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SEBASTIANO TAFARO
DEFENSORES
1. GLI OMBUDSMAN.
L’enorme e crescente fortuna delle varie figure di ombudsman1 le quali stanno
sorgendo e si stanno diffondendo in quasi tutto il mondo in maniera rapida ed anche
con caratteristiche fondamentali spesso mutuate tra loro2 spinge operatori e studiosi
ad interrogarsi sulle radici degli istituti e delle configurazioni da essi assunte3.
Il nome con il quale vengono designati talora è indicativo della loro origine e della
finalità loro assegnate, anche se spesso l’idea iniziale viene attualizzata in modi che
tendono a convergere verso un comune modello di base, essenzialmente ispirato alla
originaria configurazione dell’ombudsman, la quale lo definiva come organo di
vigilanza e di denuncia nei confronti degli organi di esercizio del potere ed in modo
più specifico dell’esecutivo.
Così mentre il termine scandinavo ombudsman (l’uomo che fa da tramite)
rinviava alla mediazione (tra sovrano e Parlamento); in Inghilterra e nel mondo
1
Il nome, come è noto, nacque da un decreto di Carlo XII, del 1713 con il quale venne introdotto
l’ Högste Ombudsman.
2
Sul punto è in corso di stampa un lavoro prodotto, nell’ambito della ricerca del Consiglio
nazionale delle Ricerche Italiano su Sistemi giuridici del Mediterraneo (coordinata dal prof. P.
Catalano), dall’unità di Bari (coordinata dai proff. A. Loiodice e S. Tafaro) sull’Avvocato del popolo
della Repubblica di Albania. Nel volume il punto è sviluppato da SHEHU N., Dall’högste Ombudsman
all’avvocato del popolo albanese, la quale indica come prova del favore riscosso dagli ombudsman la
progressiva costituzionalizzazione di essi: v. ivi in particolare la nt. 4, con i ragguagli sull’ultima
bibliografia.
3
Molti autori spiegano l’espansiva ed inarrestabile diffusione degli ombudsman con la crescente
estraniazione degli organi di potere dall’uomo e dalle sue esigenze. Questo spinge le persone ad
accogliere con visibile favore una istituzione con la quale sia possibile dialogare e che facilmente
accessibile. Sul punto cfr., per tutti, G. LOBRANO, Res publica res populi. La legge e la limitazione del
potere, Torino 1996, 280 ss. ed ivi bibl., 289: “Il ricorso ai "difensori civici" (sempre più diffuso ai
vari livelli: sovrastatuale, statuale e delle cd. 'autonomie locali' è il segno importante di una esigenza
forte sebbene ancora confusamente avvertita e ancora più confusamente interpretata e tradotta nelle
istituzioni: dare soluzione al problema della difesa dei governati di fronte al concorde complesso dei
'governanti' (nel senso ampio della parola).”; PADILLA M. M., La institución del Comisionado
parlamentario (el ombudsman), Buenos Aires, 1972; SENEVIRATNE M., "Ombudsman in the Public
Sector", Buckingham: Open University Press, 1994; ID., "The European Ombudsman", in Journal of
Social Welfare and Family Law- 1999 - 21(3), 1999, pp. 269-278; ID., "Ombudsmen 2000", inaugural
Lecture 17 april 2000, Nottingam, Centre for legal Research, Nottingam Law School, 2000 - versione
elettronica, pp. 1 ss.
1
anglosassone si preferì parlare di commissioner parliamentary per indicare che si
trattava di una istituzione fiduciaria del Parlamento; in Francia l’organo viene
indicato come Médiateur ed è un organo della Pubblica Amministrazione che
interviene per il più corretto svolgimento di essa; ancora di Mediatore si è parlato
all’interno della Comunità europea4, dove si connota in modo del tutto particolare
perché non ha un Parlamento con il quale rapportarsi. Nei Paesi dell’America latina e
dell’Est europeo (post-comunista), spesso usciti da sanguinose dittature, si suole far
menzione diretta già nel nome del rapporto che si deve instaurare tra l’istituzione ed
il popolo: perciò si parla di defensor del pueblo o di avvocato del popolo. In Polonia
si è parlato di difensore dei diritti civili, mentre in Italia, dove manca un’istituzione
nazionale5 e vi sono diversi difensori civici locali o mediatori in materie specifiche
(mediatore bancario, mediatore dei minori etc.), spesso la figura concorre con altre
istituzioni ed in particolare con i Garanti (le Authority) sorti in diversi settori: ad es.,
nel campo dell’editoria, nel campo della concorrenza e del mercato, nel campo
finanziario, nel campo della riservatezza personale, per i lavori pubblici e che
tendono a moltiplicarsi6.
Sempre e specie nelle terminologie che direttamente o indirettamente fanno
riferimento ad un legame tra l’ombudsman ed il popolo si avverte il desiderio di un
organo che dia voce ai cittadini e ne raccolga le lamentele e le aspirazioni: le quali
sono particolarmente accentuate riguardo alla tutela dei diritti umani7.
Cfr. COMINELLI L., Il mediatore europeo. Ombudsman dell’unione: prime osservazioni, in
Sociologia del diritto, 2001/1, pp. 91 ss.
5
Ciò malgrado i disegni di legge depositati in Parlamento, però senza fortuna, e a dispetto della n.
127 del 15/5/1997 la quale prevedeva l’istituzione del Difensore civico nazionale e sanciva che solo
sino alla sua introduzione i difensori regionali e provinciali delle Regioni autonome esercitavano il
controllo degli organi periferiche dell’Amministrazione centrale.
6
Lo sguardo panoramico e sintetico contenuto in questo stesso volume dal contributo citato della
Shehu, mi esime dall’analisi delle differenti configurazioni di ombudsman e del significato legato ai
nomi con i quali essi sono indicati; perciò rinvio ad esso ed, in particolare, alle ntt. 2-25. Sul punto v.
anche MASTROPASQUA G., Il difensore civico – Profili sistematici e operativi, Cacucci, Bari, 2003, pp.
20 ss.
7
Anche su questo punto concernente il legame profondo tra ombudsman e tutela dei diritti umani
rinvio al citato contributo della Shehu., in modo specifico al n. 8 concernente la salvaguardia dei
diritti umani. L’a. ricorda che: “La preoccupazione per i diritti umani è una costante delle
Organizzazioni internazionali. Già nel 1946 presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni
Unite fu esaminata una proposta tendente ad affidare la tutela e lo sviluppo dei diritti dell’uomo ad
apposite istituzioni nazionali. Si innescarono vari processi per i quali fu necessario fare il punto in
tempi piú recenti. Tra le vicende che e le iniziative che ne seguirono va segnalata soprattutto quella
4
2
Proprio riguardo al potere di difesa dei singoli si sta affacciando un’esigenza
nuova legata alla prepotente emersione dei diritti dell’uomo. Questi diritti, di là dal
loro contenuto e dalla loro portata che talora hanno contorni non del tutto definiti8,
sollevano la questione di chi debba proteggerli, soprattutto quando a violarli sia
proprio lo Stato. La soluzione è che la protezione sia affidata ad istanze
sopranazionali speciali9 o generali10 presso le quali gli ombudsman attualmente non
hanno legittimazione diratta11. Di fronte ai soprusi ed alle violazioni il ruolo
dell’ombudsman è tutto da precisare, poiché egli non ha legittimazione
sopranazionale e d’altra parte non può che limitarsi, nel proprio Paese, ad elevare una
protesta la quale non ha nessuna certezza di essere accolta. Il punto mi pare che
evidenzi la caratteristica dell’ombudsman il quale si propone come organo di
vigilanza e denuncia ma senza la certezza di potere ottenere la soluzione delle
situazioni e delle storture manifestate.
del giugno del 1990, quando i Paesi partecipanti alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione,
riunita in Danimarca a Copenaghen, proposero, in primo luogo agli Stati partecipanti ma in generale
ad ogni Paese, di “rendere possibile la creazione e il consolidamento delle istituzioni nazionali,
indipendenti nel campo dei diritti dell’uomo e dello Stato del diritto”. L’anno dopo furono enunciati i
“Principi di Parigi” i quali, a conclusione della Conferenza internazionale, tenutasi a Parigi, tra le
istituzioni nazionali che si occupano della difesa e lo sviluppo dei diritti umani, enunciarono i punti
essenziali per fare in modo che le legislazione dei singoli Stati creassero o rafforzassero attraverso la
propria legislazione in maniera chiara ed esplicita le istituzioni che dovevano badare alla difesa ed allo
sviluppo dei diritti umani. Questa esigenza fu confermata e sottolineata con forza nel 1993 dalla
Dichiarazione di Vienna, la quale tornò a chiedere la creazione ed il rafforzamento di istituzioni
nazionali dirette alla salvezza e promozione dei diritti dell’uomo. In conseguenza di queste spinte e
della forza che la tutela dei diritti umani stava assumendo presso l’opinione pubblica mondiale alcuni
Paesi pensarono di utilizzare gli istituti dell’Ombudsman per affidare loro la tutela dei diritti umani”.
8
Sul punto non mi posso fermare in questa sede, dove mi limito a ricordare che essi sono e sono
stati indicati dalle note ‘Dichiarazioni’ e ‘Convenzioni’ internazionali sia delle Nazioni Unite sia
dell’Unione europea e danno luogo ad un elenco il quale necessita di continuo aggiornamento. Di
recente la dottrina e qualche Corte Costituzionale (ad esempio,in qualche misura, quella italiana)
hanno anche affermato un principio che rivoluziona le Costituzioni materiali. Si sostiene che i diritti
fondamentali fanno parte delle Costituzioni dei Paesi anche se non esplicitati nella rispettiva Carta
Costituzionale.
9
È il caso del Tribunale Internazionale penale per i crimini della ex Jugoslavia (TPIJ), istituito nel
1993, con sede a l’Aia, in conformità alla delibera dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del
1991, dal Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite nel 1993 richiamando gli artt. 39 e 40 del
Capitolo VII (Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di
aggressione) della Carta istitutiva delle N.U. e del Tribunale penale internazionale per il Ruanda
(TPIR) istituito con una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, la n° 955 dell’8 novembre
1994.
10
Tale è ora il Tribunale penale internazionale istituito a Roma nel 1998.
11
In genere, come è per gli ultimi due Tribunali menzionati, vi è un apposito Procuratore con
competenza promuovere l’azione penale: v. l’art. 11 lett. b) dello Statuto del Tribunale per i crimini
compiuti nell’ex Jugoslavia..
3
In questa sede non mi posso soffermare sulle considerazioni vaste e profonde che
la materia richiede. Mi limiterò ad una riflessione comparativa tra siffatte istituzioni
moderne alla luce del diritto e dell’esperienza romana unificando nella terminologia
le varie figure nei termini ombudsman e defensores; ma arbitrariamente e per mie
esigenze di semplificazione.
2. LE RADICI.
Da più parti sia in dottrina che da parte degli operatori del diritto si chiede quale
sia la fonte prima a base dell’istituzione di organi di controllo dell’esercizio del
potere diretti a prevenire e/o reprimere ogni abuso ai danni del cittadino.
Al riguardo appare spontaneo il confronto ed il richiamo al Tribunato della plebe
ed alle più tarde figure di difensores civitatis.
Vi è infatti la tendenza a giustificare ed in qualche misura a nobilitare le moderne
istituzioni con i richiami all’antico Tribunato, il cui fascino si può dire che non si sia
mai sopito nello sviluppo della civiltà giuridica europea e delle Americhe12.
Della copiosa letteratura mi limito a citare le espressioni più recenti: LOBRANO G., Dal ‘defensor
del pueblo’ al Tribuno della plebe: ritorno al futuro. Un primo tentativo di interpretazione storicosistematica, con particolare attenzione alla impostazione di Simón Bolivar, in “Da roma a Roma”.
Dal Tribunato della plebe al difensore del popolo. Dallo Jus gentium al Tribunale penale
internazionale, a cura di P. Catalano – G. Lobrano – S. Schipani, atti del Convegno tenutesi nella sede
dell’ILA nei giorni 21-22 feb. 2002, ILA, Roma 2002, pp. 67 ss.; ALAMANNI DE CARRILLO B., El rol del
Ombudsman en America latina (su tradición romana), in “Da Roma a Roma”, cit., pp. 91 ss.; AA.
VARI, La difesa civica italiana tra mediazione e tribunato della plebe, Taranto 2-3 aprile 2003. in
particolare il Lobrano, al quale, assieme al Catalano (v. Tribunato e resistenza, Torino, 1971),
dobbiamo le pagine recenziori più penetranti sul Tribunato, mette in evidenza l’influenza del
Tribunato nella delineazione degli assetti costituzionali contemporanei durante la rivoluzione francese
e nelle elaborazioni dottrinale dal 1500 al secolo scorso. L’istituto viene spesso evocato pur dopo la
caduta dell’impero romano e passa dal ‘Consiglio dei dieci’ istituito a Venezia nel secolo VI d. C., al
‘Sindicus’ dei Comuni, durante il Medio Evo; sino al Tribuno del popolo romano di Cola Di Rienzo
nel 1344. la reintroduzione, in varie forme, del tribunato è invocato anche da Calvino (1536),
Hotmann (1567), De mariana (1599), Althusius (1586). Nel 1700 al Tribunato si rivolge l’attenzione
dei padri del costituzionalismo moderno. In Francia propongono di far capo al Tribunato sia il
Montesquieu sia il Rousseau (sostenitori di opposte concezioni della democrazia), così come il
Babeuf. In Germania il Tribunato viene riproposto dallo Schlegel (1795), dai cui scritti il Kant trasse
ispirazione per la costruzione del sistema federale e soprattutto dal Fiche (a cavallo tra la fine del
12
4
Si può dire che il ricordo del Tribunato con la sua indipendenza e capacità di
contrapposizione alle magistrature della Civitas attrae e resta un ideale per la difesa
del popolo e, quindi, per la completezza della democrazia.
Quanto poi esso sia riflesso dalle attuali figure di ombudsman è tutto da verificare.
Mi pare che, malgrado i tentativi di risalire al Tribunato, gli ombudsman abbiano
natura e funzioni del tutto differenti rispetto ad esso.
In primo luogo è da evidenziare la differenza fondamentale tra le funzioni degli
ombudsman e quelle dei Tribuni plebis.
I primi hanno quasi costantemente lo scopo di perseguire l’esercizio corretto del
potere, proponendosi come organi di controllo dell’operato soprattutto dell’esecutivo
e senza possibilità di interferire né con il potere legislativo né con il potere
giudiziario.
Questo deriva dal fatto che gli ombudsman si inseriscono nella concezione liberaldemocratica dello Stato basata sul principio della divisione dei poteri e realizza un
momento di presa di coscienza del fallimento di quel principio13.
Sta di fatto che gli ombudsman, i quali spesso hanno essenzialmente poteri di
denuncia e di messa in mora; normalmente non hanno potere di imporre le proprie
decisioni ma solo la possibilità di persuadere dell'opportunità di rispettarle; di
conseguenza essi intervengono per chiedere che determinati atti siano compiuti
ovvero che essi siano conformi alla legge ed ai criteri di buona amministrazione.
Gli ombudsman nascono e si profilano come la risposta alla necessità di assicurare
ai singoli una salvaguardia penetrante nei confronti degli atti delle Pubbliche
Amministrazioni. Questo, per il mondo anglosassone, è riflesso persino dal nome che
è quello di Parliamentary Commissioner for Administration14.
secolo XVIII e l’inizio del secolo XIX). Il Tribunato è costantemente presente nel costituzionalismo
latino-americano di Francisco de Mirando, di Simón Bolivar. Viene proposto (ad opera di C. Agostini
e Carlo Luciano Bonaparte) nel modello di Costituzione della Repubblica romana nel 1849 e viene
sostenuto negli Stati Uniti di America dal grande costituzionalista John Caldwell Calhoun. Ultima eco
del Tribunato e della sua grandezza si ha in Italia nel 1870 nell’opera (Guida alla elezione politica,
Napoli, 1870) di Guido Padelletti.
13
Cfr. LOBRANO G., opp. citt.
14
Cfr. GREGORY R. and PEARSON j., The Parliamentary Ombudsman after twentyfive years:
problems and solutions, in Public Administration 70, 1992, pp. 469-498; GREGORY R. and GIDDINGS PH., The Ombudsman, the Citizen and Parliament - A history of the Office of the Parliamentary Commissioner for Administration and the Health Service Commissioner, Politico's Publishing,
5
Gli analisti ritengono di cogliere le competenze e le caratteristiche principali degli
ombudsman proprio nella comune proiezione verso il controllo degli atti. È
convinzione corrente che gli ombudsman tendano a contenere l'eccessivo
ampliamento dei poteri e dell'attività dello Stato e della pubblica amministrazione e
che essi pur nella diversità assunta dalle numerose figure di Ombudsman abbiano
caratteristiche comuni, più o meno accentuate o diversificate da Paese a Paese15.
In questo vedo già la prima diversità rispetto ai Tribuni plebis. Infatti gli
ombudsman intervengono per far sì che il comportamento dell’esecutivo e dei suoi
organi sia conforme alla legge ed ai criteri di buona amministrazione. Inoltre possono
chiedere che un atto necessario per il singolo cittadino sia compiuto.
Nessuna interferenza hanno nei confronti della legge e del Parlamento, del quale
nel modello svedese, anglosassone e latino-americano, sono espressione16. Questo si
riflette nelle modalità di nomina degli ombudsman, che salvo qualche eccezione
London, 2002.; HALLER W., The place of the ombudsman in the world community", in Fourth International Ombudsman, Conference Papeis, Canberra, 29, 1988.; HARRIS M. and PARTINGTON M.,
Administrative Justice in the 21st Century, Chapter 8, Hart Publishing, 1999; SENEVIRATNE M.,
Ombudsmen: public services and admnistrative Justice, Lexis Needs, Butterworths, 2002.
15
Tra esse possiamo indicare: a) il controllo sui funzionari delle amministrazioni civili, ma non sui
ministri, perché questi sono solo responsabili per l'indirizzo politico e subiscono solo il controllo del
Parlamento; b) impossibilità di sindacare il merito degli atti amministrativi discrezionali. esclusione di
intervento dell'Ombudsman su questioni pendenti davanti ad un giudice di qualsiasi natura (penale,
civile, amministrativa); c) possibilità di attivarsi dietro ricorso del singolo (senza particolari
formalità), o d'ufficio; d) potere di iniziare un'azione penale nei confronti dei funzionari (giudici
compresi) che abbiano compiuto atti contrari ai loro doveri o comunque illegittimi; e) presentazione di
una relazione periodica, di norma annuale, al Parlamento sull'attività esplicata, con possibilità di
introdurre osservazioni sul fun-zionamento dell'amministrazione, anche riguardo alla collaborazione
da essa prestata all' Ombudsman; la relazione dopo la presentazione al Parlamento può essere
approvata e resa pubblica; f) possibilità di avanzare proposte per il miglioramento della legislazione e
dell'amministrazione pubblica.
16
Nel rapporto con il Parlamento è nata e si è articolato l’ombudsman del modello scandinavo: cfr.
DI GIOVINE A., L’ombudsman in Scandinavia, in C. Mortati (a cura di) l’ombudsman: (il difensore
civico), UTET, Torino, 1974, pp. 45 s. Del Commissioner parliamentary inglese si è detto; del resto già
il nome sottolinea lo stretto nesso tra ombudsman e Parlamento, del quale egli è espressione. Il
Médiateur francese che pur era nato, nel 1973 (con la legge n° 73 -6 del gennaio 1973), come organo
del Consiglio dei Ministri perché non apparisse come un organo di controllo del Parlamento bensì
come l’emanazione del vertice dell’Amministrazione, nel 2000 (con la legge n° 2000-321 del 12
aprile 2000 relativa ai diritti dei cittadini nelle loro relazioni con le amministrazioni - DCRA), deve dar
conto al Parlamento attraverso l’invio a ciascuna delle due Assemblee del suo Rapporto annuale. La
legge istitutiva del defensor del pueblo della Repubblica Argentina (la Ley 24.284, revisionata dalla
ley 24.379) al primo articolo dice espressamente “se crea en el ámbito del Poder legislativo de la
Nación la Difensoria del Pueblo”. L’art. 276 della Costituzione del 1992 afferma: “El Defensor del
pueblo es un comisionado parlamentario cuyas funciones son la defensa de los derechos humanos, la
canalización de reclamos populares y la profesión de los intereses comunitarios. En ningún caso
tendrá función judicial ni competencia esecutiva”.
6
(delle quali la più significativa, come si è detto, è quella francese) sono di nomina
parlamentare17; inoltre essi riferiscono al Parlamento con un Rapporto annuale.
Risulta perciò è evidente che gli ombudsman sono concettualmente subordinati al
Parlamento, del quale rafforzano i poteri di controllo ed indirizzo.
Un altro punto, quasi generale, è la costante negazione di qualsiasi forma di
controllo degli ombudsman sull’esercizio della giurisdizione. In conformità al
principio di indipendenza dei giudici gli ombudsman non possono interferire in
nessun modo sul processo di emanazione e sul contenuto delle sentenze. In alcuni
casi al massimo essi possono intervenire riguardo alla organizzazione della Giustizia,
ma mai nel merito e riguardo alla correttezza delle sentenze. Per esse sono previsti
processi di controllo affidati ai vari gradi di giudizio o a provvedimenti speciali
(appello, ricorso per Cassazione, revisione) oppure alle Corti Costituzionali o alla
Corte Suprema. Perciò si ritiene quasi ovunque che le sentenze restino fuori da altre
forme di controllo, come possono essere gli interventi degli ombudsman18.
Questo da un lato è giustificato per assicurare l’autonomia di giudizio e
l’indipendenza assoluta dei giudici, dall’altro crea disagio, quanto meno per due
motivi:

perché i procedimenti di riesame processuale (costituito dai sistemi di
impugnazione delle sentenze) sono normalmente costosi e lunghi e non
sono in grado di assicurare l’accesso alla Giustizia ai meno abbienti ed in
tempo congruo rispetto alle esigenze di chi si ritiene danneggiato da un
sentenza ingiusta;

perché in molti Paesi uno dei problemi più scottanti riguardo ai quali i
cittadini invocano tutela è costituito dalla estensione della corruzione dei
giudici19,
la
quale
può
essere
combattuta
con
strumenti
che
17
In tal senso dispongono spesso le stesse Costituzioni sia latino-americane, sia di molti Paesi
dell’Est europeo, come la Russia, la Slovenia, la Romania, l’Albania: sul punto v. il saggio citato della
Shehu sull’Avvocato del popolo albanese.
18
V. sul punto la letteratura richiamata alle note precedenti.
19
Impressionanti, ad esempio, sono le sottolineature con le quali costantemente nei suoi Rapporti
annuali l’Avvocato albanese insiste sulla vastità della corruzione dei giudici in Albania, la quale si
inserisce nell’ambito di una prassi di costante corruzione dei pubblici poteri nel Paese e costituisce
una delle principali emergenze: cfr. Rapporti 2000, 2001, 2002, 2003 riprodotti in sintesi in corso di
7
necessariamente devono essere diversi dalle normali vie di emanazione
delle sentenze.
Per questi motivi l’azione degli ombudsman oggi appare impotente in casi nei
quali le persone vorrebbero protezione.
3. I TRIBUNI PLEBIS.
Ben diversa erano la configurazione ed i poteri dei Tribuni della Plebe
nell’esperienza della Respublica romana.
Essi erano espressione diretta del popolo (della plebe) ed il proprio ruolo non era
in nessun modo collegato o dipendente dagli organi (consoli ed altri magistrati,
Senato, Comizio) della Civitas. Perciò la loro autonomia era totale e si manifestava
nel concorso all’esercizio del potere20. Essi cioè partecipavano all’esercizio dei poteri
in una maniera del tutto particolare con la quale garantivano l’equilibrio all’interno
della Civitas21. Partendo dall’originario potere di intervento in aiuto al singolo plebeo
vessato da un atto di qualsiasi natura (auxilii latio adversus consules) i Tribuni
avevano sviluppato il potere di veto (intercessio) che era generale, contro qualsiasi
atto e non richiedeva giustificazione o motivazione. L’esercizio di siffatti poteri non
mirava a richiedere che un provvedimento venisse emanato o applicato
stampa in L’avvocato del popolo albanese cit. e si tengano presente le osservazioni al riguardo esposte
nell’articolo della Shehu contenuto in questo libro.
20
Dalla copiosissima letteratura mi limito a rinviare ai lineamenti sulla nascita e sulla posizione
dei Tribuni esposti dal DE MARTINO F., Storia della costituzione romana, partic. vol. I cap,. XIII,
Jovene, Napoli, 1958, ed alle osservazioni di CATALANO P., Tribunato e resistenza, Paravia, Torino,
1971; COCCHIA E., Il tribunato della plebe e la sua autorità giudiziaria > studiata in rapporto colla
procedura civile. Contributo > illustrativo alle legis actiones e alle origini storiche dell'editto
pretorio, L'Erma, Roma, 1971; GROSSO G., Sul tribunato della plebe, Labeo 20, 1974, pp. 7-11;
CATALANO P., Stato e Istituzioni Rivoluzionarie in Roma Antica, in Index. Quaderni camerti di studi
romanistici. International Survey of Roman Law 7, 1977, p. VII; LOBRANO G., A proposito di Stato e
istituzioni rivoluzionarie in Roma antica, in Index. Quaderni camerti di studi romanistici.
International Survey of Roman Law 7, Napoli, 1977, pp. 3 ss.; LOBRANO G., Il potere dei tribuni della
plebe [Fondaz. G. Castelli, 46], Giuffrè, Milano, 1982; MEIRA S.A.B., O tribunato da plebe em face do
Dereito romano, Estudios J. Iglesias II, Madrid, 1988, pp. 829-843.
21
La specificità del Tribunato come istituto essenziale per la Respublica, in assenza del quale non
si sarebbe potuto parlare di Repubblica bensì di Regno camuffato, era evidenziata persino da Cicerone,
il quale certamente non era sospetto di simpatie ‘popolari’: v. LOBRANO G., Dal ‘defensor del pueblo’
al Tribuno della plebe, cit., p.75.
8
correttamente, perché invece aveva come scopo quello di impedire del tutto il
compimento di un atto, ponendosi come alternativa potenzialmente paralizzante di
tutta la vita pubblica della Respublica.
In ciò sta la prima grande differenza tra i Tribuni plebis dell’età romana e i
moderni ombudsman.
Sebbene entrambe le figure hanno un tratto comune che è costituito dalla difesa
dei singoli e dei deboli, gli ombudsman agiscono all’interno dell’ordinamento
chiedendo il corretto funzionamento delle regole di esso. I Tribuni avevano una
carica rivoluzionaria perché potevano impedire atti che secondo l’ordinamento erano
legittimi. Inoltre nel corso dei secoli il loro intervento non era più necessariamente
finalizzato alla difesa dei deboli, proprio perché non dovevano dare nessuna
spiegazione riguardo a come esercitavano i loro poteri: tanto che, si ebbero “ripetuti,
non sempre inani, tentativi di vari gruppi o fazioni dei ceti dominanti di blandire,
influenzare o corrompere almeno uno dei tribuni dell'anno o addirittura di eleggerlo,
ricorrendo, se del caso, all'espediente della transitio ad plebem di qualche proprio
esponente, il quale, rinunciando alla posizione e ai privilegi di casta, entrava a far
parte dell'ordine subalterno, facendosi adottare o arrogare da un plebeo (un patrizio,
infatti, non poteva aspirare al tribunato). Di qui, poi, soprattutto, il verificarsi non
infrequente, a tutti noto, di episodi sconcertanti”22; ad esempio, al tempo di Cesare,
Clodio, che non era di origine plebea, fece di tutto per diventare plebeo al solo scopo
di assumere influenza e potere in Roma23.
CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di storia del diritto
romano, Giuffré, Milano2, 1989, p. 179.
23
Cfr. LEVI M. A. – MELONI A., Storia romana dagli etruschi a Teodosio, Milano, 1960, p. 224. più
in generale si deve osservare che i Tribuni diventarono protagonisti delle lotte politiche e si servivano
dei loro poteri anche per sostenere il proprio partito e non solo per scopi oggettivi e di ausilio dei
deboli: tanto che, allo scopo di evitare ciò, Silla sottrasse ai tribuni il potere di intercessio svuotandone
le funzioni più efficaci e riducendoli, con ciò, ad imago sine re: (secondo l’espressione degli stessi
osservatori Romani del tempo: v. Velleius Paterculus, Historiae Romanae 2. 30. 4). Sul punto cfr.
CERAMI P., Le vicende della crisi e i tentativi di razionalizzazione dello ‘Status Rei Publicae’, in
Ordinamento costituzionale e produzione del diritto in Roma antica. I fondamenti dell’esperienza
giuridica occidentale, Novene, Napoli, 2001, p. 123. Ovviamente subito dopo la riforma sillana venne
abolità ed i Tribuni riassunsero tutti i loro poteri: cfr. CASSOLA F. – LABRUNA L., La lotta politica dopo
Silla. I populares, in AA. VARI, Lineamenti di storia del diritto romano, cit., p. 343. Il fatto resta uno
dei tanti episodi della partecipazione dei Tribuni alle lotte per il potere e dimostra come nel corso dei
secoli l’istituto si è andato trasformando e modellando profondamente.
22
9
Perciò opportunamente si è osservato che i Tribuni partecipano all’esercizio del
potere.
Senza la pretesa di una pur necessaria disamina del punto vorrei qui ricordare
soltanto che la partecipazione all’esercizio del poteva assumeva una connotazione
del tutto anomala che giustamente a spinto gli studiosi contemporanei a parlare di
‘potere negativo’.
Sulla configurazione e sulla natura di questo particolare potere la dottrina, specie
quella più recente, ha prodotto significativi approfondimenti ai quali posso solo
rinviare24.
Qui vorrei richiamare l’attenzione sulla complessità e pluralità del potere
tribunicio. Il quale aveva si estrinsecava anche nell’esercizio di facoltà ‘positive’ e
concernevano due nodi fondamentali della costituzione democratico:

la potestà di proporre leggi;

l’esercizio di funzioni giurisdizionali.
Dopo l’equiparazione dei plebisciti alle leggi, avvenuta al più tardi nel 287 a. C.25
andò sempre più crescendo il numero dei provvedimenti legislativi assunti attraverso
i plebisciti sino al punto che molti testi normativi che noi indichiamo come ‘legge’ in
realtà erano plebisciti26. I plebisciti approvati nel concilio della plebe che di norma
era convocato e presiedete dai Tribuni, i quali formulavano la proposta di plebiscito
24
Da ultimo, le elaborazioni più profonde sono state quelle del Catalano e del Lobrano, nei luoghi
citati alle note precedenti, ai quali adde: PIERANGELO CATALANO, Diritti di libertà e potere negativo,
in: Archivio giuridico "Filippo Serafini" 182, 1972, pp. 321 ss.; ID, "Dai Gracchi a Bolivar. Il
problema del potere negativo", in "Quaderni IILA", Serie Diritto I, vol. "Da Roma a Roma. Dal
Tribuno della plebe al Difensore del popolo. Dallo ius gentium al Tribunale penale internazionale",
2002, pp. 37 ss.
25
La tradizione attribuisce la aexequatio già alle leggi Valerie Orazie del 449, ma poi richiama
anche le leggi Publilia filone del 339 e Ortensia del 287 (sul punto v. CORBINO A., Il decemvirato e le
leggi Valerio Orazie, in AA. VARI, Ordinamento costituzionale e produzione del diritto in Roma
antica, cit., pp. 42 ss.).
26
Sul punto è significativa l’incisiva narrazione del giurista Pomponio, nel 2° sec. d. C.,: D. 1. 2.
2. 8, Pomponius l. singolari enchiridii: ...mox cum revocata est plebs, quia multae discordiae
nascebantur de his plebis scitis, pro legibus placuit et ea observari lege Hortensia: et ita factum est,
ut inter plebis scita et legem species constituendi interesset, potestas autem eadem esset.
10
ed avevano largo margine per influenzare l’assemblea27. Nel corso del 3° secolo
conseguirono il diritto a far parte del Senato ed a presiederlo: ius senatua habendi28.
Inoltre i Tribuni accanto ad un ius edicendi (cioè alla facoltà di esporre in
pubblico disposizioni e programmi di propria competenza29 ebbero un ampio potere
di coercizione (summa coercendi potestas), in base al quale “possono ordinare
l’arresto (prensio), la sua custodia in vinculis, possono promuovere processi per
multa e per condanne capitali. Possono procedere anche contro ex magistrati per fatti
commessi durante la loro carica”30.
In una recente comunicazione lo Schipani ha richiamato l’attenzione sul racconto
di Pomponio31 il quale attribuisce ai Tribuni, menzionandoli addirittura “prima dei
consoli, dei pretori e degli edili”, il potere e la responsabilità della giurisdizione, cioè
di “reggere, governare, rendere il diritto ai cittadini”32.
Sul punto CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia,
cit., p. 184 affermano: “In virtù di questo ius agendi cum plebe, ogni tribuno aveva dunque il potere di
convocare i concilia plebis, dirigerne i lavori, proporre agli intervenuti schemi di deliberazioni
politiche o normative (plebis scita)”
28
V. CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit., p.
185, anche se le notizie riferite a questa tradizione sono alquanto incerte.
29
V. V. CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit.,
p. 126, 185.
30
DE MARTINO F., Storia, cit., 304. Osservano CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in
AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit., p. 184: “si rinvengono, senza dubbio, testimonianze non meno
frequenti ed importanti di processi criminali - politici soprattutto, ma anche comuni - multatici e
capitali, promossi dagli stessi tribuni contro privati ed (ex-) magistrati per fatti commessi durante la
loro carica. Contro consoli, ad esempio, per aver fatto la guerra senza la necessaria autorizzazione
costituzionale, per aver ingiustamente spartito il bottino, per aver impiegato soldati nel proprio
interesse, per essere venuti meno ai doveri di buon generale, per aver male utilizzato o sottratto denaro
pubblico loro affidato (è il caso, tra gli altri, dei celebri processi degli Scipioni); contro dittatori, per
crudeltà commesse durante la leva; contro pretori, per esser fuggiti dinanzi al nemico, per aver
arrecato danni patrimoniali o personali a privati; contro cittadini incaricati di pubblici servizi, per non
aver assolto i propri doveri, per frode nelle forniture allo Stato; contro patrizi e plebei, per crimini
comuni”.
31
D. 1. 2. 2. 13, Pomponius l. singolari enchiridii: post originem iuris et processum cognitum
consequens est, ut de magistratuum nominibus et origine cognoscamus, quia, ut exposuimus, per eos
qui iuri dicundo praesunt effectus rei accipitur: quantum est enim ius in civitate esse, nisi sint, qui
iura regere possint? post hoc deinde auctorum successione dicemus, quod constare non potest ius,
nisi sit aliquis iuris peritus, per quem possit cottidie in melius produci. D. 1, 2, 2, 34 Pomponius l.
singolari enchiridii: ergo ex his omnibus decem tribuni plebis, consules duo, decem et octo praetores,
sex aediles in civitate iura reddebant.
32
SCHIPANI S., Il Tribunato nel CJC di Giustiniano, in “Da Roma a Roma”, cit., pp. 88.
27
11
Va infine ricordato che la nomina dei Tribuni avveniva per elezione diretta e che
la carica del Tribuno durava solo un anno e la possibilità di rielezione, pur se non
esclusa, raramente era praticata33.
Inoltre il Tribunato prevedeva una pluralità di Tribuni, ciascuno con la possibilità
di esercitare l’intercessio e le altre attribuzioni della carica34.
I Tribuni romani avevano di conseguenza poteri negativi e positivi di ampiezza
tale che è difficile riscontrarli nell’età contemporanea e certamente sono ben di là
dalle funzioni e dalle attribuzioni degli ombudsman.
Soprattutto mancano poteri di intervento capaci di fermare un atto ritenuto lesivo
di interessi. Inoltre, poiché a volte l’ingiustizia può nascere dalla stessa legge oppure
i Parlamenti non provvedono su questioni che richiedono un provvedimento o la
modifica della precedente disciplina, in genere manca agli ombudsman la possibilità
di far approvare normative da lui predisposte.
Il punto è all’attenzione degli ombudsman e comincia, anche, a trovare soluzioni:
ad esempio la legge di riforma della pubblica amministrazione (DCRA) del 200035 ha
previsto un certo potere di iniziativa legislativa del Médiateur de la République de
France; la legge istitutiva dell’Avvocato del popolo albanese ha previsto che egli
possa rivolgere al Parlamento richieste di provvedimenti legislativi nel campo della
tutela dei diritti dell’uomo36.
Nel campo della giurisdizione gli attuali ombudsman possono ottenere la
legittimazione al processo per i diritti violati: posizione diversa e direi impensabile
per i Tribuni che avevano poteri giurisdizionali e coercitivi propri e non potevano
entrare in una causa come se fossero una parte qualsiasi.
V. CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit., pp.
177 ss.
34
Il DE MARTINO F., Storia della costituzione romana, cit., p. 302 ss. afferma che, così come per le
magistrature, anche per i Tribuni vigeva il principio fondamentale dell’unanimità.
35
V. sopra nt. 16.
36
V. Art. 24 L. 8454/1999: RACCOMANDAZIONI CONCERNENTI LE LEGGI. Qualora l’avvocato del
popolo riscontri che la violazione dei diritti dell’uomo riconosciuti dalla Costituzione e da altre leggi
non derivi dall’applicazione delle norme, bensì da una determinata legge, ha facoltà: a) di
raccomandare ai detentori del potere legislativo di modificare o migliorare la legge; b) di proporre
alla P.A., che ne abbia facoltà, la modifica o il miglioramento degli atti normativi subordinati alla
legge; c) di raccomandare alla Corte Costituzionale di pronunciare l’abrogazione della legge. Sui
punti e sulle loro possibili proiezioni v. il già citato articolo della Shehu, particolarmente ai §§ 11-12.
33
12
4. DEFENSORES CIVITATUM.
Diversa appare la situazione dei defensores civitatum che troviamo diffusi con
configurazioni e competenze differenti nelle due parti dell’Impero dal IV secolo e
trovano attenta disciplina nei Codici ufficiali, di Teodosio II e di Giustiniano.
Non intendo soffermarmi (qui) sulla materia la quale peraltro ha dato luogo ad
opinioni non sempre univoche37.
Si tratta di una realtà varia la quale ha dato luogo a figure non riconducibili, se
non per approssimazione e opportunità di semplificazione, ad uno schema unico.
I nomi con i quali le varie configurazioni erano indicate erano molteplici, non
diversamente con quanto oggi (come si è detto e peraltro è largamente noto e sotto
gli occhi di tutti) si può dire per le diverse forme che sogliono essere raggruppate
nella figura-modello dell’ombudsman. Per lo più si parlava di defensores, di ecdici
(œkdikoi), di patroni o di syndici (sÚndikoi). Tralascio di approfondire le
differenze e di affrontare qui il problema se tutte queste figure siano state o meno
difensori dei cittadini o solo difensori, nel solo senso tecnico (di coloro che
assumono la difesa) delle collettività e nello specifico delle città.
Mi soffermo, invece, su alcuni caratteri che meglio delineano il ruolo e lo scopo
della loro istituzione.
Una costituzione di Valentiniano III del 368 dice esplicitamente che il motivo
della creazione dei patroni, che la dottrina identifica nelle finalità e nelle funzioni
con i ‘difensori’38, nell’assoluta opportunità di dare protezione ai bisognevoli (alla
plebe dice il testo) contro i soprusi dei potenti: admodum utiliter edimus, ut plebs
omnis Inlyrici officiis patronum contra potentium defendantur iniurias39.
37
Rinvio agli studi approfonditi della dottrina ed in particolare alle analisi esposte in MANNINO V.,
Ricerche sul “defensor civitatis”, Giuffré, Milano, 1984, al quale sono costretto a rinviare per la
citazione dell’annosa e penetrante letteratura..
38
V. MANNINO V., Ricerche, cit., pp. 71 ss.
39
C. Th. 1. 29. 1, Valentiniano e Valente Augusti al prefetto del pretorio Probo: stabiliamo, perché
di massima utilità, che la plebe di tutto l’Illirico venga difesa contro i soprusi dei potenti
dall’intervento di appositi patroni (difensori)”.
13
Anche se concernente l’Illirico, si può concordare con la dottrina che attribuisce
alla disposizione una valenza generale, la quale pare riflettere orientamenti diffusi
nell’Occidente40.
Dunque una prima proiezione dei difensori consiste nella protezione dei deboli
contro chi esercita il potere. Questa proiezione avviene per volontà espressa
dell’Imperatore. Si crea così una facile equazione che dà vita ad un importante
sillogismo riassumibile nei termini seguenti: sono i potenti a commettere abusi ed
ingiustizie, è l’Imperatore a provvedere alla tutela dei deboli; di conseguenza,
l’Imperatore è il protettore dei deboli.
Nasce in tal modo una ideologia, alimentata in vario modo, che contrappone i
deboli ai potenti ma nello stesso tempo pone l’Imperatore, che pure è al vertice del
potere, fuori dal novero dei potenti sopraffattori e anzi a fianco degli oppressi e del
popolo minuto.
È una visione che rovescia totalmente le visioni repubblicane e classiche dei
Romani. In esse la protezione dei Tribuni era contro il vertice del potere (contra
consules) e la storiografia non era certamente ‘tenera’ o semplicemente
‘condiscendete’ con gli Imperatori. Senza ricordare la sferzante ricostruzione di
Tacito si può notare che anche Svetonio, pur con meno acrimonia, indugia sulle
nefandezze dei vari Caligola, Nerone, Comodo.
Non credo di esagerare nel dire che il modo di costruire la figura dei defensores
apre una pista che porta lontano, arrivando alla saga dei Re buoni (Artù, Riccardo
etc.) che lambisce l’età moderna nel contrapporre i dignitari al Sovrano e
nell’attribuire a questi sentimenti di comprensione e vicinanza con gli strati più bassi
della popolazione.
Siamo di fronte ad una rivoluzione concettuale che si inserisce bene nel contesto
dell’Impero romano dove l’appello contro sentenze ritenute inique o delle quali
comunque non si intende sopportare le conseguenze non è più al popolo (come era
nella provocatio repubblicana) ma all’Imperatore. In tal modo il giudizio finale passa
dalla collettività all’Imperatore e cambia il giudizio di valore: chi conta ed ha diritto
all’ultima parola non è il populus romanus bensì l’Imperatore.
40
MANNINO V.,
Ricerche, cit., 23 nt. 37.
14
Rispetto al Tribunato si ha un altro capovolgimento. Esso è costituito dal fatto che
non si vuole impedire l’atto bensì si vuole che esso sia realizzato secondo giustizia
ed equità.
I defensores non intervengono per vietare, ma per realizzare la buona
amministrazione che è perseguita dall’Imperatore. Per questo motivo erano nominati
dall’Imperatore (concretamente attraverso il prefetto del Pretorio) e non più eletti;
anche se Giustiniano cercherà di introdurre almeno la designazione da parte della
città. Ciò anche perché essi non sono più, come i Tribuni, organi della Città, bensì
dell’Impero ed anche quando vengono nominati per una città saranno sempre organi
dell’Impero, assumendo una natura mista che può essere allo stesso tempo cittadina
ma sempre imperiale41 e che deve rispondere all’Imperatore, il quale si preoccupa
della loro onestà e di evitare che potessero apparire sospetti di parzialità, ad esempio
accettando donativi dai privati, mentre dovevano essere pagati preferibilmente con
fondi pubblici42.
In ciò vi è un evidente parallelismo con gli ombudsman dell’era contemporanea,
dove si pongono come strumento della buona amministrazione.
In origine questa finalità era perseguita in nome del Re. Subito dopo, a seguito
soprattutto dello spostamento della centralità nell’esercizio della sovranità la quale si
va sempre più assando sul Parlamento, in nome del Parlamento.
Si è dato vita, in tal modo, ad un assetto che è figlio dell’ideologia fondante dei
defensores e che oggi è in difficoltà in conseguenza della crisi di ruolo del
Parlamento. Tant’è che gli ombudsman vengono fondati e giustificati direttamente
con la riappropriazione di ruolo da parte dei cittadini e, secondo la tendenza ultima,
dell’uomo con i suoi diritti insopprimibili.
Quanto ai defensores, la disamina articolata delle loro attribuzioni mostra che di là
da queste connotazioni essi erano più complessi e, mi pare, anche abbastanza
dissimili dagli attuali ombudsman.
41
Per ciò talora venivano posti sullo stesso piano dei governatori provinciali: Cfr. C. 1. 4. 22. pr.;
1. 4. 25; cfr. MANNINO V., Ricerche, cit., 167 s.
42
Emblematica è la Novella 8 emanata da Giustiniano nel 535 d. C.
15
Infatti spesso ebbero ruolo attivo nell’Amministrazione, attendendo a funzioni
certificative o di polizia43 oppure con competenze di gestione della giustizia (che è
ora quella, extra ordinem, dell’Imperatore) talora con potere di imporre condanne
(soprattutto multe) e di imprigionare
44
. In Oriente fu addossato ai defensores il
controllo di confine o le incombenze (peraltro attribuite anche ai Vescovi) di lotta
alla prostituzione e di assistenza alle donne spinte al turpe mestiere contro la propria
volontà45.
Gli Imperatori e soprattutto infine Giustiniano ebbero cura di accentuare
l’indipendenza dei defensores, particolarmente nei confronti della burocrazia
provinciale ma anche nei confronti dei giudici perché fu affidato ad essi il compito di
controllo della loro moralità (in alternativa ai magistrati cittadini, cioè ai duumviri).
La complessità delle attribuzioni dei defensores era così grande che a Giustiniano
apparve opportuno emanare una specie di legge quadro46 che fu inserita all’interno di
un provvedimento di riordino dell’Amministrazione. Questo riscontra un ritorno
significativo nella più recente riforma del Médiateur francese, anch’essa, come si è
già avuto occasione di dire, inserita all’interno della legge di riordino della Pubblica
Amministrazione (DCRA)47. Evidentemente anche i compiti dei defensores così come
oggi quelli degli ombudsman rientrano in una visione organica della buona
amministrazione, la dove questa è forte ed assorbente.
Naturalmente, sia detto per inciso, nulla di più lontano ed estraneo al Tribunato
della plebe.
5. CONSIDERAZIONI.
I richiami all’esperienza romana servono per risalire alle radici di soluzioni che
ancora oggi vengono prospettate come rimedio alle ingiustizie ed in particolare
all’abuso nell’esercizio del potere ed alle iniquità create dal sistema. L’aspirazione
43
Cfr. C.I. 1. 4. 25 del 529.
MANNINO V., Ricerche, cit., 116 ss., 167.
45
Compito di grande attualità che sembra riecheggiato dai Rapporti annuali di alcuni ombudsman
contemporanei ed in particolare dai Rapporti 200, 2001, 2002, 2003 dell’Avvocato del popolo
albanese: v. SHEHU N., loc. cit.
46
La definizione è del BONINI R., Ricerche sulla legislazione giustinianea2, p. 82.
47
V. sopra nt. 16.
44
16
ad avere idonee forme di controllo di esso è antica48 ed è tanto più avvertita quanto
più il popolo è o si sente estraniato dal ‘potere’.
Oggi la crescente diffusione degli ombudsman mi pare sia da mettere in relazione
diretta con la sfiducia crescente nello Stato ed, in qualche modo, mi pare l’indice del
fallimento della democrazia parlamentare. In essa il cittadino e più in generale la
‘persona’ non ha ‘voce’ nella organizzazione e nella gestione della società e quando
si sente vittima di ingiustizie non ha fiducia nei rimedi a lui offerti dalla normale
Amministrazione della Giustizia; i quali sono tecnicamente sempre più complessi,
costosissimi e lentissimi.
L’introduzione degli ombudsman crea talora l’illusione di avere rimedi efficaci e
può distogliere dalla strada maestra che dovrebbe essere quella di rendere
partecipativa ed effettiva la democrazia.
La forza maggiore degli ombudsman si realizza attraverso la denuncia e il diritto
alla risposta alle proprie richieste (diritto di seguito) che hanno rilievo più o meno
considerevole ma denotano che nel Paese non vi è controllo adeguato da parte
dell’opinione pubblica (e della stampa) e che normalmente la pubblica
amministrazione neppure si preoccupa di dar conto delle proprie azioni.
La ‘storia’ dei defensores deve mettere in guardia dall’illusione che vi siano
‘poteri buoni’ i quali hanno a cuore il bene del popolo minuto. Questo va tenuto
presente oggi, poiché mi sembra che la diffusione degli ombudsman ha in sé una
contraddizione. Da un lato è originata dalla sfiducia nello Stato dall’altro si fonda
nella convinzione che vi siano Organi ‘buoni’ (in particolare il Parlamento, il
Presidente della Repubblica) in grado di dare ascolto alle istanze del popolo; il che è
tutto da verificare.
L’esperienza romana dimostra che la democrazia ha bisogno di poteri ‘forti’ (e
certamente tali erano quelli dei consoli) ma anche di idonei contrappesi che venivano
offerti, tra altri, dall’intercessio dei Tribuni. Questi dovevano la loro indipendenza
dalla propria storia e dal fatto di non ricevere né la nomina né la giustificazioni da
nessun altro se non dal popolo stesso.
48
Ad esempio in Sparta sfociò nell’Eforato.
17
Un altro punto non secondario concerne la composizione dell’ombudsman.
L’esperienza romana era incentrata su un unico organo, collegiale (nel senso romano
e non in quello odierno) con competenza generale. Oggi si discute se serva un unico
ombudsman, il quale potrà articolarsi al proprio interno per materie (come ha fatto il
Médiateur francese) e per competenze territoriali oppure servano ‘difensori’ diversi e
distinti per settori, come è per il Commissioner parlamentari inglese. Mi pare che
l’unicità dell’organo dia maggiori certezze, non foss’altro che come punto di
riferimento unico.
Oggi viene sbandierata l’indipendenza degli ombudsman. Ma sino a quando non
verranno eletti direttamente dal popolo essa sarà in qualche modo vincolata alle
vicende della ‘politica’ e dei suoi facitori.
I Tribuni, come si è sottolineato, non dovevano motivare i propri veti; ciò mi pare
essenziale ancora oggi, non fosse altro che per sottrarre l’atto dell’ombudsman al
defetigante controllo di ‘legittimità’ che gli toglierebbe immediatezza ed efficacia.
Vorrei concludere con un richiamo alla cautela nella valutazione delle esperienze
degli ombudsman. Esse sono certamente di grande rilevanza ma devono guardarsi dal
rischio di offrire una via di evasione dai problemi reali delle società di oggi, in gravi
difficoltà per la crisi della democrazia rappresentative per l’assoluta inadeguatezza
della teoria della divisione dei poteri sulla quale esse dicono di fondarsi.
Quanto agli ombudsman avrei almeno due proposte per dargli effettiva
indipendenza ed efficacia:

elezione diretta e sfasata rispetto alle elezioni parlamentari (per non venire
inglobato nelle logiche di maggioranza partitica);

durata limitata e non reiterabilità;

concessione di un particolare ‘diritto di richiesta di prova preventiva (se
vogliamo ‘di veto’)’; il quale non deve impedire l’atto vietato, ma solo
introdurre l’obbligo per chi lo compie di dimostrarne la fondatezza e la
18
giustezza prima di procedere alla sua esecuzione49. Questo, ad esempio,
impedirebbe atti, come quelli contro la persona e contro l’ambiente, per i
quali ha poco senso l’eventuale risarcimento del danno, che non puo’
eliminare i guasti che nel frasttempo si sono verificati.
Credo che in tal modo il cittadino verrebbe reintegrato nel suo diritto alla
partecipazione. Per il quale tuttavia la strada maestra resta la revisione del ‘modello
di democrazia’.
È questo in parte, sia pure minima, simile a quanto avviene nell’Unione Europea in materia
ambientale a seguito dell’introduzione del procedimento di valutazione dell’impatto ambientale, che
tuttavia spesso è stato raggirato.
49
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