e umana
vissuta come malinconia dai personaggi, ma che diventa tragica ai nostri occhi.
Alla fine della rilettura delle Smanie per la villeggiatura — che non lascia un attimo
di respiro per il ritmo incalzante dei duetti, dei rovesciamenti, delle battute —, si arriva
a percepire un senso di vuoto e di sgomento. Quell’affannarsi intorno a futili problemi,
quell’enorme dispendio di tempo, sentimenti e denaro in funzione dell’apparire,
quell’intrecciarsi di rapporti incendiati dalla rivalità e dall’ipocrisia, dove l’amore e la
passione prendono la forma quieta del
dovere e della rispettabilità, e l’odio si
traveste di smancerie, assomiglia tanto
ai modelli di vita che la nostra cultura
del quotidiano ci offre attraverso la
finzione televisiva, che talmente permea
le nostre vite da diventare reale, e trasmigrare nel pensiero e nei comportamenti.
Ancora una volta, la denuncia antica,
attraverso una grande arte, parla attraverso il tempo, ci dimostra come il progresso non sia continuo ma possa subire imprevedibili rovesciamenti
all’indietro, se solo si allenta l’attenzione
e la tensione a migliorare ciò che ci è
data.
Divertendoci, intrigandoci, Goldoni dolorosamente ci ammonisce, ma senza
pedanteria.
La normalità dei suoi personaggi, l’apparente banalità delle loro motivazioni
ci dice che siamo tutti vicini al rischio
di essere pallidi e ridicoli fantasmi di
uomini e donne, simulacri agitati da
passioni piccole e meschine, prigionieri di desideri che ci portano lontani dalle grandi
mete che potremmo raggiungere.
Ritroviamo il filo dell’ispirazione che ci ha guidato nei precedenti lavori, la follia travestita
da normalità, il contrasto tra essere e apparire, le pulsioni dell’individuo in guerra con
l’ordine cristallizzato del mondo sociale. Tutto questo ci affascina e ci porta a voler
indagare questo testo che ha tutte le qualità per diventare un teatro ‘specchio del suo
tempo’.
Lo faremo nel nostro modo e con il nostro stile, rinunciando alle scenografie filologiche
ed elaborate, ‘traducendo’ quell’italiano lontano — che allora era la lingua della
quotidianità — in un parlare a noi vicino, ma mantenendo alcuni segni del mondo di
Goldoni, così da suggerire una lontananza da favola che ci aiuti, come spesso accade,
a leggerne i sensi più profondi.
Non pensiamo quindi a un’attualizzazione, nè a una messinscena realistica, ma a
una sorta di costruzione di un quadro antico, a un album di fotografie ingiallite che
possano all’improvviso animarsi e parlare con il linguaggio che sentiamo oggi per
strada, nei bar, in televisione.
Se gli oggetti della passione sono qui un abito alla moda, un pranzo, una cioccolata,
un bel calesse, vorremmo che, pur usando queste stesse parole, diventassero simbolo
dell’auto, dell’ultimo esemplare di un computer, dell’oggetto di design da esporre
come un trofeo.
Niente di nuovo. Niente che in teoria già non sappiamo. Ma vorremmo riuscire a ridere
amaramente del nostro mondo occidentale e dei suoi modelli rassicuranti che
scricchiolano oggi più che mai nel contrasto con altre culture poverissime che
pretendono, anche con violenza, il loro diritto ad esistere.
Allora non si era forse del tutto consapevoli che il nostro benessere causa necessariamente un malessere altrui, ma già era tangibile e sentito il senso di vuoto creato
dalla corsa ad avere sempre di più, sostenuti da idee di decoro e dignità così gelide
e funzionali da uccidere il sentimento.
Ora abbiamo più strumenti per sapere e per comprendere, ma la paura di cercare
oltre il quotidiano è altrettanto forte, così come la tentazione di stordirsi e di non
guardare.
Con questo lavoro ci piacerebbe ‘guardare’ in profondità con gli strumenti del comico,
che ci permettono di accettare e comprendere le cose pià amare senza perdere la
voglia di cambiarle.
Elena Bucci, Stefano Randisi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano
Martedì 28 febbraio 2006
Mercoledì 1 marzo 2006
ore 21
TEATRO MUNICIPALE VALLI
Scott Bros. srl
Officine Smeraldo spa
PSICOPARTY
di
Michele Serra
Antonio Albanese
regia Giampiero Solari
con
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