SEBASTIANO TAFARO DEFENSORES 1. GLI OMBUDSMAN. L’enorme e crescente fortuna delle varie figure di ombudsman1 le quali stanno sorgendo e si stanno diffondendo in quasi tutto il mondo in maniera rapida ed anche con caratteristiche fondamentali spesso mutuate tra loro2 spinge operatori e studiosi ad interrogarsi sulle radici degli istituti e delle configurazioni da essi assunte3. Il nome con il quale vengono designati talora è indicativo della loro origine e della finalità loro assegnate, anche se spesso l’idea iniziale viene attualizzata in modi che tendono a convergere verso un comune modello di base, essenzialmente ispirato alla originaria configurazione dell’ombudsman, la quale lo definiva come organo di vigilanza e di denuncia nei confronti degli organi di esercizio del potere ed in modo più specifico dell’esecutivo. Così mentre il termine scandinavo ombudsman (l’uomo che fa da tramite) rinviava alla mediazione (tra sovrano e Parlamento); in Inghilterra e nel mondo 1 Il nome, come è noto, nacque da un decreto di Carlo XII, del 1713 con il quale venne introdotto l’ Högste Ombudsman. 2 Sul punto è in corso di stampa un lavoro prodotto, nell’ambito della ricerca del Consiglio nazionale delle Ricerche Italiano su Sistemi giuridici del Mediterraneo (coordinata dal prof. P. Catalano), dall’unità di Bari (coordinata dai proff. A. Loiodice e S. Tafaro) sull’Avvocato del popolo della Repubblica di Albania. Nel volume il punto è sviluppato da SHEHU N., Dall’högste Ombudsman all’avvocato del popolo albanese, la quale indica come prova del favore riscosso dagli ombudsman la progressiva costituzionalizzazione di essi: v. ivi in particolare la nt. 4, con i ragguagli sull’ultima bibliografia. 3 Molti autori spiegano l’espansiva ed inarrestabile diffusione degli ombudsman con la crescente estraniazione degli organi di potere dall’uomo e dalle sue esigenze. Questo spinge le persone ad accogliere con visibile favore una istituzione con la quale sia possibile dialogare e che facilmente accessibile. Sul punto cfr., per tutti, G. LOBRANO, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, 280 ss. ed ivi bibl., 289: “Il ricorso ai "difensori civici" (sempre più diffuso ai vari livelli: sovrastatuale, statuale e delle cd. 'autonomie locali' è il segno importante di una esigenza forte sebbene ancora confusamente avvertita e ancora più confusamente interpretata e tradotta nelle istituzioni: dare soluzione al problema della difesa dei governati di fronte al concorde complesso dei 'governanti' (nel senso ampio della parola).”; PADILLA M. M., La institución del Comisionado parlamentario (el ombudsman), Buenos Aires, 1972; SENEVIRATNE M., "Ombudsman in the Public Sector", Buckingham: Open University Press, 1994; ID., "The European Ombudsman", in Journal of Social Welfare and Family Law- 1999 - 21(3), 1999, pp. 269-278; ID., "Ombudsmen 2000", inaugural Lecture 17 april 2000, Nottingam, Centre for legal Research, Nottingam Law School, 2000 - versione elettronica, pp. 1 ss. 1 anglosassone si preferì parlare di commissioner parliamentary per indicare che si trattava di una istituzione fiduciaria del Parlamento; in Francia l’organo viene indicato come Médiateur ed è un organo della Pubblica Amministrazione che interviene per il più corretto svolgimento di essa; ancora di Mediatore si è parlato all’interno della Comunità europea4, dove si connota in modo del tutto particolare perché non ha un Parlamento con il quale rapportarsi. Nei Paesi dell’America latina e dell’Est europeo (post-comunista), spesso usciti da sanguinose dittature, si suole far menzione diretta già nel nome del rapporto che si deve instaurare tra l’istituzione ed il popolo: perciò si parla di defensor del pueblo o di avvocato del popolo. In Polonia si è parlato di difensore dei diritti civili, mentre in Italia, dove manca un’istituzione nazionale5 e vi sono diversi difensori civici locali o mediatori in materie specifiche (mediatore bancario, mediatore dei minori etc.), spesso la figura concorre con altre istituzioni ed in particolare con i Garanti (le Authority) sorti in diversi settori: ad es., nel campo dell’editoria, nel campo della concorrenza e del mercato, nel campo finanziario, nel campo della riservatezza personale, per i lavori pubblici e che tendono a moltiplicarsi6. Sempre e specie nelle terminologie che direttamente o indirettamente fanno riferimento ad un legame tra l’ombudsman ed il popolo si avverte il desiderio di un organo che dia voce ai cittadini e ne raccolga le lamentele e le aspirazioni: le quali sono particolarmente accentuate riguardo alla tutela dei diritti umani7. Cfr. COMINELLI L., Il mediatore europeo. Ombudsman dell’unione: prime osservazioni, in Sociologia del diritto, 2001/1, pp. 91 ss. 5 Ciò malgrado i disegni di legge depositati in Parlamento, però senza fortuna, e a dispetto della n. 127 del 15/5/1997 la quale prevedeva l’istituzione del Difensore civico nazionale e sanciva che solo sino alla sua introduzione i difensori regionali e provinciali delle Regioni autonome esercitavano il controllo degli organi periferiche dell’Amministrazione centrale. 6 Lo sguardo panoramico e sintetico contenuto in questo stesso volume dal contributo citato della Shehu, mi esime dall’analisi delle differenti configurazioni di ombudsman e del significato legato ai nomi con i quali essi sono indicati; perciò rinvio ad esso ed, in particolare, alle ntt. 2-25. Sul punto v. anche MASTROPASQUA G., Il difensore civico – Profili sistematici e operativi, Cacucci, Bari, 2003, pp. 20 ss. 7 Anche su questo punto concernente il legame profondo tra ombudsman e tutela dei diritti umani rinvio al citato contributo della Shehu., in modo specifico al n. 8 concernente la salvaguardia dei diritti umani. L’a. ricorda che: “La preoccupazione per i diritti umani è una costante delle Organizzazioni internazionali. Già nel 1946 presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite fu esaminata una proposta tendente ad affidare la tutela e lo sviluppo dei diritti dell’uomo ad apposite istituzioni nazionali. Si innescarono vari processi per i quali fu necessario fare il punto in tempi piú recenti. Tra le vicende che e le iniziative che ne seguirono va segnalata soprattutto quella 4 2 Proprio riguardo al potere di difesa dei singoli si sta affacciando un’esigenza nuova legata alla prepotente emersione dei diritti dell’uomo. Questi diritti, di là dal loro contenuto e dalla loro portata che talora hanno contorni non del tutto definiti8, sollevano la questione di chi debba proteggerli, soprattutto quando a violarli sia proprio lo Stato. La soluzione è che la protezione sia affidata ad istanze sopranazionali speciali9 o generali10 presso le quali gli ombudsman attualmente non hanno legittimazione diratta11. Di fronte ai soprusi ed alle violazioni il ruolo dell’ombudsman è tutto da precisare, poiché egli non ha legittimazione sopranazionale e d’altra parte non può che limitarsi, nel proprio Paese, ad elevare una protesta la quale non ha nessuna certezza di essere accolta. Il punto mi pare che evidenzi la caratteristica dell’ombudsman il quale si propone come organo di vigilanza e denuncia ma senza la certezza di potere ottenere la soluzione delle situazioni e delle storture manifestate. del giugno del 1990, quando i Paesi partecipanti alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione, riunita in Danimarca a Copenaghen, proposero, in primo luogo agli Stati partecipanti ma in generale ad ogni Paese, di “rendere possibile la creazione e il consolidamento delle istituzioni nazionali, indipendenti nel campo dei diritti dell’uomo e dello Stato del diritto”. L’anno dopo furono enunciati i “Principi di Parigi” i quali, a conclusione della Conferenza internazionale, tenutasi a Parigi, tra le istituzioni nazionali che si occupano della difesa e lo sviluppo dei diritti umani, enunciarono i punti essenziali per fare in modo che le legislazione dei singoli Stati creassero o rafforzassero attraverso la propria legislazione in maniera chiara ed esplicita le istituzioni che dovevano badare alla difesa ed allo sviluppo dei diritti umani. Questa esigenza fu confermata e sottolineata con forza nel 1993 dalla Dichiarazione di Vienna, la quale tornò a chiedere la creazione ed il rafforzamento di istituzioni nazionali dirette alla salvezza e promozione dei diritti dell’uomo. In conseguenza di queste spinte e della forza che la tutela dei diritti umani stava assumendo presso l’opinione pubblica mondiale alcuni Paesi pensarono di utilizzare gli istituti dell’Ombudsman per affidare loro la tutela dei diritti umani”. 8 Sul punto non mi posso fermare in questa sede, dove mi limito a ricordare che essi sono e sono stati indicati dalle note ‘Dichiarazioni’ e ‘Convenzioni’ internazionali sia delle Nazioni Unite sia dell’Unione europea e danno luogo ad un elenco il quale necessita di continuo aggiornamento. Di recente la dottrina e qualche Corte Costituzionale (ad esempio,in qualche misura, quella italiana) hanno anche affermato un principio che rivoluziona le Costituzioni materiali. Si sostiene che i diritti fondamentali fanno parte delle Costituzioni dei Paesi anche se non esplicitati nella rispettiva Carta Costituzionale. 9 È il caso del Tribunale Internazionale penale per i crimini della ex Jugoslavia (TPIJ), istituito nel 1993, con sede a l’Aia, in conformità alla delibera dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1991, dal Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite nel 1993 richiamando gli artt. 39 e 40 del Capitolo VII (Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione) della Carta istitutiva delle N.U. e del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR) istituito con una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, la n° 955 dell’8 novembre 1994. 10 Tale è ora il Tribunale penale internazionale istituito a Roma nel 1998. 11 In genere, come è per gli ultimi due Tribunali menzionati, vi è un apposito Procuratore con competenza promuovere l’azione penale: v. l’art. 11 lett. b) dello Statuto del Tribunale per i crimini compiuti nell’ex Jugoslavia.. 3 In questa sede non mi posso soffermare sulle considerazioni vaste e profonde che la materia richiede. Mi limiterò ad una riflessione comparativa tra siffatte istituzioni moderne alla luce del diritto e dell’esperienza romana unificando nella terminologia le varie figure nei termini ombudsman e defensores; ma arbitrariamente e per mie esigenze di semplificazione. 2. LE RADICI. Da più parti sia in dottrina che da parte degli operatori del diritto si chiede quale sia la fonte prima a base dell’istituzione di organi di controllo dell’esercizio del potere diretti a prevenire e/o reprimere ogni abuso ai danni del cittadino. Al riguardo appare spontaneo il confronto ed il richiamo al Tribunato della plebe ed alle più tarde figure di difensores civitatis. Vi è infatti la tendenza a giustificare ed in qualche misura a nobilitare le moderne istituzioni con i richiami all’antico Tribunato, il cui fascino si può dire che non si sia mai sopito nello sviluppo della civiltà giuridica europea e delle Americhe12. Della copiosa letteratura mi limito a citare le espressioni più recenti: LOBRANO G., Dal ‘defensor del pueblo’ al Tribuno della plebe: ritorno al futuro. Un primo tentativo di interpretazione storicosistematica, con particolare attenzione alla impostazione di Simón Bolivar, in “Da roma a Roma”. Dal Tribunato della plebe al difensore del popolo. Dallo Jus gentium al Tribunale penale internazionale, a cura di P. Catalano – G. Lobrano – S. Schipani, atti del Convegno tenutesi nella sede dell’ILA nei giorni 21-22 feb. 2002, ILA, Roma 2002, pp. 67 ss.; ALAMANNI DE CARRILLO B., El rol del Ombudsman en America latina (su tradición romana), in “Da Roma a Roma”, cit., pp. 91 ss.; AA. VARI, La difesa civica italiana tra mediazione e tribunato della plebe, Taranto 2-3 aprile 2003. in particolare il Lobrano, al quale, assieme al Catalano (v. Tribunato e resistenza, Torino, 1971), dobbiamo le pagine recenziori più penetranti sul Tribunato, mette in evidenza l’influenza del Tribunato nella delineazione degli assetti costituzionali contemporanei durante la rivoluzione francese e nelle elaborazioni dottrinale dal 1500 al secolo scorso. L’istituto viene spesso evocato pur dopo la caduta dell’impero romano e passa dal ‘Consiglio dei dieci’ istituito a Venezia nel secolo VI d. C., al ‘Sindicus’ dei Comuni, durante il Medio Evo; sino al Tribuno del popolo romano di Cola Di Rienzo nel 1344. la reintroduzione, in varie forme, del tribunato è invocato anche da Calvino (1536), Hotmann (1567), De mariana (1599), Althusius (1586). Nel 1700 al Tribunato si rivolge l’attenzione dei padri del costituzionalismo moderno. In Francia propongono di far capo al Tribunato sia il Montesquieu sia il Rousseau (sostenitori di opposte concezioni della democrazia), così come il Babeuf. In Germania il Tribunato viene riproposto dallo Schlegel (1795), dai cui scritti il Kant trasse ispirazione per la costruzione del sistema federale e soprattutto dal Fiche (a cavallo tra la fine del 12 4 Si può dire che il ricordo del Tribunato con la sua indipendenza e capacità di contrapposizione alle magistrature della Civitas attrae e resta un ideale per la difesa del popolo e, quindi, per la completezza della democrazia. Quanto poi esso sia riflesso dalle attuali figure di ombudsman è tutto da verificare. Mi pare che, malgrado i tentativi di risalire al Tribunato, gli ombudsman abbiano natura e funzioni del tutto differenti rispetto ad esso. In primo luogo è da evidenziare la differenza fondamentale tra le funzioni degli ombudsman e quelle dei Tribuni plebis. I primi hanno quasi costantemente lo scopo di perseguire l’esercizio corretto del potere, proponendosi come organi di controllo dell’operato soprattutto dell’esecutivo e senza possibilità di interferire né con il potere legislativo né con il potere giudiziario. Questo deriva dal fatto che gli ombudsman si inseriscono nella concezione liberaldemocratica dello Stato basata sul principio della divisione dei poteri e realizza un momento di presa di coscienza del fallimento di quel principio13. Sta di fatto che gli ombudsman, i quali spesso hanno essenzialmente poteri di denuncia e di messa in mora; normalmente non hanno potere di imporre le proprie decisioni ma solo la possibilità di persuadere dell'opportunità di rispettarle; di conseguenza essi intervengono per chiedere che determinati atti siano compiuti ovvero che essi siano conformi alla legge ed ai criteri di buona amministrazione. Gli ombudsman nascono e si profilano come la risposta alla necessità di assicurare ai singoli una salvaguardia penetrante nei confronti degli atti delle Pubbliche Amministrazioni. Questo, per il mondo anglosassone, è riflesso persino dal nome che è quello di Parliamentary Commissioner for Administration14. secolo XVIII e l’inizio del secolo XIX). Il Tribunato è costantemente presente nel costituzionalismo latino-americano di Francisco de Mirando, di Simón Bolivar. Viene proposto (ad opera di C. Agostini e Carlo Luciano Bonaparte) nel modello di Costituzione della Repubblica romana nel 1849 e viene sostenuto negli Stati Uniti di America dal grande costituzionalista John Caldwell Calhoun. Ultima eco del Tribunato e della sua grandezza si ha in Italia nel 1870 nell’opera (Guida alla elezione politica, Napoli, 1870) di Guido Padelletti. 13 Cfr. LOBRANO G., opp. citt. 14 Cfr. GREGORY R. and PEARSON j., The Parliamentary Ombudsman after twentyfive years: problems and solutions, in Public Administration 70, 1992, pp. 469-498; GREGORY R. and GIDDINGS PH., The Ombudsman, the Citizen and Parliament - A history of the Office of the Parliamentary Commissioner for Administration and the Health Service Commissioner, Politico's Publishing, 5 Gli analisti ritengono di cogliere le competenze e le caratteristiche principali degli ombudsman proprio nella comune proiezione verso il controllo degli atti. È convinzione corrente che gli ombudsman tendano a contenere l'eccessivo ampliamento dei poteri e dell'attività dello Stato e della pubblica amministrazione e che essi pur nella diversità assunta dalle numerose figure di Ombudsman abbiano caratteristiche comuni, più o meno accentuate o diversificate da Paese a Paese15. In questo vedo già la prima diversità rispetto ai Tribuni plebis. Infatti gli ombudsman intervengono per far sì che il comportamento dell’esecutivo e dei suoi organi sia conforme alla legge ed ai criteri di buona amministrazione. Inoltre possono chiedere che un atto necessario per il singolo cittadino sia compiuto. Nessuna interferenza hanno nei confronti della legge e del Parlamento, del quale nel modello svedese, anglosassone e latino-americano, sono espressione16. Questo si riflette nelle modalità di nomina degli ombudsman, che salvo qualche eccezione London, 2002.; HALLER W., The place of the ombudsman in the world community", in Fourth International Ombudsman, Conference Papeis, Canberra, 29, 1988.; HARRIS M. and PARTINGTON M., Administrative Justice in the 21st Century, Chapter 8, Hart Publishing, 1999; SENEVIRATNE M., Ombudsmen: public services and admnistrative Justice, Lexis Needs, Butterworths, 2002. 15 Tra esse possiamo indicare: a) il controllo sui funzionari delle amministrazioni civili, ma non sui ministri, perché questi sono solo responsabili per l'indirizzo politico e subiscono solo il controllo del Parlamento; b) impossibilità di sindacare il merito degli atti amministrativi discrezionali. esclusione di intervento dell'Ombudsman su questioni pendenti davanti ad un giudice di qualsiasi natura (penale, civile, amministrativa); c) possibilità di attivarsi dietro ricorso del singolo (senza particolari formalità), o d'ufficio; d) potere di iniziare un'azione penale nei confronti dei funzionari (giudici compresi) che abbiano compiuto atti contrari ai loro doveri o comunque illegittimi; e) presentazione di una relazione periodica, di norma annuale, al Parlamento sull'attività esplicata, con possibilità di introdurre osservazioni sul fun-zionamento dell'amministrazione, anche riguardo alla collaborazione da essa prestata all' Ombudsman; la relazione dopo la presentazione al Parlamento può essere approvata e resa pubblica; f) possibilità di avanzare proposte per il miglioramento della legislazione e dell'amministrazione pubblica. 16 Nel rapporto con il Parlamento è nata e si è articolato l’ombudsman del modello scandinavo: cfr. DI GIOVINE A., L’ombudsman in Scandinavia, in C. Mortati (a cura di) l’ombudsman: (il difensore civico), UTET, Torino, 1974, pp. 45 s. Del Commissioner parliamentary inglese si è detto; del resto già il nome sottolinea lo stretto nesso tra ombudsman e Parlamento, del quale egli è espressione. Il Médiateur francese che pur era nato, nel 1973 (con la legge n° 73 -6 del gennaio 1973), come organo del Consiglio dei Ministri perché non apparisse come un organo di controllo del Parlamento bensì come l’emanazione del vertice dell’Amministrazione, nel 2000 (con la legge n° 2000-321 del 12 aprile 2000 relativa ai diritti dei cittadini nelle loro relazioni con le amministrazioni - DCRA), deve dar conto al Parlamento attraverso l’invio a ciascuna delle due Assemblee del suo Rapporto annuale. La legge istitutiva del defensor del pueblo della Repubblica Argentina (la Ley 24.284, revisionata dalla ley 24.379) al primo articolo dice espressamente “se crea en el ámbito del Poder legislativo de la Nación la Difensoria del Pueblo”. L’art. 276 della Costituzione del 1992 afferma: “El Defensor del pueblo es un comisionado parlamentario cuyas funciones son la defensa de los derechos humanos, la canalización de reclamos populares y la profesión de los intereses comunitarios. En ningún caso tendrá función judicial ni competencia esecutiva”. 6 (delle quali la più significativa, come si è detto, è quella francese) sono di nomina parlamentare17; inoltre essi riferiscono al Parlamento con un Rapporto annuale. Risulta perciò è evidente che gli ombudsman sono concettualmente subordinati al Parlamento, del quale rafforzano i poteri di controllo ed indirizzo. Un altro punto, quasi generale, è la costante negazione di qualsiasi forma di controllo degli ombudsman sull’esercizio della giurisdizione. In conformità al principio di indipendenza dei giudici gli ombudsman non possono interferire in nessun modo sul processo di emanazione e sul contenuto delle sentenze. In alcuni casi al massimo essi possono intervenire riguardo alla organizzazione della Giustizia, ma mai nel merito e riguardo alla correttezza delle sentenze. Per esse sono previsti processi di controllo affidati ai vari gradi di giudizio o a provvedimenti speciali (appello, ricorso per Cassazione, revisione) oppure alle Corti Costituzionali o alla Corte Suprema. Perciò si ritiene quasi ovunque che le sentenze restino fuori da altre forme di controllo, come possono essere gli interventi degli ombudsman18. Questo da un lato è giustificato per assicurare l’autonomia di giudizio e l’indipendenza assoluta dei giudici, dall’altro crea disagio, quanto meno per due motivi: perché i procedimenti di riesame processuale (costituito dai sistemi di impugnazione delle sentenze) sono normalmente costosi e lunghi e non sono in grado di assicurare l’accesso alla Giustizia ai meno abbienti ed in tempo congruo rispetto alle esigenze di chi si ritiene danneggiato da un sentenza ingiusta; perché in molti Paesi uno dei problemi più scottanti riguardo ai quali i cittadini invocano tutela è costituito dalla estensione della corruzione dei giudici19, la quale può essere combattuta con strumenti che 17 In tal senso dispongono spesso le stesse Costituzioni sia latino-americane, sia di molti Paesi dell’Est europeo, come la Russia, la Slovenia, la Romania, l’Albania: sul punto v. il saggio citato della Shehu sull’Avvocato del popolo albanese. 18 V. sul punto la letteratura richiamata alle note precedenti. 19 Impressionanti, ad esempio, sono le sottolineature con le quali costantemente nei suoi Rapporti annuali l’Avvocato albanese insiste sulla vastità della corruzione dei giudici in Albania, la quale si inserisce nell’ambito di una prassi di costante corruzione dei pubblici poteri nel Paese e costituisce una delle principali emergenze: cfr. Rapporti 2000, 2001, 2002, 2003 riprodotti in sintesi in corso di 7 necessariamente devono essere diversi dalle normali vie di emanazione delle sentenze. Per questi motivi l’azione degli ombudsman oggi appare impotente in casi nei quali le persone vorrebbero protezione. 3. I TRIBUNI PLEBIS. Ben diversa erano la configurazione ed i poteri dei Tribuni della Plebe nell’esperienza della Respublica romana. Essi erano espressione diretta del popolo (della plebe) ed il proprio ruolo non era in nessun modo collegato o dipendente dagli organi (consoli ed altri magistrati, Senato, Comizio) della Civitas. Perciò la loro autonomia era totale e si manifestava nel concorso all’esercizio del potere20. Essi cioè partecipavano all’esercizio dei poteri in una maniera del tutto particolare con la quale garantivano l’equilibrio all’interno della Civitas21. Partendo dall’originario potere di intervento in aiuto al singolo plebeo vessato da un atto di qualsiasi natura (auxilii latio adversus consules) i Tribuni avevano sviluppato il potere di veto (intercessio) che era generale, contro qualsiasi atto e non richiedeva giustificazione o motivazione. L’esercizio di siffatti poteri non mirava a richiedere che un provvedimento venisse emanato o applicato stampa in L’avvocato del popolo albanese cit. e si tengano presente le osservazioni al riguardo esposte nell’articolo della Shehu contenuto in questo libro. 20 Dalla copiosissima letteratura mi limito a rinviare ai lineamenti sulla nascita e sulla posizione dei Tribuni esposti dal DE MARTINO F., Storia della costituzione romana, partic. vol. I cap,. XIII, Jovene, Napoli, 1958, ed alle osservazioni di CATALANO P., Tribunato e resistenza, Paravia, Torino, 1971; COCCHIA E., Il tribunato della plebe e la sua autorità giudiziaria > studiata in rapporto colla procedura civile. Contributo > illustrativo alle legis actiones e alle origini storiche dell'editto pretorio, L'Erma, Roma, 1971; GROSSO G., Sul tribunato della plebe, Labeo 20, 1974, pp. 7-11; CATALANO P., Stato e Istituzioni Rivoluzionarie in Roma Antica, in Index. Quaderni camerti di studi romanistici. International Survey of Roman Law 7, 1977, p. VII; LOBRANO G., A proposito di Stato e istituzioni rivoluzionarie in Roma antica, in Index. Quaderni camerti di studi romanistici. International Survey of Roman Law 7, Napoli, 1977, pp. 3 ss.; LOBRANO G., Il potere dei tribuni della plebe [Fondaz. G. Castelli, 46], Giuffrè, Milano, 1982; MEIRA S.A.B., O tribunato da plebe em face do Dereito romano, Estudios J. Iglesias II, Madrid, 1988, pp. 829-843. 21 La specificità del Tribunato come istituto essenziale per la Respublica, in assenza del quale non si sarebbe potuto parlare di Repubblica bensì di Regno camuffato, era evidenziata persino da Cicerone, il quale certamente non era sospetto di simpatie ‘popolari’: v. LOBRANO G., Dal ‘defensor del pueblo’ al Tribuno della plebe, cit., p.75. 8 correttamente, perché invece aveva come scopo quello di impedire del tutto il compimento di un atto, ponendosi come alternativa potenzialmente paralizzante di tutta la vita pubblica della Respublica. In ciò sta la prima grande differenza tra i Tribuni plebis dell’età romana e i moderni ombudsman. Sebbene entrambe le figure hanno un tratto comune che è costituito dalla difesa dei singoli e dei deboli, gli ombudsman agiscono all’interno dell’ordinamento chiedendo il corretto funzionamento delle regole di esso. I Tribuni avevano una carica rivoluzionaria perché potevano impedire atti che secondo l’ordinamento erano legittimi. Inoltre nel corso dei secoli il loro intervento non era più necessariamente finalizzato alla difesa dei deboli, proprio perché non dovevano dare nessuna spiegazione riguardo a come esercitavano i loro poteri: tanto che, si ebbero “ripetuti, non sempre inani, tentativi di vari gruppi o fazioni dei ceti dominanti di blandire, influenzare o corrompere almeno uno dei tribuni dell'anno o addirittura di eleggerlo, ricorrendo, se del caso, all'espediente della transitio ad plebem di qualche proprio esponente, il quale, rinunciando alla posizione e ai privilegi di casta, entrava a far parte dell'ordine subalterno, facendosi adottare o arrogare da un plebeo (un patrizio, infatti, non poteva aspirare al tribunato). Di qui, poi, soprattutto, il verificarsi non infrequente, a tutti noto, di episodi sconcertanti”22; ad esempio, al tempo di Cesare, Clodio, che non era di origine plebea, fece di tutto per diventare plebeo al solo scopo di assumere influenza e potere in Roma23. CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di storia del diritto romano, Giuffré, Milano2, 1989, p. 179. 23 Cfr. LEVI M. A. – MELONI A., Storia romana dagli etruschi a Teodosio, Milano, 1960, p. 224. più in generale si deve osservare che i Tribuni diventarono protagonisti delle lotte politiche e si servivano dei loro poteri anche per sostenere il proprio partito e non solo per scopi oggettivi e di ausilio dei deboli: tanto che, allo scopo di evitare ciò, Silla sottrasse ai tribuni il potere di intercessio svuotandone le funzioni più efficaci e riducendoli, con ciò, ad imago sine re: (secondo l’espressione degli stessi osservatori Romani del tempo: v. Velleius Paterculus, Historiae Romanae 2. 30. 4). Sul punto cfr. CERAMI P., Le vicende della crisi e i tentativi di razionalizzazione dello ‘Status Rei Publicae’, in Ordinamento costituzionale e produzione del diritto in Roma antica. I fondamenti dell’esperienza giuridica occidentale, Novene, Napoli, 2001, p. 123. Ovviamente subito dopo la riforma sillana venne abolità ed i Tribuni riassunsero tutti i loro poteri: cfr. CASSOLA F. – LABRUNA L., La lotta politica dopo Silla. I populares, in AA. VARI, Lineamenti di storia del diritto romano, cit., p. 343. Il fatto resta uno dei tanti episodi della partecipazione dei Tribuni alle lotte per il potere e dimostra come nel corso dei secoli l’istituto si è andato trasformando e modellando profondamente. 22 9 Perciò opportunamente si è osservato che i Tribuni partecipano all’esercizio del potere. Senza la pretesa di una pur necessaria disamina del punto vorrei qui ricordare soltanto che la partecipazione all’esercizio del poteva assumeva una connotazione del tutto anomala che giustamente a spinto gli studiosi contemporanei a parlare di ‘potere negativo’. Sulla configurazione e sulla natura di questo particolare potere la dottrina, specie quella più recente, ha prodotto significativi approfondimenti ai quali posso solo rinviare24. Qui vorrei richiamare l’attenzione sulla complessità e pluralità del potere tribunicio. Il quale aveva si estrinsecava anche nell’esercizio di facoltà ‘positive’ e concernevano due nodi fondamentali della costituzione democratico: la potestà di proporre leggi; l’esercizio di funzioni giurisdizionali. Dopo l’equiparazione dei plebisciti alle leggi, avvenuta al più tardi nel 287 a. C.25 andò sempre più crescendo il numero dei provvedimenti legislativi assunti attraverso i plebisciti sino al punto che molti testi normativi che noi indichiamo come ‘legge’ in realtà erano plebisciti26. I plebisciti approvati nel concilio della plebe che di norma era convocato e presiedete dai Tribuni, i quali formulavano la proposta di plebiscito 24 Da ultimo, le elaborazioni più profonde sono state quelle del Catalano e del Lobrano, nei luoghi citati alle note precedenti, ai quali adde: PIERANGELO CATALANO, Diritti di libertà e potere negativo, in: Archivio giuridico "Filippo Serafini" 182, 1972, pp. 321 ss.; ID, "Dai Gracchi a Bolivar. Il problema del potere negativo", in "Quaderni IILA", Serie Diritto I, vol. "Da Roma a Roma. Dal Tribuno della plebe al Difensore del popolo. Dallo ius gentium al Tribunale penale internazionale", 2002, pp. 37 ss. 25 La tradizione attribuisce la aexequatio già alle leggi Valerie Orazie del 449, ma poi richiama anche le leggi Publilia filone del 339 e Ortensia del 287 (sul punto v. CORBINO A., Il decemvirato e le leggi Valerio Orazie, in AA. VARI, Ordinamento costituzionale e produzione del diritto in Roma antica, cit., pp. 42 ss.). 26 Sul punto è significativa l’incisiva narrazione del giurista Pomponio, nel 2° sec. d. C.,: D. 1. 2. 2. 8, Pomponius l. singolari enchiridii: ...mox cum revocata est plebs, quia multae discordiae nascebantur de his plebis scitis, pro legibus placuit et ea observari lege Hortensia: et ita factum est, ut inter plebis scita et legem species constituendi interesset, potestas autem eadem esset. 10 ed avevano largo margine per influenzare l’assemblea27. Nel corso del 3° secolo conseguirono il diritto a far parte del Senato ed a presiederlo: ius senatua habendi28. Inoltre i Tribuni accanto ad un ius edicendi (cioè alla facoltà di esporre in pubblico disposizioni e programmi di propria competenza29 ebbero un ampio potere di coercizione (summa coercendi potestas), in base al quale “possono ordinare l’arresto (prensio), la sua custodia in vinculis, possono promuovere processi per multa e per condanne capitali. Possono procedere anche contro ex magistrati per fatti commessi durante la loro carica”30. In una recente comunicazione lo Schipani ha richiamato l’attenzione sul racconto di Pomponio31 il quale attribuisce ai Tribuni, menzionandoli addirittura “prima dei consoli, dei pretori e degli edili”, il potere e la responsabilità della giurisdizione, cioè di “reggere, governare, rendere il diritto ai cittadini”32. Sul punto CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit., p. 184 affermano: “In virtù di questo ius agendi cum plebe, ogni tribuno aveva dunque il potere di convocare i concilia plebis, dirigerne i lavori, proporre agli intervenuti schemi di deliberazioni politiche o normative (plebis scita)” 28 V. CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit., p. 185, anche se le notizie riferite a questa tradizione sono alquanto incerte. 29 V. V. CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit., p. 126, 185. 30 DE MARTINO F., Storia, cit., 304. Osservano CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit., p. 184: “si rinvengono, senza dubbio, testimonianze non meno frequenti ed importanti di processi criminali - politici soprattutto, ma anche comuni - multatici e capitali, promossi dagli stessi tribuni contro privati ed (ex-) magistrati per fatti commessi durante la loro carica. Contro consoli, ad esempio, per aver fatto la guerra senza la necessaria autorizzazione costituzionale, per aver ingiustamente spartito il bottino, per aver impiegato soldati nel proprio interesse, per essere venuti meno ai doveri di buon generale, per aver male utilizzato o sottratto denaro pubblico loro affidato (è il caso, tra gli altri, dei celebri processi degli Scipioni); contro dittatori, per crudeltà commesse durante la leva; contro pretori, per esser fuggiti dinanzi al nemico, per aver arrecato danni patrimoniali o personali a privati; contro cittadini incaricati di pubblici servizi, per non aver assolto i propri doveri, per frode nelle forniture allo Stato; contro patrizi e plebei, per crimini comuni”. 31 D. 1. 2. 2. 13, Pomponius l. singolari enchiridii: post originem iuris et processum cognitum consequens est, ut de magistratuum nominibus et origine cognoscamus, quia, ut exposuimus, per eos qui iuri dicundo praesunt effectus rei accipitur: quantum est enim ius in civitate esse, nisi sint, qui iura regere possint? post hoc deinde auctorum successione dicemus, quod constare non potest ius, nisi sit aliquis iuris peritus, per quem possit cottidie in melius produci. D. 1, 2, 2, 34 Pomponius l. singolari enchiridii: ergo ex his omnibus decem tribuni plebis, consules duo, decem et octo praetores, sex aediles in civitate iura reddebant. 32 SCHIPANI S., Il Tribunato nel CJC di Giustiniano, in “Da Roma a Roma”, cit., pp. 88. 27 11 Va infine ricordato che la nomina dei Tribuni avveniva per elezione diretta e che la carica del Tribuno durava solo un anno e la possibilità di rielezione, pur se non esclusa, raramente era praticata33. Inoltre il Tribunato prevedeva una pluralità di Tribuni, ciascuno con la possibilità di esercitare l’intercessio e le altre attribuzioni della carica34. I Tribuni romani avevano di conseguenza poteri negativi e positivi di ampiezza tale che è difficile riscontrarli nell’età contemporanea e certamente sono ben di là dalle funzioni e dalle attribuzioni degli ombudsman. Soprattutto mancano poteri di intervento capaci di fermare un atto ritenuto lesivo di interessi. Inoltre, poiché a volte l’ingiustizia può nascere dalla stessa legge oppure i Parlamenti non provvedono su questioni che richiedono un provvedimento o la modifica della precedente disciplina, in genere manca agli ombudsman la possibilità di far approvare normative da lui predisposte. Il punto è all’attenzione degli ombudsman e comincia, anche, a trovare soluzioni: ad esempio la legge di riforma della pubblica amministrazione (DCRA) del 200035 ha previsto un certo potere di iniziativa legislativa del Médiateur de la République de France; la legge istitutiva dell’Avvocato del popolo albanese ha previsto che egli possa rivolgere al Parlamento richieste di provvedimenti legislativi nel campo della tutela dei diritti dell’uomo36. Nel campo della giurisdizione gli attuali ombudsman possono ottenere la legittimazione al processo per i diritti violati: posizione diversa e direi impensabile per i Tribuni che avevano poteri giurisdizionali e coercitivi propri e non potevano entrare in una causa come se fossero una parte qualsiasi. V. CAPOGROSSI L. – CASSOLA F., I tribuni della plebe, in AA. VARI, Lineamenti di Storia, cit., pp. 177 ss. 34 Il DE MARTINO F., Storia della costituzione romana, cit., p. 302 ss. afferma che, così come per le magistrature, anche per i Tribuni vigeva il principio fondamentale dell’unanimità. 35 V. sopra nt. 16. 36 V. Art. 24 L. 8454/1999: RACCOMANDAZIONI CONCERNENTI LE LEGGI. Qualora l’avvocato del popolo riscontri che la violazione dei diritti dell’uomo riconosciuti dalla Costituzione e da altre leggi non derivi dall’applicazione delle norme, bensì da una determinata legge, ha facoltà: a) di raccomandare ai detentori del potere legislativo di modificare o migliorare la legge; b) di proporre alla P.A., che ne abbia facoltà, la modifica o il miglioramento degli atti normativi subordinati alla legge; c) di raccomandare alla Corte Costituzionale di pronunciare l’abrogazione della legge. Sui punti e sulle loro possibili proiezioni v. il già citato articolo della Shehu, particolarmente ai §§ 11-12. 33 12 4. DEFENSORES CIVITATUM. Diversa appare la situazione dei defensores civitatum che troviamo diffusi con configurazioni e competenze differenti nelle due parti dell’Impero dal IV secolo e trovano attenta disciplina nei Codici ufficiali, di Teodosio II e di Giustiniano. Non intendo soffermarmi (qui) sulla materia la quale peraltro ha dato luogo ad opinioni non sempre univoche37. Si tratta di una realtà varia la quale ha dato luogo a figure non riconducibili, se non per approssimazione e opportunità di semplificazione, ad uno schema unico. I nomi con i quali le varie configurazioni erano indicate erano molteplici, non diversamente con quanto oggi (come si è detto e peraltro è largamente noto e sotto gli occhi di tutti) si può dire per le diverse forme che sogliono essere raggruppate nella figura-modello dell’ombudsman. Per lo più si parlava di defensores, di ecdici (œkdikoi), di patroni o di syndici (sÚndikoi). Tralascio di approfondire le differenze e di affrontare qui il problema se tutte queste figure siano state o meno difensori dei cittadini o solo difensori, nel solo senso tecnico (di coloro che assumono la difesa) delle collettività e nello specifico delle città. Mi soffermo, invece, su alcuni caratteri che meglio delineano il ruolo e lo scopo della loro istituzione. Una costituzione di Valentiniano III del 368 dice esplicitamente che il motivo della creazione dei patroni, che la dottrina identifica nelle finalità e nelle funzioni con i ‘difensori’38, nell’assoluta opportunità di dare protezione ai bisognevoli (alla plebe dice il testo) contro i soprusi dei potenti: admodum utiliter edimus, ut plebs omnis Inlyrici officiis patronum contra potentium defendantur iniurias39. 37 Rinvio agli studi approfonditi della dottrina ed in particolare alle analisi esposte in MANNINO V., Ricerche sul “defensor civitatis”, Giuffré, Milano, 1984, al quale sono costretto a rinviare per la citazione dell’annosa e penetrante letteratura.. 38 V. MANNINO V., Ricerche, cit., pp. 71 ss. 39 C. Th. 1. 29. 1, Valentiniano e Valente Augusti al prefetto del pretorio Probo: stabiliamo, perché di massima utilità, che la plebe di tutto l’Illirico venga difesa contro i soprusi dei potenti dall’intervento di appositi patroni (difensori)”. 13 Anche se concernente l’Illirico, si può concordare con la dottrina che attribuisce alla disposizione una valenza generale, la quale pare riflettere orientamenti diffusi nell’Occidente40. Dunque una prima proiezione dei difensori consiste nella protezione dei deboli contro chi esercita il potere. Questa proiezione avviene per volontà espressa dell’Imperatore. Si crea così una facile equazione che dà vita ad un importante sillogismo riassumibile nei termini seguenti: sono i potenti a commettere abusi ed ingiustizie, è l’Imperatore a provvedere alla tutela dei deboli; di conseguenza, l’Imperatore è il protettore dei deboli. Nasce in tal modo una ideologia, alimentata in vario modo, che contrappone i deboli ai potenti ma nello stesso tempo pone l’Imperatore, che pure è al vertice del potere, fuori dal novero dei potenti sopraffattori e anzi a fianco degli oppressi e del popolo minuto. È una visione che rovescia totalmente le visioni repubblicane e classiche dei Romani. In esse la protezione dei Tribuni era contro il vertice del potere (contra consules) e la storiografia non era certamente ‘tenera’ o semplicemente ‘condiscendete’ con gli Imperatori. Senza ricordare la sferzante ricostruzione di Tacito si può notare che anche Svetonio, pur con meno acrimonia, indugia sulle nefandezze dei vari Caligola, Nerone, Comodo. Non credo di esagerare nel dire che il modo di costruire la figura dei defensores apre una pista che porta lontano, arrivando alla saga dei Re buoni (Artù, Riccardo etc.) che lambisce l’età moderna nel contrapporre i dignitari al Sovrano e nell’attribuire a questi sentimenti di comprensione e vicinanza con gli strati più bassi della popolazione. Siamo di fronte ad una rivoluzione concettuale che si inserisce bene nel contesto dell’Impero romano dove l’appello contro sentenze ritenute inique o delle quali comunque non si intende sopportare le conseguenze non è più al popolo (come era nella provocatio repubblicana) ma all’Imperatore. In tal modo il giudizio finale passa dalla collettività all’Imperatore e cambia il giudizio di valore: chi conta ed ha diritto all’ultima parola non è il populus romanus bensì l’Imperatore. 40 MANNINO V., Ricerche, cit., 23 nt. 37. 14 Rispetto al Tribunato si ha un altro capovolgimento. Esso è costituito dal fatto che non si vuole impedire l’atto bensì si vuole che esso sia realizzato secondo giustizia ed equità. I defensores non intervengono per vietare, ma per realizzare la buona amministrazione che è perseguita dall’Imperatore. Per questo motivo erano nominati dall’Imperatore (concretamente attraverso il prefetto del Pretorio) e non più eletti; anche se Giustiniano cercherà di introdurre almeno la designazione da parte della città. Ciò anche perché essi non sono più, come i Tribuni, organi della Città, bensì dell’Impero ed anche quando vengono nominati per una città saranno sempre organi dell’Impero, assumendo una natura mista che può essere allo stesso tempo cittadina ma sempre imperiale41 e che deve rispondere all’Imperatore, il quale si preoccupa della loro onestà e di evitare che potessero apparire sospetti di parzialità, ad esempio accettando donativi dai privati, mentre dovevano essere pagati preferibilmente con fondi pubblici42. In ciò vi è un evidente parallelismo con gli ombudsman dell’era contemporanea, dove si pongono come strumento della buona amministrazione. In origine questa finalità era perseguita in nome del Re. Subito dopo, a seguito soprattutto dello spostamento della centralità nell’esercizio della sovranità la quale si va sempre più assando sul Parlamento, in nome del Parlamento. Si è dato vita, in tal modo, ad un assetto che è figlio dell’ideologia fondante dei defensores e che oggi è in difficoltà in conseguenza della crisi di ruolo del Parlamento. Tant’è che gli ombudsman vengono fondati e giustificati direttamente con la riappropriazione di ruolo da parte dei cittadini e, secondo la tendenza ultima, dell’uomo con i suoi diritti insopprimibili. Quanto ai defensores, la disamina articolata delle loro attribuzioni mostra che di là da queste connotazioni essi erano più complessi e, mi pare, anche abbastanza dissimili dagli attuali ombudsman. 41 Per ciò talora venivano posti sullo stesso piano dei governatori provinciali: Cfr. C. 1. 4. 22. pr.; 1. 4. 25; cfr. MANNINO V., Ricerche, cit., 167 s. 42 Emblematica è la Novella 8 emanata da Giustiniano nel 535 d. C. 15 Infatti spesso ebbero ruolo attivo nell’Amministrazione, attendendo a funzioni certificative o di polizia43 oppure con competenze di gestione della giustizia (che è ora quella, extra ordinem, dell’Imperatore) talora con potere di imporre condanne (soprattutto multe) e di imprigionare 44 . In Oriente fu addossato ai defensores il controllo di confine o le incombenze (peraltro attribuite anche ai Vescovi) di lotta alla prostituzione e di assistenza alle donne spinte al turpe mestiere contro la propria volontà45. Gli Imperatori e soprattutto infine Giustiniano ebbero cura di accentuare l’indipendenza dei defensores, particolarmente nei confronti della burocrazia provinciale ma anche nei confronti dei giudici perché fu affidato ad essi il compito di controllo della loro moralità (in alternativa ai magistrati cittadini, cioè ai duumviri). La complessità delle attribuzioni dei defensores era così grande che a Giustiniano apparve opportuno emanare una specie di legge quadro46 che fu inserita all’interno di un provvedimento di riordino dell’Amministrazione. Questo riscontra un ritorno significativo nella più recente riforma del Médiateur francese, anch’essa, come si è già avuto occasione di dire, inserita all’interno della legge di riordino della Pubblica Amministrazione (DCRA)47. Evidentemente anche i compiti dei defensores così come oggi quelli degli ombudsman rientrano in una visione organica della buona amministrazione, la dove questa è forte ed assorbente. Naturalmente, sia detto per inciso, nulla di più lontano ed estraneo al Tribunato della plebe. 5. CONSIDERAZIONI. I richiami all’esperienza romana servono per risalire alle radici di soluzioni che ancora oggi vengono prospettate come rimedio alle ingiustizie ed in particolare all’abuso nell’esercizio del potere ed alle iniquità create dal sistema. L’aspirazione 43 Cfr. C.I. 1. 4. 25 del 529. MANNINO V., Ricerche, cit., 116 ss., 167. 45 Compito di grande attualità che sembra riecheggiato dai Rapporti annuali di alcuni ombudsman contemporanei ed in particolare dai Rapporti 200, 2001, 2002, 2003 dell’Avvocato del popolo albanese: v. SHEHU N., loc. cit. 46 La definizione è del BONINI R., Ricerche sulla legislazione giustinianea2, p. 82. 47 V. sopra nt. 16. 44 16 ad avere idonee forme di controllo di esso è antica48 ed è tanto più avvertita quanto più il popolo è o si sente estraniato dal ‘potere’. Oggi la crescente diffusione degli ombudsman mi pare sia da mettere in relazione diretta con la sfiducia crescente nello Stato ed, in qualche modo, mi pare l’indice del fallimento della democrazia parlamentare. In essa il cittadino e più in generale la ‘persona’ non ha ‘voce’ nella organizzazione e nella gestione della società e quando si sente vittima di ingiustizie non ha fiducia nei rimedi a lui offerti dalla normale Amministrazione della Giustizia; i quali sono tecnicamente sempre più complessi, costosissimi e lentissimi. L’introduzione degli ombudsman crea talora l’illusione di avere rimedi efficaci e può distogliere dalla strada maestra che dovrebbe essere quella di rendere partecipativa ed effettiva la democrazia. La forza maggiore degli ombudsman si realizza attraverso la denuncia e il diritto alla risposta alle proprie richieste (diritto di seguito) che hanno rilievo più o meno considerevole ma denotano che nel Paese non vi è controllo adeguato da parte dell’opinione pubblica (e della stampa) e che normalmente la pubblica amministrazione neppure si preoccupa di dar conto delle proprie azioni. La ‘storia’ dei defensores deve mettere in guardia dall’illusione che vi siano ‘poteri buoni’ i quali hanno a cuore il bene del popolo minuto. Questo va tenuto presente oggi, poiché mi sembra che la diffusione degli ombudsman ha in sé una contraddizione. Da un lato è originata dalla sfiducia nello Stato dall’altro si fonda nella convinzione che vi siano Organi ‘buoni’ (in particolare il Parlamento, il Presidente della Repubblica) in grado di dare ascolto alle istanze del popolo; il che è tutto da verificare. L’esperienza romana dimostra che la democrazia ha bisogno di poteri ‘forti’ (e certamente tali erano quelli dei consoli) ma anche di idonei contrappesi che venivano offerti, tra altri, dall’intercessio dei Tribuni. Questi dovevano la loro indipendenza dalla propria storia e dal fatto di non ricevere né la nomina né la giustificazioni da nessun altro se non dal popolo stesso. 48 Ad esempio in Sparta sfociò nell’Eforato. 17 Un altro punto non secondario concerne la composizione dell’ombudsman. L’esperienza romana era incentrata su un unico organo, collegiale (nel senso romano e non in quello odierno) con competenza generale. Oggi si discute se serva un unico ombudsman, il quale potrà articolarsi al proprio interno per materie (come ha fatto il Médiateur francese) e per competenze territoriali oppure servano ‘difensori’ diversi e distinti per settori, come è per il Commissioner parlamentari inglese. Mi pare che l’unicità dell’organo dia maggiori certezze, non foss’altro che come punto di riferimento unico. Oggi viene sbandierata l’indipendenza degli ombudsman. Ma sino a quando non verranno eletti direttamente dal popolo essa sarà in qualche modo vincolata alle vicende della ‘politica’ e dei suoi facitori. I Tribuni, come si è sottolineato, non dovevano motivare i propri veti; ciò mi pare essenziale ancora oggi, non fosse altro che per sottrarre l’atto dell’ombudsman al defetigante controllo di ‘legittimità’ che gli toglierebbe immediatezza ed efficacia. Vorrei concludere con un richiamo alla cautela nella valutazione delle esperienze degli ombudsman. Esse sono certamente di grande rilevanza ma devono guardarsi dal rischio di offrire una via di evasione dai problemi reali delle società di oggi, in gravi difficoltà per la crisi della democrazia rappresentative per l’assoluta inadeguatezza della teoria della divisione dei poteri sulla quale esse dicono di fondarsi. Quanto agli ombudsman avrei almeno due proposte per dargli effettiva indipendenza ed efficacia: elezione diretta e sfasata rispetto alle elezioni parlamentari (per non venire inglobato nelle logiche di maggioranza partitica); durata limitata e non reiterabilità; concessione di un particolare ‘diritto di richiesta di prova preventiva (se vogliamo ‘di veto’)’; il quale non deve impedire l’atto vietato, ma solo introdurre l’obbligo per chi lo compie di dimostrarne la fondatezza e la 18 giustezza prima di procedere alla sua esecuzione49. Questo, ad esempio, impedirebbe atti, come quelli contro la persona e contro l’ambiente, per i quali ha poco senso l’eventuale risarcimento del danno, che non puo’ eliminare i guasti che nel frasttempo si sono verificati. Credo che in tal modo il cittadino verrebbe reintegrato nel suo diritto alla partecipazione. Per il quale tuttavia la strada maestra resta la revisione del ‘modello di democrazia’. È questo in parte, sia pure minima, simile a quanto avviene nell’Unione Europea in materia ambientale a seguito dell’introduzione del procedimento di valutazione dell’impatto ambientale, che tuttavia spesso è stato raggirato. 49 19