FONDAMENTI DI MECCANICA QUANTISTICA Appunti raccolti nel Dipartimento di Fisica dell’Università “La Sapienza” di Roma a cura di Stefano Patrì. Indirizzo e-mail dell’autore: [email protected] 25 ottobre 2008 2 PREFAZIONE Queste note sono gli appunti che ho raccolto frequentando le lezioni di Meccanica Quantistica del Prof. Massimo Testa. Io avevo già superato l’esame di Istituzioni di Fisica Teorica della laurea quadriennale molti anni prima, non avendo però purtroppo potuto apprendere la materia a quell’epoca dal Prof. Massimo Testa perché egli era impegnato allora con altri corsi. Non è mai bello far confronti fra docenti, soprattutto se poi è trascorso un così lungo periodo come fra quella prima volta e la seconda con il Prof. Testa. Mi limito pertanto ad esprimere viva ed immensa gratitudine al Prof. Massimo Testa perché soltanto dopo aver frequentato le sue ineguagliabili lezioni, ho potuto dire di aver compreso finalmente un pochino i fondamenti di quell’affascinante costruzione teorica che è la Meccanica Quantistica. Sebbene io mi consideri oggi pienamente ed estremamente contento, felice, soddisfatto e realizzato nella mia vita, tuttavia mi capita ogni tanto di domandarmi, senza che possa mai più esservi una risposta, come sarebbe stata la mia vita se, quando avevo vent’anni, avessi potuto apprendere la Meccanica Quantistica da un docente dai modi e dallo stile del Prof. Massimo Testa. Sperando che il lavoro di raccolta degli appunti delle lezioni del Prof. Testa possa essere di qualche giovamento per qualcuno, invito chiunque leggesse queste mie pagine ad inviarmi un qualsiasi suo commento personale di ogni tipo, nonché a segnalarmi qualunque errore, svista, imprecisione che venissero trovati. Grazie Stefano Patrì Indice 1 Dalla fisica classica alla fisica quantistica 1.1 Radiazione di corpo nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Effetto fotoelettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Interferenza ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Formalismo generale nella notazione di Dirac 2.1 Considerazioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Spazio degli stati possibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Osservabili e operatori lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Misura di un’osservabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1 Caso degli operatori continui in dimensione infinita . . . . 2.4.2 Misura simultanea di osservabili . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Rappresentazione di operatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6 Legame fra osservabili classiche e operatori quantistici . . . . . . 2.6.1 Trasformazioni unitarie e operatore impulso . . . . . . . . 2.7 Autostati dell’operatore impulso . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.1 Trasformate di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.2 Operatore posizione nella base degli autostati dell’impulso 2.8 Impulso e traslazioni spaziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.9 Principio di indeterminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.9.1 Pacchetti d’onda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Evoluzione temporale degli stati 3.1 L’equazione di Schrödinger e propagatore quantistico . . 3.1.1 Evoluzione temporale e misura di due osservabili 3.2 Rappresentazione di Heisenberg . . . . . . . . . . . . . 3.3 Densità di corrente di probabiltà . . . . . . . . . . . . . 3.4 Operatore Densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 Velocità di trasmissione dell’informazione . . . . 3.5 Prodotto tensoriale di spazi di Hilbert . . . . . . . . . . 3.6 Interazione tra sistema fisico e apparato di misura . . . . 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 5 7 9 . . . . . . . . . . . . . . . 11 11 12 14 17 19 21 25 27 30 36 37 39 39 44 46 . . . . . . . . 49 50 55 57 59 60 61 63 64 INDICE 4 3.6.1 Difficoltà nell’osservazione della meccanica quantistica . . . . 4 Soluzioni dell’equazione di Schrödinger 4.1 Equazione di Schrödinger per la particella libera . . . . . . . . . . . . 4.2 Analisi qualitativa delle soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Potenziali costanti a tratti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.1 Buca di potenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.2 Particella nel segmento: buca di potenziale con pareti infinite . 4.4 L’oscillatore armonico in una dimensione . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.1 Rappresentazione matriciale degli operatori . . . . . . . . . . 4.4.2 Oscillatore armonico asimmetrico . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.3 L’oscillatore armonico isotropo in due dimensioni . . . . . . . 4.4.4 Livelli di Landau . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 . . . . . . . . . . 69 69 71 76 78 79 82 86 87 87 90 5 Formulazione mediante integrali di cammino 5.1 Integrali di cammino e fenomeno dell’interferenza . . . . . . . . . . . . 5.2 Effetto Aharonov-Bohm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 97 99 6 Momento angolare 6.1 Momento angolare di spin . . . . . . . . . . . . 6.1.1 L’equazione di Pauli . . . . . . . . . . . 6.2 Composizione di momenti angolari . . . . . . . . 6.3 Covarianza per rotazioni . . . . . . . . . . . . . 6.3.1 Covarianza dell’equazione di Schrödinger 6.3.2 Covarianza dell’equazione di Pauli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 111 113 117 125 126 130 7 Sistemi in tre dimensioni 135 7.1 L’atomo d’idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 7.2 L’oscillatore armonico isotropo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 8 Particelle identiche 143 8.1 Località della fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 9 Teoria delle perturbazioni 9.1 Teoria indipendente dal tempo: 9.2 Teoria indipendente dal tempo: 9.3 Metodo variazionale . . . . . 9.4 Teoria dipendente dal tempo . caso non degenere caso degenere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 149 152 153 154 10 Formalismo di seconda quantizzazione 157 11 Qualche esercizio 163 Capitolo 1 Dalla fisica classica alla fisica quantistica Come afferma Thomas Kuhn a proposito delle rivoluzioni scientifiche, una rivoluzione scientifica viene sempre preceduta da un accumularsi di risultati sperimentali che induce a dubitare della validità della teoria consolidata relativamente a quell’ambito di osservazione e a costruire quindi una nuova teoria che meglio si accordi con quei risultati. Verso la fine del diciannovesimo secolo si erano accumulate una serie di evidenze empiriche in virtù delle quali si cominciò a dubitare della validità della meccanica newtoniana quando si cercava di studiare fenomeni che avvenivano su scala microscopica. Limitandoci soltanto ad una breve analisi di pochi fenomeni che evidenziarono certi limiti della fisica classica, rimandiamo a testi della letteratura più ampi per una più esauriente trattazione di questi e di altri fenomeni che rappresentarono una sorta di crisi della fisica newtoniana. 1.1 Radiazione di corpo nero Fra questi fenomeni, in ambito termodinamico, c’era il problema della cosiddetta radiazione di corpo nero, o radiazione termica. Nella seconda metà del XIX secolo Kirchhoff aveva condotto una serie di esperimenti sull’emissione e sull’assorbimento della luce. L’osservazione empirica mostra che un corpo caldo emette radiazione elettromagnetica sotto forma di calore la cui distribuzione in lunghezza d’onda (chiamata distribuzione spettrale) dipende dalla temperatura. Se un corpo è in equilibrio termico con l’ambiente circostante e si trova quindi a temperatura costante T , allora esso deve emettere e assorbire la medesima quantità di energia nell’unità di tempo sotto forma di radiazione, altrimenti la sua temperatura subirebbe variazioni. 5 6 CAPITOLO 1. DALLA FISICA CLASSICA ALLA FISICA QUANTISTICA La radiazione emessa o assorbita in queste condizioni viene denominata radiazione termica e si definiscono potere emissivo, indicato con E, e potere assorbitivo di un corpo le quantità di energia che nell’unità di tempo e per unità di superficie tale corpo rispettivamente emette e assorbe. Si definisce quindi corpo nero un corpo che assorbe tutta l’energia prodotta dalla radiazione incidente su di esso. L’espressione radiazione di corpo nero, coniata da Kirchhoff, deriva dal fatto che la radiazione prodotta da un corpo riscaldato può essere osservata chiudendo il corpo in un forno e guardando quindi la luce emessa attraverso un piccolo foro appositamente praticato nella parete del forno stesso al cui interno vi è ovviamente oscurità. Possiamo allora fare a meno del forno e utilizzare una cavità mantenuta a temperatura costante, al cui interno sia fatto il vuoto, che abbia un piccolo foro attraverso il quale possa entrare o uscire un raggio di luce. Tale foro si comporta come un corpo nero perché tutta la radiazione che entra dall’esterno attraverso di esso viene effettivamente assorbita dopo varie riflessioni sulle pareti all’interno della cavità. Se la temperatura della cavità viene poi fatta variare, si osserverà che la radiazione uscente dal foro all’esterno sarà, al crescere della temperatura, via via più splendente fino a cambiare colore dal rosso scuro al giallo e infine al bianco intenso. Ciò accade perchè gli elettroni del metallo delle pareti della cavità si comportano come degli oscillatori i quali, appunto oscillando per effetto del riscaldamento, subiscono una variazione dello stato di moto ed emettono in tal modo radiazione elettromagnetica. Questa radiazione può essere assorbita dagli stessi elettroni ed essere irradiata di nuovo. Il processo va avanti indefinitamente benché vi sia ovviamente una perdita di radiazione attraverso il piccolo foro che ce ne consente l’osservazione e la misura. Alla distribuzione dei colori corrisponde il dispiegamento delle lunghezze d’onda, indipendentemente dal tipo di materiale di cui è costituita la cavità. Considerando l’equilibrio termico fra oggetti di materiali differenti e utilizzando solo le leggi della termodinamica, Kirchhoff era giunto alla conclusione che il potere assorbitivo e il potere emissivo di un corpo sono uguali indipendentemente dalla temperatura del corpo stesso e per radiazione di qualsiasi lunghezza d’onda. La densità di energia e la composizione della radiazione emessa all’interno di un corpo cavo, delimitato da pareti impenetrabili a temperatura T , dovevano essere indipendenti dalla natura delle pareti stesse. In altre parole la densità ρ di energia della radiazione è una funzione universale della frequenza ν e della temperatura assoluta T ; la potenza emessa per unità di area da un corpo nero a frequenze comprese fra ν e dν, indicata con ρ(ν, T ) dν, deve fornire una potenza totale R emessa per unità di area data da Z +∞ R= ρ(ν, T ) dν 0 Per determinare la forma della funzione ρ, si utilizzarono esclusivamente argomentazioni di natura termodinamica: in particolare la legge di proporzionalià, trovata dai 1.2. EFFETTO FOTOELETTRICO 7 fisici austriaci J. Stefan e L. Boltzmann, fra il potere emissivo di un corpo e la quarta potenza della sua temperatura assoluta T (E = σT 4 ) e la legge per la quale il prodotto della temperatura per la lunghezza d’onda che fornisce il valore massimo dell’emissione (legge dello spostamento di Wien) risulta costante (λmax T = k). La forma della funzione ρ, proposta dal fisico tedesco W. Wien in accordo con queste due leggi, fu dunque bν ρ(ν, T ) = a ν 3 e− T (1.1) dove a e b sono due costanti positive, ma ulteriori esperimenti evidenziarono che questa espressione della ρ(ν, T ) non vale per le basse frequenze per le quali i fisici Rayleigh e Jeans trovarono l’espressione ρ(ν, T ) = aT ν 2 (1.2) Il fisico M. Planck risolse allora il problema della radiazione di corpo nero ipotizzando che gli oscillatori ai quali è dovuta l’emissione della radiazione di frequenza ν, scambino energia con le pareti non in modo continuo, bensì a pacchetti, in modo che le energie siano dunque multiple del pacchetto (denominato quanto) hν e, sulla base dei principi di meccanica statistica, pervenne alla relazione, assolutamente non deducibile da argomentazioni di fisica classica ρ(ν, T ) = 8πh ν3 hν c3 e KT −1 dove h è la famosa costante di Planck avente le dimensioni fisiche di un’azione, c è la velocità della luce nel vuoto e K è la costante di Boltzmann. Si verifica facilmente che la ρ(ν, T ) di Planck si riduce alla (1.1) nell’approssimazione di alte frequenze e si riduce alla (1.2) nell’approssimazione di basse frequenze. 1.2 Effetto fotoelettrico L’importanza del ruolo della costante h fu chiarito in seguito da Einstein attraverso lo studio dell’effetto fotoelettrico. Con questo nome si intende quel fenomeno per il quale degli elettroni fuoriescono da un metallo quando su di esso si invia una radiazione incidente avente un’energia maggiore di un’energia di soglia Ū . Nel corso di esperimenti finalizzati all’indagine delle proprietà delle onde elettromagnetiche, H. Hertz scoprì nel 1887 che quando della radiazione ultravioletta incide su elettrodi metallici facilita il passaggio di una scintilla. Successivi esperimenti mostrarono che le particelle cariche sono emesse dalle superfici metalliche quando queste ultime vengono irradiate da onde elettromagnetiche di alta frequenza. Gli aspetti più importanti che emersero dai dati sperimentali furono il fatto che vi è una frequenza di soglia della radiazione incidente sotto la quale, qualunque sia l’intensità, non si verifica nessuna emissione di elettroni; gli elettroni fuoriescono con valori del modulo della velocità che vanno da zero fino ad 8 CAPITOLO 1. DALLA FISICA CLASSICA ALLA FISICA QUANTISTICA un valore vmax tale che l’energia cinetica corrispondente alla stessa vmax dipende linearmente dalla frequenza della radiazione incidente e non dipende dalla sua intensità, che è ~ il numero proporzionale al valor medio del modulo del quadrato del campo elettrico E; di elettroni emessi per unità di tempo risulta essere, per una data frequenza della radiazione incidente, proporzionale all’intensità della radiazione; l’emissione di elettroni si verifica immediatamente non appena la radiazione comincia ad incidere sulla superficie, senza che trascorra nessun intervallo di tempo. Secondo la fisica classica ci si poteva attendere che l’energia cinetica massima degli elettroni emessi sarebe aumentata con la densità di energia (o intensità) della radiazione incidente, indipendentemente dalla frequenza, ma questo non si acccorda con l’osservazione. Inoltre secondo la teoria classica l’energia incidente è distribuita uniformemente su tutta la superficie illuminata e poiché per estrarre un elettrone da un atomo occorre che la radiazione sia concentrata su un’area delle dimensioni atomiche, allora dovrebe trascorrere un intervallo di tempo prima che la radiazione possa arrivare ad incidere sulla regione con le dimensioni opportune. Einstein fornì nel 1905 una spiegazione per questi strani aspetti dell’effetto fotoelettrico basata sull’estensione della teoria di Planck della quantizzazione della radiazione di corpo nero. Nella teoria di Planck gli oscillatori che rappresentano la sorgente del campo elettromagnetico possono vibrare con energie E = nhν, mentre Einstein formulò l’ipotesi che il campo elettromagnetico stesso fosse quantizzato e che la luce fosse costituita da corpuscoli denominati quanti di luce o fotoni che si muovono con la velocità c della luce e trasportano un quanto di energia E = hν. I fotoni sono sufficientemente localizzati, in modo tale che l’intero quanto di energia possa essere assorbito da un atomo istantaneamente e possa essere pertanto usato per estrarre un elettrone dall’atomo. A causa delle interazioni dell’elettrone emesso con gli altri atomi, occorre che la radiazione incidente abbia una certa energia minima Ū per estrarre l’elettrone, da cui segue che l’energia cinetica massima di un fotoelettrone è data da 1 2 mvmax = hν − Ū (1.3) 2 e la frequenza di soglia νs assume il valore νs = Ū h ottenuto per vmax = 0. Pertanto per innalzare l’energia degli elettroni fuoriusciti, occorre aumentare la frequenza della radiazione incidente, perché dalla (1.3) si ha che più pacchetti si inviano, maggiore è l’energia che gli elettroni ricevono. Queste osservazioni sembravano confermare l’idea dei pacchetti di Planck, ovvero la visione corpuscolare della radiazione. Tale visione corpuscolare, in realtà, risaliva a Newton che faceva notare come la riflessione della luce ad un angolo pari a quello di incidenza “assomigliasse” al rimbalzo di una pallina (corpuscolo) su una parete. 1.3. INTERFERENZA OTTICA 9 1.3 Interferenza ottica A far abbandonare l’idea corpuscolare della luce era stata, dopo Newton, l’osservazione del fenomeno dell’interferenza ottica. Data una radiazione che passa attraverso due fenditure, si ha che nel punto di osservazione P (fig. 1.1) le due onde (passanti per le due fenditure) si sommano in fase (fig. 1.3) perché hanno percorso uguale cammino ottico. Nel punto di osservazione Q invece le due onde giungono dopo aver percorso due differenti cammini ottici sfasati di una quantità ∆ (fig. 1.2). Se vale ∆ = nλ, con λ lunghezza d’onda della radiazione, allora le due onde si sommano ancora in fase, come per il punto P . Se invece risulta ∆ = nλ/2, allora segue che le due onde, interferendo, si annichilano (fig. 1.4). Se teniamo aperta soltanto una delle due fenditure, allora si ottiene uno spettro simmetrico centrato sulla fenditura aperta (fig. 1.5); mentre se teniamo aperte entrambe le fenditure, non si ottiene la sovrapposizione dei due spettri relativi alle fenditure aperte separatamente (fig. 1.6), come ci si potrebbe attendere, ma poiché in alcuni punti di osservazione si ha ∆ = nλ e in altri ∆ = nλ/2, si ottiene l’immagine di interferenza riprodotta nella figura 1.7. La radiazione, dunque, per l’elettromagnetismo classico possiede natura ondulatoria. Come vedremo nel prossimo capitolo, gli elettroni, che pure sono particelle (cioè corpuscoli), quando vengono inviati contro una barriera avente due fenditura, dànno luogo a fenomeni di interferenza analoghi ai fenomeni di interferenza appena discussi che sono tipici della natura ondulatoria della radiazione. La meccanica quantistica che nacque per spiegare, fra gli altri, i fenomeni della radiazione di corpo nero e dell’effetto fotoelettrico, venne sviluppata dunque per conciliare la natura corpuscolare delle particelle (elettroni) con il loro comportamento ondulatorio che si manifesta quando esse vengono inviate contro due fenditure di una lastra e dànno luogo al fenomeno dell’interferenza del tutto analogo a quello che si osserva quando contro le medesime due fenditure viene inviata una radiazione elettromagnetica. Q F1 F2 P ∆ F1 F2 fig. 1.1 fig. 1.2 10 CAPITOLO 1. DALLA FISICA CLASSICA ALLA FISICA QUANTISTICA Fig. 1.3 Fig. 1.4 F2 F1 F1 Fig. 1.5 F2 Fig. 1.6 F1 F2 Fig. 1.7 Capitolo 2 Formalismo generale nella notazione di Dirac 2.1 Considerazioni preliminari Secondo Feynman, ciò che diede l’ispirazione per lo sviluppo matematico della meccanica quantistica, ovvero la chiave per capire come è nata la meccanica quantistica, è stato il fenomeno dell’interferenza ottica. Inviando infatti degli elettroni attraverso due fenditure, non si osserva uno spettro dato dalla sovrapposizione dei due spettri ottenuti inviando gli elettroni attraverso una sola fenditura tenendo chiusa l’altra (fig. 1.6); si osserva piuttosto una figura di interferenza analoga a quella appena illustrata per la radiazione (fig. 1.7). Questa interferenza vale inoltre elettrone per elettrone, cioè se inviamo elettroni uno alla volta e attendiamo che ne giunga uno sulla lastra prima che parta il successivo, dopo che siano stati inviati un certo numero di elettroni, si osserva comunque la stessa figura di interferenza di prima. Allora occorre introdurre una probabilità che l’elettrone cada in un certo punto della lastra. Questa probabilità è teorica e non pratica, come è invece in teoria cinetica dei gas e in meccanica statistica. In teoria cinetica dei gas e in meccanica statistica la necessità di descrivere la dinamica microscopica in termini probabilistici derivava dal problema pratico che cè in gioco una gran quantità di particelle delle quali è incontrollabile lo stato dinamico. Nell’interferenza di elettroni la probabilità è teorica perché in realtà la loro dinamica è completamente sotto controllo senza che vi siano variabili nascoste non controllabili. Nel caso dell’interferenza ottica si aveva che essa derivava dal valor medio dell’in~1 + E ~ 2 )2 i, dove E ~1 e E ~ 2 sono i campi elettrici associati alle due onde: quindi tensità h(E il concetto di probabiltà quantistica non risiede tanto in una densità di probabiltà in sé, bensì in una funzione ψ(x) il cui quadrato (o per meglio dire, il cui modulo quadro) dia la probabiltà che la particella si trovi nella posizione x, in tutta analogia con il caso 11 12 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC ottico ~1 + E ~ 2 )2 i = I1 + I2 + 2 hI1 I2 i h(E ∼ ψ(x) = ψ1 (x) + ψ2 (x) 2.2 Spazio degli stati possibili Dunque dall’ottica siamo indotti (dire “siamo indotti” è più corretto che dire “abbiamo dedotto”) a introdurre il concetto di stato della particella: lo stato 1 rappresenta la situazione in cui solo la fenditura 1 è aperta, lo stato 2 rappresenta la situazione in cui solo la fenditura 2 è aperta e lo stato dato dalla combinazione lineare dei due rappresenta la situazione in cui entrambe le fenditure sono aperte. Mentre in meccanica classica, dati due stati possibili, il verificarsi di uno di essi esclude il verificarsi dell’altro, in fisica quantistica, dati due stati possibili, si può avere anche uno stato che sia combinazione lineare dei due il quale, utilizzando sempre l’analogia ottica, corrisponde al passaggio della particella attraverso le due fenditure. Questa è la metodologia di descrizione che meglio si addice all’interferenza di elettroni. Poiché questa probabilità quantistica è sensibile alle combinazioni lineari, cioè, date due funzioni ψ1 (x) e ψ2 (x) si deve poter esprimere ψ(x) = ψ1 (x) + ψ2 (x), allora segue che le ψj (x) formano uno spazio lineare generalmente complesso dotato di prodotto scalare, indicato con (·, ·) e, se lo spazio ha dimensione finita, dato da (w, v) := n X wi∗ vi , per ogni w = (w1 , w2 , ..., wn ), v = (v1 , v2 , ..., vn ) i=1 Se la dimensione dello stato è invece infinita, allora si definisce il prodotto scalare per ogni ϕ e ψ dato da Z (ϕ, ψ) := +∞ −∞ ϕ∗ (x) ψ(x) d3x Come notazione abbiamo nel caso di dimensione finita v = (v1 , v2 , ..., vn ) e nel caso di dimensione infinita ψ = ψ(x). A questo punto introduciamo allora la notazione di Dirac che consiste nell’indicare i vettori di stato, indipendentemente dalla dimensione dello spazio, con il simbolo v = |vi e ψ = |ψi dove | ·i viene chiamato vettore ket o semplicemente ket. I ket formano dunque quello che chiamiamo spazio degli stati possibili che risulta dunque essere uno spazio di Hilbert. Formuliamo poi l’ipotesi che ad ogni situazione fisica concreta corrisponde un ket dello spazio degli stati possibili e che, viceversa, ad ogni ket dello spazio degli stati possibili corrisponde una situazione fisica concreta. 2.2. SPAZIO DEGLI STATI POSSIBILI 13 In questo spazio il ket |ψi è un oggetto astratto che prende forma concreta solo quando lo esprimiamo rispetto ad una fissata base: scrivere |ψi = ψ(x) significa esprimere il ket nella base delle funzioni di x. Nella notazione di Dirac abbiamo poi che il vettore coniugato del generico ket |ai è il vettore bra ha|. Abbiamo detto che la densità di probabilità della x (in una dimensione) è data dall’espressione |ψ(x)|2 da cui segue che il valor medio di x, indicando d’ora in poi il valor medio con il simbolo h·i, è dato da hxi = Z +∞ −∞ x |ψ(x)|2 dx Allora se la ψ(x) descrive tutto lo stato della particella, si debbono poter calcolare i valori medi di ogni altra osservabile fisica (oltre alla posizione), per esempio dell’impulso px , dato da hpx i. Per capire come si calcolano i valori medi delle osservabili, scriviamo hxi = Z +∞ −∞ x |ψ(x)|2 dx = Z +∞ −∞ ψ ∗ (x) x ψ(x) dx da cui segue che nella notazione di Dirac tale valor medio si esprime nella forma, detta bracket hxi = hψ|x|ψi dove con la scrittura x|ψi intendiamo l’azione dell’operatore lineare x sul ket |ψi definita appunto, nella base delle funzioni di x, come prodotto xψ(x) del valore x per la funzione ψ(x). Per l’analogia fra la meccanica quantistica e il fenomeno dell’interferenza ottica, la funzione ψ(x) che rappresenta lo stato della particella, viene chiamata funzione d’onda. Allora deduciamo che per calcolare il valor medio di una generica osservabile fisica in un dato stato |ψi, basta sostituire l’operatore lineare corrispondente a quell’osservabile al posto di x in hψ|x|ψi. Per la grandezza impulso px si ha dunque hψ|px |ψi = Z +∞ −∞ ψ ∗ (x) px ψ(x) dx Quello che dovremo fare sarà allora trovare il modo di esprimere, rispetto ad una fissata base, gli operatori lineari corrispondenti alle osservabili fisiche. Poiché il valor medio di una serie di misure effettuate per una certa grandezza fisica è ovviamente un numero reale, allora concludiamo che, se vogliamo che la teoria abbia un senso, l’operatore lineare corrispondente ad un’osservabile fisica deve essere tale che il suo valor medio calcolato su qualunque ket di stato sia sempre un numero reale. 14 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC 2.3 Osservabili e operatori lineari In meccanica quantistica dunque per calcolare il valor medio della misura di un’osservabile A su uno stato, occorre trovare l’operatore lineare corrispondente all’osservabile e calcolare il suo bracket rispetto allo stato assegnato. Nel seguito utilizzeremo i termini “osservabili” e “operatori lineari” come sinonimi. Anticipando che, come dimostreremo in seguito, nella base delle funzioni di x l’operatore impulso è dato da d px := −ih̄ dx verifichiamo che il valor medio hψ|px |ψi = −ih̄ Z +∞ −∞ ψ ∗ (x) d ψ(x) dx dx sia effettivamente un numero reale. Si ha integrando per parti hψ|px |ψi = ih̄ Z Z +∞ −∞ ψ(x) d ∗ ψ (x) dx = dx d ψ(x) dx = hψ|px |ψi dx −∞ dove l’addendo del metodo per parti dato dal prodotto ψ ∗ ψ risulta pari a zero nei due estremi ±∞ per le proprietà asintotiche della ψ(x). Poiché vale = −ih̄ +∞ ψ ∗ (x) hψ|px |ψi = hψ|px |ψi concludiamo che il valor medio hψ|px |ψi è dunque un numero reale puro. Quindi se l’espressione di px non avesse l’unità immaginaria i, allora il valor medio dell’operatore px dato da hψ|px |ψi sarebbe immaginario puro; inoltre se lo spazio degli stati non fosse complesso, allora il valor medio di px sarebbe sempre nullo perché Z +∞ −∞ ψ(x) d 1 ψ(x) dx = dx 2 Z +∞ −∞ d 1 [ψ(x)]2 dx = [ψ(x)]2 |+∞ −∞ = 0 dx 2 Dati allora due operatori lineari A e B sullo spazio degli stati possibili, dimostriamo che se vale (v, Aw) = (v, Bw) per ogni v, w, allora segue l’uguaglianza A = B. Infatti si ha per ogni v, w e ponendo ad un certo punto v = (A − B) w (v, Aw) = (v, Bw) ⇒ ( v, (A − B) w ) = 0 ⇒ ( (A − B) w, (A − B) w ) = 0 ⇒ ⇒ |(A − B) w|2 = 0 ⇒ (A − B) w = 0 ⇒ A − B = 0 Dato un operatore A, si chiama operatore aggiunto o operatore hermitiano coniugato di A l’operatore B tale che valga (Bw, v) = (w, Av) 2.3. OSSERVABILI E OPERATORI LINEARI 15 Se sviluppiamo le forme bilineari dei prodotti scalari (in dimensione finita) T T (Bw, v) = (w B )∗ v T T (w, Av) = (w )∗ Av = (w A∗ )∗ v e confrontiamo i risultati ottenuti, perveniamo all’uguaglianza T B = A∗ da cui ricaviamo la relazione fra l’operatore A e il suo hermitiano coniugato B data da T B = (A )∗ := A+ Un operatore A si dice autoaggiunto o hermitiano se vale la relazione A = A+ In realtà nell’Analisi Funzionale i due concetti di operatore aggiunto e di operatore hermitiano coniugato, così come i due concetti di operatore autoaggiunto e di operatore hermitiano, non sono proprio sinonimi e la differenza sta nel dominio in cui essi agiscono perché in uno spazio di dimensione infinita debbono essere tenuti in considerazione anche eventuali problemi di convergenza degli integrali che esprimono le forme bilineari dei prodotti scalari. Non preoccupandoci per il momento di tali problemi e assumendo come equivalenti i due concetti, dimostriamo che se A è un operatore hermitiano, allora si ha che il suo valor medio (ψ, Aψ) è sempre reale. Si ha infatti (ψ, Aψ) = (Aψ, ψ) = (ψ, Aψ) cioè (ψ, Aψ) = (ψ, Aψ) e dunque (ψ, Aψ) è sempre reale. Nella notazione di Dirac poniamo quindi (ψ, Aφ) ≡ hψ|A|φi e (A+ ψ, φ) = (φ, A+ ψ) ≡ hφ|A+ |ψi da cui segue che la relazione che definisce l’operatore aggiunto diventa hφ|A+ |ψi = hψ|A|φi 16 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Infine si ha hψ|φi = hφ|ψi, A|φi = |φ1 i, hφ|A+ = hφ1 | Nello spazio degli stati possibili hψ|φi è un prodotto scalare astratto che nella base delle funzioni di x si esprime rispetto alle componenti dei vettori hψ|φi = Z +∞ −∞ ψ ∗ (x) φ(x) dx In meccanica quantististica la misura di un’osservabile in uno stato si effettua immaginando di avere infinite repliche del sistema in modo che si possa eseguire tale misura su ogni replica e si pervenga al valor medio finale. Poiché dunque il valor medio di un’osservabile è la quantità reale misurata, gli operatori associati alle osservabili sono soltanto gli operatori hermitiani nello spazio degli stati possibili perché questa classe di operatori, come dimostrato, fornisce sempre valor medio reale su ogni stato. Dimostriamo ora l’altra importante proprietà di un operatore hermitiano A per la quale esso possiede soltanto autovalori reali e gli autovettori relativi ad autovalori distinti sono ortogonali. Data infatti l’equazione agli autovalori (detta anche equazione secolare) di A e la sua coniugata e hλ1 |A = λ∗1 hλ1 | , A|λ1 i = λ1 |λ1 i moltiplicando la prima per il bra hλ1 | e la seconda per il ket |λ1 i, otteniamo hλ1 |A|λ1 i = λ1 hλ1 |λ1 i e hλ1 |A|λ1 i = λ∗1 hλ1 |λ1 i da cui, sottraendo membro a membro, segue (λ1 − λ∗1 )hλ1 |λ1 i = 0 e dunque λ1 = λ∗1 , ovvero che l’autovalore λ1 è un numero reale. Moltiplicando poi l’equazione secolare A|λ1 i = λ1 |λ1 i per il bra hλ2 | e l’equazione secolare hλ2 |A = λ2 hλ2 | per il ket |λ1 i (l’autovalore λ2 nell’equazione coniugata è stato scritto senza complesso coniugato perché gli autovalori sono reali), otteniamo hλ2 |A|λ1 i = λ1 hλ2 |λ1 i hλ2 |A|λ1 i = λ2 hλ2 |λ1 i da cui, sottraendo membro a membro, segue (λ1 − λ2 )hλ2 |λ1 i = 0 e dunque l’ortogonalità data da hλ2 |λ1 i = 0 se λ1 6= λ2 . Scegliendo nell’autospazio relativo ad un eventuale autovalore degenere gli autovettori in modo che siano a due a due ortogonali, concludiamo che gli autovettori di un operatore hermitiano A formano una base completa ortogonale dello spazio degli stati possibili. Prendendo poi tutti gli autovettori con norma unitaria, otteniamo una base completa ortonormale formata dagli autovettori normalizzati |λi i dell’operatore A, per i quali vale la relazione di ortonormalità hλi |λj i = δij , con δij detta delta di Kronecker. 2.4. MISURA DI UN’OSSERVABILE 17 Dato allora un generico stato (ket) |ψi, possiamo svilupparlo come combinazione lineare dei vettori di tale base ortonormale scrivendo |ψi = X i ci |λi i in cui i coefficienti ci della combinazione si ottengono moltiplicando scalarmente ambo i membri per il bra hλj | hλj |ψi = X i ci hλj |λi i = X ci δji = cj i in modo da ottenere in conclusione cj = hλj |ψi Allora per ogni generico ket |ψi abbiamo lo sviluppo |ψi = da cui ricaviamo che X X j j |λj ihλj |ψi |λj ihλj | è l’operatore identità I perché quando esso agisce sul ket |ψi lo lascia invariato. Allora il singolo operatore Pj = |λj ihλj | è un proiettore sulla direzione |λj i perché Pj |ψi è un vettore avente la direzione dell’autovettore |λj i e inoltre si verifica immediatamente la proprietà degli operatori di proiezione Pj2 = |λj ihλj |λiihλi | = |λj iδij hλi | = |λj ihλj | = Pj 2.4 Misura di un’osservabile Data un’osservabile A avente equazione agli autovalori A|λi i = λi |λii, se calcoliamo il suo valor medio nell’autostato |λi i, otteniamo come risultato l’autovalore λi corrispondente, cioè hλi |A|λi i = hλi |λi|λi i = λi hλi |λi i = λi Se misuriamo l’osservabile A2 nell’autostato |λi i, otteniamo valor medio hλi|A2 |λii = hλi |AA|λi i = λi hλi |A|λii = λ2i hλi|λi i = λ2i 18 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Da questi risultati deduciamo che nell’autostato |λi i il valore della misura dell’osservabile A è con certezza, cioè con probabilità 1, l’autovalore λi corrispondente all’autostato in cui si è misurata A perché la varianza di tale misura è zero, come si vede calcolando σ 2 = h(A − hAi)2 i = hA2 − 2AhAi + (hAi)2 i = = hA2 i − 2hAihAi + (hAi)2 = hA2 i − (hAi)2 = λ2i − λ2i = 0 La nostra interpretazione è allora che la misura di un’osservabile A dà sempre come risultato uno dei suoi autovalori. Se misuriamo A su un generico stato |ψi, il valor medio di A su |ψi è hAiψ := hψ|A|ψi = = X i X i hψ|A|λiihλi |ψi = λi hψ|λi ihψ|λii = X i X i λi hψ|λi ihλi|ψi = λi |hψ|λii|2 Il risultato ottenuto hAiψ := hψ|A|ψi = X i λi |hψ|λii|2 (2.1) è la relazione fondamentale per l’interpretazione probabilistica della meccanica quantistica: se il sistema si trova in un autostato dell’osservabile A, allora la misura di A dà con probabilità 1 come risultato l’autovalore corrispondente all’autostato; se il sistema si trova in un generico stato |ψi, allora la misura di A dà come risultato uno dei suoi autovalori, diciamo λi , con probabilità data da |hψ|λii|2 . Si verifica immediatamente che i valori |hψ|λii|2 sono delle probabilità perché si ha X i = hψ| |hψ|λii|2 = X i X i |λi ihλi | hψ|λiihλi |ψi = ! |ψi = hψ|ψi = 1 Sottolineiamo che tale interpretazione probabilistica della meccanica quantistica deriva dalla struttura della relazione (2.1) in cui si ha la sommatoria di addendi ognuno dei quali è il prodotto di un numero λi per un peso |hψ|λii|2 : poiché, come visto, la somma dei pesi è 1, allora interpretiamo appunto i λi come i risultati della misura e i pesi |hψ|λii|2 come probabilità che esca quel valore della misura, in tutta analogia con la definizione di valor medio della teoria della probabiltà. 2.4. MISURA DI UN’OSSERVABILE 19 2.4.1 Caso degli operatori continui in dimensione infinita Dato un operatore hermitiano A in dimensione finita, abbiamo visto che dalla sua equazione secolare A|λi i = λi |λi i segue la relazione di ortonormalità hλi |λj i = δij . Se abbiamo in dimensione infinita un operatore continuo, come per esempio l’operatore x della posizione che nella base delle funzioni di variabile x agisce come prodotto per la funzione d’onda ψ(x), allora si presenta un problema sugli autovalori e sulla loro normalizzazione. Se consideriamo l’esempio dell’operatore di posizione la cui equazione secolare è x ψλ (x) = λ ψλ (x) (2.2) riscrivibile nella forma (x − λ) ψλ (x) = 0, abbiamo che le autofunzioni sono ψλ (x) = ( 0 se x 6= λ c se x = λ (2.3) Nella teoria degli spazi Lp (ricordiamo che tra tutti gli spazi Lp , con p ≥ 1, soltanto lo spazio L2 è uno spazio di Hilbert) le funzioni sono definite uguali fra loro se differiscono al più in un insieme di misura nulla. L’autofunzione ψλ (x) in (2.3) è allora una funzione equivalente alla funzione identicamente nulla su tutto l’asse reale perché differisce da questa soltanto in x = λ, cioè appunto in un insieme di misura nulla. Poiché quando scriviamo un’equazione secolare cerchiamo autofunzioni non nulle, allora la ψλ (x) data dalla (2.3) è una soluzione inadeguata dell’equazione secolare dell’operatore di posizione. La soluzione va cercata allora non nella classe delle funzioni ordinarie, bensì in quella delle distribuzioni: poniamo cioè ψλ (x) = δ(x − λ) (2.4) dove δ(·) è la distribuzione detta delta di Dirac. Nell’ambito della teoria delle distribuzioni, la ψλ (x) in (2.4) è una soluzione di (2.2) perché per ogni funzione di prova f (x) si ha Z +∞ Z +∞ (x − λ) δ(x − λ) f (x) dx = 0 (x − λ) ψλ (x) f (x) dx = −∞ −∞ Abbiamo poi, in base al teorema spettrale, l’ortogonalità delle autofunzioni relative ad autovalori distinti perché il prodotto scalare di ψλ (x) e ψλ′ (x), con λ 6= λ′ , è hψλ |ψλ′ i = Z +∞ −∞ ψλ∗ (x) ψλ′ (x) dx = Z +∞ −∞ δ(x − λ) δ(x − λ′ ) dx = δ(λ − λ′ ) = 0 Rimane comunque il problema della norma di un’autofunzione perché se si esegue il prodotto scalare di un’autofunzione con se stessa si ottiene hψλ |ψλ i = Z +∞ −∞ ψλ∗ (x) ψλ (x) dx = Z +∞ −∞ δ(x − λ) δ(x − λ) dx = δ(0) = ∞ 20 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Considerando spettri discreti e continui, la relazione di completezza si scrive nella forma Z X I= |λihλ| + |λihλ| dλ λ∈continuo λ∈discreto dove, per ipotesi, consideriamo disgiunti il sottoinsieme degli autovalori discreti e il sottoinsieme degli autovalori continui. Ogni ket corrispondente ad un autovalore del sottoinsieme discreto è allora ortogonale a tutti i ket corrispondenti ad autovalori continui e ogni ket corrispondente ad un autovalore del sottoinsieme continuo è ortogonale a tutti i ket con autovalore discreto. Così come se applichiamo l’identità al ket |λ′ i di autovalore discreto λ′ , otteniamo come risultato |λ′ i perché X |λihλ|λ′i + λ∈discreto X = Z λ∈continuo |λihλ|λ′i dλ = |λihλ|λ′i = |λ′ i λ∈discreto analogamente se applichiamo l’identità al ket |λ′ i di autovalore continuo λ′ , dobbiamo ottenere ugualmente il ket |λ′ i inalterato, ovvero X |λihλ|λ′i + λ∈discreto = Poiché vale la relazioneZ Z λ∈continuo |λihλ|λ′i dλ = |λihλ|λ′i dλ = |λ′ i (2.5) δ(λ − λ′ ) |λi dλ = |λ′ i (2.6) λ∈continuo λ∈continuo Z segue, confrontando la (2.5) con la (2.6), che deve valere hλ|λ′ i = δ(λ − λ′ ) Il valor medio di un’osservabile in uno stato |ψi si generalizza nella forma hψ|A|ψi = X λ∈discreto λ |hλ|ψi|2 + Z λ∈continuo λ |hλ|ψi|2 dλ con il medesimo significato probabilistico dei pesi |hλ|ψi|2 già introdotto. Se lo stato |ψi non fosse normalizzato, nel senso che la sua norma hψ|ψi fosse finita diversa da 1 o infinita, allora |hλ|ψi|2 è proporzionale alla probabilità (nel discreto) o densità di probabilità (nel continuo): quindi se |hλ|ψi|2 non fosse ben definito perché, per esempio, pari a infinito, allora si ha che è ben definita la quantità |hλ|ψi|2 |hλ′ |ψi|2 perché le costanti di proporzionalità (anche eventualmente di valore infinito) si semplificano. 2.4. MISURA DI UN’OSSERVABILE 21 2.4.2 Misura simultanea di osservabili Facciamo l’ipotesi (postulato) che se ripetiamo la misura di un’osservabile A in un certo stato |ψi un istante dopo averla già eseguita, si ottenga di nuovo come risultato lo stesso valore λ già ottenuto nella prima misura. Se la prima misura ha dato come risultato l’autovalore λ con probabilità |hλ|ψi|2, allora affinché con certezza si ottenga di nuovo il valore λ nella misura istantaneamente successiva, deve accadere che lo stato |ψi, dopo la prima misura, collassi (ovvero precipiti) nello stato |λi corrispondente all’autovalore ottenuto con la prima misura, perché soltanto in un suo autostato |λi l’osservabile A darà dunque nella seconda misura l’autovalore λ con probabilità 1. Questo problema del collasso istantaneo del sistema in un autostato sembrerebbe in contraddizione i postulati della relatività ristretta e per questo Einstein non accettò mai la meccanica quantistica (Gott würfelt nicht, ovvero Dio non gioca a dadi). Dato un operatore A e la sua decomposizione, detta decomposizione spettrale A = AI = X n λn |λn ihλn | definiamo operatore composto di A, indicato con f (A), l’operatore f (A) = X n f (λn ) |λn ihλn | Dal confronto fra primo e ultimo membro della catena di uguaglianze ((AB)+ ψ, φ) = (ψ, ABφ) = (A+ ψ, Bφ) = (B + A+ ψ, φ) si deduce che l’operatore hermitiano coniugato dell’operatore prodotto AB è dato dalla relazione (AB)+ = B + A+ . Se A e B sono operatori hermitiani, allora si ha (AB)+ = B + A+ = BA 6= AB cioè l’operatore AB, prodotto di due operatori hermitiani, non è in generale un operatore hermitiano. Dopo aver definito il commutatore di due operatori A e B come l’operatore, indicato con [A, B], dato da [A, B] = AB − BA, dimostriamo il teorema che afferma che due operatori A e B commutano (cioè il loro commutatore è zero) se e solo se essi hanno gli stessi autovettori (relativi eventualmente ad autovalori diversi). Supponiamo che A e B abbiano gli stessi autovettori (con autovalori diversi) A|ii = λi |ii e B|ii = µi |ii allora segue che moltiplicando la prima relazione per B e la seconda per A, si ottiene (BA) |ii = λi B|ii = (λi µi ) |ii e (AB) |ii = µi A|ii = (µi λi ) |ii Poiché dunque i due operatori AB e BA forniscono lo stesso risultato quando agiscono sui vettori della base costituita dai loro autovettori, allora essi daranno lo stesso risultato su ogni vettore dello spazio, ovvero vale AB = BA, cioè [A, B] = 0. 22 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Supponiamo ora, viceversa, che valga [A, B] = 0 con A|λi = λ|λi. Moltiplicando per B ambo i membri dell’equazione secolare di A, otteniamo (BA) |λi = λB|λi, e quindi, per la commutatività di A e B, la relazione A (B|λi) = λ (B|λi) (2.7) dalla quale ricaviamo che il vettore B|λi è ancora autovettore di A con autovalore λ. La relazione (2.7) è compatibile con due possibiltà: il vettore B|λi potrebbe essere il vettore nullo, nel qual caso diremmo che |λi è autovettore di A con autovalore λ e autovettore di B con autovalore zero; se invece risulta B|λi = 6 0 e λ è autovalore di A non degenere, allora segue che B|λi è un vettore avente la medesima direzione dell’autovettore |λi di A, cioè vale la relazione B|λi = c |λi che esprime |λi come autovettore di B con autovalore c. Se invece l’autovalore λ di A fosse degenere, diciamo, senza perdita di generalità, con molteplicità algebrica 2, allora A possiede un autospazio bidimensionale, indicato con S2 , costituito da tutti autovettori relativi al medesimo autovalore λ. Abbiamo quindi, scegliendo |λi1 e |λi2 come vettori di base ortonormali in questo autospazio bidimensionale S2 , A|λi1 = λ|λi1 A|λi2 = λ|λi2 e In questo caso la relazione (2.7) diventa A (B|λii ) = λ (B|λii ) dalla quale non discende più che il vettore B|λii è parallelo all’autovettore |λii , ma soltanto che il vettore B|λii appartiene al sottospazio bidimensionale S2 , ovvero B |λii = X j cji |λij (2.8) Per determinare i coefficienti cji , moltiplichiamo ambo i membri della (2.8) per il bra hλ| e otteniamo k hλ|B|λii = k X j cji (khλ|λij ) = X cji δkj = cki j Abbiamo infine che i coefficienti cji sono elementi di una matrice hermitiana perché vale la relazione c∗ji = jhλ|B|λii = ihλ|B + |λij = ihλ|B|λij = cij Dimostriamo allora che in S2 esistono sempre due autovettori di A, |µ1 i e |µ2 i, che siano anche autovettori di B: riferendoci soltanto ad uno di essi, per esempio all’autovettore |µ1 i, avremo che |µ1 i è esprimibile come combinazione lineare dei vettori di base dell’autospazio S2 |µ1 i = α1 |λi1 + α2 |λi2 2.4. MISURA DI UN’OSSERVABILE 23 e dovremo allora determinare i coefficienti α1 e α2 in modo che valga l’equazione secolare B|µ1i = µ̄ |µ1 i, cioè B (α1 |λi1 + α2 |λi2 ) = µ̄ (α1 |λi1 + α2 |λi2 ) (2.9) Sviluppando il primo membro della (2.9) si ha B X i αi |λii ! = X i αi B |λii = X X cji αi i j ! |λij La (2.9) può allora essere riscritta nella forma X j X cjiαi i ! |λij = µ̄ (α1 |λi1 + α2 |λi2 ) = X j (µ̄αj ) |λij dalla quale discende che gli αi verificano la relazione X cjiαi = µ̄αj i che è un’equazione agli autovalori per la matrice hermitiana di elementi cji . Tale equazione agli autovalori fornisce due autovettori bidimensionali u = (α11 , α21 ) e v = (α12 , α22 ): le due componenti di u rappresentano i coefficienti αi per ottenere l’autovettore |µ1 i e le due componenti di v rappresentano i coefficienti αi per ottenere l’autovettore |µ2 i. Allora dopo che si è risolto l’equazione secolare di A, se λ è un autovalore degenere di A che dà luogo ad una libertà nella scelta degli autovettori |λi nell’autospazio corrispondente, ovvero ad una non univocità nella scelta di tali autovettori, allora si cerca un altro operatore B che commuti con A tale che A |λ, µi = λ |λ, µi e B |λ, µi = µ |λ, µi In questo modo, come si dice, si rimuove la degenerazione dell’autovalore λ di A nel senso che tra tutti gli autovettori |λi corrispondenti all’autovalore λ, ce n’è soltanto uno, che chiamiamo |λ, µi, che sia simultaneamente autovettore di A e di B. In altre parole, la richiesta che l’autovettore di A corrispondente all’autovalore degenere sia simultaneamente anche autovettore di B, seleziona una direzione (ovvero un autovettore) in modo univoco nell’autospazio dell’autovalore degenere di A, rimuovendo appunto la libertà nella scelta di tali autovettori. Per chiarire il concetto della rimozione della degenerazione di un autovalore, consideriamo il seguente esempio in cui siano date le due osservabili 1 0 0 A= 0 0 1 0 1 0 e 0 1 1 B= 1 0 1 1 1 0 24 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Gli autovalori di A sono λ = −1, a cui corrisponde l’autovettore u = (0, −1, 1) e l’autovalore doppio λ = 1, a cui corrisponde l’autospazio bidimensionale S2 dato dalle triple (x, y, z) tali che y − z = 0. Gli autovalori di B sono λ = 2, a cui corrisponde l’autovettore v = (1, 1, 1) e l’autovalore doppio λ = −1, a cui corrisponde autospazio di dimensione 2 dato dalle triple (x, y, z) tali che x + y + z = 0. Per rimuovere la degenerazione dell’autovalore doppio di A, scegliamo come coppia di autovettori nel suo autospazio degenere S2 l’autovettore v = (1, 1, 1) di B e il vettore w = (−2, 1, 1) ortogonale a v ancora in S2 , che si può ottenere analiticamente imponendo l’appartenenza del vettore w a S2 data dall’equazione y − z = 0 e l’ortogonalità di w a v data da x + y + z = 0. In conclusione abbiamo che i tre vettori u, v, w sono gli unici tre autovettori simultanei di A e di B e possiamo concludere pertanto che la richiesta che gli autovettori siano simultaneamente autovettori di A e di B rimuove l’indeterminazione della scelta degli autovettori nei sottospazi bidimensionali degeneri corrispondenti agli autovalori doppi di A e di B. Se B ancora non rimuove tutte le degenerazioni, allora si cerca un terzo operatore, indicato con C, che commuti con A e B tale che quando vi sia un’indeterminazione nella scelta di autovettori in un autospazio degenere, la richiesta che tale autovettore sia autovettore anche di C selezioni la direzione nell’autospazio. Un insieme di operatori che commutino a due a due e tali che gli autostati simultanei di tutti quanti siano univocamente determinati, viene detto insieme completo di operatori. Se sviluppiamo un generico stato |ψi come combinazione lineare degli autovettori simultanei |λ, µi, cioè X |ψi = cλ,µ |λ, µi λ,µ otteniamo che il generico coefficiente cλ,µ della combinazione è dato, come già visto, dalla proiezione hλ, µ|ψi dello stato |ψi sull’autostato |λ, µi simultaneo di A e di B (considerati come insieme completo di operatori). Il quadrato del modulo di cλ,µ , |hλ, µ|ψi|2, fornisce la probabilità di avere in una misura simultanea di A e di B, come già visto, i valori λ per A e µ per B. Consideriamo quindi un operatore A e un suo autovalore degenere λ al quale corrisponde un autospazio (per fissare le idee, senza perdita di generalità, di dimensione 2) in cui un operatore B, che commuti con A, fissi gli autovettori attraverso la condizione che gli autovettori di A in questo sottospazio siano anche autovettori di B. Poiché λ è l’autovalore degenere relativo ai due autovettori |λ, µ1i e |λ, µ2i simultanei di A e B, con autovalori µ1 e µ2 rispetto a B, poniamo A |λ, µ1i = λ |λ, µ1i e B |λ, µ1 i = µ1 |λ, µ1 i 2.5. RAPPRESENTAZIONE DI OPERATORI 25 per il primo autovettore |λ1 , µ1i simultaneo di A e B e A |λ, µ2i = λ |λ, µ2i e B |λ, µ2i = µ2 |λ, µ2i per il secondo autovettore |λ, µ2i simultaneo di A e B. A questo punto la probabiltà di ottenere nello stato |ψi mediante una misura di A il valore λ è data dall’espressione Pλ = |hλ, µ1|ψi|2 + |hλ, µ2|ψi|2 che, come si dice in teoria della probabilità, è la probabilità marginale di λ. In generale, dato un autospazio di A relativo ad un suo autovalore degenere λ, la probabilità totale di ottenere λ con una misura di A è Pλ = X i Verifichiamo allora che Pλ = Pλ Pλ = X i,j P i |hλ, µi|ψi|2 |λ, µiihλ, µi| è un operatore di proiezione: si ha |λ, µi ihλ, µi|λ, µj ihλ, µj | = = X i X i,j |λ, µiihλ, µj | δij = |λ, µiihλ, µi| = Pλ Se ora proiettiamo lo stato |ψi sul sottospazio di A con autovalore λ e calcoliamo la norma dello stato Pλ |ψi, abbiamo hψ|Pλ Pλ |ψi = hψ|Pλ |ψi = X i hψ|λ, µiihλ, µi|ψi = X i |hλ, µi|ψi|2 Quindi la misura di A sullo stato |ψi fa collassare il sistema in un autostato |λ, µii di A e la probabilità che la misura di A su |ψi dia valore λ è data dalla regola già vista in precedenza X |hλ, µi|ψi|2 Pλ = i 2.5 Rappresentazione di operatori Dato un operatore A, un modo banale di trovare un operatore B che commuti con A è quello di prendere B come funzione di A, ovvero B = 2A, B = A2 e così via. Un caso non banale di operatori che commutano è quello in cui essi agiscono su gradi di libertà diversi. Se abbiamo ad esempio i tre operatori di posizione relativi ai tre assi cartesiani x, y, z, possiamo scrivere x |x′ , y ′, z ′ i = x′ |x′ , y ′ , z ′ i, y |x′ , y ′, z ′ i = y ′ |x′ , y ′, z ′ i 26 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC z |x′ , y ′, z ′ i = z ′ |x′ , y ′, z ′ i da cui si deduce che il ket |x′ , y ′, z ′ i è autostato simultaneo dei tre operatori x, y, z (senza considerare lo spin, questi tre operatori formano un insieme completo) e rappresenta lo stato di una particella localizzata nel punto (x′ , y ′, z ′ ). Quindi se abbiamo uno stato |ψi, possiamo svilupparlo come combinazione lineare |ψi = X x′ ,y ′ ,z ′ cx′ ,y′ ,z ′ |x′ , y ′, z ′ i o nella forma integrale perché gli operatori di posizione sono continui. Allora il quadrato del modulo dei coefficienti, |cx′,y′ ,z ′ |2 , rappresenta la densità di probabilità di avere come risultati nella misura delle coordinate della particella i valori x′ , y ′, z ′ . Ricordando che la densità di probabilità che una particella si trovi nel punto (x′ , y ′, z ′ ) è per definizione il quadrato del modulo della funzione d’onda, concludiamo che vale l’uguaglianza cx′ ,y′ ,z ′ = ψ(x′ , y ′, z ′ ) da cui segue |ψi = Z ψ(x′ , y ′, z ′ ) |x′ , y ′ , z ′ i dx′ dy ′dz ′ (2.10) Poiché i coefficienti ψ(x′ , y ′, z ′ ) dello sviluppo sono, come al solito, le proiezioni dello stato sul corrispondente autovettore, abbiamo ψ(x′ , y ′, z ′ ) = hx′ , y ′, z ′ |ψi che è la relazione che mostra l’equivalenza fra il formalismo delle funzioni d’onda (storicamente sviluppatosi per primo con Schrödinger circa negli anni 1924/1925) e il formalismo di Dirac dei bra e dei ket (circa degli anni 1926/1927). La relazione (2.10) rappresenta lo sviluppo del generico stato |ψi nella base degli autostati delle posizioni x, y, z. Vediamo ora come si esprime l’azione di un operatore A sullo stato |ψi rispetto ad una certa fissata base. Se la base è quella degli autostati di A stesso, allora |ψi = da cui segue A |ψi = X λ X λ |λihλ|ψi = X ψ(λ) A |λi = ψ(λ)|λi λ X λ ψ(λ)|λi (2.11) λ La grande importanza della relazione (2.11) risiede nel fatto che essa ci dice che quando si considera la base degli autoket |λi di un operatore A, l’azione di A su uno stato |ψi è un vettore le cui componenti sono il prodotto dell’autovalore corrispondente per la funzione d’onda. 2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 27 Se consideriamo ora una base di vettori |ni non autostati di A, allora abbiamo la relazione X X hn|A|ψi = hn|A|mihm|ψi = Anm ψm (2.12) m m che ci dice che la componente del vettore A |ψi nella direzione |ni è data da (A|ψi)n = X Anm ψm m Si riconosce subito che se i ket |ni di base fossero gli autoket |λi di A, allora la relazione (2.12) si ridurrebbe alla (2.11), perché (A|ψi)λ = X λ′ Aλλ′ ψλ′ = X λ′ hλ|A|λ′iψλ′ = X λ′ δλλ′ ψλ′ = λ ψ(λ) λ′ Storicamente la meccanica quantistica si è sviluppata contemporaneamente dal punto di vista ondulatorio (Schrödinger) e dal punto di vista delle matrici (meccanica delle matrici di Heisenberg): il formalismo di Dirac mostrò l’equivalenza di questi due aspetti. 2.6 Legame fra osservabili classiche e operatori quantistici Dalla sorprendente somiglianza che intercorre fra le parentesi di Poisson classiche e i commutatori quantistici, particolarmente evidente nell’identità di Jacobi, Dirac derivò la regola per associare gli operatori quantistici alle osservabili classiche. Poiché, dati due operatori F e G, vale [F, G]+ = (F G − GF )+ = G+ F + − F + G+ = GF − F G = −[F, G] segue che il commutatore [F, G] non è un operatore hermitiano, bensì, come si dice, un operatore antihermitiano. Dal momento, poi, che la meccanica quantistica deve tendere alla meccanica classica nel limite di h̄ tendente a zero, allora utilizziamo (per corrispondenza) come criterio per associare un operatore alla corrispondente osservabile classica la relazione [F, G] = ih̄ {F, G} (2.13) dove il simbolo {F, G} rappresenta la parentesi di Poisson classica delle osservabili classiche F e G e [F, G] indica il commutatore degli operatori associati alle osservabili. Nella (2.13) la presenza dell’unità immaginaria rende hermitiano il commutatore, la presenza della costante di Planck h̄ assicura l’uguaglianza dimensionale perché la 28 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC parentesi di Poisson ha le dimensioni date dal rapporto fra le dimensioni del prodotto delle osservabili diviso le dimensioni dell’azione, mentre il commutatore ha le dimensioni del prodotto degli operatori. Infine si osserva immediatamente che nella (2.13) il commutatore tende a zero per h̄ tendente a zero, ovvero quando la meccanica quantistica si riconduce alla meccanica classica, il commutatore, come in effetti deve essere, tende a zero. In questo modo abbiamo che l’associazione degli operatori alle parentesi di Poisson, come si dice con il linguaggio della teoria dei gruppi, trasferisce l’algebra delle parentesi di Poisson ai commutatori. Poiché in meccanica analitica si ha {qi , qj } = X ∂qj ∂qi ∂qi ∂qj − ∂qk ∂pk ∂qk ∂pk ! =0 {pi , pj } = X ∂pi ∂pj ∂pj ∂pi − ∂qk ∂pk ∂qk ∂pk ! =0 {qi , pj } = X k k k ∂pj ∂qi ∂qi ∂pj − ∂qk ∂pk ∂qk ∂pk seguono dalla (2.13) le relazioni fra operatori [qi , qj ] = [pi , pj ] = 0 e ! = X δik δjk = δij k [qi , pj ] = ih̄ δij (2.14) La presenza dunque dell’unità immaginaria ci conferma che lo spazio degli stati in meccanica quantistica è uno spazio complesso. Le relazioni (2.14) sui commutatori fra gli operatori q e p non sono sufficienti a determinare in modo univoco gli operatori. Tale impossibilità è analoga all’impossibilità di risalire ai vettori a partire dalla misura di un prodotto scalare hψ1 |ψ2 i o di un’ampiezza di probabilità: il prodotto scalare di due vettori è invariante se applichiamo ai vettori stessi una trasformazione U che sia unitaria, cioè tale che U + U = 1. Dimostriamo che se trasformiamo i vettori e gli operatori mediante trasformazioni unitarie U secondo le regole |ψi → U |ψi e O → UOU + la fisica rimane invariata, ovvero il prodotto scalare di due vettori, il valor medio e lo spettro degli operatori non cambiano e i commutatori si trasformano anch’essi come gli operatori. Sviluppando il prodotto scalare si ha infatti hψ1′ |ψ2′ i = hψ1 |U + U|ψ2 i = hψ1 |ψ2 i Sviluppando il valor medio di un’osservabile O, si ha poi hψ ′ |O ′|ψ ′ i = (hψ|U + ) (UOU + ) (U|ψi) = hψ|U + UOU + U|ψi) = hψ|O|ψi 2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 29 e trasformando l’equazione secolare O |ψi = λ|ψi, segue anche O ′ |ψ ′ i = (UOU + ) U |ψi = U (O |ψi) = U (λ |ψi) = λ U |ψi = λ|ψ ′ i ovvero O e O ′ hanno lo stesso spettro di autovalori perché λ è autovalore sia dell’operatore O che dell’operatore O ′ . Si verifica infine che sotto trasformazioni unitarie anche il commutatore si trasforma come un operatore perché si ha [A′ , B ′ ] = [UAU + , UBU + ] = UAU + UBU + − UBU + UAU + = = UABU + − UBAU + = U [A, B] U + ovvero il commutatore delle osservabili trasformate è uguale al trasformato del commutatore delle osservabili. Si ha inoltre che UOU + è un operatore hermitiano perché vale la la condizione di hermitianità (UOU + )+ = UO + U + = UOU + . Riassumendo, abbiamo allora che con le trasformazioni |ψi −→ U |ψi e O −→ UOU + i prodotti scalari di vettori, i valori medi e lo spettro degli operatori rimangono invariati e anche i commutatori si trasformano come operatori. Quindi gli operatori con l’algebra richiesta sono definiti a meno di trasformazioni unitarie. Le regole (2.14) ci dicono anche che due coordinate diverse qi e qj possono essere misurate simultaneamente, due componenti diverse pi e pj possono essere misurate simultaneamente, la coordinata secondo un asse e la componente d’impulso secondo un altro asse possono essere misurate simultaneamente, ma la coordinata secondo un asse e la componente d’impulso secondo lo stesso asse non possono essere misurate simultaneamente. La terza delle (2.14) permette poi anche di stabilire in generale la dimensione dello spazio degli stati. In dimensione finita n la (2.14) non sarebbe coerente perché si ha T r [qi , pi ] = T r (qi pi ) − T r (pi qi ) = 0 mentre vale T r (I) = n. In dimensione infinita abbiamo invece che entrambe le tracce valgono T r [qi , pi] = T r (I) = ∞ Quindi concludiamo che lo spazio della meccanica quantistica deve essere uno spazio complesso e generalmente di dimensione infinita. 30 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Senza considerare lo spin, gli operatori qi e qj formano un insieme completo di operatori, così come gli operatori pi e pj . L’elettrone che ha spin imporrà che si consideri un altro operatore che commuti con la posizione. In rappresentazione cartesiana e nella base degli autostati della posizione si ha, come già visto, ψ(x′ , y ′, z ′ ) = hx′ , y ′, z ′ |ψi e hx′ , y ′, z ′ |x|ψi = x′ ψ(x′ , y ′, z ′ ) che è la relazione che esprime la componente di x|ψi nella direzione dell’autostato |x′ , y ′, z ′ i di x stesso nella forma di prodotto dell’autovalore per la funzione d’onda. Per determinare l’espressione dell’operatore p nella base degli autostati della posizione in dimensione 1, utilizziamo la terza delle regole di commutazione (2.14). Consideriamo l’operatore d p = −ih̄ (2.15) dx e calcoliamo quindi il commutatore di x e p, pensato, al pari di ogni operatore differenziale, come agente su una funzione appartenente ad un opportuno spazio di funzioni " # dψ(x) d d ψ(x) = −ih̄ x x, −ih̄ + ih̄ [xψ(x)] = ih̄ ψ(x) dx dx dx da cui si deduce che per ogni funzione ψ(x) vale " # d = ih̄ x, −ih̄ dx Concludiamo allora che se utilizziamo per l’operatore p l’espressione (2.15), vale dunque la regola di commutazione fra x e p espressa dalla (2.14). La relazione (2.15) è pertanto un candidato a rappresentare l’operatore p nella base degli autostati della posizione; ma se ci basiamo sulla regola (2.14), allora dovremmo dire che anche il commutatore di x con l’operatore p = −ih̄ d + F (x) dx con F (x) reale per l’hermitianità, fornisce risultato ih̄ perché x commuta con F (x). 2.6.1 Trasformazioni unitarie e operatore impulso A questo punto allora ricorriamo ad una trasformazione unitaria (analoga alla trasformazione di gauge dell’elettromagnetismo per il potenziale scalare e il potenziale vettore), rispetto alla quale la fisica rimane invariata, ma che permetta di scegliere una volta per tutte F (x) = 0 e dunque la rappresentazione dell’operatore impulso data semplicemente dalla relazione (2.15). 2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 31 In generale se un operatore A è diagonale con spettro non degenere (cioè rappresentato nella base dei suoi autostati), allora un altro operatore B commuta con A se e solo se anche B è diagonale nella stessa base. Infatti, essendo Aij = λi δij , si ha per λi 6= λk [A, B]ik = 0 ⇐⇒ X l (Ail Blk − Bil Alk ) = X l (λi δil Blk − Bil λl δlk ) = = λi Bik − Bik λk = (λi − λk ) Bik = 0 ⇐⇒ Bik = 0 se i 6= k ovvero, dato A operatore diagonale, B commuta con A se e solo se i suoi elementi fuori dalla diagonale sono nulli, cioè appunto se e solo se anche B è diagonale. Poiché vogliamo che l’operatore di posizione q che agisce come moltiplicazione per il valore q, rimanga invariato, scegliamo la trasformazione unitaria U in modo che essa lasci tale operatore invariato, ovvero in modo che si abbia la relazione UqU + = q equivalente alla relazione Uq = qU. Affinché l’operatore q rimanga invariato, la trasformazione unitaria U deve allora commutare con q stesso e siccome q è diagonale nella base dei suoi autovettori, per quanto detto precedentemente, anche U, per poter commutare con q, deve essere diagonale nella stessa base. Ricordando che rispetto alla base in cui esso si diagonalizza, un operatore agisce come moltiplicazione di una funzione di q per la funzione d’onda, allora poniamo Uψ(q) = u(q)ψ(q) con UU + = 1 e U + (q) = u+ (q). Nel caso di dimensione 1 si ha in particolare u(q) = eiϕ(q) Con questa trasformazione gli stati e gli operatori si trasformano rispettivamente secondo le regole ψ̃(q) = Uψ(q) = eiϕ(q) ψ(q), q̃ = eiϕ(q) qe−iϕ(q) = q, p̃ = eiϕ(q) pe−iϕ(q) Vediamo dunque come si trasforma l’operatore p avente espressione p = −ih̄ d + F (q) dq dove F (q) rappresenta una generica funzione di q. Ricordando che per analizzare il comportamento di un operatore differenziale occorre sempre immaginare che esso agisca alla sua destra su una funzione appartenente ad uno spazio di funzioni su cui tale operatore è definito, allora esaminiamo la struttura dell’operatore p̃ considerandolo come agente su una generica funzione g(q). 32 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Se a questo punto sviluppiamo iϕ(q) p̃ g(q) = [e −iϕ(q) pe " iϕ(q) ] g(q) = e ! # d + F (q) e−iϕ(q) g(q) = −ih̄ dq " # d = −h̄ϕ′ (q) g(q) − ih̄g ′ (q) + F (q) g(q) = −ih̄ + F (q) − h̄ϕ′ (q) g(q) dq posssiamo concludere che per ogni funzione g(q) vale p̃ = −ih̄ d + F (q) − h̄ϕ′ (q) dq (2.16) Quindi affinché l’espressione p = −ih̄ d + F (q) dq diventi p̃ = −ih̄ d dq basta porre F (q) − h̄ϕ′ (q) = 0 nella relazione (2.16) per ottenere dunque ϕ(q) = 1 h̄ Z F (q) dq + k e poter scrivere così, con la ϕ(q) trovata, la trsformazione unitaria u(q) = eiϕ(q) in cui la costante d’integrazione k rappresenta semplicemente una fase arbitraria (innocua!) eliminabile con un’ulteriore trasformazione unitaria. Alla luce di questo risultato dunque, se l’espressione dell’operatore p contiene un addendo aggiuntivo F (q), questo addendo può sempre essere annullato attraverso un’opportuna trasformazione unitaria; allora si può porre sin dall’inizio F (q) = 0 e utilizzare l’espressione dell’operatore impulso nella base degli autostati della posizione p = −ih̄ d dq Nel caso di dimensione 3 la generalizzazione di p è pj = −ih̄ ∂ ∂qj 2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 33 e questa espressione verifica le regole di commutazione (2.14) perché vale " # ∂ ∂ ∂ qi , −ih̄ = −ih̄qi + ih̄δij + ih̄qi = ih̄δij ∂qj ∂qj ∂qj " # ∂ ∂ [pi , pj ] = −ih̄ = 0 per il teorema di Schwartz , −ih̄ ∂qi ∂qj Analogamente al caso unidimensionale, anche l’espressione dell’impulso pj = −ih̄ ∂ + Fj (q) ∂qj (2.17) verifica la regola di commutazione [qi , pj ] = ih̄δij e vediamo allora che conseguenza ha la (2.17) sulla regola di commutazione [pi , pj ]. Sviluppando tale commutatore applicato, come spiegato in precedenza, ad una funzione generica g(q), si ottiene ∂ [pi , pj ] g(q) = −ih̄ + Fi (q) ∂qi ∂ + Fj (q) − −ih̄ ∂qj = ih̄ ! ! ! ∂ + Fi (q) g(q) = −ih̄ ∂qi ∂Fi (q) ∂Fj (q) − ∂qj ∂qi cioè [pi , pj ] = ih̄ ! ∂ −ih̄ + Fj (q) g(q)+ ∂qj ! g(q) ∂Fi (q) ∂Fj (q) − ∂qj ∂qi ! (2.18) Quindi, affinché valga la regola di commutazione [pi , pj ] = 0 nel caso tridimensionale, non si può aggiungere qualunque funzione Fi (q) alla componente pi dell’impulso, perché se è vero da una parte che qualunque funzione Fi (q) aggiunta a pi fornisce la regola di commutazione giusta [qi , pj ] = ih̄δij , d’altra parte la regola [pi , pj ] = 0 risulta invece violata, come si vede dalla (2.18). Se però aggiungiamo a p una funzione F (q) avente rotore nullo, ovvero che sia il gradiente di un’unica funzione primitiva scalare G(q), allora, come mostra la (2.18), pi = −ih̄ ∂G(q) ∂ + ∂qi ∂qi verifica la regola di commutazione [pi , pj ] = 0. (2.19) 34 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Se ora effettuiamo una trasformazione unitaria che trasforma gli operatori nel modo q̃i = eiϕ(q) qi e−iϕ(q) = qi p̃i = eiϕ(q) pi e−iϕ(q) e sviluppiamo p̃i con pi dato dalla (2.19), otteniamo " iϕ(q) p̃i f (q) = e # ! ∂G(q) −iϕ(q) ∂ −ih̄ f (q) = e + ∂qi ∂qi # " ∂G(q) ∂ϕ(q) ∂ f (q) + − h̄ = −ih̄ ∂qi ∂qi ∂qi Scegliendo la funzione ϕ(q) per la trasformazione unitaria in modo che valga ∂ϕ(q) ∂G(q) − h̄ =0 ∂qi ∂qi segue che se pi è dato dalla (2.19), allora p̃i diventa p̃i = −ih̄ ∂ ∂qi Quindi, se il termine ∂G(q)/∂qi nella (2.19) è un addendo che con un’opportuna trasformazione unitaria può essere annullato, allora scegliamo sin dall’inizio per l’operatore impulso pi l’espressione pi = −ih̄ ∂ ∂qi che in letteratura è equivalente alla scrittura p = −ih̄∇ Nella base in cui q è diagonale (in dimensione 1) si ha hq|p̃|ψi = −ih̄ d hq|ψi dq (2.20) e in generale il trasformato f (p̃)|ψi di uno stato generico astratto |ψi attraverso una funzione dell’operatore p̃ ha componenti sulla base degli autoket |qi della posizione ottenute facendo agire l’operatore d f −ih̄ dq ! 2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 35 sulle componenti di |ψi rispetto alla base |qi, ovvero ! d d hq|f (p̃)|ψi = f −ih̄ hq|ψi = f −ih̄ dq dq ! ψ(q) A questo punto, conoscendo l’espressione degli operatori q e p, possiamo scrivere allora per esempio anche l’operatore energia (o hamiltoniano) perché esso ha un’espressione contenente soltanto q e p H(p, q) = p2 + V (q) 2m dove nella base in cui q è diagonale si ha hq|V |ψi = V (q)hq|ψi = V (q)ψ(q) Nel trasformare in operatori le osservabili classiche si pone un problema di ordinamento degli operatori per la non commutazione degli operatori stessi. Per l’operatore di energia H(p, q) tale problema non si presenta perché in esso gli operatori p e q compaiono in addendi diversi senza essere moltiplicati fra loro. Poiché però vale " # p2 , V (q) 6= 0 2m non si possono misurare simultaneamente l’energia cinetica e l’energia potenziale e quindi lo spettro dell’energia non è la somma degli autovalori dell’energia cinetica e dell’energia potenziale. Verifichiamo ancora l’uguaglianza data dalla relazione generale (2.13) considerando come osservabili p e H. Abbiamo la parentesi di Poisson classica {p, H} = ∂H ∂p ∂H(p, q) dV (q) ∂p ∂H − =− =− ∂q ∂p ∂q ∂p ∂q dq e il commutatore quantistico " # " # " # d h̄2 d2 d h̄2 d2 d [p, H] = −ih̄ , − + V (q) = −ih̄ , − + −ih̄ , V (q) = 2 2 dq 2m dq dq 2m dq dq = −ih̄V (q) d dV (q) d dV (q) − ih̄ + ih̄V (q) = −ih̄ dq dq dq dq da cui segue appunto l’uguaglianza (2.13). Se analogamente consideriamo le osservabili q e H, allora abbiamo la parentesi di Poisson classica ∂H ∂q ∂H p ∂q ∂H − = = {q, H} = ∂q ∂p ∂q ∂p ∂p m 36 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC e il commutatore quantistico # " # " h̄2 d2 h̄2 d2 = + V (q) = q , − [q, H] = q , − 2m dq 2 2m dq 2 h̄2 =− 2m d2 d2 d q 2 −q 2 −2 dq dq dq ! h̄2 d 1 = = ih̄ m dq m d −ih̄ dx ! = ih̄ p m da cui segue anche in questo caso l’uguaglianza (2.13). 2.7 Autostati dell’operatore impulso L’operatore astratto p̃ dell’impulso ha equazione secolare p̃ |p′ i = p′ |p′ i che, proiettata nella base degli autostati della posizione, fornisce hx′ |p̃|p′ i = hx′ |p′ |p′ i = p′ hx′ |p′ i (2.21) Dal confronto della (2.21) con la (2.20), si ottiene l’equazione secolare dell’operatore impulso nella base degli autostati della posizione −ih̄ d ′ ′ hx |p i = p′ hx′ |p′ i dx la cui soluzione è data dalla funzione d’onda hx′ |p′ i = Ae ip′ x′ h̄ (2.22) Se p′ fosse complesso e non reale, cioè p′ = a + ib, allora si ha che l’esponenziale nella (2.22) diventa e ip′ x′ h̄ =e iax′ h̄ e −bx′ h̄ Con questo esponenziale, la funzione d’onda (2.22) presenta il problema che con qualunque segno del coefficiente b, essa tende sempre ad infinito per x che tende a +∞ o a −∞. Una funzione d’onda che o a +∞ o a −∞ tende all’infinito crea problemi di normalizzazione. Allora l’hermitianità dell’operatore impulso seleziona gli autovalori reali puri (con b = 0) che appartengono a tutto l’asse reale e formano pertanto uno spettro continuo. Come già detto, la singola autofunzione di un operatore continuo non è normalizzabile per due autofunzioni relative ad autovalori distinti vale la normalizzazione nel senso della δ di Dirac hx′ |x′′ i = δ(x′ − x′′ ) 2.7. AUTOSTATI DELL’OPERATORE IMPULSO 37 ip′ x′ Ora, l’autofunzione dell’impulso e h̄ presenta il problema che il suo modulo quadro è sempre 1 per ogni x′ , ovvero, poiché il suo modulo quadro rappresenta la densità di probabiltà di avere la particella localizzata esattamente in una certa posizione x′ , si ha che tale probabiltà è sempre 1 in tutto l’universo. Allora diciamo che, consapevoli di questo problema, utilizziamo le autofunzioni dell’impulso solo per poter usare anche negli spazi di dimensione infinita il formalismo degli spazi di dimensione finita ed evitare così una trattazione matematica più complicata. Per la normalizzazione delle autofunzioni dell’impulso nel senso della δ di Dirac, dobbiamo imporre che valga hp2 |p1 i = δ(p1 − p2 ). Utilizzando l’espressione ipx dell’autofunzione hx|pi = Ae h̄ , si ricava hp2 |p1 i = = Z Z +∞ −∞ +∞ −∞ A∗ e dx hp2|xihx|p1 i = −ip2 x h̄ Ae ip1 x h̄ Z +∞ −∞ dx = |A|2 Z dx hx|p2 ihx|p1 i = +∞ −∞ e i(p1 −p2 )x h̄ dx 2.7.1 Trasformate di Fourier Data una funzione f (x), la sua trasformata di Fourier è la funzione f˜(q) data da ˜ = √1 f(q) 2π Z +∞ −∞ f (x) e−iqx dx nel caso che l’integrale sia convergente. Senza dimostrarla, assumiamo verificate le condizioni che assicurano l’invertibilità della trasformata di Fourier in modo che valga anche Z +∞ 1 ˜ eiqx dq f (x) = √ f(q) 2π −∞ Sostituendo f˜(q) in f (x), si ha # " 1 Z +∞ 1 Z +∞ −iqy √ f (y) e dy eiqx dq = f (x) = √ −∞ −∞ 2π 2π Z Z +∞ 1 eiq(x−y) dq dy f (y) = 2π −∞ −∞ Confrontando il primo e l’ultimo membro di questa catena di uguaglianze, ricaviamo che vale Z +∞ 1 eiq(x−y) dq = δ(x − y) (2.23) 2π −∞ Alternativamente si poteva dimostrare la (2.23) anche considerando direttamente la trasformata di Fourier della δ di Dirac Z +∞ 1 1 δ(y) e−iqy dy = √ δ̃(q) = √ 2π −∞ 2π +∞ 38 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC da cui segue appunto la (2.23) perché si ha Z 1 δ(x − y) = √ 2π +∞ −∞ Z 1 δ̃(q) eiq(x−y) dq = √ 2π +∞ −∞ 1 √ eiq(x−y) dq = 2π Z +∞ 1 eiq(x−y) dq 2π −∞ Applicando ora la (2.23) agli autostati dell’impulso, otteniamo = hp2 |p1 i = |A| 2 Z +∞ e −∞ i(p1 −p2 )x h̄ p1 − p2 dx = 2π|A| δ h̄ 2 = 2πh̄|A|2 δ(p1 − p2 ) e poiché deve valere la condizione di normalizzazione hp2 |p1 i = δ(p1 − p2 ), si conclude per confronto che il coefficiente A dell’autofunzione dell’impulso deve essere A= √ 1 2πh̄ e che l’autofunzione dell’impulso nella base in cui è diagonale la posizione ha allora espressione ipx 1 hx|pi = √ e h̄ 2πh̄ 2 2 Ora, così come |ψ(x)| = |hx|ψi| è la densità di probabilità che la particella sia localizzata in x, analogamente la densità di probabilità che la particella abbia impulso pari a p, sarà data da |hp|φi|2 dove hp|φi = φ(p) = Z +∞ −∞ 1 hp|xihx|ψidx = √ 2πh̄ Z +∞ −∞ ψ(x) e −ipx h̄ dx (2.24) Se è data invece la funzione d’onda φ(p) dell’impulso, allora si ottiene la funzione d’onda di x Z +∞ ipx 1 Z +∞ (2.25) hx|pihp|ψidp = √ hx|ψi = ψ(x) = φ(p) e h̄ dp −∞ 2πh̄ −∞ Abbiamo ottenuto dunque che la φ(p) è la trasformata di Fourier della ψ(x) e che, viceversa, la ψ(x) è, come viene denominata, l’antitrasformata di Fourier della φ(p). Nel caso tridimensionale l’operatore impulso, avente espressione p = −ih̄∇, ha equazione secolare ∂ −ih̄ hq|pi = pi hq|pi ∂qi da cui discende iq·p 1 h̄ hq|pi = e (2πh̄)3/2 e Z −ip·x 1 h̄ ψ(x) e d3 x φ(p) = hp|φi = (2πh̄)3/2 2.8. IMPULSO E TRASLAZIONI SPAZIALI 39 2.7.2 Operatore posizione nella base degli autostati dell’impulso Nella base in cui è diagonale l’impulso, la densità di probabilità che una particella abbia impulso p è data da hp|ψi = φ(p) In questa base abbiamo quindi hp|p̃x |ψi = hp|px |ψi = px hp|ψi = px φ(p) ovvero, come più volte già trovato, la componente di p̃x |ψi sulla direzione di un autostato di p̃x è data dall’autovalore corrispondente per la funzione d’onda. Calcoliamo ora la componente di x̃|ψi sulla direzione di un autostato di p̃x hp|x̃|ψi = = Z +∞ −∞ Z +∞ −∞ hp|xihx|x̃|ψi dx = −ip·x 1 ∂ h̄ d3 x = ih̄ xψ(x) e 3/2 (2πh̄) ∂px = ih̄ Z " +∞ −∞ x hp|xihx|ψi dx = 1 (2πh̄)3/2 Z +∞ −∞ ψ(x)e −ip·x h̄ 3 # d x = ∂ φ(p) ∂px Riassumendo abbiamo dunque che nella base degli autostati della posizione l’operatore di posizione x̃ agisce come moltiplicazione per x e l’operatore impulso p̃x agisce come ∂ p̃x = −ih̄ ∂x Viceversa, nella base degli autostati dell’impulso l’operatore posizione x̃ agisce come ∂ x̃ = ih̄ ∂px e l’operatore impulso p̃x agisce come moltiplicazione per px . 2.8 Impulso e traslazioni spaziali Prima di introdurre l’operatore di traslazione spaziale, consideriamo in generale il concetto di simmetria. Il teorema di Wigner afferma che una simmetria in meccanica quantistica si materializza sempre mediante un operatore T unitario o antiunitario, dove con antiunitario si intende unitario e antilineare, ovvero tale che T (c1 |ψ1 i + c2 |ψ2 i) = c∗1 T |ψ1 i + c∗2 T |ψ2 i 40 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Una simmetria si dice discreta se è tale che o viene effettuata o non viene effettuata, senza che vi sia la possibilità di effettuarla di più o di meno. Ad esempio l’inversione degli assi cartesiani è una simmetria discreta. Una simmetria si dice invece continua se può essere effettuata anche in modo infinitesimo, come appunto la traslazione. Consideriamo un’hamiltoniana H= p2 p21 + 2 + V (x1 , x2 ) 2m1 2m2 e l’operazione di simmetria traslazione data da p′1 = p1 , p′2 = p2 , x′1 = x1 + a, x′2 = x2 + a L’hamiltoniana si trasforma allora in H′ = p′2 p′2 p2 p2 1 + 2 + V (x′1 , x′2 ) = 1 + 2 + V (x1 + a , x2 + a) 2m1 2m2 2m1 2m2 e avremo l’uguaglianza H = H ′ se vale V (x1 , x2 ) = V (x1 + a , x2 + a), cioè se il potenziale dipende solo dalla differenza x1 −x2 , ovvero se vale V (x1 , x2 ) = V (x1 −x2 ). Se dopo aver applicato l’operazione di traslazione si ha l’uguaglianza delle hamiltoniane, allora diremo che l’hamiltoniana è invariante per traslazioni. Quando c’è invarianza per traslazioni, le forze sono F1 = − ∂V (x1 − x2 ) ∂x1 e F2 = − ∂V (x1 − x2 ) = −F1 ∂x2 ovvero l’invarianza per traslazioni si ha solo se sul sistema agiscono esclusivamente forze interne e vale il principio di azione e reazione. In questo caso c’è la conservazione dell’impulso totale p, ovvero le tre componenti dell’impulso spaziale si conservano. In meccanica quantistica un sistema si costruisce esguendo una misura di una certa osservabile A e isolando quindi il sistema non appena si ottiene il valore della misura pari all’autovalore di A corrispondente all’autostato desiderato di A:allora possiamo dire che il sistema è nell’autostato di A desiderato |λi. A questo punto la traslazione è un operatore T (a) tale che quando venga applicato allo stato |xi, dia T (a) |xi = |x + ai ovvero dia lo stato in cui lo strumento di misura è traslato di a. L’azione di T (a) sugli impulsi è tale da non modificare gli impulsi stessi e quindi la norma del ket |pi si conserverà sotto azione dell’operatore T (a). 2.8. IMPULSO E TRASLAZIONI SPAZIALI 41 Per due particelle si ha pertanto T (a) |x1 , x2 i = |x1 + a, x2 + ai e T (a) |p1 , p2 i = eiφ |p1 , p2 i dove, per quanto detto a proposito della conservazione della norma del ket impulso, tale ket si modifica soltanto per un fattore di fase. Poiché l’operatore T (a) è unitario, esso si rappresenta con l’espressione T (a) = ei(A1 a1 +A2 a2 +A3 a3 ) (2.26) dove a1 , a2 , a3 sono le componenti di a lungo i tre assi cartesiani e A1 , A2 , A3 sono operatori hermitiani che debbono commutare a due a due affinché valga la relazione geometrica fra le traslazioni T (a1 )T (a2 ) = T (a1 + a2 ) = T (a2 )T (a1 ). Consideriamo l’operatore di traslazione infinitesima (approssimazione di Taylor al prim’ordine dell’espressione (2.26) dell’operatore) T (a) ≈ I + i(A1 a1 + A2 a2 + A3 a3 ) e, per semplicità, due particelle unidimensionali tali che x̃1 |x1 , x2 i = x1 |x1 , x2 i, x̃2 |x1 , x2 i = x2 |x1 , x2 i, (2.27) Se applichiamo T (a) (con a scalare perché unidimensionale) alla prima delle (2.27), otteniamo T (a)x̃1 |x1 , x2 i = x1 T (a)|x1 , x2 i = x1 |x1 + a, x2 + ai da cui segue [T (a)x̃1 T + (a)] T (a)|x1 , x2 i = [T (a)x̃1 T + (a)] |x1 + a, x2 + ai e per confronto [T (a)x̃1 T + (a)] |x1 + a, x2 + ai = x1 |x1 + a, x2 + ai (2.28) Se effettuiamo il cambio di variabile x1 + a = x′1 , l’equazione (2.28) diventa [T (a)x̃1 T + (a)] |x′1 , x′2 i = (x′1 − a)|x′1 , x′2 i da cui ricaviamo l’informazione per cui l’operatore T (a)x̃1 T + (a) è diagonale nella base costituita dagli |x′1 , x′2 i e possiede autovalore x′1 − a. Togliendo gli apici nella notazione, si ottiene [T (a)x̃1 T + (a)] |x1 , x2 i = (x1 − a)|x1 , x2 i 42 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC da cui si ricava la relazione operatoriale T (a)x̃1 T + (a) = x̃1 − a (2.29) avente l’analoga con x̃2 . Vogliamo inoltre, come detto, che l’operatore T (a) non alteri gli impulsi, cioè vogliamo che valga la relazione (riportata solo con l’impulso p avente indice 1, ma valida anche con l’impulso p avente indice 2) p̃1 T (a)|p1 , p2 i = p1 T (a)|p1 , p2 i da cui segue T + (a)p̃1 T (a)|p1 , p2 i = T + (a)p1 T (a)|p1 , p2 i = p1 |p1 , p2 i ovvero la relazione operatoriale T + (a)p̃1 T (a) = p̃1 (2.30) che esprime la commutazione [p̃1 , T (a)] = 0 di T (a) con p̃1 . Sostituendo lo sviluppo con a infinitesimo T (a) ≈ I + iaA nella relazione (2.29) e nella relazione (2.30), si ottiene (I + iaA)x̃i (I − iaA) = x̃i − a (I − iaA)p̃j (I + iaA) = p̃j e da cui seguono i commutatori [x̃i , A] = −i e [p̃j , A] = 0 Da queste regole di commutazione di A con gli operatori x̃i e p̃j , segue che l’operatore A, generatore delle traslazioni, è dato dall’espressione A=− p̃1 p̃2 − h̄ h̄ che appunto verifica le regole di commutazione con x̃i e p̃j richieste. Abbiamo dunque ottenuto T (a) ≈ I − i (p̃1 + p̃2 ) a h̄ che fornisce l’espressione dell’operatore di traslazione finita i T (a) = e− h̄ (p̃1 +p̃2 ) a Consideriamo ora una particella e calcoliamo il rappresentativo (cioè le componenti) dello stato traslato di un generico stato |ψi sulla base degli autostati della posizione. 2.8. IMPULSO E TRASLAZIONI SPAZIALI 43 Dovendo calcolare dunque hx| (T (a)|ψi), sviluppiamo ha|T (a) = (T + (a)|xi)+ = (|x − ai)+ = hx − a| da cui segue hx| (T (a)|ψi) = hx − a|ψi = ψ(x − a) ovvero p̃ d d hx|e−i h̄ a |ψi = e−a dx hx|ψi = e−a dx ψ(x) = ψ(x − a) Non è sorprendente che valga hx|T (a)|ψi = ψ(x − a) perché, per confronto, tale uguaglianza è coerente con lo sviluppo di Taylor d e−a dx ψ(x) = +∞ X n=0 dn 1 (−a)n n ψ(x) = ψ(x − a) n! dx In meccanica quantistica la dinamica è invariante per traslazioni se [T (a), H] = 0 che è equivalente a " # p̃2 p̃2 p̃1 + p̃2 , 1 + 2 + V (x̃1 , x̃2 ) = 0 2m1 2m2 e si riduce quindi a [p̃1 + p̃2 , V (x̃1 , x̃2 )] = 0 Poiché si ha " # ∂ , V (x1 , x2 ) ψ(x1 , x2 ) = ∂x1 ∂ ∂V (x1 , x2 ) ∂ [V (x1 , x2 ) ψ(x1 , x2 )] − V (x1 , x2 ) ψ(x1 , x2 ) = ψ(x1 , x2 ) ∂x1 ∂x1 ∂x1 segue quindi = " # ∂ ∂V (x1 , x2 ) ∂V (x1 , x2 ) ∂ + , V (x1 , x2 ) = + ∂x1 ∂x2 ∂x1 ∂x2 Possiamo concludere allora che anche in meccanica quantistica, analogamente alla meccanica classica, la dinamica è invariante per traslazioni se il potenziale dipende solo dalla differenza x1 − x2 , cioè se V (x1 , x2 ) = V (x1 − x2 ), perchè con tale espressione del potenziale si ha " # ∂ ∂ ∂V (x1 , x2 ) ∂V (x1 , x2 ) [T (a), H] = + , V (x1 , x2 ) = + =0 ∂x1 ∂x2 ∂x1 ∂x2 Quando il potenziale dipende soltanto da x1 − x2 e la dinamica è dunque invariante, si ha che solo le condizioni iniziali distinguono una posizione o la sua traslata. 44 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC 2.9 Principio di indeterminazione Il quadrato del modulo dell’autofunzione dell’impulso hp|xi nel caso unidimensionale rappresenta la densità di probabiltà che una particella localizzata in x abbia impulso p ed ha valore costante 1 |hp|xi|2 = 2πh̄ Abbiamo allora che c’è sempre la stessa probabiltà per una particella localizzata nella posizione x di avere un qualsiasi impulso p, ovvero che se per una particella è stata misurata esattamente la posizione x, allora non è possibile avere una misura precisa dell’impulso p. Viceversa, se una particella ha impulso p, allora la densità di probabiltà che essa abbia posizione x è data da hx|pi e vale |hx|pi|2 = 1 2πh̄ Quindi se una particella ha impulso p, c’è sempre la stessa probabilità che essa sia localizzata in una qualunque posizione x, ovvero se è stato misurato esattamente l’impulso p, non si può misurare esattamente la posizione x. Questo risultato relativo alle osservabili x e p, è un caso particolare di quello che si chiama principio di indeterminazione di Heisenberg. Le indeterminazioni quantistiche non dipendono dalle imprecisioni degli strumenti di misura, ma sono insite nella natura. Se si usano strumenti che hanno imprecisioni grandi (rispetto all’ordine di grandezza di h̄), allora non si percepisce l’incertezza quantistica; se però si raffina la misura fino ad apprezzare dispersioni dell’ordine di h̄, allora si constaterebbe che cè un limite posto dalla natura sulla precisione con cui può essere raggiunto il valore della misura di una grandezza. Per dimostrare il principio di indeterminazione, immaginiamo di avere due generici operatori A e B e i loro valori medi su un generico stato |ψi. Dai valori medi dei due operatori su tale stato hAiψ = hψ|A|ψi e hBiψ = hψ|B|ψi seguono le dispersioni, o varianze, degli stessi operatori (∆A)2 = hψ|(A − hAi)2 |ψi e (∆B)2 = hψ|(B − hBi)2 |ψi Sia (∆A)2 che (∆A)2 sono definiti positivi perché (riferendoci soltanto ad A) si ha (∆A)2 = hψ|(A − hAi)(A − hAi)|ψi = |(A − hAi)|ψi|2 ≥ 0 2.9. PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE 45 Ora, dato il vettore [(A − hAi) + iλ(B − hBi)]|ψi, con λ parametro reale generico, la sua norma, sempre non negativa, sarà il polinomio di secondo grado nella variabile λ dato da hψ|[(A − hAi) + iλ(B − hBi)][(A − hAi) + iλ(B − hBi)]|ψi = = hψ|(B − hBi)2 |ψiλ2 − ihψ|[B, A]|ψiλ + hψ|(A − hAi)2 |ψi = = (∆B)2 λ2 − ihψ|[B, A]|ψiλ + (∆A)2 = (∆B)2 λ2 + Cλ + (∆A)2 ≥ 0 dove con C è stato indicato l’operatore hermitiano C = −i [B, A]. Affinché questo polinomio di secondo grado sia sempre positivo o nullo per ogni valore della variabile λ, tenendo presente che il coefficiente di λ2 è positivo, deve verificarsi la condizione C 2 − 4(∆B)2 (∆A)2 ≤ 0 da cui segue in conclusione il principio di indeterminazione nella forma (∆A)(∆B) ≥ |C| 2 In particolare se A e B sono gli operatori di posizione e di impulso in dimensione 1, allora si ha [x, p] = ih̄ e dunque |C| = h̄, da cui segue ∆x ∆p ≥ h̄ 2 (2.31) Per le osservabili x e p in dimensione 1 nel caso in cui si abbia hxi = hpi = 0, la relazione (2.31) può essere ricavata anche calcolando in L2 (R) il quadrato della norma della funzione dψ(x) g(x) = αxψ(x) + dx 2 Il quadrato della norma L della g(x) è dato dal polinomio di secondo grado nella variabile α 2 Z +∞ dψ(x) dx = (2.32) αxψ(x) + dx −∞ = =α 2 Z Z +∞ −∞ +∞ −∞ 2 dψ ∗ (x) αxψ (x) + dx ∗ 2 x |ψ(x)| dx + α + Z Z +∞ −∞ +∞ −∞ " ! dψ(x) αxψ(x) + dx ! dx = # dψ(x) dψ ∗ (x) xψ (x) dx+ + xψ(x) dx dx ∗ dψ(x) 2 dx dx ≥ 0 46 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Integrando per parti il coefficiente di α in (2.32) e ricordando che le ψ(x) sono funzioni d’onda che tedono a zero all’infinito più velocemente di qualsiasi potenza inversa di x, si ottiene # Z +∞ " dψ ∗ (x) dψ(x) ∗ dx = + xψ(x) xψ (x) dx dx −∞ = Z +∞ −∞ d x |ψ(x)|2 dx = − dx Z +∞ −∞ |ψ(x)|2 dx = −1 Per capire il significato del termine noto in (2.32), calcoliamo integrando per parti 2 2 hp i = hψ|p |ψi = −h̄ 2 Z +∞ −∞ da cui segue Z +∞ −∞ d2 ψ (x) ψ(x) dx = h̄2 dx ∗ dψ(x) 2 dx dx = Z +∞ −∞ dψ(x) 2 dx dx hp2 i h̄2 Si riconosce infine che il coefficiente di α2 in (2.32) è il valor medio hx2 i. Sostituendo questi sviluppi nella (2.32) e considerando che dalla condizione assegnata come ipotesi hxi = hpi = 0 segue (∆x)2 = hx2 i e (∆p)2 = hp2 i, si ottiene in conclusione Z +∞ −∞ αxψ(x) + 2 (∆p)2 dψ(x) dx = (∆x)2 α2 − α + ≥0 dx h̄2 Affinché tale polinomio di secondo grado sia sempre non negativo per ogni valore della variabile α, deve verificarsi la condizione 1 − 4 (∆x)2 (∆p)2 ≤0 h̄2 da cui si ottiene di nuovo la relazione (2.31). 2.9.1 Pacchetti d’onda Nel caso delle osservabili x e p, lo stato |ψi nel quale si ottiene il valore minimo del prodotto delle indeterminazioni (cioè con il segno di uguaglianza) ∆x ∆px = h̄/2 viene chiamato pacchetto d’onde e verifichiamo allora che lo stato (espresso nella base degli autostati della posizione e già normalizzato) ψ(x) = √ è un pacchetto d’onda. ip̄x x2 1 √ e− 4∆2 + h̄ 4 ∆ 2π 2.9. PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE 47 Per calcolare gli integrali necessari, utilizzeremo la ben nota identità dei polinomi di secondo grado in cui consideriamo il coefficiente a reale positivo b −ax + bx ≡ −a x − 2a 2 !2 + b2 4a (2.33) e i risultati degli integrali gaussiani con a > 0 r r Z +∞ Z +∞ π π dn 2 2 e−ax dx = e x2n e−ax dx = − n a da a −∞ −∞ Nello stato ψ(x) assegnato abbiamo Z +∞ Z +∞ x2 1 x e− 2∆2 dx = 0 hxi = x|ψ(x)|2 dx = √ −∞ ∆ 2π −∞ Z +∞ Z +∞ x2 1 x2 |ψ(x)|2 dx = √ hx2 i = x2 e− 2∆2 dx = ∆2 −∞ ∆ 2π −∞ 2 2 2 2 da cui segue (∆x) = hx i − (hxi) = ∆ . Per ricavare hpi e hp2 i, calcoliamo la funzione d’onda nella base degli autostati dell’impulso Z +∞ Z +∞ 2 i(p̄−p)x p 1 1 1 − x 2 + h̄ 4∆ √ √ dx = φ(p) = √ ψ(x) e−i h̄ x dx = √ e 4 2π h̄ −∞ 2π h̄ ∆ 2π −∞ √ Z +∞ p̄)2 ∆2 (p−p̄)2 x2 π∆ − ∆2 (p− 1 2 1 1 − − h̄2 4∆2 dx = √ h̄2 √ √ √ e =√ e e 4 −∞ 2π 2π h̄ ∆ 4 2π 2π h̄ 2 Per ottenere hpi e hp i calcoliamo i relativi integrali nei quali eseguiamo il cambio di variabile p − p̄ = y Z +∞ Z +∞ 2∆2 (p−p̄)2 4π∆ 2 √ p e− h̄2 hpi = p |φ(p)| dp = dp = −∞ 2π h̄ 2π −∞ √ Z +∞ 2 2 4π p̄∆ h̄ π 4π∆ − 2∆ 2y h̄ √ √ √ = p̄ dy = = (y + p̄) e 2π h̄ 2π −∞ 2π h̄ 2π ∆ 2 e Z +∞ Z +∞ 2∆2 (p−p̄)2 4π∆ √ p2 e− h̄2 hp2 i = p2 |φ(p)|2 dp = dp = −∞ 2π h̄ 2π −∞ Z +∞ 2∆2 y 2 h̄2 4π∆ √ = (y 2 + p̄2 ) e− h̄2 dy = p̄2 + 4∆2 2π h̄ 2π −∞ da cui segue h̄2 (∆p)2 = hp2 i − (hpi)2 = 4∆2 e dunque il prodotto minimo delle dispersioni h̄ ∆p ∆x = 2 48 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC Capitolo 3 Evoluzione temporale degli stati Come detto, il valore della misura di un’osservabile A in meccanica quantistica si ottiene calcolando la media statistica dei valori ottenuti ripetendo la misura su un certo stato S del sistema; ma poiché ogni volta che si esegue la misura di A, il sistema precipita irreversibilmente in un autostato dell’operatore A e si perde informazione sullo stato iniziale del sistema, allora quando si effettua la misura dell’osservabile A la volta successiva, il sistema non si trova più nello stato iniziale S. Quindi per avere una serie di risultati della misura dell’osservabile A ottenuti tutti avendo effettuato la misura sul medesimo stato S del sistema, occorre preparare infinite copie (tutte uguali) del sistema in questione, in modo tale che, non appena la misura precedente ha fatto precipitare il sistema in un autostato di A, la misura successiva possa essere eseguita di nuovo su un sistema identico al precedente che si trova dunque nel medesimo stato S su cui aveva avuto luogo la misura precedente. Questa caratteristica dei sistemi quantistici di passare in modo irreversibile da uno stato ad un altro per effetto di una misura, è già di per sé una sorta di evoluzione temporale del sistema. In meccanica quantistica abbiamo allora due tipi di evoluzione dei sistemi. Il primo è appunto quello probabilistico irreversibile indotto da una misura che si esegue dall’esterno sul sistema ed è quello più controverso e oscuro della teoria dal punto di vista interpretativo; a causa dell’irreversibilità (ovvero della non invertibilità), questo tipo di evoluzione non può essere descritta da un operatore unitario perché un operatore unitario è invece invertibile. Tale evoluzione, pertanto, non ha analogo nella fisica classica. Il secondo tipo di evoluzione è quello che potremmo chiamare deterministico e che si ha quando il sistema varia nel tempo per effetto della dinamica a cui è sottoposto il sistema stesso, senza che ci sia un’osservazione o una misura dall’esterno. Tale evoluzione, che potremmo chiamare anche evoluzione naturale, è quella che il sistema subisce quando è lasciato a se stesso ed evolve solo per effetto delle sole forze agenti su di esso, senza che vi sia intervento sul sistema dall’esterno. Questo secondo tipo di evoluzione è analogo a quello che si ha nella fisica classica in cui si ha soltanto un tipo di evoluzione che è appunto quello lungo le leggi del moto. 49 50 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI 3.1 L’equazione di Schrödinger e propagatore quantistico Per determinare completamente l’evoluzione temporale del sistema assegnato, quando essa è di questo secondo tipo deterministico (o naturale), ricorriamo di nuovo alla corrispondenza della meccanica quantistica con il formalismo canonico hamiltoniano. Ricordiamo in particolare le equazioni di Hamilton della meccanica analitica e il ruolo cruciale che l’hamiltoniana svolge per l’evoluzione temporale di un’osservabile f (p, q): e q̇ = {qi , H} = ∂H ∂pi ṗ = {pi , H} = − ∂H ∂qi ˙ q) = {f (p, q) , H} f(p, (3.1) Quantisticamente avremo che uno stato |ψi evolve in uno stato |ψ, ti e che l’equazione differenziale della dinamica dello stato dovrà essere del primo ordine rispetto al tempo t perché si ha a disposizione una sola condizione iniziale, che è lo stato iniziale del sistema, e non anche la sua derivata. Inoltre l’equazione differenziale dovrà essere lineare perché sia valido il principio di sovrapposizione e allora postuliamo che essa sia del tipo d |ψ, ti = A(t) |ψ, ti (3.2) dt dove A è un operatore da determinare in base a proprietà fisiche e la derivata è intesa solo rispetto al tempo perché il tempo è ancora, a questo livello, l’unica variabile da cui dipende lo stato. Imponiamo che se vale hψ, t0 |ψ, t0 i = 1, allora valga anche per ogni istante di tempo l’uguaglianza hψ, t|ψ, ti = 1, ovvero hψ, t0 |ψ, t0 i = hψ, t|ψ, ti = 1. Se chiamiamo T (t0 , t) l’operatore di evoluzione temporale applicato allo stato iniziale tale che si abbia |ψ, ti = T (t0 , t) |ψ, t0i, imponiamo che T (t0 , t) sia invertibile in modo che, come in meccanica classica, si possa risalire allo stato iniziale |ψ, t0 i dalla sua evoluzione in |ψ, ti. Imponendo che un ket sia normalizzato in ogni istante t, otteniamo l’uguaglianza i hψ, t0 |ψ, t0 i = hψ, t|ψ, ti = hψ, t0 |T + (t0 , t) T (t0 , t)|ψ, t0i da cui si deduce che vale T + (t0 , t) T (t0 , t) = 1, cioè che l’operatore T (t0 , t) è unitario e quindi invertibile perché det T = 1. Sostituendo |ψ, ti = T (t0 , t) |ψ, t0 i nella (3.2), si ottiene d i T (t0 , t) |ψ, t0i = A(t) T (t0 , t) |ψ, t0 i dt 3.1. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER E PROPAGATORE QUANTISTICO 51 da cui segue l’equazione fra operatori dT dt A=i ! T+ avendo omesso la scrittura dei ket su cui essi agiscono e avendo moltiplicato ambo i membri per T + da destra. Poiché T è unitario, si ha dT dt ! + T +T e quindi T dT + dt ! dT + dt ! =0 dT dt ! T+ =− da cui segue + A = −i T dT + dt ! " = −i − dT dt ! T + # dT =i dt ! T+ = A cioè che A deve essere un operatore hermitiano. Per determinare l’espressione di A ricorriamo al limite classico. Poiché |ψ(x, t)|2 rappresenta la densità di probabilità che la particella sia nella posizione x all’istante t e classicamente invece una particella è sempre esattamente localizzata in un punto x, allora lo stato quantistico deve avere una dispersione che sia tanto più “piccola” quanto più sia piccola h̄. E poiché quanto più “piccola” è la dispersione di una misura, tanto “più vicino” al valor medio è il risultato della misura stessa, avremo che il “punto di contatto” e la corrispondenza fra limite della meccanica quantistica e meccanica classica si realizza imponendo che i valori medi quantistici evolvano secondo le equazioni classiche. In altre parole, un sistema quantistico diventa classico quando diventano “piccole” le dispersioni della p e della q. Quindi indicando con F (p, q) l’operatore associato all’osservabile classica f (p, q), abbiamo che se tali dispersioni sono “piccole”, allora il valor medio hψ, t|F (p, q)|ψ, ti è circa il valore della f (p, q) calcolato sui valori medi della p e della q. In conseguenza di queste considerazioni, dobbiamo imporre allora che in media gli operatori quantistici obbediscano alle leggi classiche, ovvero che valga ˙ q) = d (hψ, t|F |ψ, ti) f(p, dt da cui, sviluppando la derivata temporale e utilizzando l’equazione (3.2) con la sua coniugata, si ottiene dhψ, t| d|ψ, ti f˙(p, q) = F |ψ, ti + hψ, t|F = dt dt 52 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI = i hψ, t|AF |ψ, ti + hψ, t|F (−i)A|ψ, ti = −i hψ, t|[F, A]|ψ, ti = = h̄hψ, t|{F, A}|ψ, ti = hψ, t|{F, h̄A}|ψ, ti dove alla fine è stata utilizzata la relazione di corrispondenza espressa dalla regola di quantizzazione (2.13). Affinché dunque l’equazione quantistica del moto che abbiamo ottenuto f˙(p, q) = hψ, t|{F, h̄A}|ψ, ti (3.3) tenda in media all’equazione classica data dalla (3.1), nella relazione (3.3) dobbiamo identificare h̄A = H, equivalente a A= H h̄ da cui, sostituendo nella (3.2), discende in conclusione l’equazione di Schrödinger ih̄ d |ψ, ti = H |ψ, ti dt (3.4) Dall’equazione (3.3) ricaviamo che quando un’osservabile classica f (p, q) è un integrale primo (o costante del moto), cioè vale f˙(p, q) = {f, H} = 0, allora l’operatore quantistico F , corrispondente ad f , commuta con H in quanto [F, H] = ih̄{f, H} = 0. In questo caso, allora, dalla relazione d hψ, t|F |ψ, ti = hψ, t|[F, H]|ψ, ti = 0 dt segue che ad un integrale primo f (p, q) classico, costante sulle traiettorie del moto classico, corrisponde un operatore quantistico il cui valor medio, calcolato sull’evoluzione temporale indotta dall’equazione di Schrödinger, non dipende dal tempo perché la sua derivata temporale totale è nulla. Se l’operatore hamiltoniano H non dipende esplicitamente dal tempo, allora, indicati con |En i i suoi autostati anch’essi indipendenti dal tempo, abbiamo che gli |En i formano una base completa ortonormale normalizzata con una δ di Kronecker nel caso discreto, o con una δ di Dirac nel caso continuo. L’equazione secolare dell’operatore hamiltoniano, H|En i = En |En i, prende il nome di equazione di Schrödinger indipendente dal tempo. Proiettando l’equazione di Schrödinger (3.4) sulla base degli |En i, si ottiene ih̄ d hEn |ψ, ti = En hEn |ψ, ti dt (3.5) avendo utilizzato l’uguaglianza hEn |H|ψ, ti = En hEn |ψ, ti. La soluzione dell’equazione differenziale ordinaria (3.5) è data dall’espressione hEn |ψ, ti = hEn |ψ, t0 i e−i En h̄ (t−t0 ) 3.1. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER E PROPAGATORE QUANTISTICO 53 attraverso la quale possiamo ricostruire lo stato al tempo t |ψ, ti = = X n X n |En ihEn |ψ, ti = H hEn |ψ, t0 i e−i h̄ (t−t0 ) X n hEn |ψ, t0 i e−i |En i = e−i = e−i H h̄ (t−t0 ) H h̄ (t−t0 ) En h̄ X (t−t0 ) |En i = |En ihEn |ψ, t0 i = n |ψ, t0 i Uguagliando il primo e l’ultimo membro di questa sequenza di uguaglianze, abbiamo la relazione H |ψ, ti = e−i h̄ (t−t0 ) |ψ, t0 i (3.6) in cui possiamo interpretare l’operatore esponenziale come l’operatore di evoluzione temporale introdotto in precedenza T (t0 , t) = e−i H h̄ (t−t0 ) Sviluppando tale operatore di evoluzione temporale T (t0 , t) in serie di Taylor H T = e−i h̄ (t−t0 ) = +∞ X n 1 [−i(t − t0 )]n H n n! si ottiene, sfruttando l’hermitianità di H, h T + = e−i H h̄ (t−t0 ) i+ = +∞ X n H 1 [i(t − t0 )]n H n = ei h̄ (t−t0 ) n! da cui segue T + T = 1 perché gli esponenti negli operatori T e T + commutano e in generale si ha appunto che la relazione eA eB = eA+B è valida solo per coppie A e B di operatori che commutano. Gli autostati dell’energia H si chiamano stati stazionari perché se abbiamo come stato iniziale |ψ, 0i di un sistema proprio un autostato |En i di H, cioè |ψ, 0i = |En i, allora segue che lo stato del sistema al tempo t è dato da H H |ψ, ti = e−i h̄ t |ψ, 0i = e−i h̄ t |En i = e−i En t h̄ |En i ovvero l’evoluzione naturale del sistema secondo l’equazione di Schrödinger (senza osservazione esterna) lascia un autostato di H ancora autostato di H, moltiplicato per un fattore di fase. Invece se lo stato iniziale del sistema non è un autostato di H, ma una combinazione P lineare di almeno due autostati di H, allora dallo sviluppo |ψ, 0i = n cn |En i, segue H |ψ, ti = e−i h̄ t |ψ, 0i = X n cn e−i En t h̄ |En i CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI 54 ovvero per effetto dell’evoluzione temporale naturale uno stato iniziale che non sia autostato di H non sarà mai in nessun istante di tempo successivo un autostato di H. Dimostriamo quindi che il valor medio su un generico stato |ψi di una qualsiasi osservabile A che commuti con l’hamiltoniana H, è indipendente dal tempo. Si ha infatti H H H H hψ, t|A|ψ, ti = hψ, 0|ei h̄ t A e−i h̄ t |ψ, 0i = hψ, 0|A ei h̄ t e−i h̄ t |ψ, 0i = hψ, 0|A|ψ, 0i ovvero il valor medio di A su un generico stato |ψi in qualsiasi istante di tempo t coincide con il valor medio di A su |ψi all’istante iniziale. Se H = H(t) dipende dal tempo, allora la soluzione dell’equazione operatoriale di Schrödinger introdotta precedentemente dT = HT dt non può essere scritta, in analogia con l’equazione scalare, nella forma ih̄ T = T (t0 ) e −i h̄ Rt t0 H(t′ )dt′ perché il metodo della separazione delle variabili non è più valido quando gli esponenti in operatori esponenziali non commutano. Se proiettiamo ora l’equazione di Schrödinger nella base degli autostati della posizione, il primo membro della (3.4) diventa ih̄ d d hx|ψ, ti = ih̄ ψ(x, t) dt dt che riscriviamo nella forma ∂ ψ(x, t) ∂t con il simbolo di derivata parziale perché nella notazione delle funzioni d’onda la ψ(x, t) è funzione di due variabili e la derivata è solo rispetto al tempo. Analogamente il secondo membro dell’equazione (3.4) diventa ih̄ ! p2 1 ∂ ∂ hx| + V (x) |ψ, ti = (−ih̄)2 hx|ψ, ti + V (x) hx|ψ, ti = 2m 2m ∂x ∂x −h̄2 ∂ 2 = ψ(x, t) + V (x) ψ(x, t) 2m ∂x2 Uguagliando primo e secondo membro, otteniamo la proiezione dell’equazione di Schrödinger nella base degli autostati della posizione, che prende il nome di equazione di Schrödinger dipendente dal tempo avente la forma ih̄ ∂ −h̄2 ∂ 2 ψ(x, t) = ψ(x, t) + V (x)ψ(x, t) ∂t 2m ∂x2 3.1. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER E PROPAGATORE QUANTISTICO 55 Si riconosce immediatamente che, a parte il fattore unità immaginaria, l’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo ha la stessa struttura dell’equazione parabolica del calore. Poiché i sistemi in cui l’energia è conservata godono della proprietà di essere invarianti per traslazioni temporali, allora, per semplicità e senza perdita di generalità, poniamo il tempo iniziale t0 uguale a zero. Se proiettiamo l’equazione (3.6) sulla base degli autostati della posizione, otteniamo la relazione Z H −i H t h̄ hx|ψ, ti = hx|e |ψ, 0i = dy hx|e−i h̄ t |yihy|ψ, 0i che equivale alla relazione ψ(x, t) = Z H hx|e−i h̄ t |yi ψ0(y) dy L’espressione H K(x, y; t) := hx|e−i h̄ t |yi prende il nome di propagatore o nucleo di propagazione di Feynman. Il significato del propagatore è quello per cui il quadrato del suo modulo rappresenta la probabilità che la particella localizzata nella posizione y nell’istante t = 0 sia localizzata nella posizione x nell’istante t perché il propagatore rappresenta la proiezione su hx| dello stato T (0, t) |yi. In termini di propagatore, la funzione d’onda al tempo t si ottiene dunque eseguendo l’integrale Z ψ(x, t) = K(x, y; t) ψ0 (y) dy (3.7) Per t = 0 si ha ovviamente K(x, y; 0) = hx|yi = δ(x − y). 3.1.1 Evoluzione temporale e misura di due osservabili Quando due operatori A e B commutano, allora hanno gli stessi autovettori, cioè A |λ, µi = λ |λ, µi e B |λ, µi = µ |λ, µi e B= e abbiamo le decomposizioni spettrali A= X λ con (A) Pλ = X µ (A) λ Pλ |λ, µihλ, µ| X µ e Pµ(B) = µ Pµ(B) X λ |λ, µihλ, µ| CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI 56 A questo punto eseguire simultaneamente la misura di A e di B significa far agire i (A) proiettori Pµ(B) e Pλ uno dopo l’altro sullo stato |ψi, ovvero (A) Pµ(B) Pλ |ψi perché se A e B commutano, il prodotto dei due proiettori P (A) e P (B) è ancora un operatore hermitiano di proiezione, come si vede eseguendo (P (A) P (B) )+ = P (B) P (A) = P (A) P (B) Affinché la misura della seconda osservabile B abbia senso, è importante che l’a(A) zione del secondo proiettore Pµ(B) , compatibile appunto con Pλ , abbia luogo prima che l’evoluzione temporale naturale (indotta dall’equazione di Schrödinger) possa mo(A) dificare sostanzialmente il risultato Pλ |ψi ottenuto con la misura dell’osservabile A, (A) ovvero con l’azione del primo proiettore Pλ . Se ad esempio misuriamo in una dimensione la posizione x̃ (analogo discorso vale anche per l’impulso p̃), avremo che i rivelatori della posizione non daranno risultato migliore dell’appartenenza della particella ad un certo intervallino di ampiezza ∆. Quindi non si misurerà mai la posizione esatta x̃ = Z x |xihx| dx data da un numero reale con infinite cifre decimali periodiche o addirittura non periodiche, ma piuttosto si misurerà l’operatore discreto x̃disc definito come x̃disc = X i xi Z xi + ∆ 2 xi − ∆ 2 |xihx| dx = X i (x) xi Pi con ∆ pari all’ampiezza di ciascun intervallino e xi pari al valore che l’i-esimo rivelatore fornisce relativamente all’i-esimo intervallino discreto. Una misura classica è quella in cui l’incertezza di misura risulta maggiore dell’ampiezza ∆ degli intervallini, ovvero (∆x)class ≫ q hψ|(x − hxi)2 |ψi Se abbiamo un pacchetto d’onde con supporto tutto all’interno di un unico intervallino I, allora vale (x) Pi |ψi = (x) perché l’operatore Pi nell’intervallino I. Z xi + ∆ 2 xi − ∆ 2 |xihx|ψi dx = |ψi coincide con l’identità se v’è certezza che la particella stia 3.2. RAPPRESENTAZIONE DI HEISENBERG 57 Quindi se gli strumenti di misura non risolvono al di sotto del valore ∆, una misura classica non perturba lo stato |ψi su cui avviene la misura stessa e si può ripetere la misura senza avere repliche del sistema in quanto lo stato |ψi, attraverso la proiezione (x) data da Pi |ψi = |ψi, precipita in se stesso. Se invece una misura diventa tale che si veda dentro l’intervallino di ampiezza ∆, allora si comincia a rivelare l’incertezza quantistica. 3.2 Rappresentazione di Heisenberg In meccanica classica il fatto che un’osservabile non dipenda esplicitamente dal tempo significa che la sua dipendenza dal tempo è dovuta alla dipendenza dal tempo delle osservabili fondamentali che sono la posizione q e l’impulso p. Se si ha ad esempio una funzione f (q, p) che non dipende esplicitamente dal tempo, essa dipende dal tempo attraverso le funzioni q = q(t) e p = p(t). Consideriamo anche in mecanica quantistica un operatore O non dipendente esplicitamente dal tempo e la trasformazione unitaria H U = ei h̄ t Trasformando i vettori e gli operatori mediante trasformazioni unitarie con le usuali regole che sono |αi → U |αi e A → UAU + si ha |ψ, ti → ei H h̄ t |ψ, ti = ei H h̄ t A → A(t) = ei H e−i h̄ t |ψ, 0i = |ψ, 0i H h̄ t H A e−i h̄ t ovvero lo stato iniziale rimane invariato e gli operatori dipendono dal tempo. La derivata temporale di A(t) è H H i H dA(t) i H = ei h̄ t HA e−i h̄ t − ei h̄ t AH e−i h̄ t = dt h̄ h̄ H i iHt i e h̄ [H, A] e−i h̄ t = [H, A(t)] = {A(t), H} (3.8) h̄ h̄ avendo utilizzato la relazione fra parentesi di Poisson classiche e operatori quantistici = [H, A(t)] = ih̄ {H, A(t)} L’equazione (3.8) prende il nome di equazione di Heisenberg e lo schema nel quale gli stati sono indipendenti dal tempo mentre gli operatori dipendono dal tempo, viene denominato schema di Heisenberg. CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI 58 Il calcolo di un’evoluzione temporale secondo l’equazione di Schrödinger contiene espressioni intermedie non relativisticamente invarianti perché il tempo relativistico non è una grandezza assoluta. Eseguendo gli stessi calcoli nello schema di Heisenberg, si ottengono sempre espressioni intermedie relativisticamente invarianti e per questo motivo lo schema di Heisenberg è indispensabile in meccanica quantistica relativistica. Il vantaggio di usare lo schema di Heisenberg risiede nel fatto che talvolta è possibile calcolare l’evoluzione temporale del valor medio di un operatore anche nel caso in cui non sia stata risolta l’equazione secolare dell’operatore hamiltoniano. Consideriamo a tal proposito un sistema descritto dall’hamiltoniana H= p2 − Fx 2m della quale non possiamo risolvere l’equazione secolare e supponiamo di voler calcolare l’evoluzione temporale dei valori medi hx(t)i e hp(t)i su uno stato ψ(x). Applicando l’equazione (3.8) otteniamo dx i p = [H, x] = dt h̄ m dp i = [H, p] = F dt h̄ e da cui, considerando x e p come variabili e non come operatori, seguono per integrazione le relazioni x(H) (t) = x(t) = x0 + p0 F 2 t+ t m 2m p(H) (t) = p(t) = p0 + F t e dove con x(H) (t) e p(H) (t) si intendono gli operatori x(t) e p(t) nello schema di Heisenberg in cui, come detto, gli operatori dipendono dal tempo. Considerando ora di nuovo x e p come operatori e assegnando lo stato ψ(x) su cui calcolare i valori medi 1 −x2 /2 e ψ(x) = √ 4 π otteniamo hx(t)i = hψ, t|x(S) |ψ, ti = hψ, 0|x(H) (t)|ψ, 0i = e F 2 p0 F 2 t ψ, 0 = t = hψ, 0| x0 |ψ, 0i + ψ, 0 t ψ, 0 + ψ, 0 m 2m 2m hp(t)i = hψ, t|p(S) |ψ, ti = hψ, 0|p(H) (t)|ψ, 0i = = hψ, 0| p0 |ψ, 0i + hψ, 0| F t |ψ, 0i = F t dove con x(S) e p(S) si intendono gli operatori x e p nello schema di Schrödinger in cui gli operatori non dipendono dal tempo. 3.3. DENSITÀ DI CORRENTE DI PROBABILTÀ 59 Nel calcolo di tali valori medi si sono utilizzati gli integrali, peraltro deducibili da considerazioni sulla parità degli integrandi hψ, 0| x |ψ, 0i = e hψ, 0| p |ψ, 0i = Z Z +∞ −∞ +∞ −∞ e−x 2 x e−x dx = 0 2 /2 d −x2 /2 e dx = 0 dx 3.3 Densità di corrente di probabiltà Data l’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo ∂ h̄2 2 ih̄ ψ(x, t) = − ∇ ψ(x, t) + V (x) ψ(x, t) ∂t 2m la soluzione ψ(x, t) è normalizzata come ψ(x, 0) perché si ha |ψ, ti = T (t0 , t) |ψi e l’operatore di evoluzione temporale T (t0 , t) è unitario. Dall’equazione di normalizzazione Z R3 segue ψ ∗ (x, t) ψ(x, t) d3 x = 1 Z Z ∂ ∂ ψ ∗ (x, t) ψ(x, t) d3 x = |ψ(x, t)|2 d3 x = 0 3 ∂t R ∂t R3 Sviluppiamo ora, sostituendo il secondo membro dell’equazione di Schrödinger ∂|ψ|2 ∂(ψ ∗ ψ) ∂ψ ∗ ∂ψ = = ψ + ψ∗ = ∂t ∂t ∂t ∂t = ψ∗ " i − h̄ h̄2 2 − ∇ ψ+Vψ 2m !# " i + h̄ h̄2 2 ∗ − ∇ ψ + V ψ∗ 2m !# ψ= ih̄ ih̄ (ψ ∗ ∇2 ψ − ψ∇2 ψ ∗ ) = ∇ · (ψ ∗ ∇ψ − ψ∇ψ ∗ ) 2m 2m che può essere scritta nella forma = ∂ρ = −∇ · J ∂t definendo ρ := ψ ∗ ψ e J := ψ∇ψ ∗ − ψ ∗ ∇ψ . Dalla (3.9) segue Z Z ∂ Z 3 ρ(x, t) dV = − ∇·J d x=− J · n dσ ∂t Ω⊂R3 Ω⊂R3 ΣΩ (3.9) CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI 60 3.4 Operatore Densità Quando in termodinamica è data una situazione macroscopica definita dalle variabili pressione, volume, temperatura, non si conosce esattamente la configurazione microscopica corrispondente, ma soltanto la probabiltà che le molecole abbiano certe posizioni e velocità. Si è già detto che per misurare un’osservabile A in meccanica quantistica occorrono infinite repliche del vettore di stato perché dopo ogni misura c’è il collasso del sistema in un autostato di A e non avrebbe senso ripetere la misura senza una nuova replica dello stesso stato. Ora invece consideriamo un’incertezza nella preparazione delle repliche: ammettiamo cioè di aver preparato uno stato |ψi i con probabiltà pi tale che la somma di tutte le probabilità pj sia uguale a 1. Il valor medio hAi = hψ|A|ψi calcolato sullo stato |ψi diventa allora N X hAi = pi hψi |A|ψi i i=1 dove gli stati |ψi i sono considerati normalizzati, ma non necessariamente ortonormali. Lo stato |ψi viene denominato stato puro, mentre i ket |ψi i formano quella che viene denominata miscela statistica. Definiamo allora matrice densità l’operatore, indicato con ρ, tale che ρ= N X i=1 pi |ψi ihψi | (3.10) Se abbiamo uno stato puro, cioè un solo stato |ψi con probabiltà 1, allora la matrice densità assume l’espressione ρ = |ψihψ|. P Dopo aver definito la traccia di un operatore A come T r(A) = n hn|A|ni, dimostriamo che essa è invariante per cambiamento di base: si ha infatti T r(A) = X n hn|A|ni = X n,α hn|A|αihα|ni = X n,α hα|nihn|A|αi = X α hα|A|αi In generale, data la non ortonormalità dei |ψi i, è vero che Pi = |ψi ihψi | è un proiettore su |ψi i, ma Pi Pj non lo è perché hψi |ψi i = 6 0. Verifichiamo ora che vale T r(ρ) = 1: si ha infatti T r(ρ) = X n,i pi hn|ψi ihψi |ni = X n,i pi hψi |nihn|ψi i = X n,i pi hψi |ψi i = 1 dove gli |ni formano una base ortonormale e non è servita l’ortonormalità dei |ψi i. Vogliamo ora collegare l’operatore densità al valor medio di un operatore A: dimostriamo che vale hAi = T r(ρA). Si ha infatti T r(ρA) = X n hn|ρA|ni = X n,i pi hn|ψi ihψi |A|ni = 3.4. OPERATORE DENSITÀ = X n,i 61 pi hψi |A|nihn|ψii = X i pi hψi |A|ψi i = hAi (3.11) Dato un operatore A con autovettori { |λi}, ricordiamo che il valor medio su uno stato |ψi dell’operatore di proiezione |λihλ| rappresenta la probabilità che effettuando la misura di A su |ψi si ottenga λ come valore. Infatti con il formalismo della matrice densità possiamo considerare uno stato puro |ψi e applicare la (3.11) all’operatore di proiezione |λihλ|: in tal modo otteniamo T r(ρ|λihλ|) = X n = X n hn|ρ|λihλ|ni = X n hn|ψihψ|λihλ|ni = hλ|nihn|ψihψ|λi = hλ|ψihψ|λi = |hλ|ψi|2 Ripetendo allora una misura di A sulle repliche di uno stato puro |ψi, si ha che le varie misure forniscono una miscela statistica |hλ|ψi|2 e quindi, ricordando la (3.10), ricaviamo la matrice densità finale (cioè dopo le misure) ρf in data dalla regola ρf in = X λ |hλ|ψi|2 |λihλ| = X λ |λihλ|ψihψ|λihλ| = X λ Pλ ρin Pλ (3.12) dove Pλ rappresenta il proiettore sull’autoket |λi di A e ρin indica la matrice densità iniziale ρin = |ψihψ|. Se invece si ha inizialmente una miscela statistica di stati, allora il valor medio dell’operatore di proiezione |λihλ| su l’autoket |λi di A è dato da hAi = X n hn|ρ|λihλ|ni = X n hλ|nihn|ρ|λi = X i pi hλ|ψi ihψi |λi = X i pi |hλ|ψi i|2 Tale valor medio dipende congiuntamente dai due tipi di incertezza che sono l’incertezza di tipo classico data da pi e l’incertezza di tipo quantistico data da |hλ|ψi i|2 : la dispersione dovuta a pi è analoga a quella classica controllabile attraverso il miglioramento della preparazione dei sistemi; le frequenze |hλ|ψi i|2 sono invece un’incertezza intrinseca fondamentale. Ripetendo la misura su una miscela statistica di stati, si ottiene un’altra miscela statistica “ancora più strana” tale che la densità finale si ottiene ancora con una regola analoga alla (3.12). 3.4.1 Velocità di trasmissione dell’informazione Se due osservatori A e B debbono eseguire una misura rispettivamente delle osservabili A e B (ovvero confondiamo l’osservatore con la grandezza da lui misurata) su un medesimo stato |ψi, l’osservatore B, che esegue la propria misura immediatamente dopo l’osservatore A, eseguirà la propria misura non più su |ψi, bensì sullo stato in cui |ψi è collassato per effetto della misura effettuata da A. CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI 62 Questa circostanza costituisce un problema grave della teoria perché il collasso che avviene istantaneamente dopo la misura di A verrebbe captato istantaneamente dall’osservatore B, anche se questi si trova a distanza di tipo spazio da A. D’altra parte, secondo la teoria della relatività ristretta, un segnale non si può propagare dall’osservatore A all’osservatore B se questi sono separati da una distanza di tipo spazio. Comunque, si può “recuperare” la coerenza con la relatività ristretta dimostrando che l’osservatore B non si “accorge” della misura effettuata da A, ovvero che all’osservatore B non giunge “notizia” della misura di A. Dimostriamo cioè che, sebbene vi sia un collasso istantaneo dello stato |ψi in un autostato di A subito dopo la misura di A, non vi è comunque trasmissione di informazione da A a B nel senso che il valor medio dell’osservabile B sullo stato |ψi misurato dall’osservatore B dopo che A abbia eseguito la propria misura, coincide con il valor medio dell’osservabile B che l’osservatore B misura prima che l’osservatore A esegua la propria misura. Riferendoci infatti ad uno stato puro |ψi, abbiamo che il valor medio di B su |ψi prima che A abbia eseguito la propria misura è dato da hBi = hψ|B|ψi. Dopo che l’osservatore A ha eseguito la propria misura dell’osservabile A su |ψi, si ha, dalla (3.12), la densità finale di A data da (A) ρf in = X (A) (A) Pλ ρin Pλ λ A questo punto consideriamo i due osservatori A e B separati da distanza di tipo spazio da cui segue che il commutatore fra le osservabili A e B è nullo, cioè [A, B] = 0. Utilizzando tale regola di commutazione, otteniamo il valor medio della grandezza B misurato dall’osservatore B dopo che l’osservatore A ha eseguito la propria misura hBi = Tr (A) ρf in B = X n,λ = X λ = Tr X λ (A) (A) Pλ |ψihψ|Pλ B (A) (A) hψ|Pλ B|nihn|Pλ |ψi = (A) (A) hψ|Pλ Pλ B|ψi = dove sono state usate le relazioni (A) (A) Pλ B Pλ X λ ! X λ = X n,λ (A) (A) (A) hψ|Pλ B|ψi = hψ|B|ψi (A) (A) = Pλ Pλ B (A) perché Pλ (A) (A) = Pλ è un proiettore e X λ (A) (A) hψ|Pλ B Pλ |ψi = perché [A, B] = 0, Pλ Pλ (A) (A) hn|Pλ |ψihψ|Pλ B|ni = hψ|Pλ B|ψi = hψ|B|ψi 3.5. PRODOTTO TENSORIALE DI SPAZI DI HILBERT 63 (A) P in virtú dell’equazione di completezza λ Pλ = 1. In tal modo possiamo allora concludere che, data l’uguaglianza dei valori medi misurati da B sullo stato |ψi prima e dopo che A esegua la propria misura sempre sullo stato |ψi, è come se B non avesse “coscienza” della misura effettuata da A, ovvero è come se all’osservatore B non fosse arrivata informazione che A abbia eseguito la propria misura. 3.5 Prodotto tensoriale di spazi di Hilbert Se abbiamo due spazi di Hilbert che sono lo spazio dei ket |αi e lo spazio dei ket |βi, possiamo costruire lo spazio tensoriale degli elementi |αi i|βj i prodotto tensoriale dei due ket. Un elemento |ψi in tale spazio tensoriale è dato dalla combinazione lineare |ψi = X i,j cij |αi i|βj i Se un operatore lineare A agisce sullo spazio degli |αi e un operatore lineare B agisce sullo spazio dei |βi, allora gli operatori lineari A e B, indicando con I1 e I2 gli operatori identità rispettivamente degli spazi degli |αi e dei |βi, vengono riscritti nella forma A → A ⊗ I2 e B → I1 ⊗ B in modo che essi agiscano sullo spazio tensoriale nel seguente modo A X cij |αi i|βj i = X cij (A |αi i) |βj i X cij |αi i|βj i = X cij |αi i (B |βj i) i,j B i,j i,j i,j Quindi gli operatori A e B commutano automaticamente perché agiscono su spazi che non interferiscono nel prodotto tensoriale. Se consideriamo due hamiltoniane Hα = p2α + Vα (xα ) 2mα Hβ = e p2β + Vβ (xβ ) 2mβ avremo i commutatori [pα , pβ ] = [pα , xβ ] = [pβ , xα ] = 0 e [xiα , pjα ] = [xiβ , pjβ ] = ih̄ δij Dato uno stato |ψα i|ψβ i, il suo rappresentativo nella base dei prodotti tensoriali di autostati |x1 i|x2 i diventa (hx1 |hx2 |) (|ψα i|ψβ i) = hx1 |ψα ihx2 |ψβ i 64 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI dove il prodotto scalare si esegue accoppiando bra e ket corrispondenti dello stesso spazio. Lo stato più generale è allora |Ψi = X α,β cαβ hx1 |ψα ihx2 |ψβ i Se abbiamo un’hamiltoniana H = H1 + H2 + H12 , dove H12 può essere interpretato come termine di interazione, allora vale sempre l’equazione di Schrödinger ih̄ ∂ |ψi = H |ψi ∂t dove |ψi in questo caso è una combinazione lineare di prodotti tensoriali. Denominando la proiezione (hx1 |hx2 |) |ψi, l’equazione di Schrödinger assume la forma ∂ ψ(x1 , x2 ) ih̄ = H ψ(x1 , x2 ) ∂t con h̄2 h̄2 2 H=− ∇1 − ∇22 + V (x1 , x2 ) 2m1 2m2 e lo stato iniziale (hx1 |hx2 |) |ψ, 0i = ψ1 (x1 ) ψ2 (x2 ). Anche se lo stato iniziale viene preparato in modo che abbia la forma fattorizzata ψ1 (x1 ) ψ2 (x2 ), se H12 rappresenta un’interazione “non banale”, allora l’evoluzione temporale dello stato ψ1 (x1 ) ψ2 (x2 ) non è ψ1 (x1 , t) ψ2 (x2 , t). 3.6 Interazione tra sistema fisico e apparato di misura Consideriamo lo spazio di Hilbert ottenuto dal prodotto tensoriale |Si|Mi, dove {|Si} è l’insieme dei ket che rappresentano gli stati del sistema fisico in esame e {|Mi} è l’insieme dei ket che rappresentano i valori rilevati dall’apparato di misura. L’apparato di misura è tale da selezionare di volta in volta il valore λi assunto dalla grandezza in questione. Se lo stato iniziale del sistema considerato è l’autostato |λi i dell’osservabile A da misurare, allora l’evoluzione temporale T (t) applicata al sistema fornirà risultato T (tf in ) |λii|M0 i = |λii|Mi i dove |Mi i indica che il risultato della misura è stato appunto l’autovalore λi corrispondente all’autostato |λi i che è lo stato in cui è stata eseguita la misura dell’osservabile A. Osserviamo anche che l’operazione di misura non altera lo stato del sistema perché nel prodotto tensoriale rimane |λi i. 3.6. INTERAZIONE TRA SISTEMA FISICO E APPARATO DI MISURA 65 P Se lo stato iniziale del sistema fosse una sovrapposizione i ci |λi i di autostati dell’osservabile A, allora l’evoluzione temporale T (t) darebbe risultato T (tf in ) X i ci |λii|M0 i = X i ci T (tf in ) |λi i|M0 i = X i ci |λi i|Mi i Questa relazione ci dice che ad un certo punto nel processo di misura si deve verificare un collasso durante la sequenza: fotone che colpisce la retina, segnali che si trasmettono al cervello, ecc. (tale sequenza può essere resa infinitamente lunga). Tale collasso può essere conseguenza dell’autocoscienza dell’osservatore oppure potrebbe essere spiegato con un’interpretazione (dal punto di vista logico altrettanto valida) per cui l’universo viene descritto da una funzione d’onda costituita da infinite ramificazioni (universi paralleli) tali che noi viviamo contemporaneamente in tutte le ramificazioni. Tale visione è analoga alla descrizione del fenomeno dell’interferenza per cui una particella si trova nello stato sovrapposizione di due stati e passa contemporaneamente attraverso due fenditure. 3.6.1 Difficoltà nell’osservazione della meccanica quantistica Nel fenomeno dell’interferenza di particelle che passano attraverso due fenditure F1 e F2 si ha, come già detto, una figura di diffrazione profondamente diversa dalla figura che si otterrebbe con la sovrapposizione delle due figure date dall’apertura di una soltanto delle due fenditure. Tale figura di interferenza rimane la stessa anche se la particelle vengono inviate una alla volta, cioè attendendo che ognuna sia giunta sulla lastra prima di inviare la successiva. Nel formalismo della meccanica quantistica abbiamo che ogni particella è descritta da una funzione d’onda che verifica l’equazione di Schrödinger e a cui si impongono le condizioni al bordo per cui, per esempio, essa valga zero sulla parte in cui non c’è passaggio di particelle e assuma valore ψ1 (x) e ψ2 (x) rispettivamente in F1 e F2 . Il significato delle condizioni al bordo è deriva dall’approssimazione secondo la quale la ψ1 (x) è la funzione d’onda che sostanzialmente si avrebbe se fosse chiusa la fenditura F2 e la ψ2 (x) è la funzione d’onda che sostanzialmente si avrebbe se fosse chiusa la fenditura F1 . La soluzione totale dell’equazione di Schrödinger dopo il passaggio attraverso le due fenditure è la funzione d’onda ψ(x) ∝ ψ1 (x) + ψ2 (x) dove consideriamo normalizzate a 1 le funzioni d’onda ψ1 (x) e ψ2 (x). CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI 66 Affinché anche la ψ(x) sia normalizzata a 1, deve valere Z = Z |ψ(x)|2 dx = Z |ψ1 (x) + ψ2 (x)|2 dx = {|ψ1 (x)|2 + |ψ2 (x)|2 + 2Re [ψ1∗ (x)ψ2 (x)]} dx = 1 + 1 = 2 perché Re [ψ1∗ (x)ψ2 (x)] = 0 in quanto assumiamo la ψ1 (x) pari a zero lontano da F1 e la ψ2 (x) pari a zero lontano da F2 . Quindi quando è diversa da zero la ψ1 (x), è zero la ψ2 (x) e viceversa, o sono entrambe zero. C’è dunque un guscio sferico (onda) emesso dalla sorgente che si separa in corrispondenza delle due fenditure in due gusci indipendenti dati da ψ1 (x) e ψ2 (x) coincidenti con quelli che si avrebbero in ciascuna fenditura se l’altra fenditura fosse chiusa. Quest’analogia con le onde è solo terminologica perché l’equazione di Schrödinger non è un’equazione delle onde come si ottiene invece dalle equazioni di Maxwell. Se consideriamo come istante iniziale l’istante immediatamente successivo al passaggio attraverso le fenditure entrambe aperte, abbiamo la funzione d’onda iniziale |ψ, 0i = |ψ1 , 0i + |ψ2 , 0i √ 2 da cui, attraverso l’evoluzione temporale, si ricava il ket all’istante di tempo tL in cui le particelle arrivano sulla lastra H t −i H h̄ L |ψ, tL i = e H e−i h̄ tL |ψ1 , 0i + e−i h̄ tL |ψ2 , 0i |ψ1 , tL i + |ψ2 , tL i √ √ |ψ, 0i = = 2 2 ovvero la funzione d’onda ψ(x, tL ) = ψ1 (x, tL ) + ψ2 (x, tL ) √ 2 A questo punto la densità di probabilità di avere la particella in un punto x al tempo tL è data da |ψ(x, tL )|2 = 1 {|ψ1 (x, tL )|2 + |ψ2 (x, tL )|2 + 2 Re [ψ2∗ (x, tL ) ψ1 (x, tL )]} 2 e l’integrale dell’addendo di interferenza è Z H H ψ2∗ (x, tL ) ψ1 (x, tL ) dx = hψ2 , tL |ψ1 , tL i = hψ2 |ei h̄ tL e−i h̄ tL |ψ1 i = hψ2 |ψ1 i = 0 Quindi l’unitarietà dell’operatore di evoluzione temporale rende l’integrale dell’addendo di interferenza al tempo tL uguale al prodotto hψ2 |ψ1 i che è nullo perché ψ1 e ψ2 sono, al passaggio attraverso le fenditure, diverse da zero in regioni diverse. 3.6. INTERAZIONE TRA SISTEMA FISICO E APPARATO DI MISURA 67 L’interferenza ha dunque integrale nullo per ogni istante di tempo perché si deve conservare il numero di particelle, ovvero l’intensità del fascio di particelle emesso; ma localmente il termine di interferenza è una combinazione complicata delle due funzioni d’onda ψ1 (x, t) e ψ2 (x, t) che sulla lastra (per t = tL ) si sono diffuse e sono diverse da zero anche lontano dalle fenditure F1 e F2 . Se consideriamo adesso l’inserzione di un apparato di misura al fine di stabilire se la particella è passata attraverso la fenditura F1 o la fenditura F2 , si ha lo stato |ψi|M0 i alla sorgente e gli stati |ψ1 i|M1 i se la particella è passata attraverso F1 e |ψ2 i|M2 i se la particella è passata attraverso F2 . In realtà, chiamato ∆ l’intervallo di tempo piccolissimo fra la fenditura e lo strumento che rileva il passaggio, abbiamo che esattamente sulle fenditure gli stati iniziali sono rispettivamente |ψ1 , 0i|M0 i e |ψ2 , 0i|M0 i da cui seguono le evoluzioni temporali T (∆) |ψ1 , 0i|M0i = |ψ1 , ∆i|M1 i e T (∆) |ψ2 , 0i|M0 i = |ψ2 , ∆i|M2 i a seconda che all’istante ∆ la particella giunga allo strumento posto rispettivamente sulla fenditura F1 o F2 . All’istante tL in cui la particella giunge sulla lastra, avremo allora " # |ψ1 , 0i|M0i + |ψ2 , 0i|M0i √ |ψ, tL i = T (tL − ∆) T (∆) |ψ, 0i = T (tL − ∆) T (∆) = 2 |ψ1 , tL i|M1 i + |ψ2 , tL i|M2 i √ 2 e la densità di probabiltà di trovare allora sullo schermo la particella nella posizione x è data da = P (x) = 1 [ hψ1 , tL |hM1 | + hψ2 , tL |hM2 | ] |xihx| [ |ψ1 , tL i|M1 i + |ψ2 , tL i|M2 i ] = 2 1 {hψ1 , tL | |xihx| |ψ1 , tL i + hψ2 , tL | |xihx| |ψ2 , tL i+ 2 +hψ1 , tL | |xihx| |ψ2 , tL ihM1 |M2 i + hψ2 , tL | |xihx| |ψ1 , tL ihM2 |M1 i} = Il prodotto scalare hM1 |M2 i rappresenta la probabiltà che un atomo della lancetta dello strumento di misura puntata sul valore 1 della misura si trovi anche sulla lancetta puntata sul valore 2. Tale probabiltà è praticamente zero e inoltre va moltiplicata per il numero di Avogadro di atomi: dunque nel momento in cui si effettuano le proiezioni sui ket |xi avviene il collasso in conseguenza del quale la densità di probabilità di trovare sullo schermo la particella nella posizione x è data da P (x) = |ψ1 (x, tL )|2 + |ψ2 (x, tL )|2 2 68 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI ovvero è data dalla somma delle probabilità che la particella passi solo attraverso F1 e solo attraverso F2 . Quindi l’interazione del sistema con uno strumento di misura che stabilisca attraverso quale delle due fenditure passi la particella, distrugge l’interferenza e fornisce il risultato classico. Il collasso avviene allora sulla lastra finale a causa dell’applicazione del proiettore |xihx|, ma ha conseguenze diverse a seconda che si esegua o non si esegua una misura macroscopica. Il collasso è dunque un postulato aggiuntivo della meccanica quantistica indotto dal principio della misura ripetuta, ma esso non è deducibile dagli altri principi della meccanica quantistica. L’interferenza è un fenomeno molto delicato correlato al grado di isolamento del sistema fisico con il resto del mondo: infatti, come abbiamo visto, nella densità di probabilità compaiono i prodotti scalari hM1 |M2 i e hM2 |M1 i che rappresentano le sovrapposizioni dei vari stati dell’apparato di misura. La meccanica quantistica non spiega il collasso del sistema in un autostato (cioè la riduzione del pacchetto d’onda), ma se si ammette questo fenomeno, allora il formalismo spiega perché l’interazione del sistema con l’apparato di misura distrugge l’interferenza. Questa interferenza è tanto minore quanto maggiore è l’interazione delle particelle con il resto dell’ambiente: se si usano delle palline grandi e in qualche modo distinguibili, il loro passaggio è rivelato macroscopicamente e allora i due prodotti scalari dati da hM1 |M2 i e hM2 |M1 i eliminano l’interferenza. Se lo strumento di misura rimanesse spento (o non vi fosse), ovvero se T (∆) |ψ1 , 0i|M0 i = |ψ1 , ∆i|M0 i e T (∆) |ψ2 , 0i|M0 i = |ψ2 , ∆i|M0 i allora in effetti l’interferenza si manifesterebbe perché l’addendo aggiuntivo di interferenza nella densità di probabilità conterrebbe solo i prodotti scalari hM0 |M0 i = 1. Se lo strumento stesse soltanto su una fenditura (per esempio su F1 ), allora si avrebbe T (∆) |ψ1 , 0i|M0 i = |ψ1 , ∆i|M1 i e T (∆) |ψ2 , 0i|M0 i = |ψ2 , ∆i|M0 i e il prodotto scalare hM1 |M0 i = 0 fa scomparire l’interferenza. Possiamo dire quindi che quando si sa con certezza (ovvero quando non v’è dubbio) attraverso quale fenditura è passata una particella, allora l’interferenza scompare. L’interferenza c’è pertanto solo se non si eseguono misure, ovvero se non vi è osservazione: in altre parole, se nessun osservatore assiste ad essa, l’interferenza avviene; se invece qualcuno prova ad osservarla, allora tale osservazione la distrugge. Interferenza e osservazione della medesima sono dunque due aspetti che si escludono reciprocamente ed è per questo che nelle osservazioni macroscopiche quotidiane non si può rilevare la meccanica quantistica. Capitolo 4 Soluzioni dell’equazione di Schrödinger Quello che vogliamo ora fare è risolvere l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo unidimensionale in presenza di alcuni tipi di potenziale. Dopo aver trattato il caso della particella libera e della particella soggetta al potenziale armonico, discuteremo in generale le proprietà delle soluzioni dell’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo nel caso di particella in dimensione 1. Applicheremo dunque quest’analisi qualitativa al caso di particella soggetta ad una buca di potenziale e a potenziali infiniti che la vincolano su un segmento. 4.1 Equazione di Schrödinger per la particella libera Nel caso in cui si abbia una particella libera, ovvero V (x) = 0, l’hamiltoniana assume la forma −h̄2 d2 p2 = H= 2m 2m dx2 la cui equazione secolare è −h̄2 d2 ψ(x) = Ep ψ(x) 2m dx2 dove si è scritto il simbolo di derivata totale perché nell’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo, la x è l’unica variabile da cui dipende la funzione d’onda. In realtà per determinare gli autostati di H nel caso di particella libera, non risolviamo direttamente la sua equazione secolare, ma utilizziamo il fatto che per V (x) = 0 si ha [H, p] = 0 e ricorriamo dunque al teorema per cui gli autostati di H sono simultaneamente anche quelli già trovati per l’operatore impulso p. Si verifica comunque in modo 69 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 70 facile e immediato anche direttamente che vale ! p −h̄2 d2 1 √ ei h̄ x = 2m dx2 2πh̄ H ! p 1 p2 √ ei h̄ x = 2m 2πh̄ p 1 √ ei h̄ x 2πh̄ ! da cui si vede che gli autostati di H sono gli stessi autostati dell’impulso relativi agli autovalori p2 Ep = 2m Il vantaggio di prendere come autostati di H gli autostati dell’impulso risiede nel fatto che in questo modo si rimuove la degenerazione degli autovalori dell’energia ad ognuno dei quali corrispondono due autostati linearmente indipendenti aventi impulsi opposti. Poiché gli autovalori dell’impulso sono non degeneri, cioè ad ogni autovalore p dell’operatore impulso corrisponde un solo autostato, allora prendere come autostati dell’operatore H gli autostati di p significa scegliere un autostato di H con un ben preciso impulso tra i due autostati aventi impulso +p e −p entrambi corrispondenti all’autovalore degenere p2 dell’operatore hamiltoniano H. Dato lo stato iniziale della particella libera, ψ(x, 0) = ψ0 (x), abbiamo le due relazioni p Z +∞ ei h̄ x dp (4.1) ψ0 (x) = φ0 (p) √ −∞ 2πh̄ e p Z +∞ e−i h̄ x dx (4.2) φ0 (p) = ψ0 (x) √ −∞ 2πh̄ Applicando l’operatore di evoluzione temporale allo stato iniziale ψ0 (x), si ottiene lo stato della particella libera al tempo t dato dalla relazione −i H (t−t0 ) h̄ ψ(x, t) = e Z +∞ −∞ p ei h̄ x dp = φ0 (p) √ 2πh̄ Z +∞ −∞ p ei h̄ x −i φ0 (p) √ e h̄ 2πh̄ p2 t 2m dp la quale, con la sostituzione della (4.2) per φ0 (p), diventa ψ(x, t) = Z +∞ −∞ p ei h̄ x −i e h̄ φ0 (p) √ 2πh̄ p2 t 2m dp = 1 2πh̄ Z +∞ −∞ p 2 i p t 2m ψ0 (y) ei h̄ (x−y)− h̄ dp dy = 1 Z +∞ i p (x−y)− i p2 t h̄ 2m dp e h̄ dy 2πh̄ −∞ −∞ da cui, per confronto con la (3.7), si ricava il propagatore per la particella libera = Z +∞ ψ0 (y) 1 Z +∞ i p (x−y)− i h̄ K(x, y; t) = e h̄ 2πh̄ −∞ p2 t 2m dp 4.2. ANALISI QUALITATIVA DELLE SOLUZIONI 71 Utilizzando di nuovo l’idenità (2.33) e i noti integrali di Fresnel Z +∞ −∞ 2 cos(ax ) dx = Z +∞ −∞ 2 sin(ax ) dx = r π 2a possiamo ottenere l’espressione esplicita del propagatore per la particella libera K(x, y; t) = 1 im(x−y)2 Z +∞ −it [p− m(x−y) ]2 1 im(x−y)2 Z +∞ −it p2 t e 2h̄t e 2h̄t e 2mh̄ e 2mh̄ dp = dp = 2πh̄ 2πh̄ −∞ −∞ Z 1 im(x−y)2 e 2h̄t = 2πh̄ = +∞ −∞ e t 2 t 2 p − i sin p cos 2mh̄ 2mh̄ im(x−y)2 2h̄t 2πh̄ s 2πh̄m t 1 i √ −√ 2 2 dp = ! e lo stato evoluto nel tempo ψ(x, t) = r m 2πh̄t 1 i √ −√ 2 2 !Z +∞ −∞ ψ0 (y) e im(x−y)2 2h̄t dy 4.2 Analisi qualitativa delle soluzioni Dal momento che i sistemi fisici reali sono sempre situati in tre dimensioni e quindi non possono essere descritti attraverso le soluzioni di equazioni di Schrödinger unidimensionali, tuttavia lo studio delle equazioni di Schrödinger unidimensionali riveste pur sempre un certo interesse per varie ragioni. In primo luogo dalle equazioni di Schrödinger unidimensionali si possono ricavare informazioni qualitative che restano valide anche in tre dimensioni (ove non si potrebbero ottenere oppure si otterrebbero con calcoli molto più complicati); in secondo luogo si ha che la soluzione di un problema tridimensionale in alcuni casi si può ricondurre alla soluzione di uno o più problemi unidimensionali, in analogia con quanto accade in meccanica classica quando i gradi di libertà sono separati. Data l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo scritta nella forma u′′ (x) + 2m [E − V (x)] u(x) = 0 h̄2 (4.3) se i coefficienti sono reali, allora non c’è perdita di generalità a considerare le soluzioni reali. Le condizioni al contorno si dànno di volta in volta a seconda dei casi: se si vuole che la funzione d’onda sia normalizzabile, ovvero che la particella stia in quello che viene denominato stato legato, allora si deve avere lim u(x) = 0 x→±∞ (4.4) 72 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER Si osserva subito che con le condizioni (4.4) l’equazione (4.3) possiede sempre la soluzione banale u(x) = 0 che in generale sarà anche l’unica soluzione. Poiché u(x) = 0 non è un’autofunzione, dovremo cercare allora dei particolari valori di E (che sono gli autovalori) per i quali si potranno avere soluzioni della (4.3) che siano normalizzabili e non identicamente nulle. Tali particolari valori di E costituiscono uno spettro discreto e rappresentano allora le energie degli stati legati che risultano quindi essere quantizzate. Considerando fissato il valore di E, analizzeremo soltanto il caso di potenziali V (x) tali che l’equazione E − V (x) = 0 abbia un numero finito di soluzioni, trascurando cioè il caso dei potenziali periodici. Per fissare le idee e comunque, come ci si può facilmente render conto, senza perdita di generalità, consideriamo il caso in cui l’equazione E − V (x) = 0 abbia, per alcuni valori di E, soltanto due soluzioni denominate x1 e x2 . Consideriamo dunque un potenziale il cui grafico sia quello riportato nella seguente figura 4.1, ovvero V (x) = 0 per x ∈ / [xm , xM ] e V (x) uguale ad una funzione avente per grafico la curva C per x ∈ [xm , xM ] V (x) xm x1 O x2 xM x Vmin < E < 0 Vmin C E < Vmin fig. 4.1 Affinché la funzione d’onda sia normalizzabile è necessario che valgano le condizioni (4.4) e affinché possano valere tali condizioni deve verificarsi la relazione di disuguaglianza E < V (x) per x → ±∞. Se infatti in una delle due semirette asintotiche (verso −∞ o +∞) si avesse E > V (x), allora la particella avrebbe anche classicamente la possibilità di andare all’infinito, ovvero avrebbe una probabilità non trascurabile di trovarsi a distanza grande quanto si vuole e non potrebbe essere quindi rappresentata da una funzione d’onda normalizzabile. Matematicamente, indicando con V∞ il limite asintotico del potenziale all’infinito, si vede che se fosse E > V∞ , allora la (4.3) avrebbe come soluzione per x → ±∞ una combinazione di seni e coseni che non possono dar luogo, all’infinito, ad una funzione d’onda rinormalizzabile. 4.2. ANALISI QUALITATIVA DELLE SOLUZIONI 73 Con riferimento alla figura 4.1, concludiamo dunque che per E > 0 non si possono avere funzioni d’onda rinormalizzabili, ovvero non si possono avere stati legati. Consideriamo allora i valori E < 0 distinguendo i due casi E < Vmin Vmin < E < 0 e Nel primo caso non ci sono autovalori a cui corrispondono autofunzioni normalizzabili perché se E < Vmin , allora dall’equazione (4.3) risulta u′′ (x) > 0, u(x) ∀x ∈ R Se dunque la funzione d’onda u(x) fosse positiva, allora u sarebbe sempre convessa e quindi non normalizzabile in una delle due semirette asintotiche (analogo discorso vale se u(x) fosse negativa). Nel secondo caso (Vmin < E < 0) abbiamo u′′ (x) > 0, u(x) ∀x ∈ / [x1 , x2 ] e u′′ (x) < 0, u(x) ∀x ∈ [x1 , x2 ] Considerando ad esempio la u(x) positiva, si ha quindi che la funzione d’onda u è convessa per x ∈ / [x1 , x2 ] e concava per x ∈ [x1 , x2 ], risultando quindi normalizzabile, come si può vedere graficamente nella seguente figura 4.2 u(x) u′′ u <0 fig. 4.2 u′′ u u′′ u >0 xm x1 O x2 xM >0 x L’andamento della u(x) per x ∈ [x1 , x2 ] può presentare anche delle oscillazioni (come mostrato in figura 4.3), purché compatibili con la condizione u′′ (x) < 0, u(x) ∀x ∈ [x1 , x2 ] 74 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER u(x) u′′ u u′′ < 0 u′′ u <0 fig. 4.3 u′′ < 0 >0 u′′ u x1 x2 O >0 x u′′ > 0 Come si vede, c’è probabilità non nulla anche per il caso in cui la particella sia fuori dall’intervallo [x1 , x2 ], ovvero stia nella regione classicamente proibita. Nel caso classico non c’è moto nelle x tali che E < V perché l’energia si conserva; quantisticamente, anche se l’energia è conservata, se si effettua una misura della posizione della particella, è possibile trovare la particella fuori da [x1 , x2 ], sebbene in questo caso l’energia non sia conservata. Infine, per E > 0 si ha u′′ (x) < 0, ∀x ∈ R u(x) cioè la soluzione u(x) è oscillante su tutto l’asse x. Per x ∈ / [xm , xM ], ovvero quando V (x) = 0, la u(x) è una combinazione di esponenziali complessi √ e la particella si comporta come la particella libera (onda piana) con impulso p = 2mE. Ovviamente la soluzione globale non è un’onda piana perché la presenza di V (x) rende complicata la soluzione nell’intervallo [xm , xM ] nonostante rimanga anche in tale intervallo il comportamento oscillatorio della u(x) dovuto al diverso segno della derivata seconda u′′(x) rispetto alla funzione u(x). Mostriamo ora che gli stati legati (o autofunzioni normalizzabili) corrispondono a valori dell’energia E (autovalori) discreti. Se un potenziale possiede andamento come in figura 4.1 (con due soli punti x1 e x2 in cui vale V (x) = E), abbiamo che la condizione di normalizzabilità (a sinistra) lim u(x) = lim u′ (x) = 0 x→− ∞ x→− ∞ determina univocamente la soluzione nella semiretta x < x1 ed in particolare (per la continuità, discussa più avanti, della funzione d’onda e della sua derivata prima) determina il valore della u(x) e della u′ (x) nel punto x1 . Analogamente risulterà univocamente determinata la funzione d’onda (oscillante) nell’intervallo [x1 , x2 ] ed in particolare risulteranno individuati i valori della funzione d’onda e della sua derivata prima nel punto x2 . 4.2. ANALISI QUALITATIVA DELLE SOLUZIONI 75 u(x) u′′ u fig. 4.4 u′′ < 0 u′′ u <0 (1) u′′ < 0 (2) >0 (3) x1 O x2 x u′′ > 0 Per la semiretta x > x2 si può ripetere lo stesso ragionamento e concludere che l’andamento della funzione d’onda in tale semiretta è univocamente determinato dalla continuità in x2 della u(x) e della u′(x). Tuttavia per un valore di E qualsiasi non c’è nessun motivo per cui l’andamento della funzione d’onda in x > x2 debba tendere asintoticamente a zero. Con riferimento alla figura 4.4, abbiamo che l’andamento convesso della funzione d’onda in x > x2 non è detto che sia rappresentato dalla curva (3) (che tende asintoticamente a zero), ma potrebbe essere rappresentato benissimo dalla curva (1) asintoticamente divergente e quindi non normalizzabile. Facendo variare nell’equazione (4.3) l’energia E con continuità, si avrà che anche la soluzione varierà con continuità e passerà, per esempio, dalla curva (1) alla curva (2), ancora asintoticamente divergente. Continuando a far variare E nella (4.3) con la stessa “direzione”, è ragionevole aspettarsi di trovare un valore E0 dell’energia per il quale la componente divergente della soluzione si annulla e la funzione d’onda si comporta asintoticamente come la curva (3) tendente a zero. Tale valore E0 è un possibile valore dell’energia del sistema in esame ed è “chiaro” che le possibili energie debbono costituire uno spettro discreto perché variando l’energia anche di “pochissimo” intorno al valore E0 , si “inserisce” nell’equazione (4.3) un termine che renderà divergente la soluzione e ne “rovinerà” il buon comportamento asintotico. Dal confronto delle figure 4.1, 4.3, 4.4 segue che il numero delle oscillazioni e degli zeri della funzione d’onda nell’intervallo [x1 , x2 ] tendono ad aumentare al crescere di E. Esiste allora un valore di E, detto stato fondamentale, tale che la funzione d’onda corrispondente non abbia né zeri né oscillazioni nell’intervallo [x1 , x2 ]. Concludiamo quest’analisi qualitativa delle soluzioni dell’equazione di Schrödinger dimostrando che in una dimensione gli autovalori discreti dell’energia sono sempre non degeneri (così come gli autovalori di quella parte di spettro continuo eventualmente soddisfacente la condizione V− ∞ < E < V+ ∞ ). CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 76 Supponiamo infatti per assurdo che esistano due funzioni u1 (x) e u2 (x) linearmente indipendenti che siano soluzioni della (4.3) relativamente al medesimo valore di E. Segue allora la relazione u′′ (x) 2m u′′2 (x) = 1 = − 2 (E − V ) u2 (x) u1 (x) h̄ da cui si ottiene che il wronskjano W (x) di u1 (x) e u2 (x) ha derivata nulla, come si vede eseguendo dW (x) d = [u1 (x) u′2 (x) − u′1 (x) u2 (x)] = u1 (x) u′′2 (x) − u′′1 (x) u2 (x) = dx dx " # u′′ (x) u′′1 (x) =0 − = u1 (x) u2 (x) 2 u2 (x) u1 (x) Poiché il wronskjano delle soluzioni normalizzabili u1 (x) e u2 (x) vale zero per x tendente a ±∞ ed è costante in quanto avente derivata prima nulla, si conclude che vale la relazione W (x) = 0 per ogni x, ovvero u1 (x) u′2 (x) = u′1 (x) u2 (x) equivalente a u′2 (x) u′ (x) = 1 u2 (x) u1 (x) Integrando quest’ultima relazione, si ottiene log[u2 (x)] = log[k u1 (x)] da cui segue u2(x) = k u1 (x) che contraddice l’ipotesi di indipendenza lineare tra u1 (x) e u2 (x). 4.3 Potenziali costanti a tratti Consideriamo l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo nel caso in cui il ptenziale V (x) sia costante a tratti, come mostrato nella seguente figura 4.5 4.3. POTENZIALI COSTANTI A TRATTI 77 V (x) fig. 4.5 I2 I1 I3 I4 I5 x̄ x Detto Vj il valore del potenziale nel j-esimo intervallo Ij , l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo relativa a tale intervallo assume la forma 2m u′′ (x) = 2 (Vj − E) u(x) (4.5) h̄ A seconda che si abbia Vj > E oppure Vj < E, si hanno le soluzioni rispettivamente √ √ 2m(Vj −E) h̄ u(x) = A e x + B e− 2m(Vj −E) h̄ x oppure q u(x) = C cos 2m(E − Vj ) h̄ q x + D sin 2m(E − Vj ) h̄ x e dimostriamo allora che la u(x) e la u′ (x) debbono essere continue in tutti i punti di discontinuità del potenziale V (x) (purché non siano discontinuità strane). La dimostrazione resta valida anche nei casi di potenziali non costanti a tratti. Integrando la (4.5) per esempio fra x̄ − ǫ e x̄ + ǫ , si ha, in base alla figura 4.5 Z Z 2m x̄+ǫ [V (x) − E] dx x̄−ǫ h̄2 x̄−ǫ Al primo membro si ottiene u′ (x̄ + ǫ) − u′(x̄ − ǫ) e al secondo membro, sebbene l’integrando abbia una discontinuità, l’integrale tende a zero per ǫ tendente a zero, perché l’integrale rappresenta un’area la quale, come si vede dalla figura 4.5 intorno a x̄, nonostante la discontinuità, tende appunto a zero per ǫ tendente a zero. Quindi dalla relazione x̄+ǫ u′′ (x) dx = lim u′ (x̄ + ǫ) − u′ (x̄ − ǫ) = 0 ǫ→0 concludiamo che la u′(x) è continua insieme alla u(x) stessa. 78 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 4.3.1 Buca di potenziale Consideriamo come esempio di potenziale costante a tratti il caso della buca di potenziale in cui si ha L L , 0 se x ∈ − 2 2 V (x) = L V0 > 0 se |x| > 2 Considerando 0 < E < V0 e indicando con u1 (x), u2 (x), u3 (x) le soluzioni dell’equazione (4.5) rispettivamente nella semiretta a sinistra x < L/2, nell’intervallo interno −L/2 < x < L/2 e nella semiretta a destra x > L/2, si ha u1 (x) = A e √ 2m(V0 −E) h̄ q u2 (x) = C cos x − u3 (x) = B e 2m(E − V0 ) h̄ q x + D sin √ 2m(V0 −E) h̄ 2m(E − V0 ) h̄ x (4.6) x avendo posto uguale a zero per u1 (x) e u3 (x) il coefficiente dell’altro esponenziale in modo che la funzione d’onda sia normalizzabile per x tendente a −∞ e a +∞ . Imponendo le quattro condizioni di continuità della u(x) e della u′(x) nei due punti di discontinuità del potenziale aventi ascissa ±L/2, si ha il sistema delle quattro equazioni algebriche u1 u′1 u′2 L L = u2 − , − 2 2 u2 L L = u3 , 2 2 L L − = u′2 − , 2 2 L L = u′3 2 2 nelle quattro incognite A, B, C, D. Poiché tale sistema è omogeneo, se il determinante della matrice dei suoi coefficienti è diverso da zero, allora il sistema avrà l’unica soluzione A = B = C = D = 0 a cui corrisponde l’unica soluzione della (4.5) data da u(x) = 0 che però non può essere considerata un’autofunzione. L’equazione ottenuta invece uguagliando a zero l’espressione di tale determinante è un’equazione nell’unica incognita E le cui radici sono gli autovalori dell’energia a cui corrispondono le autofunzioni non identicamente nulle aventi espresssione nei vari intervalli u1 (x), u2 (x), u3 (x). 4.3. POTENZIALI COSTANTI A TRATTI 79 4.3.2 Particella nel segmento: buca di potenziale con pareti infinite Se nell’espressione di V (x) della buca di potenziale si pone V0 = +∞ per |x| > L/2, si ottiene il confinamento della particella nel segmento [−L/2 , L/2], ovvero la buca di potenziale con pareti infinite a cui corrisponde l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo 2mE u′′ (x) = − 2 u(x) (4.7) h̄ Si vede immediatamente che per E < 0 la soluzione di tale equazione assume la forma 2m |E| u(x) = A ekx + B e−kx , con k := h̄2 la quale, in virtù della presenza degli esponenziali reali, non può valere zero contemporaneamente in −L/2 e in L/2. Concludiamo quindi che per E < 0 non ci sono autovalori né autofunzioni. Se consideriamo i valori E > 0, allora l’equazione di Schrödinger ha soluzione "√ # "√ # 2mE 2mE u(x) = C cos x + D sin x h̄ h̄ da cui segue il sistema delle condizioni u(−L/2) = u(L/2) = 0 (continuità della u(x) nei punti x = ±L/2) "√ # "√ # 2mE L 2mE L C cos − D sin =0 h̄ 2 h̄ 2 C cos "√ # 2mE L + D sin h̄ 2 "√ # 2mE L =0 h̄ 2 Poiché con V0 = +∞ la soluzione u(x) è identicamente nulla per |x| > L/2, come si deduce facilmente sostituendo x = −∞ e x = +∞ rispettivamente a u1 (x) e a u3 (x) in (4.6), allora non si pone il problema della normalizzabilità a ±∞ e per la presenza dei due soli coefficienti C, D in u(x), è sufficiente imporre solo la continuità della funzione d’onda in ±L/2. Imponendo che nel sistema dato dalle equazioni u(−L/2) = u(L/2) = 0 il determinante dei coefficienti di C, D sia uguale a zero, si ricava che tale sistema è equivalente alle due equazioni separate # "√ # "√ 2mE L 2mE L = 0, sin =0 (4.8) cos h̄ 2 h̄ 2 per discutere le quali introduciamo l’operatore P, detto operatore di parità, che agisce secondo la regola P ψ(x) = ψ(−x) CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 80 o in forma astratta sui ket P |xi = | − xi Nel caso della particella nel segmento, l’hamiltoniana è H=− h̄2 d2 2m dx2 come per la particella libera: la differenza fra i due casi è che all’hamiltoniana della particella nel segmento vanno aggiunte le condizioni al bordo u(−L/2) = u(L/2) = 0 che invece mancano per la particella libera. Sviluppando # " h̄2 ′′ h̄2 ′′ ψ (x) = − ψ (−x) P[Hψ(x)] = P − 2m 2m e H[P ψ(x)] = H ψ(−x) = − h̄2 d h̄2 ′′ h̄2 d2 ψ(−x) = − [−ψ(−x)] = − ψ (−x) 2m dx2 2m dx 2m si conclude, per confronto, che l’operatore di parità P commuta con H, cioè [P, H] = 0. Dimostriamo che l’operatore di parità P è anche un operatore hermitiano: si ha infatti Z L/2 −L/2 φ∗ (x)[Pψ(x)] dx = = Z L/2 −L/2 ∗ Z L/2 −L/2 φ∗ (x) ψ(−x) dx = − φ (−y) ψ(y) dy = Z L/2 −L/2 Z −L/2 L/2 φ∗ (−y) ψ(y) dy = [Pφ∗ (x)] ψ(x) dx Poiché dunque l’operatore P è hermitiano e commuta con H, si ha che le autofunzioni di H coincidono con quelle di P. Applicando l’operatore P ad ambo i membri dell’equazione secolare di P stesso, si ottiene P [P ψλ (x)] = λP ψλ (x) ovvero, sviluppando primo e secondo membro ψλ (x) = λ[λψλ (x)] = λ2 ψλ (x) Dal confronto fra primo e terzo membro di quest’ultima uguaglianza, si deduce che gli autovalori di P sono i valori λ = ±1 (essendo ψλ (x) 6= 0). Dall’equazione secolare P ψλ (x) = ±ψλ (x), riscritta nella forma ψλ (−x) = ±ψλ (x) 4.3. POTENZIALI COSTANTI A TRATTI 81 si conclude che le classi delle autofunzioni di P, e dunque anche di H, sono la classe delle funzioni pari (corrispondenti all’autovalore λ = 1) e la classe delle funzioni dispari (corrispondenti all’autovalore λ = −1). Tornando ora alla particella nel segmento [−L/2 , L/2], simmetrico rispetto a x = 0, abbiamo che le autofunzioni pari e dispari discendono rispettivamente dalla prima e dalla seconda equazione (4.8). La soluzione della prima equazione delle (4.8) è data dalla relazione √ 2mE L π = (2n + 1) , con n ∈ N h̄ 2 2 da cui segue, indicando con up (x) le autofunzioni pari h̄2 π 2 (2n + 1)2 E= 2mL2 e " # (2n + 1) π up (x) = A cos x L La soluzione della seconda equazione delle (4.8) è data dalla relazione √ 2mE L = nπ, con n ∈ N h̄ 2 da cui segue, indicando con ud (x) le autofunzioni dispari h̄2 π 2 2nπ E= (2n)2 e ud (x) = B sin x 2 2mL L Sia per le autofunzioni pari che per quelle dispari, non occorrono i valori interi negativi perché il coseno e il seno rimangono inalterati o al più cambiano il segno quando cambia il segno del loro argomento. Se il segmento fosse [0, L] (e non il simmetrico [−L/2 , L/2]), allora alla soluzione # "√ # "√ 2mE 2mE x + B sin x u(x) = A cos h̄ h̄ dell’equazione (4.7) si aggiungono le condizioni al bordo u(0) = u(L) = 0 che conducono al sistema √ 2mE A=0 e L = nπ h̄ Otteniamo infine dunque h̄2 π 2 n2 E= 2mL2 e u(x) = s nπ 2 sin x L L dove il coefficiente B della funzione seno è stato scelto in modo tale che u(x) sia reale e valga la condizione di normalizzazione Z 0 L |u(x)|2 dx = 1 82 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 4.4 L’oscillatore armonico in una dimensione L’hamiltoniana dell’oscillatore armonico classico è data dall’espressione H(p, q) = mω 2 x2 p2 + 2m 2 da cui discendono le equazioni di Hamilton ẋ = ∂H p = ∂p m ṗ = − ∂H = −mω 2 x ∂q Trasformando l’hamiltoniana classica in operatore hermitiano, si ottiene l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo dell’oscillatore armonico quantistico ! mω 2 x2 h̄2 d2 ψ(x) = Eψ(x) + − 2m dx2 2 Per ottenere gli autovalori E e le autofunzioni ψ(x) non risolviamo però direttamente questa equazione differenziale, ma utilizziamo il metodo algebrico di Dirac. A tale scopo definiamo gli operatori a := r mω 2h̄ ip x+ , mω + a := r mω 2h̄ ip x− mω (4.9) e calcoliamone il commutatore usando la regola di quantizzazione [x, p] = ih̄ [a, a+ ] = mω i 2i i mω − − [x, p] + [p, x] = [x, p] = 1 2h̄ mω mω 2h̄ mω Osserviamo che l’operatore a+ a è hermitiano perché si ha (a+ a)+ = a+ a ed è semidefinito positivo perché per ogni stato |ψi si ha hψ|a+ a|ψi = | a|ψi|2 ≥ 0. Un operatore semidefinito positivo ha autovalori tutti non negativi perché sui suoi autostati |λi si ha hλ|a+ a|λi = λ ≥ 0. Dall’espressione dell’operatore a+ a che è mω a+ a = 2h̄ ip x− mω 1 = h̄ω ip x+ mω ! p2 i x2 + 2 2 + [x, p] = mω mω mω = 2h̄ p2 mω 2 x2 + 2m 2 ! − 1 H 1 = − 2 h̄ω 2 ricaviamo l’espressione dell’hamiltoniana in termini di tale operatore 1 H = h̄ω a a + 2 + 4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 83 in modo che gli autovettori di H coincidano con quelli di a+ a. Il calcolo degli autovettori di H è dunque ricondotto al calcolo degli autovettori dell’operatore a+ a, ovvero alla soluzione dell’equazione secolare a+ a|λi = λ|λi. Per risolvere l’equazione secolare di a+ a, calcoliamo il commutatore [a+ a, a] = a+ aa − aa+ a = a+ aa − (1 + a+ a) a = − a da cui, considerando l’aggiunto nel primo e nell’ultimo membro, ricaviamo anche − a+ = [a+ a, a]+ = [(a+ a)a]+ − [a(a+ a)]+ = a+ (a+ a) − (a+ a)a+ = −[a+ a, a+ ] ovvero, uguagliando primo e ultimo membro, [a+ a, a+ ] = a+ . A questo punto dimostriamo che se |λi è autovettore di a+ a con autovalore λ, allora il vettore a+ |λi è ancora autovettore di a+ a con autovalore λ + 1 e il vettore a|λi è ancora autovettore di a+ a con autovalore λ − 1. Abbiamo infatti, utilizzando le regole di commutazione di a+ a con a e con a+ (a+ a) (a+ |λi) = [a+ a, a+ ]|λi + a+ (a+ a)|λi = = a+ |λi + λ a+ |λi = (λ + 1) (a+ |λi) e analogamente (a+ a) (a|λi) = [a+ a, a]|λi + a(a+ a)|λi = = − a|λi + λ a|λi = (λ − 1) (a|λi) Poiché dunque a+ |λi e a|λi sono ancora autovettori di a+ a con autovalori rispettivamente λ + 1 e λ − 1, poniamo a+ |λi = c1 |λ + 1i a|λi = c2 |λ − 1i e chiamiamo gli operatori a+ e a rispettivamente operatori di creazione e di annichilazione perché a+ crea un salto di una unità verso l’alto e a crea un salto di una unità verso il basso negli autovettori di a+ a e dunque dell’energia H. Poiché, come detto, l’operatore a+ a possiede autovalori non negativi, allora deve esistere un autovettore |λ0 i di a+ a, detto stato fondamentale o vuoto, corrispondente all’autovalore λ = 0, cioè tale che valga a+ a|λ0 i = 0|λ0 i = 0 e identifichiamo quindi |λ0 i = |0i. Per quanto riguarda l’azione dell’operatore a, se non valesse anche a|λ0 i = a|0i = 0, allora si avrebbe che il vettore a|0i è autovettore dell’operatore a+ a con autovalore λ = −1, che è assurdo. Essendo dunque gli autovalori di a+ a numeri interi non negativi λ ∈ Z con λ ≥ 0, non resta che dimostrare che lo spettro di a+ a è illimitato superiormente. 84 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER Se esistesse un autovettore |λm i di a+ a con autovalore massimo λm , cioè tale che valga a+ |λm i = 0, allora arriveremmo al risultato assurdo che un valor medio dell’operatore a+ a deve essere negativo, come si ricava confrontando primo e ultimo membro della seguente uguaglianza 0 = hλm |aa+ |λm i = hλm |[a, a+ ]|λm i + hλm |a+ a|λm i = 1 + hλm |a+ a|λm i Quindi ogni autovettore |λi di a+ a relativo all’autovalore λ è tale che sotto azione dell’operatore a+ esso si trasforma nell’autovettore di a+ a con autovalore λ + 1 senza che ci sia limite superiore all’insieme degli autovalori. Concludiamo pertanto che lo spettro di a+ a è non degenere ed è costituito da tutti e soli gli interi n ≥ 0 a cui corrispondono biunivocamente gli autovettori, indicati con il simbolo |ni, che assumeremo verificare la relazione di ortonormalità hn|mi = δnm e che per n > 0 chiameremo stati eccitati. Essendo interi non negativi gli autovalori dell’operatore a+ a, ridenominiamo a+ a operatore numero di occupazione e riscriviamo allora l’equazione secolare di a+ a nella forma a+ a|ni = n|ni. Poiché l’operatore hamiltoniano H è funzione di a+ a, allora gli autovettori di H sono gli stessi autovettori |n > dell’operatore a+ a, da cui segue che l’equazione secolare di H si scrive nella forma H|ni = En |ni con spettro dato da En = h̄ω n + 1 2 Calcoliamo ora l’azione esatta degli operatori a+ e a sugli autovettori |ni in modo che anche gli autovettori a+ |ni e a|ni siano ancora autovettori normalizzati. Ponendo a|ni = c− |n − 1i, si ha |c− |2 = |c− |2 hn − 1|n − 1i = hn|a+ a|ni = n hn|ni = n √ da cui ricaviamo il valore del coefficiente c− = n. Ponendo a+ |ni = c+ |n + 1i, con |c+ |2 = |c+ |2 hn + 1|n + 1i = hn|aa+ |ni, si ha analogamente |c+ |2 = hn|aa+ |ni = hn|[a, a+ ]|ni + hn|a+ a|ni = 1 + n √ da cui ricaviamo il valore del coefficiente c+ = n + 1. Abbiamo allora le uguaglianze fra autovettori normalizzati date da a+ |ni |n + 1i = √ n+1 e a|ni |n − 1i = √ n da cui per induzione segue che applicando n volte l’oeratore a+ allo stato fondamentale, si ricava l’autovettore (a+ )n |0i |ni = q (n)! 4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 85 Per ottenere le componenti degli autovettori |ni sulla base degli autostati della posizione, ovvero le autofuzioni dell’oscillatore armonico, e quindi per sapere se lo spettro è degenere o meno, risolviamo l’equazione differenziale hx|a|0i = 0 che, utilizzando l’espressione di a e ponendo hx|0i = ψ0 (x), assume la forma 0 = hx|mωx + ip|0i = mωxhx|0i + h̄ d d hx|0i = mωxψ0 (x) + h̄ ψ0 (x) dx dx da cui segue la soluzione r mω − mωx2 e 2h̄ πh̄ in cui la costante di integrazione è stata determinata imponendo che valga la condizione di normalizzazione probabilistica hx|0i = ψ0 (x) = Z +∞ −∞ 4 |ψ0 (x)|2 dx = 1 Dall’unicità della soluzione del problema differenziale hx|mωx + ip|0i = 0, concludiamo dunque che lo spettro dell’oscillatore armonico è non degenere. Per ottenere infine gli stati eccitati, si applica n volte l’operatore a+ : ad esempio per ottenere il primo stato eccitato eseguiamo ! r mω h̄ d ψ1 (x) = hx|1i = hx|a |0i = hx| x− |0i = 2h̄ mω dx + r s ! r 3 3 2 mωx2 mω 4 mω h̄ d 4 4m ω − mωx 2h̄ = x− e− 2h̄ = 3 xe 2h̄ πh̄ mω dx πh̄ e si verifica facilmente che tale stato è già normalizzato perché si ha Z +∞ −∞ |ψ1 (x)|2 dx = s 4m3 ω 3 πh̄3 In generale, se si pone Z +∞ −∞ x2 e− mωx2 h̄ dx = 1 r mω x h̄ allora le autofunzioni ψn (x) dell’oscillatore armonico unidimensionale sono date dall’espressione √ 4 mω 2 √ Hn (ξ) e−ξ /2 ψn (x) = √ 4 n h̄π 2 n! dove n 2 d 2 Hn (ξ) := (−1)n eξ e−ξ n dξ rappresenta quello che viene denominato polinomio di Hermite di grado n, che per i valori n = 0, 1, 2, 3 assume la forma ξ := H0 (ξ) = 1, H1 (ξ) = 2ξ, H2 (ξ) = 4ξ 2 − 2, H3 (ξ) = 8ξ 3 − 12ξ 86 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 4.4.1 Rappresentazione matriciale degli operatori Dato uno spazio vettoriale V e una sua base {e1 , e2 , e3 , ..., ek }, si ha che la matrice A che rappresenta un operatore lineare à : V −→ V relativamente alla fissata base assume la forma A = (aij ), avendo definito l’azione dell’operatore lineare à sui vettori di base come à ej = X aij ei (4.10) i In altre parole la j-esima colonna della matrice A contiene i coefficienti della combinazione lineare dei vettori di base che esprime il trasformato, mediante Ã, del j-esimo vettore di base. Invertendo le relazioni (4.9), si ottengono le espressioni degli operatori x= s h̄ (a+ + a) 2mω e p=i s h̄mω + (a − a) 2 la cui azione sui vettori {|ni} di base è data da x |ni = s e p |ni = i √ h̄ √ ( n + 1 |n + 1i + n |n − 1i) 2mω s √ h̄mω √ ( n + 1 |n + 1i − n |n − 1i) 2 In virtù della (4.10) segue allora che le matrici, indicate ancora con x e p, che rappresentano nella base {|ni} gli operatori lineari x e p assumono la forma x= p=i s s h̄ 2mω h̄mω 2 √ 1 √0 0 ··· 0 √ 1 √0 2 √0 · · · 0 2 √0 3 ··· 3 0 ··· 0 0 .. .. .. .. . . . . . . . √ 1 0 0 0 − √ √ 1 √0 − 2 0 √ 2 0 − 3 0 √ 3 0 0 0 .. .. .. .. . . . . ··· ··· ··· ··· .. . 4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 87 Dalle matrici di x e p ricaviamo quindi la matrice H dell’operatore hamiltoniano 2 H= 2 2 p mω x + = h̄ω 2m 2 1/2 0 0 0 ··· 0 3/2 0 0 ··· 0 0 5/2 0 · · · 0 0 0 7/2 · · · .. .. .. .. .. . . . . . che poteva essere ricavata ovviamente anche dall’azione stessa di H sui vettori {|ni} H |ni = n + 1 2 h̄ω |ni 4.4.2 Oscillatore armonico asimmetrico Se il potenziale V (x) di una particella in dimensione 1 fosse quello che si chiama potenziale armonico asimmetrico V (x) = 1 2 mω 2 x2 +∞ per x≥0 per x<0 ovvero fosse un potenziale armonico soltanto sulle x positive, allora la funzione d’onda totale ψ(x), in base alle considerazioni qualitative illustrate in precedenza, deve annullarsi in x = 0 in modo che la parte di funzione d’onda definita sulle x positive possa raccordarsi in x = 0 con la parte identicamente nulla di funzione d’onda definita sulla semiretta delle x < 0. Possiamo quindi ottenere le autofunzioni ψ(x) dell’oscillatore armonico asimmetrico selezionando tra le autofunzioni u(x) dell’oscillatore armonico simmetrico soltanto quelle che si annullano in x = 0. Pertanto i livelli di energia dell’oscillatore armonico asimmetrico coincidono con i livelli del corrispondente oscillatore armonico simmetrico aventi indice n dispari. 4.4.3 L’oscillatore armonico isotropo in due dimensioni L’oscillatore armonico in due dimensioni si dice isotropo quando le due costanti elastiche k1 e k2 relative ai due assi cartesiani sono uguali, ovvero se vale k1 = k2 . Da questa uguaglianza segue che l’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotropo si può scrivere nella forma H = Hx + Hy (cioè con le variabili separate) data da p2x + p2y mω 2 2 H= + (x + y 2) = 2m 2 mω 2 x2 p2x + 2m 2 ! p2y mω 2 y 2 + + 2m 2 ! 88 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER Per risolvere l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale, data da HΨ(x, y) = E Ψ(x, y), sostituiamo in essa l’espressione della funzione d’onda Ψ(x, y) scritta nella forma separata in cui essa sia il prodotto di tre funzioni di una sola variabile Ψ(x, y) := φ(x) χ(y). Con tale sostituzione l’equazione di Schrödinger diventa (Hx + Hy ) φ(x) χ(y) = E φ(x) χ(y) ovvero χ(y) Hx φ(x) + φ(x) Hy χ(y) = E φ(x) χ(y) da cui, dividendo ambo i membri per Ψ, segue Hx φ(x) Hy χ(y) + =E φ(x) χ(y) (4.11) Poiché i due addendi al primo membro nella (4.11) dipendono ciascuno da una sola variabile, allora tutti e due debbono essere necessariamente uguali ad una costante, cioè possiamo porre Hx φ(x) Hy χ(y) = Ex , = Ey φ(x) χ(y) che sono due equazioni di Schrödinger indipendenti dal tempo di oscillatore armonico unidimensionale relative ciascuna al corrispondente asse cartesiano. Utilizzando allora la soluzione del problema dell’oscillatore armonico unidimensionale, otteniamo dalla (4.11) gli autovalori E = En dell’oscillatore armonico isotropo in due dimensioni En = Ex,nx + Ey,ny = h̄ω (nx + ny + 1) = h̄ω (n + 1) dove si è posto n := nx + ny e quindi le corrispondenti autofunzioni che possiamo rappresentare con la notazione di Dirac |Ψn i = |nx , ny i oppure mediante prodotto di autofunzioni unidimensionali separate Ψn (x, y) = φnx (x) χny (y). Poiché, come si verifica immediatamente contando gli autostati, la degenerazione, indicata con dn , del livello di energia En è pari a dn = n + 1, allora per poter individuare univocamente un autostato relativo all’autovalore En , occorre considerare l’insieme completo I di operatori che commutano fra loro e con l’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale per selezionare, quindi, nel sottospazio di degenerazione quell’autovettore corrispondente all’autovalore En che sia autovettore anche di tutti gli altri operatori dell’insieme I. Si dimostra immediatamente che l’operatore lineare Lz := xpy − ypx , coincidente con quella che più avanti risulterà essere la terza componente del momento angolare orbitale L, commuta con l’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale: allora per rimuovere la degenerazione nell’autospazio corrispondente all’autovalore En ed individuare dunque un autostato univoco, basta aggiungere la condizione che 4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 89 in tale autostato una misura dell’osservabile Lz dia come risultato uno degli autovalori dell’operatore lineare corrispondente Lz . La restrizione di Lz all’autospazio relativo all’autovalore En è un endomorfismo avente per autovalori i multipli di h̄ secondo tutti gli n + 1 numeri interi m che hanno la stessa parità di n e tali che valga −n ≤ m ≤ n: poiché lo spettro di Lz è non degenere e i suoi autospazi sono tanti quanti è la dimensione dn dell’autospazio corrispondente all’autovalore En , allora la richiesta che uno stato sia autostato simultaneo dell’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale e di Lz rimuove la degenerazione dell’autovalore En . Illustriamo la procedura con cui si rimuove tale degenerazione attraverso i due seguenti esempi: la degenerazione di E1 e la degenerazione di E2 . Il livello di energia E1 possiede i due autostati degeneri normalizzati dati da |1, 0i, |0, 1i e quindi abbiamo che la sola conoscenza dell’energia E1 non permette di individuare in maniera univoca l’autostato dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale che abbia appunto la data energia E1 . Nella base {|1, 0i, |0, 1i} dell’autospazio corrispondente a E1 l’azione dell’operatore lineare Lz è data da ( Lz |1, 0i = ih̄|0, 1i Lz |0, 1i = −ih̄|1, 0i da cui, in virtù della (4.10), si ricava la rappresentazione matriciale di Lz data da Lz = 0 −ih̄ ih̄ 0 ! Gli autovalori della matrice Lz sono h̄, −h̄, cioè i multipli di h̄ secondo i due numeri interi m che hanno la stessa parità dell’1 e tali che valga −1 ≤ m ≤ 1: segue che tali numeri m sono appunto 1, −1. Gli autostati normalizzati di Lz , indicati con |η1 i, |η−1 i, sono 1 |η1 i = √ (i |1, 0i − |0, 1i), 2 1 |η−1 i = √ (i |1, 0i + |0, 1i) 2 corrispondenti agli autovalori rispettivamente h̄, −h̄. La richiesta, dunque, che gli autostati dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale relativi all’autovalore E1 siano anche simultaneamente autostati di Lz ci permette di rimuovere la degenerazione di E1 perché nel suo autospazio seleziona le due combinazioni lineari |η1 i, |η−1 i. Il livello di energia E2 possiede i tre autostati degeneri normalizzati dati da |2, 0i, |1, 1i, |0, 2i CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 90 e quindi abbiamo che la sola conoscenza dell’energia E2 non permette di individuare in maniera univoca l’autostato dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale che abbia appunto la data energia E2 . Nella base {|2, 0i, |1, 1i, |0, 2i} dell’autospazio corrispondente a E2 l’azione dell’operatore lineare Lz è data da √ L |2, 0i = ih̄ z √2 |1, 1i Lz |1, 1i = ih̄ √ 2 (|0, 2i − |2, 0i) Lz |0, 2i = −ih̄ 2 |1, 1i da cui, in virtù della (4.10), si ricava la rappresentazione matriciale di Lz data da √ 0√ 0√ −ih̄ 2 Lz = ih̄ 2 0√ −ih̄ 2 0 ih̄ 2 0 Gli autovalori della matrice Lz sono 2h̄, 0, −2h̄, cioè i multipli di h̄ secondo i tre numeri interi m che hanno la stessa parità del 2 e tali che valga −2 ≤ m ≤ 2: segue che tali numeri m sono appunto 2, 0, −2. Gli autostati normalizzati di Lz , indicati con |η2 i, |η0 i, |η−2 i, sono |η2 i = √ 1 (|2, 0i + ih̄ 2 |1, 1i − |0, 2i), 2 1 |η0 i = √ (|2, 0i + |0, 2i), 2 √ 1 (|2, 0i − ih̄ 2 |1, 1i − |0, 2i) 2 corrispondenti agli autovalori rispettivamente 2h̄, 0, −2h̄. La richiesta, dunque, che gli autostati dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale relativi all’autovalore E2 siano anche simultaneamente autostati di Lz ci permette di rimuovere la degenerazione di E2 perché nel suo autospazio seleziona le tre combinazioni lineari |η2 i, |η0 i, |η−2 i. |η−2 i = 4.4.4 Livelli di Landau La dinamica di una particella carica immersa in un campo elettromagnetico è descritta da un’equazione di Newton in cui la risultante delle forze è la forza di Lorentz. L’hamiltoniana 2 e 1 p − A + e Φ(r) (4.12) H= 2m c con r = (x1 , x2 , x3 ), è quella che attraverso le seguenti equazioni di Hamilton ẋi = 1 ∂H = ∂pi m pi − e Ai c (4.13) 4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 91 ∂H e ∂Φ 1 e ∂Aj pj − Aj = −e + (4.14) ∂xi ∂xi m c c ∂xi riproduce la giusta equazione di Newton in cui la forza coincide con la forza di Lorentz. Infatti dalla (4.13) segue e mẋi + Ai = pi c che, sostituito nella (4.14) con l’indice opportunamente adattato, fornisce l’equazione ṗi = − ṗi = −e ∂Φ e ∂Aj + ẋj ∂xi c ∂xi (4.15) Derivando rispetto al tempo la (4.13) e utilizzando quindi la (4.15) per ṗi , otteniamo e mẍi + c ∂Ai ∂Ai ẋj + ∂t ∂xj ! = ṗi = −e ∂Φ e ∂Aj + ẋj ∂xi c ∂xi da cui, eliminando ṗi , segue l’equazione finale ∂Φ e ∂Ai e − + ẋj mẍi = −e ∂xi c ∂t c ∂Ai ∂Aj − ∂xi ∂xj ! che è un’equazione di Newton il cui secondo membro coincide appunto con la componente i-esima della forza di Lorentz e ~ i Fi = eEi + (~v × B) c Se vogliamo ottenere un campo magnetico costante e orientato secondo l’asse z, rappresentato cioè nella forma B = (0, 0, B), allora il potenziale vettore da cui scaturisce tale campo magnetico può avere la forma A = (−By, 0, 0), come si verifica immediatamente calcolando il suo rotore. Ovviamente tale scelta del potenziale vettore non è unica perché con una trasformazione di gauge, si può sempre trovare un altro potenziale vettore che dia luogo al medesimo campo magnetico: si verifica immediatamente che i due potenziali vettori A = (−By, 0, 0) e A = (−By/2, Bx/2, 0) conducono allo stesso campo magnetico. Considerando, per semplicità, nullo il potenziale scalare Φ(r), l’hamiltoniana (4.12) assume allora la forma 1 H= 2m e px + By c 2 + p2y p2 + z 2m 2m In virtù dell’equazione di Heisenberg, si ha che px e pz si conservano in quanto operatori che commutano con H. Per l’equazione H |ψi = E |ψi Landau propose come soluzione la funzione d’onda i ψ = e h̄ (px x+pz z) χ(y) 92 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER Inserendo tale funzione d’onda nell’equazione secolare di H, si ottiene l’equazione differenziale # " 1 p2z 2 2 ′′ (4.16) − mωL (y − y0 ) χ(y) = 0 χ (y) + E − 2m 2 dove la frequenza di Larmor ωL e y0 sono stati definiti come ωL := eB mc y0 := − e cpx eB Come si vede, l’equazione (4.16) è l’equazione di un oscillatore armonico con i livelli energetici e l’argomento delle autofunzioni traslati: si ha dunque En = h̄ωL 1 p2 n+ + z 2 2m Quindi in meccanica quantistica il moto di una particella carica in campo magnetico ha livelli discreti, denominati livelli di Landau; in altre parole, è come se il campo magnetico vincolasse il moto di tale particella ad appartenere a livelli quantizzati. Questi livelli sono infinitamente degeneri perché per ogni livello vi sono infiniti valori di px . Per rimuovere tale degenerazione, si può porre la particella in una scatola perché, come abbbiamo visto, mentre la particella libera ha spettro continuo, la particella confinata in un segmento possiede spettro quantizzato attraverso le condizioni al bordo del segmento. Capitolo 5 Formulazione mediante integrali di cammino Dato un operatore lineare A in una base {|ni}, vale a dire rappresentato da una matrice avente elementi hn|A|mi, si ha, come dimostrato in precedenza, che A è l’unico operatore avente tali elementi di matrice. Consideriamo allora l’operatore H A = e−i h̄ t di evoluzione temporale e scegliamo come base quella degli autostati della posizione da cui seguono gli elementi di matrice H hy|e−i h̄ t |xi il cui modulo quadrato rappresenta la probabilità che una particella, localizzata inizialmente in x, si trovi nella posizione y al tempo t. Gli stati |xi e |yi non sono normalizzati e l’impossibilità di normalizzarli è dovuta al fatto che non si può costruire uno stato esattamente localizzato in x ∈ R (con infinite cifre irrazionali). Allora le probabilità sono probabilità relative, ovvero probabilità che la particella si trovi in y relativa alla probabilità che essa si trovi in un’altra regione. Abbiamo allora −i ψ(y, t) = hy|ψ, ti = hy|e = con Z R H h̄ t |ψi = Z H R dx hy|e−i h̄ t |xihx|ψi = dx K(y, x; t) ψ0 (x) H K(y, x; t) = hy|e−i h̄ t |xi 93 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO 94 Sviluppiamo allora K(y, x; t) = X n H hy|e−i h̄ t |En ihEn |xi = X = e−i En h̄ n t X e−i En h̄ t n hy|En ihEn |xi = ψEn (y) ψE∗ n (x) La trasformata di Fourier del nucleo di Feynman K(y, x; t) sarà allora 1 F (y, x; ω) = 2π Z iωt e Z En 1 X ∗ K(y, x; t) dt = ψEn (y) ψEn (x) ei(ω− h̄ ) t dt = 2π n = X n En h̄ ψEn (y) ψE∗ n (x) δ ω − (5.1) La conoscenza dunque di K(y, x; y) fornisce la soluzione completa del problema quantistico perché dall’uguaglianza fra primo e ultimo membro della (5.1) si ricavano gli autovalori En e le autofunzioni ψn (x). Il problema da risolvere consiste dunque nel calcolare H K(y, x; t) = hy|e−i h̄ t |xi e a tale scopo allora consideriamo n sottointervalli di ampiezza ∆ = t/n dell’intervallo di tempo (0, t). Possiamo scrivere in tal modo volte n −i hy|e = Z H h̄ t |xi = hy|e(−i H t h̄ n z ) n |xi = hy| e−i Hh̄ t n −i e H }| H t h̄ n −i ··· e { H t h̄ n H |xi = H dx1 dx2 · · · dxn−1 hy|e−i h̄ ∆ |xn−1 ihxn−1 |e−i h̄ ∆ |xn−2 ihxn−2 |e−i h̄ H H · · · e−i h̄ ∆ |x1 ihx1 |e−i h̄ ∆ |xi ∆ ··· (5.2) dove l’indice dei dxi va da 1 a n − 1 perché l’intervallo (0, t) con n sottointervalli possiede appunto n − 1 punti di separazione. Per n grande, approssimiamo H e−i h̄ ∆ ≈I−i H ∆ h̄ e calcoliamo l’elemento di matrice fra xi e xi+1 (cioè fra due punti di separazione consecutivi) −i hxi+1 |e H h̄ ∆ |xi i = xi+1 I H − i ∆ xi = h̄ Z dpi xi+1 I H − i ∆ pi hpi |xi i = h̄ 95 = = = Z = Z dpi Z dpi hxi+1 |pi i − " " hxi+1 |pi i − i∆ h̄ " " = = = # (i∆) H(pi , xi+1 ) hxi+1 |pi i − hxi+1 |pi i hpi |xi i = h̄ dpi Z * i∆ i∆ p2i hxi+1 |pii − V (xi )hxi+1 |pii hpi |xi i = h̄ 2m h̄ hxi+1 |pii − Z i∆ hxi+1 |H|pii hpi |xi i = h̄ ! +# p̃2 xi+1 + V (x̃) pi hpi |xi i = 2m + * # p̃2 i∆ p − xi+1 hxi+1 |V (x̃)|pi i hpi |xi i 2m i h̄ # i∆ hxi+1 |pii − h̄ dpi dpi = Z dpi Z " (i∆) H(pi , xi+1 ) 1− h̄ dpi 2πh̄ " # hxi+1 |pi i hpi|xi i = (i∆) H(pi , xi+1 ) 1− h̄ # ei pi (xi+1 −xi ) h̄ = Z dpi −i∆H(pi ,xi+1 ) i pi (xi+1 −xi ) h̄ h̄ e (5.3) e 2πh̄ dove H(pi, xi+1 ) non è l’operatore hamiltoniano ma è la funzione hamiltoniana di pi e xi+1 perché risulta p2 H(pi , xi+1 ) = i + V (xi+1 ) 2m = H Se inseriamo nello sviluppo (5.2) il risultato (5.3) ricavato da hxi+1 |e−i h̄ ∆ |xi i, otteniamo H t H hy|e−i h̄ t |xi = hy|e(−i h̄ n ) n |xi = = = Z Z dx1 dx2 · · · dxn−1 dp1 dp2 · · · dpn−1 e (2πh̄)n−1 dx1 dx2 · · · dxn−1 dp1 dp2 · · · dpn−1 e (2πh̄)n−1 = Z i X [pi (xi+1 − xi ) − H(pi , xi+1 ) ∆] h̄ i = i X xi+1 − xi pi − H(pi , xi+1 ) ∆ h̄ i ∆ = dx1 dx2 · · · dxn−1 dp1 dp2 · · · dpn−1 (i/h̄) e (2πh̄)n−1 Z 0 t dt [pẋ − H(p, x)] (5.4) con p = p(t) e x = x(t). L’integrale all’esponente si calcola su un cammino x(t) e p(t) tali che p(t) non ha vincoli, mentre x(t) vale x in t = 0 e vale y in t. 96 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO Il ruolo dei differenziali iniziali dxi e dpi è quello di dare all’integrale complessivo il significato di somma di tutti i possibili risultati dell’esponenziale calcolato su tutti i possibili cammini x(t) e p(t). Mentre classicamente la traiettoria percorsa dalla particella è solo quella che minimizza l’azione, quantisticamente la particella visita tutti i cammini possibili che congiungono x a y. Questo aspetto è in accordo con il fatto che in meccanica quantistica esiste lo stato della particella in virtù del quale essa passa attraverso due fenditure contemporaneamente se le fenditure sono due, oppure attraverso le tre fenditure se esse sono tre, e così via. Quindi dire che per conoscere l’evoluzione temporale di uno stato occorre considerare infiniti cammini, equivale alla situazione per cui la particella passa contemporaneamente attraverso infinite fenditure, come la meccanica quantistica, in base ai propri principi, permette che avvenga. La meccanica classica si deve ottenere come limite della meccanica quantistica quando h̄ tende a zero. Dato allora un integrale del tipo Z eiλf (x) dx se λ tende a +∞ (situazione equivalente a h̄ che tende a zero), allora la fase dell’esponenziale varia molto rapidamente e tutte le oscillazioni forniscono in media area totale nulla con l’integrale. Se consideriamo invece il minimo della f (x) all’esponente, ovvero il punto in cui l’esponente varia di meno, allora si ha un integrale sostanzialmente diverso da zero. La meccanica classica è data dunque dal minimo dell’azione S= Z t2 t1 L(x, p) dt e tale minimo fornisce le equazioni del moto classiche. In meccanica quantistica si è ottenuto quindi, con x(0) = x, x(T ) = y e senza nessun vincolo per i cammini p(t), la relazione generale H hy|e−i h̄ t |xi = K(y, x; t) = Z δx δp e(i/h̄) Rt 0 [pẋ−H(x,p)] dt = Z iS δx δp e h̄ che rappresenta la soluzione esatta di qualunque problema quantistico, dove S rappresenta l’azione classica. Mentre in meccanica classica occorre di volta in volta risolvere le equazioni di Hamilton, sorprendentemente in meccanica quantistica si ha una formula fissa in base alla quale per risolvere un problema basta soltanto calcolare un integrale, l’integrale (5.4) (che comunque risulta di grande difficoltà in dimensione infinita). 5.1. INTEGRALI DI CAMMINO E FENOMENO DELL’INTERFERENZA 97 5.1 Integrali di cammino e fenomeno dell’interferenza Calcoliamo la parte in p, che è gaussiana, dell’integrale (5.4) esplicitato nella forma Z K(y, x; t) = x(T )=y (i/h̄) δx δp e x(0)=x R th i 2 p −V (x) dt pẋ− 2m 0 in cui si ha δ Z p2 pẋ − 2m ! Z p ẋ − m dt = δp dt = 0 p = mẋ per Definendo p(t) = mẋ(t) + p̄(t), si ha δp = δ p̄ da cui segue K(y, x; t) = = Z x(T )=y = Z x(T )=y x(0)=x x(0)=x Z x(T )=y δx δp e x(0)=x (i/h̄) δx δ p̄ e (i/h̄) δx e R th (i/h̄) R th 0 2 0 i 2 2 = p̄ −p̄ẋ−V (x) dt mẋ2 +p̄ẋ− m2ẋ − 2m R t h mẋ2 0 i 2 p pẋ− 2m −V (x) dt i −V (x) dt Z e−(i/h̄) Rt p̄2 0 2m dt = δ p̄ (5.5) L’integrale di dimensione infinita in δ p̄ sarà una funzione f (t) soltanto della variabile t a potrà essere inglobata nella definizione di δx in modo che rimanga da calcolare solo l’integrale in δx. Calcoliamo allora il propagatore della particella libera mediante l’integrale di cammino (5.5) in cui si ha V (x) = 0 K(y, x; t) = Z x(T )=y (i/h̄) δx̄ e x(0)=x Rt 0 mẋ2 2 dt′ in cui si è posto V (x) = 0 Se eseguiamo la variazione dell’esponente per determinarne il minimo, otteniamo δ Z 0 t Z t Z Z t mẋ2 ′ dt = m ẋ δ ẋdt′ = m ẋ δx|T0 − x′′ δxdt′ = m − x′′ δxdt′ = 0 2 0 0 per x′′ (t′ ) = 0, avendo utilizzato δx(0) = δx(T ) = 0. Ponendo allora y−x ′ ′ t + x + x̄(t′ ) con x(t ) = t x̄(0) = x̄(t) = 0 si ottiene, non confondendo t con t′ K(y, x; t) = Z x(T )=y x(0)=x δx̄ e(i/h̄) Rt 0 mẋ2 2 dt′ = Z x̄(t)=0 x̄(0)=0 2 im Z t y − x + x̄˙ t δx̄ e 2h̄ 0 dt′ = 98 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO im Z = δx̄ e 2h̄ = Z im δx̄ e 2h̄ Z t " y−x t 0 y−x t 2 2 + x̄˙ + 2 y−x t 2 Z im t 2 ′ im y ˙ t x̄ dt e 2h̄ 0 e h̄ # x̄˙ dt′ −x t = Z t 0 x̄˙ dt′ = im (y − x)2 2h̄t = h(t) e con h(t) funzione soltanto del tempo perché Z e im y − x t e h̄ Z 0 t x̄˙ dt′ im Z t 2 ′ x̄˙ dt δx̄ e 2h̄ 0 = h(t) im y − x t = e h̄ [x̄˙ (t) − x̄˙ (0)] dt′ = e0 = 1 Utilizziamo ora il propagatore della particella libera, coincidente con quello già ricavato in precedenza, per ritrovare le frange di interferenza nel passaggio della particella attraverso due fenditure F1 e F2 . Con riferimento alla seguente figura 5.1, consideriamo le fenditure come puntiformi in modo che siano solo due i cammini rilevanti; indichiamo con a il cammino P F1 Q e con b il cammino P F2 Q, dove P rappresenta la sorgente delle particelle e Q il punto in cui la particella incide sulla lastra L. x=0 F1 Q (x0 , y) P y=0 fig. 5.1 F2 L 5.2. EFFETTO AHARONOV-BOHM 99 Il propagatore della particella libera dalla sorgente al punto Q sulla lastra è dato allora dalla somma dei due termini relativi ai due cammini possibili a e b K(Q, P ; t) = e(i/h̄)S(a) + e(i/h̄)S(b) dove S(a) e S(b) sono l’azione classica calcolate rispettivamente lungo il cammino a e lungo il cammino b. Essendo la sorgente P equidistante dalle due fenditure, si ha l’uguaglianza e(i/h̄)S(P,F1 ) = e(i/h̄)S(P,F2 ) in virtù della quale cè una fase irrilevante (ai fini del quadrato del modulo) nell’espressione del propagatore K(Q, P ; t) che pertanto diventa " i h K(Q, P ; t) = eiφ e(i/h̄)S(F1 ,Q) + e(i/h̄)S(F2 ,Q) = eiφ e −→ im |F1 Q|2 2h̄t +e −→ im |F2 Q|2 2h̄t # La probabiltà P (Q) di rivelare la particella nella posizione Q è data dunque da P (Q) = im |F−1→Q|2 e 2h̄t +e −→ im |F2 Q|2 2h̄t 2 = 1 + 1 + 2 Re ( e −→ im |F1 Q|2 2h̄t − e −→ im |F2 Q|2 2h̄t ) = −→ m −→ 2 = 2 + 2 cos (|F1 Q| − |F2 Q|2 ) 2h̄t dove il termine con il coseno rappresenta le frange di interferenza. La formulazione di Feynmann della meccanica quantistica mediante integrali di cammino permette dunque di ritrovare più rapidamente il fenomeno fondamentale dell’interferenza, ma non getta nessuna luce nuova sul problema della riduzione del pacchetto d’onda (collasso di uno stato su di un autostato). Continua pertanto a non essere spiegato il motivo per cui l’interazione del sistema con un apparato di misura sembra non obbedire all’equazione di Schrödinger. 5.2 Effetto Aharonov-Bohm Consideriamo ora un solenoide infinito tale che al suo interno vi sia un campo magnetico rappresentato dal vettore B diverso da zero e all’esterno vi sia campo nullo. Verifichiamo che all’esterno del solenoide il potenziale vettore A è diverso da zero sebbene si abbia B = 0. Infatti si ha Z γ A · dl = Z Σ ∇ × A · n̂ dΣ = Z B · n̂ dΣ = ΦΣ (B) 6= 0 100 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO da cui discende che il potenziale vettore A è diverso dal vettore nullo. Quantisticamente con un esperimento di interferenza si può stabilire se nel solenoide circola o no corrente che genera un campo magnetico all’interno che altrimenti non è accessibile. Dato un solenoide S perpendicolare al foglio immerso nell’apparato di figura 5.2, vediamo che differenza c’è fra le frange di interferenza nei casi in cui il solenoide S è acceso o spento. Poiché la presenza delle due fenditure F1 e F2 rende possibili i due cammini α e β fra la sorgente 1 di elettroni e il punto 2 sulla lastra, allora analizziamo tale problema mediante il formalismo degli integrali di cammino. x=0 F1 cammino β 2 S 1 cammino α L F2 fig. 5.2 Per costruire l’integrale d’azione, occorre scrivere la lagrangiana associata all’hamiltoniana (4.12): eseguendo la trasformata di Legendre sulla (4.12) si ottiene la funzione lagrangiana 1 L(x, ẋ) = mẋ2 + eA · ẋ 2 da cui segue l’azione S= Z L(x, ẋ) dt = Z 1 mẋ2 dt + e 2 Z A · dx Utilizzando l’integrale di cammino, si ha Z δx e−iS/h̄ = Z = Z δx e(−i/h̄) −iS0 /h̄ δx e RT 0 1 2 mẋ2 dt (−ie/h̄) e R2 1 e(−ie/h̄) A·dx = R2 1 A·dx = 5.2. EFFETTO AHARONOV-BOHM = Z −iS0 (α)/h̄ δx e (−ie/h̄) e R2 1,α A·dx 101 Z + −iS0 (β)/h̄ δx e (−ie/h̄) e R2 1,β A·dx dove S0 (α) e S0 (β) sono la parte libera dell’azione dovuta soltanto al termine di energia cinetica (1/2) mẋ2 calcolata lungo il cammino α e il cammino β. Per avere l’interferenza, calcoliamo il quadrato del modulo Z 2 (ie/h̄) δx e−iS/h̄ = 1 + 1 + 2 Re eiS0 (α)/h̄ e = 2 + 2Re ( R2 (ie/h̄) (i/h̄) [S0 (α)−S0 (β)] e A·dx −iS0 (β)/h̄ e 1,α e hR 2 1,α A·dx− R2 1,β (−ie/h̄) e A·dx R2 1,β A·dx = i) Ora l’espressione Z 2 1,α Z A · dx − 2 1,β A · dx è un integrale di linea chiuso dal punto 1 al punto 2 (lungo il cammino α) e poi, cambiando segno al secondo integrale, dal punto 2 al punto 1 (lungo il cammino β). Quindi si ha Z 2 1,α = Z A · dx − γ A · dl = Z 2 1,β Z Σ A · dx = Z 2 1,α A · dx + ∇ × A · n̂ dΣ = Z Z 1 2,β A · dx = B · n̂ dΣ = ΦΣ (B) Dunque la variazione di fase ∆φ è pari a ∆φ = ∆φ0 + e ΦΣ (B) h̄ cioè allo spostamento delle frange di interferenza contribuisce non solo la parte libera dell’azione, ma anche il flusso di B attraverso una superficie avente bordo coincidente con una linea chiusa γ che avvolge il solenoide. Quindi sembra paradossale che, sebbene l’interno del solenoide sia inaccessibile, ci si possa poi accorgere con questo esperimento di ciò che accade al suo interno. Tale esperimento dimostra dunque che la meccanica quantistica basata sul funzionale d’azione richiede come grandezze fondamentali i potenziali A e Φ perché non si può scrivere un’azione con i campi E e B. La considerazione che rende l’effetto di Aharonov-Bohm meno paradossale è che durante l’intervallo di tempo di accensione del solenoide il campo magnetico passa dal valore nullo al valore massimo e nasce così un campo elettrico attraverso l’equazione di Maxwell ∇ × E = ∂B/∂t 102 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO In tal modo anche un osservatore classico con un rivelatore classico sente l’accensione del campo magnetico perchè osserva l’effetto esercitato su un elettrone da parte della forza dovuta al campo elettrico. Quando infine il campo magnetico B diventa costante pari al valore massimo, allora dall’equazione di Maxwell si ricava che il rotore del campo elettrico diventa nullo. Poiché la presenza di tale campo elettrico nell’intervallo di tempo precedente ha fatto variare l’energia all’esterno del solenoide e ha prodotto di conseguenza una modifica delle orbite quantizzate (discrete) da un livello ad un altro, allora rimane ugualmente memoria del campo elettrico in un intervallo di tempo precedente. Capitolo 6 Momento angolare In meccanica classica il momento angolare è un vettore, indicato con L definito come L = x × p, o con il formalismo delle componenti Li = εijk xi pk , avendo utilizzato la convenzione di Einstein sugli indici ripetuti e il simbolo εijk che vale zero se due indici sono uguali e ±1 a seconda che ijk sia una permutazione pari o dispari di 1, 2, 3. L’operatore quantistico L è allora hermitiano e le sue componenti sono L1 = x2 p3 − x3 p2 , L2 = x3 p1 − x1 p3 , L3 = x1 p2 − x2 p1 Abbiamo quindi le regole di commutazione fra componenti diverse del momento angolare [Li , Lj ] = ih̄εijk Lk delle quali dimostriamo soltanto la prima, essendo la dimostrazione delle altre due del tutto identica [L1 , L2 ] = (x2 p3 − x3 p2 )(x3 p1 − x1 p3 ) − (x3 p1 − x1 p3 )(x2 p3 − x3 p2 ) = = ih̄(x1 p2 − x2 p1 ) = ih̄L3 Definendo L2 = L21 + L22 + L23 , si hanno i commutatori [L2 , Li ] = 0 dei quali dimostriamo soltanto il terzo, essendo identica la dimostrazione degli altri due [L2 , L3 ] = [L21 + L22 + L23 , L3 ] = [L1 L1 , L3 ] + [L2 L2 , L3 ] = = L1 L1 L3 − L3 L1 L1 + L2 L2 L3 − L3 L2 L2 = = L1 (L3 L1 − ih̄L2 ) − L3 L1 L1 + L2 (L3 L2 + ih̄L1 ) − L3 L2 L2 = = L1 L3 L1 − L3 L1 L1 + L2 L3 L2 − L3 L2 L2 − ih̄[L1 , L2 ] = = [L1 , L3 ] L1 + [L2 , L3 ] L2 − ih̄[L1 , L2 ] = = −ih̄L2 L1 + ih̄L1 L2 − ih̄[L1 , L2 ] = ih̄[L1 , L2 ] − ih̄[L1 , L2 ] = 0 103 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 104 Scriviamo infine le due regole di commutazione [Li , xk ] = ih̄εikj xj e [Li , pk ] = ih̄εikj pj di cui dimostriamo soltanto la prima, essendo identica la dimostrazione della seconda [Li , xk ] = [εijh xj ph , xk ] = εijh (xj ph xk − xk xj ph ) = = εijh [xj (xk ph − ih̄δkh ) − xk xj ph ] = −ih̄εijh xj δkh = ih̄εikj xj Poiché non ci sono altri operatori non banali (cioè che non siano funzione di L3 ) che commutano con L3 , allora cerchiamo gli autovettori comuni dei due operatori che commutano L2 e L3 procedendo in modo astratto con il formalismo vettoriale di uno spazio di Hilbert. Scritte le equazioni secolari degli operatori L2 e L3 L2 |λ, mi = h̄2 λ |λ, mi e L3 |λ, mi = h̄m |λ, mi con λ e m numeri puri, poniamo Ki := Li /h̄ per avere le equazioni normalizzate (senza la costante h̄) nella forma K2 |λ, mi = λ |λ, mi e K3 |λ, mi = m |λ, mi Definendo i due operatori K+ e K− (che vengono denominati rispettivamente operatori di innalzamento e abbassamento) K+ := K1 + iK2 e K− := K1 − iK2 = (K+ )+ si ottengono i quadrati delle norme dei vettori K± |λ, mi hλ, m|K+ K− |λ, mi = hλ, m|(K2 − K32 + K3 )|λ, mi = λ − m2 + m ≥ 0 (6.1) hλ, m|K− K+ |λ, mi = hλ, m|(K2 − K32 − K3 )|λ, mi = λ − m2 − m ≥ 0 (6.2) Dall’algebra dei commutatori [K2 , K± ] = 0 , [K3 , K+ ] = K+ , [K3 , K− ] = −K− si ottengono infine le equazioni secolari K2 K± |λ, mi = λK± |λ, mi , K3 K+ |λ, mi = (m + 1) K+ |λ, mi , K3 K− |λ, mi = (m − 1) K− |λ, mi (6.3) che mostrano che i vettori K+ |λ, mi e K− |λ, mi sono ancora autoket di K2 relativi all’autovalore λ e autoket di K3 con autovalori rispettivamente m + 1 e m − 1. 105 Quindi gli operatori K+ e K− trasformano un autoket |λ, mi di K3 relativo all’autovalore m in un altro autoket di K3 relativo all’autovalore rispettivamente m + 1 e m − 1: per questo K+ e K− vengono denominati rispettivamente operatori di innalzamento e di abbassamento. Dalle disuguaglianze (6.1) e (6.2) si deduce che debbono esistere un valore massimo e un valore minimo per m oltre i quali tali disuguaglianze non valgono più. Quindi dopo un numero finito di applicazioni degli operatori K+ e K− all’autovettore |λ, mi, si dovrà ottenere l’autovalore zero in modo che, come si deduce dalla relazione (6.3), non si possano continuare ad applicare tali operatori. Avremo dunque K+ |λ, mmax i = 0 da cui segue λ − m2max − mmax = 0 e analogamente K− |λ, mmin i = 0 da cui segue λ − m2min + mmin = 0. Parametrizzando λ nella forma λ = l(l + 1), si ha allora l(l + 1) − mmax (mmax + 1) = 0 l(l + 1) − mmin (mmin − 1) = 0 e da cui discendono i valori massimo e minimo di m dati da mmax = l mmin = −l e A questo punto deve essere possibile poter passare dal valore minimo m = −l al valore massimo m = l con un numero intero di passi, aumentando quindi m di una unità ogni volta che si applica l’operatore K+ o l’operatore K− a seconda che si parta rispettivamente da m = −l o da m = l. Ma questo è possibile soltanto se l’ampiezza 2l dell’intervallo [−l, l] è un numero intero positivo n. Da n = 2l discende che l = n/2 è un numero intero se n è pari, è semintero se n è dispari. Abbiamo allora risolto il problema dello spettro del momento angolare e abbiamo scoperto che dato l intero o semintero positivo, ci sono 2l + 1 valori di m, ovvero la degenerazione di un certo valore l è 2l + 1. Dunque il valore l fissa l’autovalore di K2 che risulta essere λ = l(l + 1) e i valori di m compresi fra −l e l rappresentano gli autovalori di K3 . Utilizzando di nuovo gli operatori L2 e L3 con le relative dimensioni fisiche, abbiamo le equazioni secolari L2 |l, mi = h̄2 l(l + 1) |l, mi e L3 |l, mi = h̄ m |l, mi Riscrivendo le (6.1) e (6.2) nella forma hλ, m|L+ L− |l, mi = h̄2 [l(l + 1) − m(m − 1)] hλ, m|L− L+ |l, mi = h̄2 [l(l + 1) − m(m + 1)] otteniamo i coefficienti tali che i vettori L− |l, mi e L+ |l, mi siano di norma unitaria q L− |l, mi = h̄ l(l + 1) − m(m − 1) |l, m − 1i CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 106 L+ |l, mi = h̄ q l(l + 1) − m(m + 1) |l, m + 1i Utilizzando la (4.10), costruiamo ora le matrici che rappresentino i vari operatori del momento angolare nella base {|l, mi}, rispetto alla quale L2 e L3 sono diagonali. Se l = 0, allora c’è un solo valore di m che è m = 0: in questo caso non vi è degenerazione e indichiamo con |0, 0i il ket |l = 0, m = 0i che è l’unico autoket simultaneo di L2 e L3 . In questo caso la base {|l, mi} contiene l’unico elemento |0, 0i e le matrici di L2 , Li e L± sono costituite da un solo numero. Per l = 1/2 abbiamo i due valori m = ±1/2 e la base {|l, mi} contiene i due autostati simultanei di L2 e L3 1 1 , 2 2 Dalle relazioni 2 L 1 3 1 = h̄2 ,± 2 2 4 1 1 1 ,± 2 2 e , 1 ,− 2 2 L3 1 1 1 = ± h̄ ,± 2 2 2 1 1 1 1 L+ , − = , 2 2 2 2 1 1 1 1 L− , = ,− 1 L+ = 0, , 2 2 1 1 = 0, L− , − 2 2 si ottengono le matrici 2 2 3 L = h̄2 4 1 0 0 1 ! 1 L+ = h̄ 2 0 1 0 0 ! 2 1 2 1 2 ,± 1 2 2 , 1 L3 = h̄ 2 1 0 0 −1 , 1 L− = h̄ 2 0 0 1 0 ! ! Per gli operatori L1 e L2 , si ha L+ + L− 1 L1 = = h̄ 2 2 0 1 1 0 ! e L+ − L− 1 L2 = = h̄ 2i 2 0 −i i 0 ! Introducendo le tre matrici, dette matrici di Pauli, σ1 = 0 1 1 0 ! , σ2 = 0 −i i 0 ! , σ3 = 1 0 0 −1 ! abbiamo che per l = 1/2 le tre matrici che rappresentano le tre componenti del momento angolare sono 1 Lj = h̄σj 2 107 Le matrici di Pauli possiedono le seguenti proprietà σi2 = I , Tr σi = 0 , σh σk = iεhkj σj , [σh , σk ] = 2iεhkj σj Per concludere, nel caso l = 1 si hanno i tre valori m = 1, 0, −1 e i tre autoket simultanei di L2 e L3 |1, 1i , |1, 0i , |1, −1i che formano una base rispetto alla quale, in modo del tutto analogo al caso precedente, si determinano le matrici di L2 e Li . Per stabilire la molteplicità degli autovalori del momento angolare, dobbiamo procedere come per l’oscillatore armonico, ovvero dobbiamo analizzare il problema differenziale corrispondente all’equazione secolare del momento angolare. Quando il momento angolare è una grandezza conservata, il problema può essere studiato più facilmente se viene espresso nelle coordinate polari r, θ, φ definite come x = r sin θ cos φ y = r sin θ sin φ z = r cos θ con θ ∈ [0, π] , φ ∈ [0, 2π] le cui inverse sono r= q x2 + y2 + z2 , z θ = arccos r , φ = arctan y x In coordinate polari, le derivate parziali rispetto a x, y, z assumono la forma ∂ ∂r ∂ ∂θ ∂ ∂φ ∂ ∂ cos θ cos φ ∂ sin φ ∂ = + + = sin θ cos φ + − ∂x ∂x ∂r ∂x ∂θ ∂x ∂φ ∂r r ∂θ r sin θ ∂φ ∂r ∂ ∂θ ∂ ∂φ ∂ ∂ cos θ sin φ ∂ cos φ ∂ ∂ = + + = sin θ sin φ + + ∂y ∂y ∂r ∂y ∂θ ∂y ∂φ ∂r r ∂θ r sin θ ∂φ ∂r ∂ ∂θ ∂ ∂φ ∂ ∂ sin θ ∂ ∂ = + + = cos θ − ∂z ∂z ∂r ∂z ∂θ ∂z ∂φ ∂r r ∂θ da cui seguono le relazioni " ∂ ∂ −y L+ = L1 + iL2 = h̄ i z ∂y ∂z " ∂ ∂ L− = L1 − iL2 = h̄ i z −y ∂y ∂z L3 = −ih̄ ! ! # ∂ ∂ +z = h̄ eiφ −x ∂x ∂z # ∂ ∂ −z = h̄ e−iφ +x ∂x ∂z ∂ ∂ x −y ∂y ∂x ! = −ih̄ ∂ ∂φ ∂ i cos θ ∂ + ∂θ sin θ ∂φ ! i cos θ ∂ ∂ − sin θ ∂φ ∂θ ! CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 108 Dall’equazione secolare L3 |l, mi = h̄m |l, mi segue l’equazione differenziale −ih̄ ∂ ψ(r, θ, φ) = h̄m ψ(r, θ, φ) ∂φ la cui soluzione ψ(r, θ, φ) = F (r, θ) eimφ (6.4) rappresenta le autofunzioni di L3 e dunque anche di L2 Dalla condizione di periodicità che la soluzione ψ(r, θ, φ) deve soddisfare, si ottiene la relazione eimφ = eim(φ+2π) dalla quale deduciamo che la soluzione ψ(r, θ, φ) è periodica solo se l’autovalore m dell’operatore L3 è un numero intero. Quindi mentre il problema algebrico ci ha fornito per L2 ed L3 gli autovalori l e m entrambi interi o seminteri (con l non negativo), il problema differenziale ci seleziona solo i valori interi di m da cui segue che gli autostati simultanei di L2 ed L3 sono solo quelli corrispondenti ai valori interi di l e m. Dunque i valori seminteri di l sono abbinati agli autovalori di operatori non rappresentabili con l’espressione L = x × p. Allora il momento angolare L = x×p tale che L2 ed L3 hanno spettro dato da valori interi di l e m, viene denominato momento angolare orbitale; il momento angolare tale che L2 ed L3 hanno spettro dato da valori seminteri di l e m, non deriva dall’espressione classica L = x × p ed è denominato momento angolare di spin, o semplicemente spin. In particolare le matrici di Pauli non sono esprimibili come x × p. Dopo aver introdotto lo spin per recuperare la parte di spettro costituita da autovalori seminteri, osserviamo che, essendo i due tipi di momento angolare in ogni caso distinti, anche lo spin può avere valori interi. Dall’espressione di L2 data da L2 = L+ L− + L23 − h̄L3 = 2 iφ = h̄ e ∂ i cos θ ∂ + ∂θ sin θ ∂φ 2 = −h̄ !" −iφ e i cos θ ∂ ∂ − sin θ ∂φ ∂θ !# − h̄2 ∂2 cos θ ∂ 1 ∂2 + + ∂θ2 sin θ ∂θ sin2 θ ∂φ2 ∂2 ∂ + ih̄2 = 2 ∂φ ∂φ ! ricaviamo che in coordinate polari anche L2 è indipendente dalla coordinata r, da cui segue che le autofunzioni (6.4) di L2 e L3 possono essere riscritte nella forma separata di prodotto di funzioni di singola variabile ψ(r, θ, φ) = G(r) Alm (θ) eimφ 109 Dall’equazione L+ |l, li = 0 ricaviamo l’equazione differenziale ! ∂ i cos θ ∂ [All (θ) eilφ ] = 0 + ∂θ sin θ ∂φ iφ h̄ e la cui soluzione è All (θ) = h sinl θ con h costante di integrazione. L’autofunzione di L2 e L3 , corrispondente agli autovalori l, l e indicata con Yll (θ, φ), è data dunque dal prodotto separato di funzioni di singola variabile Yll (θ, φ) = All (θ) eilφ = h sinl θ eilφ e tutte le altre autofunzioni Ylm (θ, φ) di L2 e L3 , corrispondenti agli autovalori l, m, si ottengono applicando successivamente l’operatore di abbassamento L− finché non si giunge a L− Yl,−l (θ, φ) = 0. Poiché l’equazione differenziale che ci ha dato la soluzione All (θ) ha soluzione unica, concludiamo che non c’è degenerazione in l, ovvero non esistono due autofunzioni linearmente indipendenti di L2 corrispondenti al medesimo valore di l. Per la determinare il valore della costante h di integrazione, scegliamo la condizione di normalizzazione Z 2 |Ylm (θ, φ)| dΩ = Z ∗ (θ, φ) Ylm(θ, φ) sin θ dθ dφ = 1 Ylm Le autofunzioni Ylm (θ, φ) simultanee di L2 e L3 vengono denominate armoniche sferiche e intervengono in ogni problema a simmetria sferica. Per m ≥ 0 l’espressione generale delle armoniche sferiche è data da Ylm (θ, φ) = N (−1)m eimφ Plm (cos θ) e Yl,−m(θ, φ) = (−1)m Yl∗m (θ, φ) dove N è una costante positiva di normalizzazione e il simbolo Plm (u) rappresenta i cosiddetti polinomi associati di Legendre, già noti ai matematici prima della nascita della meccanica quantistica, i quali, a meno di una costante di normalizzazione, sono dati da Plm (u) 2 −m/2 = (1 − u ) d du !l−m (1 − u2 )l con m≥0 Se applichiamo l’operatore di parità, indicato con P, alle armoniche sferiche (cioè se invertiamo i tre assi cartesiani), otteniamo P Yl,m (θ, φ) = (−1)l Yl,m (θ, φ) CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 110 ovvero ricaviamo la proprietà per cui le armoniche sferiche possiedono la parità del numero quantico l. Riportiamo per comodità le armoniche sferiche corrispondenti ai valori l = 0, 1, 2 Y0,0 1 =√ , 4π Y1,1 = − s s 3 iφ e sin θ, 8π Y1,0 = s s 3 cos θ, 4π s 15 2iφ 15 iφ 5 Y2,2 = e sin2 θ, Y2,1 = − e sin θ cos θ, Y2,0 = (3 cos2 θ−1) 32π 8π 16π Talvolta comunque, come ad esempio per scrivere in coordinate polari l’equazione di Schrödinger di un atomo idrogenoide, può essere utile esprimere L2 in funzione di p e di r che sono rispettivamente il modulo dell’impulso p e della posizione r. Utilizzando la notazione (x, y, z) = (q1 , q2 , q3 ) e le relazioni pj qj = qj pj − ih̄ , 2 (xpx + ypy + zpz ) = −h̄ x 2 ∂ ∂ ∂ ∂ +y +z =r ∂x ∂y ∂z ∂r ∂ r ∂r ! ∂ r ∂r ! = −h̄2 r ∂ ∂2 − h̄2 r 2 2 ∂r ∂r (xpx + ypy + zpz )2 = (xpx + ypy + zpz ) (xpx + ypy + zpz ) = = x2 p2x + y 2p2y + z 2 p2z + 2xypx py + 2xzpx pz + 2yzpy pz − ih̄ (xpx + ypy + zpz ) otteniamo L2 = (r × p)2 = = (ypz − zpy )(ypz − zpy ) + (zpx − xpz )(zpx − xpz ) + (xpy − ypx )(xpy − ypx ) = = (y 2p2z − ypz zpy − zpy ypz + z 2 p2y ) + (z 2 p2x − zpx xpz − xpz zpx + x2 p2z )+ +(x2 p2y − xpy ypx − ypxxpy + y 2 p2x ) = = x2 (p2y + p2z ) + y 2 (p2x + p2z ) + z 2 (p2x + p2y ) − ypy (zpz − ih̄) − zpz (ypy − ih̄)+ −zpz (xpx − ih̄) − xpx (zpz − ih̄) − xpx (ypy − ih̄) − ypy (xpx − ih̄) = = x2 (p2 − p2x ) + y 2 (p2 − p2y ) + z 2 (p2 − p2z )+ −2xypx py − 2xzpx pz − 2yzpy pz + 2ih̄ (xpx + ypy + zpz ) = = (x2 + y 2 + z 2 ) p2 − (xpx + ypy + zpz )2 + ih̄ (xpx + ypy + zpz ) = ∂ ∂2 + h̄2 r 2 2 ∂r ∂r 2 da cui segue l’espressione di p in coordinate polari = r 2 p2 + 2h̄2 r p2 = 2 L2 2h̄2 ∂ 2 ∂ − − h̄ r2 r ∂r ∂r 2 (6.5) 6.1. MOMENTO ANGOLARE DI SPIN 111 Se, come in meccanica classica, esprimiamo p2 = L2 + p2r r2 dove con pr si indichi la componente dell’impulso lungo la direzione radiale, allora dal confronto con la (6.5) si ricava l’espressione di p2r data da p2r = − ∂2 2h̄2 ∂ − h̄2 2 r ∂r ∂r A questo punto per ottenere l’espressione dell’operatore pr utilizziamo l’identità " ∂ 1 −ih̄ + r ∂r !# " 1 ∂ −ih̄ + r ∂r !# " # 2 2h̄2 ∂ 2 ∂ ψ(r) = − ψ(r) − h̄ r ∂r ∂r 2 la quale, riscritta nella forma pr pr ψ(r) = p2r ψ(r), permette di dedurre l’espressione dell’operatore pr ! 1 ∂ pr = −ih̄ + r ∂r E’ poi di immediata verifica la relazione del commutatore canonico [r, pr ] = ih̄ che possiede la stessa forma dei commutatori canonici degli operatori componenti cartesiane della posizione e dei relativi impulsi coniugati. Quindi possiamo dire che la relazione del commutatore canonico di una coordinata spaziale e del corrispondente impulso coniugato resta valida anche in coordinate polari, sebbene l’operatore pr non sia proporzionale alla derivata lungo la direzione r. 6.1 Momento angolare di spin Poiché, come detto, la parte di spettro del momento angolare corrispondente a valori seminteri di l e di m non può essere associata alla grandezza L = x × p, allora introduciamo un nuovo grado di libertà interno della particella, detto spin e indicato con S, tale che verifichi le stesse regole di commutazione del momento angolare orbitale, ovvero [Sh , Sk ] = iεhkj Sj e [Sh , xk ] = [Sh , pk ] = [S2 , Sh ] = 0 Indicando ancora gli autovalori di S2 con l, consideriamo una rappresentazione dell’operatore S2 data da una matrice contenente una sola volta un solo blocco corrispondente ad un certo valore di l, in modo che tale matrice risulti essere il prodotto di l(l + 1) con la matrice identità. Dalle regole di commutazione degli operatori di spin [Sh , Sk ] = iεhkj Sj e [S2 , Sh ] = 0 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 112 segue, in analogia con quanto abiamo ottenuto per il momento angolare orbitale, che gli operatori S2 e S3 sono diagonalizzabili attraverso una base di autovettori comuni e hanno autovalori rispettivamente S2 = s(s + 1) h̄2 e S3 = h̄m con s intero o semintero e m intero o semintero avente valori compresi fra −s e s. A questo punto, unendo lo spazio del momento angolare di spin con lo spazio del momento angolare orbitale mediante il prodotto tensoriale dei relativi ket, otteniamo X chk |αh i ⊗ |βk i Se scegliamo dunque come elementi di base nello spazio dello spin 1/2 i due autostati dell’operatore S3 ! ! 1 0 e 0 1 allora il generico stato Ψ(r) assume la forma Ψ(r) = ψ1 (r) 1 0 ! + ψ2 (r) 0 1 ! = ψ1 (r) ψ2 (r) ! dove |ψ1 (r)|2 rappresenta la densità di probabilità che la particella sia localizzata in r con terza componente dello spin pari a 1/2 e |ψ2 (r)|2 è la densità di probabilità che la particella sia localizzata in r con terza componente dello spin pari a −1/2. Verifichiamo ora che, come deve essere, risulta [px , Sx ] = 0. Si ha infatti [px , Sx ] ψ1 (r) ψ2 (r) ! h̄ = ih̄ 2 ih̄2 = 2 " 0 1 1 0 ! ∂ ∂x ψ1 (r) ψ2 (r) ! ∂ψ1 (r) ! ∂x ∂ 0 1 − 1 0 ∂ψ2 (r) ∂x ∂x ∂ − ∂x ψ2 (r) ψ1 (r) 0 1 1 0 ! ! ψ1 (r) ψ2 (r) !# = =0 Lo spin è un vero momento angolare perché la somma dello spin con il momento angolare orbitale si conserva. Dopo aver introdotto lo spin, utilizziamo come elementi di base dello spazio più generale i ket |x, y, z; mi sui quali abbiamo le seguenti azioni degli operatori x̃ |x, y, z; mi = x |x, y, z; mi e S˜3 |x, y, z; mi = h̄m |x, y, z; mi avendo trascurato l’operatore S2 in quanto prodotto dell’identità per il fattore l(l + 1) con l fissato. 6.1. MOMENTO ANGOLARE DI SPIN 113 Relativamente alla base {|x, y, z; mi}, la generica funzione d’onda assume dunque la forma ψ± (x, y, z) = hx, y, z|ψi e il rappresentativo del trasformato di un generico stato |αi mediante azione di un operatore di spin, come per esempio Sx , è dato da hx, y, z; m|Sx |αi = (Sx )mm′ hx, y, z; m′ |αi = (Sx )mm′ ψα (r, m′ ) dove la funzione ψα (r, m′ ) viene denominata spinore, riscrivibile nella forma ψ−s (r) ψ−s+1 (r) ψ−s+2 (r) · · ψs (r) Nel caso dell’elettrone, si osserva empiricamente che il suo spin vale s = 1/2 da cui segue che m assume i valori −1/2 , 1/2. Per osservare sperimentalmente lo spin occorre considerare una particella carica immersa in un campo magnetico la cui dinamica è descritta da quella che si chiama equazione di Pauli magnetostatica. 6.1.1 L’equazione di Pauli Una particella carica ha un momento magnetico che interagisce con il campo elettromagnetico, ma trascuriamo la trattazione quantistica del campo. Inoltre il momento magnetico della particella genera a sua volta un campo elettromagnetico che pure trascuriamo. Utilizzando l’hamiltoniana (4.12) e considerando il contributo all’energia del momento magnetico della particella proporzionale allo spin, si ottiene l’equazione di Pauli della particella carica in campo magnetico ∂ ih̄ ∂t ψ+ (x) ψ− (x) ! " 1 = 2m e p− A c 2 eh̄ ~ ~σ · B + e Φ(x) − 2mc # ψ+ (x) ψ− (x) ! dove l’espressione in parentesi quadra a secondo membro rappresenta l’hamiltoniana di Pauli e il simbolo ~σ = (σ1 , σ2 , σ3 ) rappresenta il vettore formale avente per componenti formali le tre matrici di Pauli. Consideriamo ora il caso di potenziale scalare Φ = 0 e di potenziale vettore A(x, t) ~ sia un vettore costante. tale che il campo magnetico B ~ = (Bx , By , Bz ) costante (e orientato in modo generico) può Un campo magnetico B essere ottenuto come rotore del potenziale vettore A= 1 B×r 2 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 114 con r = (x1 , x2 , x3 ), da cui in effetti discende (∇ × A)i = εijk ∂j Ak = 1 1 εijk ∂j (εkhq Bh xq ) = εkij εkhq Bh ∂j xq = 2 2 1 1 1 εkij εkhq Bh δjq = εkji εkjh Bh = 2 δih Bh = Bi 2 2 2 avendo usato le relazioni, di facile dimostrazione, = εkij εkhq = δih δjq − δiq δjh e εkji εkjh = 2 δih ~ debole, in modo quindi Sviluppando l’hamiltoniana di Pauli nel caso di campo B 2 che B possa essere trascurato rispetto a B, si ottiene 2 2 e e e e p− A = p− B × r ≈ p2 − p · (B × r) − (B × r) · p = c 2c 2c 2c e e e εijk (pi Bj xk + Bj xk pi ) = p2 − εijk pi Bj xk = p2 − Bj εjki xk pi = = p2 − 2c c c e e 2 2 = p − Bj Lj = p − B · L c c dove xk e pi sono stati considerati commutanti perché per la presenza del fattore εjki gli operatori posizione e impulso non hanno mai lo stesso indice. Nel caso dunque di campo magnetico B debole e costante e Φ = 0, l’hamiltoniana magnetostatica di Pauli diventa 1 2m p− e A c 2 + e Φ(x) − 2 eh̄ ~ ·L ~− e B ~ · h̄~σ 2 ~ ≈ p − e B ~σ · B 2mc 2m 2mc 2mc 2 da cui otteniamo l’equazione di Pauli ∂ ih̄ ∂t ψ+ (x) ψ− (x) ! " p2 e ~ ~ ~ = B · (L + 2S) − 2m 2mc # ψ+ (x) ψ− (x) ! avendo trascurato la controreazione della particella sul campo elettromagnetico esterno. Per osservare lo spin consideriamo la seguente situazione: si abbia una particella abbastanza pesante da muoversi “poco” nel tempo di osservazione e tale che, partendo dalla sorgente S, possa passare attraverso due fenditure F1 e F2 . Se la particella è “ferma”, ovvero vale p2 ≈ 0, allora si ha anche Φ(x) ≈ 0 perché ~ (∇ ≈ p) che rappresenta con una particella ferma non si forma il gradiente ∇Φ(x) = E appunto il campo elettrico. In questo modo con le approssimazioni considerate l’equazione di Pauli assume la forma ∂ψ ~ · ~σ ψ ih̄ = −µ0 B (6.6) ∂t 6.1. MOMENTO ANGOLARE DI SPIN 115 ~ sia costante lungo l’asse x con le due orientazioSupponiamo quindi che il campo B ~ = (B, 0, 0) sulla fenditura F1 e B ~ = (−B, 0, 0) sulla fenditura F2 (come ni date da B nella seguente figura 6.1), in modo tale che l’equazione di Pauli assuma le due forme ih̄ ∂ψ = −µ0 Bσx ψ ∂t ih̄ e ∂ψ = µ0 Bσx ψ ∂t in corrispondenza rispettivamente della fenditura F1 e della fenditura F2 . x ~ B F1 S ψ1 (x) χ1 ψ(x) χ0 ψ2 (x) χ2 ~ B F2 fig. 6.1 Dato lo spinore iniziale χ0 = (1, 0), possiamo scrivere lo stato iniziale Ψ0 (x) = ψ(x) χ0 = ψ(x) 1 0 ! delle particelle neutre, avremo la separazione di tale stato nelle due componenti relative alle due fenditure ψ1 (x) χ1 (t) = ψ1 (x) α1 (t) β1 (t) ! α2 (t) β2 (t) ψ2 (x) χ2 (t) = ψ2 (x) e ! che poi vengono sovrapposte coerentemente a dare 1 Ψ(x, t) = √ ψ1 (x) 2 α1 (t) β1 (t) ! 1 + √ ψ2 (x) 2 α2 (t) β2 (t) ! In tal modo le frange di interferenza sono prodotte dal modulo quadro della sovrapposizione ! !2 1 α1 (t) α2 (t) 2 + ψ2 (x) |Ψ(x, t)| = ψ1 (x) β1 (t) β2 (t) 2 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 116 Poiché la presenza del campo magnetico intorno alla posizione delle due fenditure incide soltanto sulla parte spinoriale della funzione d’onda complessiva, quello che dovremo calcolare è l’evoluzione temporale dello spinore iniziale per effetto delle hamiltoniane d’interazione H1 = −µ0 Bσx e H2 = µ0 Bσx rispettivamente agenti sulla fenditura 1 (H1 ) e sulla fenditura 2 (H2 ). Gli autostati di Hi sono dunque gli autostati della matrice di Pauli σx . Per H1 abbiamo gli autovettori normalizzati √ ! √ ! 1/√2 1/ √2 e u2 = u1 = 1/ 2 −1/ 2 corrispondenti rispettivamente agli autovalori −µ0 B e µ0 B; per H2 abbiamo gli stessi autovettori normalizzati √ ! √ ! 1/√2 1/ √2 e u2 = u1 = 1/ 2 −1/ 2 corrispondenti in questo caso rispettivamente agli autovalori µ0 B e −µ0 B. Poiché lo spinore iniziale si esprime nella base degli autostati di H con la relazione ! √ ! √ ! 1 1 1 1/√2 1/ √2 =√ +√ 0 −1/ 2 1/ 2 2 2 avremo che, indicando con B ′ il rapporto B/h̄, l’evoluzione temporale dello spinore iniziale attraverso la fenditura 1 è data dallo spinore ! ! √ ! √ ! ′ ′ eiµ0 B t e−iµ0 B t α1 (t) cos(µ0 B ′ t) 1/√2 1/ √2 = √ + √ = β1 (t) i sin(µ0 B ′ t) 1/ 2 −1/ 2 2 2 mentre l’evoluzione temporale dello spinore iniziale attraverso la fenditura 2 è data dallo spinore ! ! √ ! √ ! ′ ′ e−iµ0 B t eiµ0 B t α2 (t) 1/√2 1/ √2 cos(µ0 B ′ t) = √ + √ = β2 (t) −i sin(µ0 B ′ t) 1/ 2 −1/ 2 2 2 A questo punto possiamo scrivere lo stato sovrapposizione nella forma 1 Ψ(x, t) = √ 2 (ψ1 + ψ2 ) cos(µ0 B ′ t) i (ψ1 − ψ2 ) sin(µ0 B ′ t) ! e ottenere la densità di probabilità calcolando |Ψ(x, t)|2 = 1 [(ψ12 + ψ22 + 2ψ1 ψ2 ) cos2 (µ0 B ′ t) + (ψ12 + ψ22 − 2ψ1 ψ2 ) sin2 (µ0 B ′ t)] = 2 6.2. COMPOSIZIONE DI MOMENTI ANGOLARI 117 1 2 [ψ + ψ22 + 2ψ1 ψ2 cos(2µ0 B ′ t)] 2 1 da cui si ricava il termine d’interferenza, indicato con E(t), dato dunque da = E(t) = 2ψ1 ψ2 cos(2µ0 B ′ t) Il fenomeno dell’interferenza permette di osservare lo spin della particella perché si possono osservare frange di interferenza di diversa forma in conseguenza dell’accensione dei campi magnetici dietro le due fenditure. Indicati quindi con t1 l’intervallo di tempo tale che 2µ0B ′ t1 = π e con t2 l’intervallo di tempo tale che 2µ0 B ′ t2 = 2π, abbiamo allora che lo spinore iniziale χ0 = (1, 0), dopo il passaggio delle particelle attraverso le due fenditure, si separa nei due spinori distinti dati da χ(t1 ) = (−1, 0), corrispondente alla fenditura F1 , e χ(t2 ) = (1, 0), corrispondente alla fenditura F2 . Si ottiene dunque una diversa forma delle frange di interferenza perché dopo un tempo t1 il termine di interferenza E(t) è un doppio prodotto negativo, mentre dopo un tempo t2 il termine di interferenza E(t) è un doppio prodotto positivo. 6.2 Composizione di momenti angolari Per evitare di scrivere indici, indichiamo i due generici momenti angolari con i simboli L e S senza fare necessariamente riferimento al momento angolare orbitale e al momento angolare di spin. Considerando h̄ riscalata, indichiamo con il simbolo |l, lz i l’autoket simultaneo degli operatori L2 e Lz e con il simbolo |s, sz i l’autoket simultaneo degli operatori S 2 e Sz . Siano L− e L+ i due operatori rispettivamente di abbassamento e di innalzamento della terza componente del momento angolare L che, come noto, agiscono con le regole L− |l, lz i = L+ |l, lz i = q l(l + 1) − lz (lz − 1) |l, lz − 1i q l(l + 1) − lz (lz + 1) |l, lz + 1i Analogamente siano S− e S+ i due operatori rispettivamente di abbassamento e di innalzamento della terza componente del momento angolare S che, come noto, agiscono con le regole q S− |s, sz i = s(s + 1) − sz (sz − 1) |s, sz − 1i CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 118 S+ |s, sz i = q s(s + 1) − sz (sz + 1) |s, sz + 1i Definiamo ora l’operatore momento angolare totale J, ottenuto dalla composizione dei due momenti angolari L e S, J := L + S che agisce sullo spazio vettoriale dato dal prodotto tensoriale |l, lz i |s, sz i dello spazio vettoriale di L con lo spazio vettoriale di S in modo che L agisca solo sul ket |l, lz i e S agisca solo sul ket |s, sz i. Per indicare il prodotto tensoriale di due ket, scriviamo per semplicità i due ket uno di seguito all’altro, |l, lz i |s, sz i, senza porre fra i due, come si trova su alcuni testi, il simbolo ⊗, ovvero |l, lz i⊗|s, sz i. Dalle regole di commutazione degli operatori L e S seguono facilmente le regole di commutazione relative alle componenti dell’operatore J [J 2 , Jx ] = [J 2 , Jy ] = [J 2 , Jz ] = 0 e [Jα , Jβ ] = iεαβγ Jγ Dallo sviluppo dell’operatore J 2 dato da J 2 = L2 + S 2 + 2L · S = L2 + S 2 + 2Lz Sz + L− S+ + L+ S− (6.7) segue che l’operatore J 2 commuta sia con l’operatore L2 che con l’operatore S 2 . Abbiamo pertanto due insiemi completi di operatori che commutano fra loro che sono l’insieme degli operatori { L2 , S 2 Lz , Sz , } e l’insieme degli operatori { L2 , S 2 J 2 , Jz , } Sullo spazio prodotto tensoriale abbiamo allora una base B1 costituita da autoket simultanei degli operatori L2 , S 2 , Lz e Sz B1 = {|l, lz i |s, sz i} e una base B2 costituita da autoket simultanei degli operatori L2 , S 2 , J 2 e Jz B2 = {|l, s; j, jz i} La dimensione d1 dello spazio vettoriale di base B1 è data, come è ben noto, dalla relazione d1 = (2l + 1)(2s + 1); affinché anche lo spazio vettoriale di base B2 abbia dimensione d1 , i valori di j debbono variare di una unità nell’intervallo dato da |l − s| ≤ j ≤ l + s 6.2. COMPOSIZIONE DI MOMENTI ANGOLARI 119 Indicando con d2 la dimensione dello spazio vettoriale di base B2 e considerando, senza perdita di generalità, l ≥ s, verifichiamo l’uguaglianza d1 = d2 : si ha infatti, cambiando indice di sommatoria i := j − l + s d2 = l+s X (2j + 1) = 2s X (2i + 2l − 2s + 1) = (2l + 1)(2s + 1) = d1 i=0 j=l−s Definendo gli operatori J− := L− + S− e J+ := L+ + S+ rispettivamente di abbassamento e di innalzamento della terza componente del momento angolare totale J, la loro azione risulta essere J− |j, jz i = q J+ |j, jz i = q j(j + 1) − jz (jz − 1) |j, jz − 1i j(j + 1) − jz (jz + 1) |j, jz + 1i Quello che vogliamo ora fare è esprimere un autoket simultaneo degli operatori J 2 e Jz , indicato con |j, jz i, come combinazione lineare degli autoket simultanei degli operatori Lz e Sz , indicati con |l, lz i |s, sz i. Chiamiamo coefficienti di Clebsch-Gordan i coefficienti di tale combinazione lineare che rappresenta un cambiamento di base dalla base B1 formata da autoket degli operatori Lz e Sz alla base B2 formata da autoket degli operatori J 2 e Jz . La procedura si baserà sul seguente ragionamento. Poiché lo stato |l, lz i |s, sz i è già per costruzione autostato dell’operatore Jz con autovalore pari a jz = lz + sz , allora se combiniamo linearmente tutti gli stati aventi lz e sz che sommati forniscono il medesimo valore jz , tale combinazione lineare risulterà essere automaticamente per costruzione ancora autostato dell’operatore Jz : dovremo pertanto determinare i coefficienti in modo che tale combinazione sia anche autostato dell’operatore J 2 . Per mostrare come si calcolano i coefficienti di Clebsch-Gordan, applichiamo la procedura direttamente ad esempi concreti di composizione di due momenti angolari. Composizione di l = 1/2 e s = 1/2 Gli stati di momento angolare l = 1/2, come noto, sono due e precisamente gli stati 1 1 , 2 2 e 1 1 ,− 2 2 Analogamente anche gli stati di momento angolare s = 1/2 sono due e precisamente gli stati 1 1 1 1 , e ,− 2 2 2 2 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 120 Combinando questi stati mediante prodotto tensoriale, otteniamo la base nello spazio prodotto tensoriale data dai (2l + 1)(2s + 1) = 4 stati autoket degli operatori Lz e Sz 1 1 1 1 , , , 2 2 2 2 1 1 1 1 , , ,− 2 2 2 2 1 1 1 1 , ,− , 2 2 2 2 1 1 , 1 1 1 ,− ,− 2 2 2 2 Cerchiamo ora di costruire opportune combinazioni lineari per ottenere stati che siano autoket di J 2 e Jz . Gli autovalori j dell’operatore J 2 che si possono ottenere dalla composizione di un momento angolare L con un momento angolare S, sono tutti i valori che vanno da |l −s| fino a l + s aggiungendo o sottraendo sempre una unità. Nel caso in questione i valori di j vanno dunque da 0 a 1, cioè sono i valori j = 0, 1. Abbiamo allora i quattro autoket simultanei di J 2 e Jz che sono 1 , 1 ; 1, 1 , 2 2 1 , 1 , 1 ; 1, 0 , 2 2 1 ; 1, −1 , 2 2 1 ; 0, 0 2 2 e li vogliamo esprimere come combinazione lineare degli autoket simultanei dei due operatori Lz e Sz . Applicando l’operatore (6.7) al ket 1 si ottiene J 2 1 1 1 1 , , 2 2 2 2 (6.8) 1 1 1 = (L2 + S 2 + 2Lz Sz + L− S+ + L+ S− ) , , 2 2 2 2 1 1 1 1 1 = , , 2 2 2 2 3 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 + + 2 = , , , , , 2 2 2 2 4 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 1 1 1 1 , = 2 , 2 2 2 2 ovvero si ottiene che lo stato 1 1 1 1 , , 2 2 2 2 = 3 4 , è anche autostato di J 2 con autovalore 2 corrispondente al valore j = 1. Poiché vale 1 1 2 1 1 J , ; 1, 1 = 2 , ; 1, 1 2 2 2 2 e il ket (6.8) è l’unico avente i valori di lz e sz che diano per somma 1, allora identifichiamo 1 1 1 1 1 1 , ; 1, 1 = , , (6.9) 2 2 2 2 2 2 6.2. COMPOSIZIONE DI MOMENTI ANGOLARI 121 Applicando ora l’operatore J− ai due membri della (6.9), otteniamo √ 1 ; 1, 1 = 2 2 2 1 J− , 1 , 1 ; 1, 0 = (L− + S− ) 2 2 1 1 1 1 = , , 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 , , , − + S− , = , − + , = L− , , 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Uguagliando il secondo e l’ultimo membro di questa uguaglianza, risulta 1 , 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 +√ ,− ; 1, 0 = √ , , ,− 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Lo stato 1 , 1 ; 1, −1 2 2 si può scrivere subito ponendo (6.10) 1 , 1 1 1 1 1 ; 1, −1 = , − ,− 2 2 2 2 2 2 oppure applicando l’operatore J− ad entrambi i membri della (6.10). In questo modo si ottiene √ 1 1 1 1 J− , ; 1, 0 = 2 , ; 1, −1 = 2 2 2 2 " # 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 + √ , = = (L− + S− ) √ , − , ,− 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 √ 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 =√ ,− +√ ,− = 2 ,− ,− ,− ,− 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 e uguagliando in questa catena di uguaglianze il secondo e l’ultimo membro, si ritrova appunto 1 1 1 1 1 1 , ; 1, −1 = , − ,− 2 2 2 2 2 2 Infine otteniamo lo stato 1 1 , ; 0, 0 2 2 costruendo lo stato ortogonale all’altro stato con autovalore jz = 0 che è 1 , 1 ; 1, 0 2 2 Abbiamo allora lo stato 1 , 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 √ − ; 0, 0 = √ , , − , − , 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 122 e verifichiamo per concludere che esso è effettivamente autostato di J 2 relativo all’ autovalore j = 0. A tale scopo applichiamo lo sviluppo (6.7) e calcoliamo J 2 # " 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 −√ ,− = ; 0, 0 = J √ , , ,− 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 1 , 3 3 = + +2 4 4 1 1 − −1 2 1 2 " 1 =0 √ 2 " 1 √ 2 1 # 1 1 1 1 1 1 1 1 −√ ,− = , ,− , 2 2 2 2 2 2 2 2 2 # 1 1 1 1 1 1 1 1 −√ ,− =0 , ,− , 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Composizione di l = 1 e s = 1/2 1 , 1 , 0, 0 2 2 I valori di j vanno in questo caso da j = 1/2 fino a j = 3/2 e sono dunque soltanto i valori j = 1/2 , 3/2. Combinando gli stati aventi momento angolare l = 1 e gli stati aventi momento angolare s = 1/2 mediante prodotto tensoriale otteniamo i (2l + 1)(2s + 1) = 6 stati che sono autoket degli operatori Lz e Sz 1 |1, 1i 1 |1, 0i 1 , , 2 2 1 |1, −1i 1 , , 2 2 1 , 2 2 1 1 1 1 1 1 |1, 1i , − , |1, 0i , − , |1, −1i , − 2 2 2 2 2 2 Come nel caso precedente, lo stato con i valori massimi di j e jz è uguale al prodotto tensoriale dei ket con i valori massimi di lz e sz e quindi poniamo 1, 1 1 1 3 3 = |1, 1i , ; , 2 2 2 2 2 (6.11) Applicando l’operatore (6.7) si può verificare che il ket (6.11) è effettivamente autoket dell’operatore J 2 con autovalore j = 3/2. Applicando l’operatore J− ad ambo i membri della (6.11), si ha J− 1, √ 1 3 1 1 1 1 3 3 = 3 1, ; , = (L− + S− ) |1, 1i , = ; , 2 2 2 2 2 2 2 2 √ 1 2 |1, 0i 1 1 1 = + |1, 1i , − , 2 2 2 2 e uguagliando il secondo e l’ultimo membro di questa catena di uguaglianze si ottiene 1, 1 3 1 ; , 2 2 2 = s 1 1 1 1 2 1 + √ |1, 1i , − |1, 0i , 3 2 2 2 2 3 (6.12) 6.2. COMPOSIZIONE DI MOMENTI ANGOLARI 123 Applicando analogamente l’operatore J− ad ambo i membri della (6.12), si ha J− 1, 1 3 1 3 1 1 = 2 1, ; , − = ; , 2 2 2 2 2 2 s 1 1 1 1 2 1 = (L− + S− ) + √ |1, 1i , − = |1, 0i , 3 2 2 2 2 3 s 1 1 1 2 2 1 = √ |1, −1i , +2 |1, 0i , − 2 2 3 2 2 3 e uguagliando il secondo e l’ultimo membro di questa catena di uguaglianze si ottiene 1, 1 1 1 3 1 1 = √ |1, −1i , + ; ,− 2 2 2 2 2 3 s 1 1 2 |1, 0i , − 3 2 2 (6.13) Si lascia come esercizio di verificare che applicando l’operatore J− ad ambo i membri della (6.13), si ottiene il ket con jz minimo uguale al prodotto tensoriale dei ket aventi lz e sz minimi, ovvero 1, 3 1 3 ; ,− 2 2 2 = 1 |1, −1i 1 ,− 2 2 Per quanto riguarda i due ket con j = 1/2, questi debbono essere ortogonali a quelli che hanno lo stesso jz e j = 3/2. Si hanno pertanto gli stati con j = 1/2 1, 1, 1 1 1 ; , 2 2 2 1 1 1 = √ |1, 0i , − 2 2 3 s s 1 2 1 |1, 1i , − 3 2 2 (6.14) 1 1 1 2 1 1 1 1 1 = − √ |1, 0i , − (6.15) ; ,− |1, −1i , 2 2 2 3 2 2 2 2 3 Si osserva immediatamente che questi due stati sono ortogonali rispettivamente agli stati 1 3 1 3 1 1 1, ; , − 1, ; , e 2 2 2 2 2 2 e si lascia come esercizio di verificare mediante applicazione della relazione (6.7) che gli stati (6.14) e (6.15) sono effettivamente autostati di J 2 con autovalore j = 1/2. Composizione di l = 1 e s = 1 In questo caso avremo (2l + 1)(2s + 1) = 9 stati e i valori di j sono j = 0, 1, 2. Procedendo come in precedenza poniamo subito |1, 1; 2, 2i = |1, 1i|1, 1i (6.16) CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 124 e si lascia come esercizio di verificare che lo stato |1, 1; 2, 2i è autoket di J 2 relativo all’autovalore j = 2. Applicando l’operatore di abbassamento J− alla (6.16) otteniamo √ √ J− |1, 1; 2, 2i = 2|1, 1; 2, 1i = 2|1, 0i|1, 1i + 2|1, 1i|1, 0i da cui segue 1 1 |1, 1; 2, 1i = √ |1, 0i|1, 1i + √ |1, 1i|1, 0i 2 2 Procedendo in modo analogo otteniamo 2 1 1 |1, 1; 2, 0i = √ |1, −1i|1, 1i + √ |1, 0i|1, 0i + √ |1, 1i|1, −1i 6 6 6 1 1 |1, 1; 2, −1i = √ |1, −1i|1, 0i + √ |1, 0i|1, −1i 2 2 |1, 1; 2, −2i = |1, −1i|1, −1i Per ottenere lo stato |1, 1; 1, 1i, costruiamo lo stato ortogonale a |1, 1; 2, 1i, ovvero 1 1 |1, 1; 1, 1i = √ |1, 0i|1, 1i − √ |1, 1i|1, 0i 2 2 e si lascia come semplice esercizio di verificare che il ket |1, 1; 1, 1i così costruito è autoket dell’operatore J 2 con autovalore j = 1. Seguono quindi gli stati 1 1 |1, 1; 1, 0i = √ |1, 1i|1, −1i − √ |1, −1i|1, 1i 2 2 che risulta immediatamente essere ortogonale allo stato |1, 1; 2, 0i e 1 1 |1, 1; 1, −1i = √ |1, 0i|1, −1i − √ |1, −1i|1, 0i 2 2 che risulta immediatamente essere ortogonale allo stato |1, 1; 2, −1i. Per ottenere l’ultimo stato |1, 1; 0, 0i, scriviamo la combinazione lineare di tutti gli autoket di Lz e Sz in cui la somma lz + sz sia zero e imponiamo che tale stato sia ortogonale agli stati |1, 1; 2, 0i e |1, 1; 1, 0i. Abbiamo |1, 1; 0, 0i = a|1, −1i|1, 1i + b|1, 0i|1, 0i + c|1, 1i|1, −1i da cui otteniamo la condizione di ortogonalità con lo stato |1, 1; 2, 0i che è a + 2b + c = 0 6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 125 e la condizione di ortogonalità con lo stato |1, 1; 1, 0i che è a−c=0 Mettendo a sistema queste due condizioni otteniamo ovviamente ∞1 soluzioni da cui possiamo ricavare soltanto i rapporti relativi fra i coefficienti a meno di una fase globale irrilevante. Scegliendo per convenzione i valori reali della soluzione e normalizzando lo stato così ottenuto, abbiamo 1 1 1 |1, 1; 0, 0i = √ |1, −1i|1, 1i − √ |1, 0i|1, 0i + √ |1, 1i|1, −1i 3 3 3 6.3 Covarianza per rotazioni Dato un riferimento ortogonale di origine O e assi x, y, z, se si effettua un cambiamento di riferimento tale che i nuovi assi x′ , y ′, z ′ siano ancora ortogonali e la nuova origine, indicata con O ′, coincida con l’origine O, allora la matrice R che trasforma vettori espressi rispetto ad un sistema di riferimento in vettori espressi rispetto all’altro sistema P di riferimento, ovvero x′i = k Rik xk , viene detta matrice ortogonale, o trasformazione ortogonale, o anche rotazione. Consideriamo un punto assoluto P dello spazio che abbia coordinate (x, y, z) rispetto ad un sistema di riferimento e coordinate (x′ , y ′ , z ′ ) rispetto ad un altro sistema di riferimento. Se, come detto, i due riferimenti sono entrambi ortogonali e le origini coincidono, allora le distanze ŌP e Ō ′P del punto P dalle origini sono uguali e hanno le stesse espressioni, date dal teorema di Pitagora, 2 Ō ′ P = X x′i x′i = X xj xj = ŌP 2 j i Sostituendo in tale relazione il legame fra xi e x′j dato dall’azione della trasformazione ortogonale R, si ha, a meno di un’opportuna riscrittura degli indici X i x′i x′i = X X i k Rik xk ! X ! Rih xh = h X k,h X i T Rki Rih ! xk xh = X xj xj j da cui deduciamo che una matrice ortogonale R deve verificare la relazione X T Rki Rih = δkh i ovvero RT R = RRT = I, in conseguenza della quale si ha (det R)2 = 1. Le rotazioni aventi determinante pari a 1 possono essere ottenute con continuità dall’identità I attraverso trasformazioni infinitesime e vengono denominate rotazioni CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 126 proprie. Le rotazioni aventi determinante pari a −1 non possono essere ottenute con continuità dall’identità I attraverso trasformazioni infinitesime e vengono denominate riflessioni. Dimostriamo ora l’importante proprietà per cui ogni rotazione R possiede sempre l’autovalore λ = 1 e, detto u l’autovettore di R corrispondente a tale autovalore, vale sempre Rv ⊥ u per ogni vettore v ⊥ u. Per dimostrare che λ = 1 sia autovalore di R, dobbiamo verificare che valga la relazione det(R − I) = 0 e allora sviluppiamo det(R − I) = det(R − RRT ) = det R · det(I − RT ) = = det(I − RT ) = det(I − R) = det(−I) · det(R − I) = − det(R − I) perché in tre dimensioni si ha det(−I) = −1. Detto allora u l’autovettore di R che verifica la relazione Ru = u, si ha quindi, moltiplicando da sinistra per RT ambo i membri, la relazione RT Ru = RT u, ovvero RT u = u. Ora, se v è un vettore ortogonale a u, allora si ha (Rv, u) = (Rv, RRT u) = (v, RT u) = (v, u) = 0 In virtù di questa proprietà, ogni rotazione R può essere considerata sempre come rotazione effettuata intorno ad un asse, coincidente con l’autovettore u corrispondente all’autovalore λ = 1 e può dunque essere sempre rappresentata mediante successione di rotazioni infinitesime intorno a tale asse, con il vantaggio che le rotazioni intorno ad un asse commutano e sono più semplici da trattare. 6.3.1 Covarianza dell’equazione di Schrödinger Consideriamo ora le due equazioni di Schrödinger per la particella libera ih̄ h̄2 2 ∂ψ(r, t) =− ∇ ψ(r, t) ∂t 2m r e ih̄ ∂ψ ′ (r′ , t) h̄2 2 ′ ′ =− ∇ ′ ψ (r , t) ∂t 2m r relative a due osservatori O e O ′: affinché non vi sia differenza fra stare in un sistema di riferimento o in un altro ruotato rispetto al primo, dovremo collegare le funzioni d’onda in modo che le due equazioni di Schrödinger abbiano la stessa struttura. Come esempio di grandezza scalare possiamo considerare la densità di un fluido in un punto P , indicata con ̺(P ): se si passa dalle coordinate r = (x, y, z) rispetto all’osservatore O alle coordinate r′ = (x′ , y ′, z ′ ) rispetto all’osservatore O ′ , allora vale l’uguaglianza ̺(r) = ̺′ (r′ ) perché, per l’assolutezza della funzione ̺(P ), si ha ̺(r) = ̺(R−1 r′ ) = ̺′ (r′ ) 6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 127 Invece quando una grandezza vettoriale (che potremmo pensare ad esempio essere la densità v(P ) di un fluido in un punto P ) viene proiettata su assi diversi dai due osservatori, si ha che lo stesso vettore fisico oggettivo e assoluto v possiede, rispetto ai due osservatori, le due rappresentazioni v(r) e v′ (r′ ) che per l’assolutezza del vettore fisico debbono essere collegate dalla relazione v′ (r′ ) = R v(r) In meccanica quantistica due osservatori avranno funzioni d’onda diverse in quanto funzioni di coordinate diverse, ma dovrà essere uguale per entrambi, cioè oggettiva, la probabilità di trovare la particella in un punto P individuato con coordinate r e r′ nei due riferimenti. Estendiamo quindi l’oggettività delle grandezze fisiche alle funzioni d’onda e dalla relazione |ψ(r, t)|2 = |ψ ′ (r′ , t)|2 segue, uguagliando le basi, ψ(r, t) = ψ ′ (r′ , t), ovvero la relazione ψ ′ (r′ , t) = ψ(R−1 r′ , t). In meccanica quantistica un osservatore non ha soltanto un suo sistema di riferimento, ma ha anche un suo spazio di Hilbert: quindi l’osservatore O attribuisce alla particella un ket |αi e l’osservatore O ′ un ket |βi, ciascuno nel proprio spazio di Hilbert. Poiché per il principio di covarianza tutte le leggi debbono avere la stessa forma, consideriamo un solo spazio di Hilbert al quale appartengano i ket |αi e |βi attribuiti alla particella rispettivamente dagli osservatori O e O ′. Gli stati osservati dai due osservatori debbono essere collegati da una trasformazione unitaria U(R), ovvero si deve avere |αi = U(R) |βi con U + (R) U(R) = I e U(I) = I. Ci aspettiamo poi che l’osservatore che attribuisce alla particella lo stato |αi, ripetendo le misure sulle repliche del sistema, ottenga la media della coordinata xi della particella data da hα|xi |αi e che analogamente l’altro osservatore ottenga la media della coordinata xi della particella data da hβ|xi |βi = hα|U + (R) xi U(R)|αi. Tali valori medi sono ovviamente diversi perché i punti medi misurati dai due osservatori coincidono ma sono rappresentati con coordinate diverse collegate fra loro dalla rotazione R: tali valori medi verificano pertanto la relazione hα|U + (R) xi U(R)|αi = Rij hα|xj |αi da cui otteniamo la relazione operatoriale, valida per qualunque grandezza vettoriale U + (R) x̃i U(R) = Rij x̃j (6.17) Vediamo ora come si trasforma la funzione d’onda quando si effettua un cambiamento di riferimento. Essendo la funzione d’onda il rappresentativo dell’assegnato vettore di stato |ψi nella base degli autostati |xi della posizione, abbiamo allora la funzione d’onda ψ(x) = hx|αi per l’osservatore O e la funzione d’onda ψ ′ (y) = hy|βi per l’osservatore O ′ , con ψ ′ (y) = hy|βi = hy|U(R)|αi (6.18) CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 128 Dalla (6.17) segue U + (R) x̃i U(R) |xi = Rij x̃j |xi = Rij xj |xi da cui, moltiplicando a sinistra per U(R) e ricordando che x̃j è un operatore e xj un numero, si ottiene x̃i [U(R) |xi] = Rij xj [U(R) |xi] (6.19) Poiché |xi non è il vettore nullo e U(R) è invertibile, segue che nemmeno U(R) |xi è il vettore nullo e dunque con la (6.19) abbiamo ottenuto che U(R) |xi è autostato della posizione relativo all’autovalore non degenere Rij xj . Quindi U(R) |xi è il ket ruotato di |xi e vale allora la relazione U(R) |xi = |R xi con la coniugata hx|U + (R) = hR x| (6.20) hx|U(R) = hR−1 x| (6.21) Dalla relazione U + (R) = U −1 (R) = U(R−1 ) segue che la (6.20) può essere riscritta nella forma hx|U(R−1 ) = hR x| ovvero, scambiando R con R−1 , Sostituendo la (6.21) nella (6.18), si ottiene infine il legame fra le funzioni d’onda dei due osservatori ψ ′ (y) = hy|U(R)|αi = hR−1 y|αi = ψ(R−1 y) = ψ(x) con y = R x. Con l’uguaglianza delle funzioni d’onda dei due osservatori, abbiamo ritrovato quindi l’oggettività della meccanica quantistica: essendo infatti l’operatore ∇2 uno scalare, si ha ∇2r = ∇2r′ e dall’uguaglianza ψ ′ (y) = ψ(x) segue allora che l’equazione di Schrödinger è covariante per rotazioni, ovvero la sua forma non cambia quando essa viene scritta rispetto a due sistemi di riferimento che siano l’uno il ruotato dell’altro. A questo punto vogliamo trovare l’espressione dell’operatore U(R) e allora utilizziamo la relazione della meccanica classica r′ = r − θ (n̂ × r) (6.22) che lega il vettore r = (x, y, z) al vettore r′ = (x′ , y ′, z ′ ) attraverso la rotazione di angolo infinitesimo θ intorno all’asse n̂ coincidente con l’autovettore u corrispondente all’autovalore λ = 1 dell’operatore di rotazione R. 6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 129 Verifichiamo che nel caso in cui n̂ sia il versore dell’asse z, la (6.22) riproduce effettivamente la rotazione intorno all’asse z. In questo caso abbiamo n̂ = (0, 0, 1) da cui segue che nella (6.22) scritta nella forma per componenti ri′ = ri − θεijk nj rk l’indice j assume soltanto il valore 3. Otteniamo allora x′ = x − θε132 y = x + θy , y ′ = y − θε231 x = y − θx , z ′ = z − θε333 z = z coincidente appunto con le equazioni della rotazione intorno all’asse z. La formula (6.22) è quella che in meccanica classica fornisce la velocità di un corpo −→ −→ rigido vp = ω × OP perché si ha vp dt = ω dt × OP , ovvero dr = r′ − r = θ n̂ × r. Se θ è infinitesimo, allora U(R) deve differire “di poco” dall’identità: cioè si deve avere U(R) = I + iθnh Ah dove nh Ah indica il prodotto scalare fra il versore n̂ e un operatore hermitiano vettoriale A. Sostituendo tale espressione di U(R) nella (6.17) e utilizzando la (6.22), si ottiene (I − iθnh Ah ) x̃j (I + iθnh Ah ) = Rjq x̃q = x̃′j = x̃j − θεjhk nh x̃k (6.23) da cui, sviluppando, segue la regola di commutazione [Aj , x̃h ] = i εjhk x̃k . Ricordando le regole di commutazione del momento angolare [Lj , xh ] = ih̄εjhk x̃k , [Lj , ph ] = ih̄εjhk p̃k concludiamo che l’espressione dell’operatore vettoriale A è Aj = Lj /h̄. Poiché tutte le rotazioni possono essere pensate come effettuate intorno ad un asse di rotazione n̂, allora consideriamo una sequenza di rotazioni infinitesime intorno a tale asse: poiché la composizione di rotazioni intorno ad un solo asse è commutativa (come quella delle traslazioni), allora si ha l’espressione dell’operatore U(R) con θ finito data da !N n·L θ n̂ · L I +i U(R) = lim = eiθ h̄ (6.24) N →+∞ N h̄ Ponendo ora Aj = Lj /h̄ nella (6.23), si ricava anche la relazione, valida non soltanto per x̃j ma per ogni grandezza vettoriale Rjq x̃q − x̃j = iθ [x̃j , n · L] h̄ il cui importante significato è che il commutatore di una grandezza vettoriale con una componente del momento angolare rappresenta la variazione della grandezza stessa sotto rotazioni. Avremo pertanto che il commutatore di una componente del momento angolare con una grandezza scalare (invariante per rotazioni) sarà pari a zero. CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 130 6.3.2 Covarianza dell’equazione di Pauli Empiricamente si osserva in laboratorio che le componenti dello spin si comportano sotto rotazioni come le componenti di un vettore, cioè ruotano come un vettore. Quindi utilizzando la stessa relazione fra i valori medi, possiamo riscrivere la (6.17) con l’operatore di spin al posto dell’operatore di posizione U + (R) S̃i U(R) = Rij S̃j e possiamo poi introdurre il numero quantico s di spin nella (6.19) scrivendo x̃i [U(R) |x, si] = Rij xj [U(R) |x, si] da cui discende che Rij xj è autovalore degenere di x̃i perché x̃ e S̃ sono gradi di libertà indipendenti e allora si ha che per valori diversi di s i ket U(R) |x, si sono sempre autostati di x̃i . Ricordiamo che quando si considera soltanto la posizione, il ket U(R) |xi è autostato non degenere di x̃i ; se si introduce lo spin 1/2, allora il nuovo ket è U(R) |x, si con il numero quantico s che assume i valori s = ±1/2. Poiché U(R) |x, si è autostato di x̃i con autovalore degenere Rij xj , allora, in analogia con il caso precedente in cui si considerava soltanto la posizione, poniamo U(R) |x, si = X t Cts (R) |Rx, ti da cui discende la proiezione hx′ , s′ |U(R) |x, si = = X t con la coniugata X t Cts (R) hx′ , s′ |Rx, ti = Cts (R) δts′ δ 3 (x′ − Rx) = Cs′ s (R) δ 3 (x′ − Rx) hx′ , s′ |U(R) |x, si = hx, s|U + (R) |x′ , s′ i = Cs∗′ s (R) δ 3 (x′ − Rx) Calcolando il generico elemento di matrice del prodotto U + (R)U(R) e imponendo che valga U + (R) U(R) = δss′′ δ 3 (x − Rx′′ ), con det R = 1, si ottiene U + (R)U(R) = X s′ = X s′ = X s′ hx, s|U + (R) |x′ , s′ihx′ , s′ |U(R) |x′′ , s′′ i dx′ = Cs∗′ s (R) δ 3 (x′ − Rx) Cs′ s′′ (R) δ 3 (x′ − Rx′′ ) dx′ = Cs∗′s (R) Cs′s′′ (R) δ 3 (Rx − Rx′′ ) = X s′ Cs∗′s (R) Cs′ s′′ (R) δ 3 (x − x′′ ) = det R 6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI = X s′ 131 Cs∗′s (R) Cs′ s′′ (R) δ 3 (x − x′′ ) da cui si ricava per confronto C + (R) C(R) = I ovvero, se i coefficienti Cs′ s (R) forniscono lo sviluppo dell’azione di un operatore unitario U(R), allora anch’essi debbono formare una matrice unitaria. Sviluppiamo ora ambo i membri dell’equazione fondamentale hx′ , s′ |U + (R)S̃k U(R) |x, si = Rkj hx′ , s′ |S̃j |x, si Utilizzando la relazione δ 3 (Rx′ − Rx) = δ 3 (x′ − x), il primo membro diventa hx′ , s′ |U + (R) S̃k U(R) |x, si = = X t′ ,t X t′ ,t ct,s c∗t′ ,s′ hRx′ , t′ |S̃k |Rx, ti = c∗t′ ,s′ hRx′ , t′ |S̃k ct,s |Rx, ti = X t′ ,t ct,s c∗t′ ,s′ δ 3 (x′ − x) (S̃k )t′ ,t Separando i fattori del prodotto tensoriale, il secondo membro diventa Rkj hx′ , s′ |S̃j |x, si = Rkj δ 3 (x′ − x) (S̃j )s′ ,s da cui, uguagliando, segue X (c∗s′ ,t′ )T ct,s (S̃k )t′ ,t = Rkj (S̃j )s′,s t′ ,t ovvero C + S̃k C = Rkj S̃j (6.25) Quindi dalla relazione U + (R)S̃k U(R) = Rkj S̃j , dove U(R) è un operatore che agisce sullo spazio di Hilbert dei ket di dimensione infinita, deriva la relazione formalmente analoga C + S̃k C = Rkj S̃j , dove C è un operatore che agisce sullo spazio dello spin (di dimensione 2 nel caso di spin 1/2). Dall’equazione (6.25), formalmente simile alla (6.17), segue la relazione fra le funzioni d’onda nei due sistemi di riferimento data da θ ψ ′ (x′ ) = C ψ(x) = ei 2 ~σ·n̂ ψ(x) (6.26) che, come si vede, ha la stessa struttura della (6.24). Dall’equazione (6.25) si ottiene l’equazione C + σk C = Rkj σj equivalente all’equazione C + σi Rij Rkj C = Rkj σj da cui segue la relazione C + σi Rij C = σj e quindi C + σi Rij Bj C = σj Bj (6.27) CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE 132 La (6.27) può essere riscritta nella forma (senza indici) ~ C = ~σ · B ~ C +~σ · RB (6.28) Dalla (6.28) segue la covarianza dell’equazione di Pauli (6.6): se si effettua un cambio di sistema di riferimento, l’equazione di Pauli (6.6) diventa ih̄ ∂(Cψ) ~ · ~σ Cψ = −µ0 RB ∂t che, attraverso la moltiplicazione di C + da sinistra in ambo i membri, conduce all’equazione ∂(ψ) ~ · ~σ Cψ = −µ0 C + RB (6.29) ih̄ ∂t Sostituendo il secondo membro della (6.28) nella (6.29), l’equazione (6.29) diventa ih̄ ∂ψ ~ · ~σ ψ = −µ0 B ∂t coincidente appunto con l’equazione (6.6). θ Per determinare esplicitamente la matrice esponenziale ei 2 ~σ·n̂ , calcoliamo 2 (~σ · n̂) = " 0 n1 n1 0 ! 0 −in2 in2 0 + ! + n3 0 0 −n3 !#2 = 1 0 0 1 ! perché n̂ è un versore e dunque n21 + n22 + n23 = 1. Si ha allora n (~σ · n̂) = ( I ~σ · n̂ !2 i − 6 se se n è pari n è dispari da cui segue i θ2 e ~ σ ·n̂ 1 θ = I + i ~σ · n̂ − 2 2 θ 2 θ θ cos 2 − in3 sin 2 = θ 2 !3 ~σ · n̂ + ... = cos θ θ + i ~σ · n̂ sin = 2 2 θ (−in1 − n2 ) sin 2 θ θ θ cos + in3 sin 2 2 2 Come si vede immediatamente dalla relazione (6.26), la funzione d’onda cambia segno quando si effettua una rotazione di angolo θ = 2π intorno all’asse ~n. Poiché la probabilità è data dal quadrato del modulo della funzione d’onda, si potrebbe pensare che che tale cambiamento di segno sia irrilevante. In realtà con un esperimento (−in1 + n2 ) sin 6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 133 di interferenza ottica si può mettere in evidenza il significato e l’importanza di tale cambiamento di segno. Consideriamo un elettrone polarizzato lungo l’asse z, ovvero avente stato iniziale Ψ0 (x) = ψ0 (x) 1 0 ! che passi attraverso due fenditure, F1 e F2 , e distinguiamo i tre casi che sono il caso in cui vi sia campo magnetico nullo in entrambe le fenditure, il caso in cui ci sia un campo magnetico B soltanto sulla fenditura F1 che inverte lo spin e il caso in cui il campo magnetico B presente solo su F1 agisca per un intervallo di tempo tale da produrre il cambiamento dallo spinore (1, 0) allo spinore (−1, 0). Indicando con Ψtot la funzione d’onda dopo il passaggio dell’elettrone attraverso le due fenditure, calcoliamo la probabilità |Ψtot |2 nei tre casi. Nel primo caso si ha Ψtot " 1 = √ ψ1 (x) 2 1 0 ! + ψ2 (x) 1 0 !# 1 =√ 2 ψ1 (x) + ψ2 (x) 0 ! e dunque la probabilità |Ψtot |2 = |ψ1 (x)|2 + |ψ2 (x)|2 + 2 Re ψ2∗ (x)ψ1 (x) 2 da cui si ricava che vi sono delle frange di interferenza dovute all’indistinguibilità delle due fenditure senza campo magnetico e quindi all’incertezza sulla fenditura per la quale è passata la particella. Nel secondo caso si ha Ψtot " 1 = √ ψ1 (x) 2 0 1 ! + ψ2 (x) 1 0 !# 1 =√ 2 ψ2 (x) ψ1 (x) ! e dunque la probabilità |ψ1 (x)|2 + |ψ2 (x)|2 2 da cui si ricava che non vi sono frange di interferenza perché misurando lo spin si può individuare senza incertezza la fenditura per la quale è passata la particella. Nel terzo caso si ha |Ψtot |2 = Ψtot " 1 = √ ψ1 (x) 2 −1 0 ! + ψ2 (x) 1 0 !# 1 =√ 2 −ψ1 (x) + ψ2 (x) 0 e dunque la probabilità |Ψtot |2 = |ψ1 (x)|2 + |ψ2 (x)|2 − 2 Re ψ2∗ (x)ψ1 (x) 2 ! 134 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE da cui si ricava che, come nel primo caso, vi sono delle frange di interferenza dovute all’indistinguibilità delle due fenditure senza campo magnetico. Ma sebbene nel primo e nel terzo caso si abbiano due risultati che possono essere considerati simili dal punto di vista qualitativo, ovvero vi è in entrambe le situazioni la presenza di frange di interferenza, tuttavia il cambio di segno che il campo magnetico produce sullo spinore si manifesta con un certo effetto ben visibile. In entrambi i casi lo stato di spin rimane il medesimo perché i due spinori (1, 0) e (−1, 0) rappresentano lo stesso stato di spin lungo l’asse z con valore 1/2, ma il segno negativo nel doppio prodotto della probabilità |Ψtot |2 sposta in un caso le frange di interferenza rispetto all’altro caso, ovvero scambia i massimi con i minimi. Capitolo 7 Sistemi in tre dimensioni 7.1 L’atomo d’idrogeno Il modello planetario classico dell’atomo fallisce perché l’orbita circolare fa collassare l’elettrone sul protone a causa dell’emissione di radiazione elettromagnetica dovuta all’accelerazione per rotazione. La meccanica quantistica risolve tale problema della stabilità dell’atomo di idrogeno perché in virtù del principio di indeterminazione secondo il quale l’elettrone non può essere localizzato esattamente sul nucleo, si ha che l’orbita più vicina al nucleo (stato fondamentale) non può collassare sul nucleo stesso. Il sistema (a due corpi) elettrone-protone viene risolto anche in meccanica quantistica, come in meccanica classica, considerando il sistema di riferimento del baricentro rispetto al quale l’elettrone ha massa pari alla massa ridotta del sistema e il protone è fermo in quanto avente massa molto maggiore dell’elettrone. Indicando con gli indici p, e le grandezze relative rispettivamente al protone e all’elettrone, abbiamo l’hamiltoniana dell’atomo di idrogeno H= p2p p2 e2 + e − 2mp 2me |rp − re | Effettuando il passaggio al sistema del baricentro, ovvero il cambio di variabili r = rp − re R= mp rp + me re mp + me dove r e R rappresentano rispettivamente la coordinata del moto relativo e la coordinata 135 CAPITOLO 7. SISTEMI IN TRE DIMENSIONI 136 del baricentro del sistema, si ottiene pp = mp r˙p = mp P +p mp + me pe = me r˙e = me P −p mp + me in cui p, P sono gli impulsi coniugati rispettivamente con la coordinata r del moto relativo e con la coordinata R del moto del baricentro. In queste nuove variabili, indicando con P, p, R, r i moduli rispettivamente dei vettori P, p, R, r, l’hamiltoniana dell’atomo di idrogeno assume la nuova forma con le variabili separate H = H1 (P, R) + H2 (p, r) = P2 p2 e2 + − 2M 2µ r dove si è posto M = mp + me , µ= mp me , mp + me H1 (P, R) = P2 , 2M H2 (p, r) = p2 e2 − 2µ r in cui, essendo R una variabile ciclica, il moto del baricentro è quello della particella libera di impulso P, descritto dall’hamiltoniana H1 . Dalle due equazioni secolari (separate) di H1 e H2 P2 U(P, R) = ER U(P, R) 2M e e2 p2 − 2µ r ! ψn (r) = En ψn (r) (7.1) dove le autofunzioni U(P, R) del moto del baricentro sono le usuali onde piane della particella libera 1 ei(P·R)/h̄ U(P, R) = (2πh̄)3/2 si ricava l’equazione secolare di H data da H [U(P, R) ψn (r)] = (ER + En ) [U(P, R) ψn (r)] in cui l’autofunzione totale Ψn,P := U(P, R) ψn (r) è il prodotto delle autofunzioni dei due operatori H1 e H2 e l’autovalore totale Etot := ER + En è dato dalla somma degli autovalori di H1 e H2 . In virtù della separazione delle variabili, per determinare lo spettro dell’atomo idrogenoide, dobbiamo dunque risolvere l’equazione secolare dell’hamiltoniana del moto relativo H2 (p, r) ψn (r) = En ψn (r), ovvero " # p2 Ze2 ψn (r) = En ψn (r) − 2µ r (7.2) 7.1. L’ATOMO D’IDROGENO 137 Considerando quindi come hamiltoniana dell’atomo di idrogeno soltanto l’espressione del moto relativo p2 H(p, r) = + V (r) 2µ con V (r) potenziale centrale, abbiamo che tale hamiltoniana è funzione solo delle grandezze invarianti per rotazione p2 e r da cui segue la regola [Li , H] = 0. Abbiamo allora che L2 , L3 , H formano un insieme completo di operatori che commutano a due a due a possiedono pertanto autofunzioni comuni ψn (r) L2 ψn (r) = a ψn (r) , L3 ψn (r) = b ψn (r) , Hψn (r) = En ψn (r) Lo studio già condotto dello spettro del momento angolare ci permette di riscrivere tali autofunzioni ψn (r), relative ad un problema a simmetria centrale, nella forma separata più comoda ψn (r) = Ylm (θ, φ) F (r) espressa nelle coordinate polari. Sostituendo l’espressione di p2 data dalla (6.5) nell’equazione di Schrödinger (7.2) scritta in coordinate polari, tale equazione diventa " Ze2 L2 En + − r 2µr 2 2 ∂ 2µ ∂2 + + 2 2 ∂r r ∂r h̄ !# ψn (r) = 0 (7.3) Attraverso la separazione nella funzione d’onda ψn (r) della parte radiale e della parte angolare, ovvero esprimendo ψn (r) = Ylm (θ, φ) F (r), e con la sostituzione dell’equazione secolare del momento angolare L2 Ylm (θ, φ) = h̄2 l(l+1) Ylm(θ, φ), la (7.3) assume la forma " # d2 F Ze2 h̄2 l(l + 1) 2µ 2 dF E + + + − F =0 n dr 2 r dr r 2µr 2 h̄2 ovvero la forma # " 2 dF λ 1 l(l + 1) d2 F F =0 + + − − dρ2 ρ dρ ρ 4 ρ2 (7.4) (7.5) in cui si è posto ρ= q 8µ|E| h̄ r e Ze2 λ= h̄ s µ 2|E| Se l’energia è negativa, si hanno stati legati nei quali la particella non può andare all’infinito perché l’energia cinetica è positiva e il potenziale coulombiano V (r) tende a zero per r tendente all’infinito. Se vale E = 0, allora le orbite sono paraboliche; infine, se vale E > 0, allora le orbite sono iperboliche e lo spettro è continuo. Dimostriamo che asintoticamente, cioè per ρ tendente all’infinito, la soluzione dell’equazione (7.5) tende all’espressione F (ρ) = ρn e±ρ/2 CAPITOLO 7. SISTEMI IN TRE DIMENSIONI 138 Considerando infatti nelle derivate di F (ρ) soltanto i termini dominanti dati dalle potenze più alte, ovvero 1 dF ≈ ± ρn e±ρ/2 dρ 2 e d2 F 1 ≈ ρn e±ρ/2 2 dρ 4 e trascurando le potenze inverse di ρ, si ha, sostituendo nella (7.5), 1 n ±ρ/2 1 n ±ρ/2 ρ e − ρ e =0 4 4 Affinché le autofunzioni siano normalizzbili, scegliamo l’esponente con il coefficiente negativo e consideriamo una soluzione di prova del tipo F (ρ) = Q(ρ) e−ρ/2 che inserita nella (7.5) conduce all’equazione per Q(ρ) 2 ρ " # d2 Q(ρ) 2 dQ(ρ) + (2ρ − ρ ) + [(λ − 1) ρ − l(l + 1)] Q(ρ) = 0 dρ2 dρ (7.6) Poniamo ora Q(ρ) = ρs L(ρ), dove L(ρ) sia un’espressione tale che L(0) 6= 0. Poiché vogliamo che la Q(ρ) sia non singolare, deve valere allora s ≥ 0 e sostituendo quindi Q(ρ) = ρs L(ρ) nella (7.6), si ottiene l’equazione per L(ρ) ρ2 L′′ (ρ) + [2ρ (s + 1) − ρ2 ] L′ (ρ) + [ρ(λ − s − 1) + s(s + 1) − l(l + 1)] L(ρ) = 0 Poiché vale L(0) 6= 0, allora da quest’ultima equazione (in cui si ponga ρ = 0) si deduce l’equazione s(s + 1) = l(l + 1) che ha la soluzione accettabile s = l ≥ 0 e quella non accettabile (perché negativa) s = −l − 1 < 0. Abbiamo allora l’equazione finale per L(ρ) con s = l ρL′′ (ρ) + (2l + 2 − ρ) L′ (ρ) + (λ − l − 1) L(ρ) = 0 (7.7) Risolviamo ora tale equazione per serie sviluppando L(ρ) nella serie di potenze di ρ L(ρ) = +∞ X ak ρk k=0 Inserendo questo sviluppo in serie nella (7.7), si ottiene la relazione ricorsiva fra i coefficienti ak −λ + l + 1 + k ak+1 = ak (7.8) (k + 1) (k + 2l + 2) 7.1. L’ATOMO D’IDROGENO 139 dalla quale si ricava il comportamento asintotico ak+1 1 ≈ , ak k per k → +∞ Poiché il comportamento asintotico di tale rapporto coincide con il comportamento asintotico dell’analogo rapporto fra i coefficienti della serie della funzione eρ , allora possiamo concludere che se lo sviluppo di L(ρ) fosse una serie infinita, allora si avrebbe asintoticamente l’espressione L(ρ) = eρ che renderebbe l’autofunzione F (ρ) non normalizzabile. Per impedire che si venga a creare questa situazione, dobbiamo imporre che per un certo valore k = k̄ valga ak̄+1 = 0, in modo dunque che L(ρ) sia un polinomio e non una serie. Affinché lo sviluppo di L(ρ) non sia infinito, si deve allora annullare il numeratore della (7.8), ovvero λ deve essere un numero intero positivo λ=n=l+1+k (7.9) Tale relazione (7.9) rappresenta dunque la condizione di quantizzazione da cui si ricava Z 2 µ e4 En = − 2 2 2h̄ n Per ottenere le autofunzioni dell’atomo idrogenoide, osserviamo che i polinomi definiti dalla relazione di ricorrenza (7.8) sono i cosiddetti polinomi associati di Laguerre, già noti ai matematici per le loro proprietà di ortogonalità molto tempo prima della nascita della meccanica quantistica. Il generico polinomio associato di Laguerre, indicato (α) con Lh (x), con α reale maggiore di −1, è dato dall’espressione (α) Lh (x) = ex dh (xh+α e−x ) xα dxh Definendo il raggio di Bohr a0 come a0 = h̄ h̄2 = 2 µcα µe dove α indica la costante di struttura fine, l’equazione (7.4) diventa # " Z2 l(l + 1) 2Z d2 Fnl (r) 2 dFnl (r) Fnl (r) = 0 + + − − dr 2 r dr a0 r n2 a0 r2 la cui soluzione è data da (2l+1) Fnl (r) = Cr l e−Zr/(na0 ) Ln−l−1 (x) con x= 2Zr na0 CAPITOLO 7. SISTEMI IN TRE DIMENSIONI 140 con la condizione di normalizzazione Z +∞ 0 r 2 [Fnl (r)]2 dr = 1 In conclusione possiamo scrivere le autofunzioni dell’atomo idrogenoide, ovvero le soluzioni ψn (r) della (7.3), ponendo (2l+1) ψnlm (r) = Fnl (r) Ylm(θ, φ) = N r l e−Zr/(na0 ) Ln−l−1 (x) Ylm (θ, φ) con x = 2Zr na0 dove N è una costante di normalizzazione ottenuta attraverso la condizione Z R3 |ψnlm (r)|2 d3 r = Z 0 +∞ r 2 [Fnl (r)]2 dr Z Ylm (θ, φ) sin θ dθ dφ = 1 con θ ∈ [0, π] e φ ∈ [0, 2π]. Per capire il significato del raggio di Bohr, consideriamo l’atomo d’idrogeno avente numero atomico Z = 1 e che sia nello stato fondamentale, ovvero che abbia i numeri quantici n = 1, l = m = 0. Si ottiene facilmente che la sua autofunzione è 1 ψ100 (r) = q e−r/a0 3 πa0 da cui possiamo ottenere la distribuzione radiale di probabilità, ovvero la probabilità, indicata con P (r) dr, di trovare l’elettrone in una buccia sferica di spessore infinitesimo, compresa fra i raggi r e r + dr. Dalla relazione Z 2 P (r) dr = r dr |ψnlm (r)|2 dΩ si ottiene immediatamente la densità di probabilità P (r) = 4 2 −2r/a0 r e a30 Si calcola immediatamente, mediante derivazione, che la probabilità di trovare l’elettrone è massima ad una distanza dal nucleo pari ad a0 . In questo senso allora, e non in senso classico, il raggio di Bohr a0 può essere interpretato come raggio dell’atomo. Dall’invarianza per rotazioni discende che quando è fissato il momento angolare, ovvero il valore di l, allora c’è una degenerazione in lz perché stati con i medesimi numeri quantici n, l hanno lo stesso livello di energia, ovvero lo stesso autovalore En . Analiticamente infatti, per la regola di commutazione [H, L± ] = 0, si ha HL± |En , l, lz i = L± H |En , l, lz i = En L± |En , l, lz i 7.2. L’OSCILLATORE ARMONICO ISOTROPO 141 da cui, per confronto con l’equazione secolare H|En , l, lz i = En |En , l, lz i, segue che gli stati |En , l, lz i e L± |En , l, lz i = |En , l, lz ± 1i sono autostati di H relativi al medesimo autovalore En . Quindi gli operatori L± forniscono tutti gli autostati degeneri in n con lo stesso valore di l e con lz che assume tutti i valori da −l a +l. Tale degenerazione, di ordine 2l + 1, è detta degenerazione naturale perché presente anche in meccanica classica quando, in virtù della conservazione del momento angolare, vi è indipendenza dell’energia dalla terza componente del momento angolare. In meccanica quantistica c’è un’altra degenerazione, detta accidentale, dovuta al fatto che anche stati con l + k costanti hanno stessa energia. La denerazione totale d di un livello energetico En vale d= n−1 X (2l + 1) = n2 l=0 7.2 L’oscillatore armonico isotropo L’oscillatore armonico in tre dimensioni si dice isotropo se le costanti elastiche k1 , k2 , k3 relative ai tre assi cartesiani sono uguali, ovvero quando si ha k1 = k2 = k3 = k. Da questa uguaglianza segue che l’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotropo si può scrivere nella forma H = Hx + Hy + Hz (cioè con le variabili separate) data da H= p2x mω 2 x2 + 2m 2 ! p2y mω 2 y 2 + + 2m 2 ! p2z mω 2 z 2 + + 2m 2 ! = p2 mω 2 r 2 + 2m 2 Per risolvere l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo dell’oscillatore armonico isotropo tridimensionale, data da HΨ(x, y, z) = E Ψ(x, y, z), sostituiamo in essa l’espressione della funzione d’onda Ψ(x, y, z) scritta nella forma separata in cui essa sia il prodotto di tre funzioni di una sola variabile Ψ(x, y, z) := φ(x) η(y) χ(z). Procedendo quindi come per l’oscillatore armonico isotropo bidimensionale, perveniamo all’equazione di Schrödinger della forma Hx φ(x) Hy η(y) Hz χ(z) + + =E φ(x) η(y) χ(z) in cui i tre addendi al primo membro dipendono ciascuno da una sola variabile e debbono pertanto essere necessariamente uguali ad una costante, cioè Hx φ(x) = Ex , φ(x) Hy η(y) = Ey , η(y) Hz χ(z) = Ez χ(z) (7.10) Le equazioni (7.10) sono tre equazioni di Schrödinger indipendenti dal tempo relative ad oscillatori armonici unidimensionali riferiti ciascuno al corrispondente asse cartesiano: possiamo quindi risolvere separatamente tali equazioni per ricostruire gli autovalori complessivi e le autofunzioni totali. 142 CAPITOLO 7. SISTEMI IN TRE DIMENSIONI Utilizzando allora la soluzione del problema dell’oscillatore armonico unidimensionale, otteniamo dalla (7.10) gli autovalori E = En dell’oscillatore armonico isotropo in tre dimensioni 3 3 = h̄ω n + En = Ex,nx + Ey,ny + Ez,nz = h̄ω nx + ny + nz + 2 2 dove si è posto n := nx + ny + nz e quindi le corrispondenti autofunzioni che possiamo rappresentare con la notazione di Dirac |Ψn i = |nx , ny , nz i oppure mediante prodotto di autofunzioni unidimensionali separate Ψn (x, y, z) = φnx (x) ηny (y) χnz (z). E’ immediato osservare che la degenerazione dn del livello di energia En è pari a dn = [(n + 1)(n + 2)]/2 A questo punto per rimuovere tale degenerazione occorre considerare l’insieme completo I di operatori che commutano fra loro e con l’hamiltoniana H dell’oscillatore armonico isotropo. Come è immediato verificare utilizzando la sua espressione scritta con le variabili p, r, l’hamiltoniana H dell’oscillatore armonico isotropo commuta con gli operatori L2 e Lz e allora con una scelta dell’autovalore di tali operatori è possibile rimuovere la degenerazione nell’autospazio di En . Chiariamo questa procedura con il seguente esempio. Il livello di energia E1 possiede i tre autostati degeneri normalizzati dati da |1, 0, 0i, |0, 1, 0i, |0, 0, 1i e quindi abbiamo che la sola conoscenza dell’energia E1 non permette di individuare in maniera univoca l’autostato dell’oscillatore armonico tridimensionale isotropo che abbia appunto la data energia E1 . Ma se rappresentiamo gli autostati corrispondenti all’autovalore E1 con la notazione delle funzioni d’onda ed esprimiamo le variabili cartesiane in termini di armoniche sferiche (ricordando che gli integrali gaussiani sulla variabile polare r sono estesi solo ai valori positivi di r), possiamo ottenere nel sottospazio di degenerazione i tre nuovi autostati normalizzati dati da √ √ 1 √ (|0, 1, 0i − i|1, 0, 0i) = i 2 g(r) Y1,1 , |0, 0, 1i = 2 g(r) Y1,0 , 2 s 5 5 2 √ 1 4 16m ω − mωr 2h̄ √ (|0, 1, 0i + i|1, 0, 0i) = i 2 g(r) Y1,−1 r e con g(r) := 9πh̄5 2 corrispondenti univocamente all’autovalore E1 dell’energia, all’autovalore l = 1 del momento angolare totale L2 e rispettivamente agli autovalori lz = 1, 0, −1 di Lz . Per concludere osserviamo che gli autostati di En possiedono tutti i valori di l che hanno la stessa parità di n e tali che valga 0 ≤ l ≤ n. Infatti abbiamo d2n = 2n2 + 3n + 1 = n X [2 (2k) + 1] k=0 e d2n+1 = 2n2 + 5n + 3 = n X k=0 [2 (2k + 1) + 1] Capitolo 8 Particelle identiche La dinamica di un sistema di due particelle identiche è governata da un’hamiltoniana simmetrica per scambio delle due particelle. In meccanica classica l’identità delle particelle e dunque la simmetria dell’hamiltoniana non hanno particolare rilevanza perché tali particelle possono essere riconosciute (o etichettate) attraverso le traiettorie che si ottengono dalle condizioni iniziali. In meccanica quantistica c’è invece un’identità di fondo dovuta alla proprietà per cui quando le due funzioni d’onda, pur partite da regioni diverse dello spazio e quindi distinguibili, si sovrappongono per l’espansione dei pacchetti d’onda, non è più possibile riconoscere l’una e l’altra particella nemmeno se poi i pacchetti d’onda si separano di nuovo. Data allora l’hamiltoniana simmetrica per scambio delle particelle in cui compaiono le masse uguali p2 p2 H = 1 + 2 + V (r1 , r2) 2m 2m con r1 = (x1 , y1 , z1 ) e r2 = (x2 , y2 , z2 ), definiamo l’operatore di scambio delle particelle (indicato con C̃) che agisce secondo le regole C̃ −1 r1 C̃ = r2 e C̃ −1 p1 C̃ = p2 (8.1) Data ora l’equazione x̃1 |r1 , r2 i = x1 |r1 , r2 i e le analoghe per le componenti y1 , z1 , segue C̃ −1 x̃1 |r1 , r2 i = x1 C̃ −1 |r1 , r2 i ovvero, inserendo l’identità sotto forma di C̃ C̃ −1 [C̃ −1 x̃1 C̃] C̃ −1 |r1 , r2 i = x1 C̃ −1 |r1, r2 i da cui, utilizzando la prima delle (8.1), otteniamo x̃2 [C̃ −1 |r1 , r2 i] = x1 [C̃ −1 |r1 , r2 i] il cui significato è che C̃ −1 |r1 , r2 i è autostato di x̃2 con autovalore x1 . 143 CAPITOLO 8. PARTICELLE IDENTICHE 144 Poiché quindi |r1 , r2 i è autostato di x̃1 con autovalore x1 e C̃ −1 |r1 , r2 i è autostato di x̃2 con autovalore x1 , possiamo porre C̃ −1 |r1 , r2 i = |r2 , r1 i: si ha infatti x̃2 [C̃ −1 |r1 , r2 i] = x1 [C̃ −1 |r1 , r2 i] e x̃1 [C̃ −1 |r1, r2 i] = x2 [C̃ −1 |r1 , r2 i] da cui per confronto ricaviamo appunto C̃ −1 |r1 , r2i = |r2, r1 i con la relazione inversa data da C̃ |r2 , r1 i = |r1 , r2 i. Sulla base {|r1 , r2i} si ha il rappresentativo hr1 , r2 |C̃|ψi = hr2 , r1 |ψi, ovvero la relazione fra le funzioni d’onda ψ(r1 , r2 ) e ψ(r2 , r1 ) data da (C̃ ψ) (r1 , r2 ) = ψ(r2 , r1 ). Poiché l’operatore di scambio C̃ è tale che il suo quadrato coincide con l’identità, ovvero C̃ 2 = I, allora i suoi autovalori sono λ = +1, −1 e le sue autofunzioni sono rispettivamente le funzioni pari e dispari per scambio delle due particelle. Poiché il termine potenziale nell’hamiltoniana è simmetrico per scambio delle particelle, ovvero V (r1 , r2 ) = V (r2 , r1 ), allora si ha C̃ −1 H C̃ = H, ovvero la regola di commutazione [H, C̃] = 0. Essendo dunque H e C̃ diagonalizzabili simultaneamente, segue che anche le autofunzioni dell’hamiltoniana di due particelle identiche sono pari e dispari per scambio delle particelle stesse. Verifichiamo direttamente che, come si potrebbe dedurre peraltro dall’equazione di Heisenberg, l’operatore C̃ risulta essere costante del moto. Si ha infatti H H H C̃ |ψ, ti = C̃ e−i h̄ t |ψ, 0i = e−i h̄ t C̃ |ψ, 0i = e−i h̄ t (±|ψ, 0i) = ±|ψ, ti ovvero l’evoluzione temporale di |ψ, 0i mantiene la stessa parità di |ψ, 0i stesso. Aggiungiamo che tutte le osservabili O(i, j) relative a particelle identiche debbono essere simmetriche sotto scambio delle particelle, ovvero O(i, j) = O(j, i). In natura esistono due tipi di sistemi di particelle: i sistemi di particelle con spin intero hanno funzione d’onda pari per scambio delle particelle e le particelle di tale sistema vengono chiamate bosoni; i sistemi di particelle con spin semintero hanno funzione d’onda dispari per scambio delle particelle e le particelle di tale sistema vengono chiamate fermioni. Consideriamo come esempio l’hamiltoniana H= p2 p21 + 2 + V (r1 ) + V (r2 ) 2m 2m con la stessa funzione V (·) per entrambe le particelle, che può rappresentare un atomo di elio in cui siano presenti le sole interazioni elettrone-nucleo. Poiché tale hamiltoniana è separata e risulta somma delle due parti H1 = p21 + V (r1 ) 2m e H2 = p22 + V (r2 ) 2m 145 allora se sappiamo risolvere separatamente le due equazioni di Schrödinger indipendenti dal tempo H1 φn1 (r1 ) = En1 φn1 (r1 ) e H2 φn2 (r2 ) = En2 φn2 (r2 ) possiamo scrivere l’autofunzione ψn (r1 , r2 ) dell’hamiltoniana totale H nella forma ψn (r1 , r2 ) = φn1 (r1 ) φn2 (r2 ) con autovalore En = En1 + En2 . Infatti si ha H ψn (r1 , r2 ) = (H1 + H2 ) φn1 (r1 ) φn2 (r2 ) = = En1 φn1 (r1 ) φn2 (r2 ) + En2 φn1 (r1 ) φn2 (r2 ) = (En1 + En2 ) φn1 (r1 ) φn2 (r2 ) = = En ψn (r1 , r2 ) Inoltre, se ψn (r1 , r2) è autostato di H con autovalore En , allora, con dimostrazione analoga a quella appena svolta, anche la funzione ψn (r2 , r1 ) = φn1 (r2 ) φn2 (r1 ) è autostato di H relativo sempre allo stesso autovalore (o livello) En . Poiché l’operatore di scambio agisce secondo la regola C̃ ψ± (r1 , r2 ) = ±ψ± (r1 , r2 ) e le autofunzioni di H debbono coincidere con quelle di C̃, allora scriviamo l’autofunzione di H relativa al livello En nella forma Ψ± n (r1 , r2 ) = N [ψn (r1 , r2 ) ± ψn (r2 , r1 )] = N [φn1 (r1 ) φn2 (r2 ) ± φn1 (r2 ) φn2 (r1 )] con N costante di normalizzazione. Osserviamo che lo sviluppo eseguito fino a questo punto rimane del tutto identico se il sistema possiede spin e lo stato fosse ψn (r1 , s1 , r2 , s2 ). Nel caso antisimmetrico dato dall’autofunzione Ψ− n (r1 , r2 ) = N [φn1 (r1 ) φn2 (r2 ) − φn1 (r2 ) φn2 (r1 )] abbiamo che se vale En1 = En2 , allora si ha Ψn (r1 , r2 ) = 0. Questo è un modo per enunciare il principio di esclusione di Pauli per cui due fermioni, la cui funzione d’onda è appunto antisimmetrica, non possono essere posti nello stesso livello En1 = En2 , perché la funzione d’onda Ψn (r1 , r2 ) = 0 che essi avrebbero non è un’autofunzione. Ad esempio un atomo di elio con hamiltoniana (rozza) H = H1 + H2 avrebbe stato fondamentale ψ0 (r1 , r2 ) = R10 (r1 ) Y00 (θ1 , φ1 ) R10 (r2 ) Y00 (θ2 , φ2 ) ma poiché l’autofunzione di uno stato elettronico (cioè di un sistema di fermioni) deve essere antisimmetrica per scambio delle due particelle, allora scriviamo lo stato fondamentale nella forma Ψ0 (r1 , r2 ) = CAPITOLO 8. PARTICELLE IDENTICHE 146 = R10 (r1 ) Y00 (θ1 , φ1 ) R10 (r2 ) Y00 (θ2 , φ2 ) − R10 (r2 ) Y00 (θ2 , φ2 ) R10 (r1 ) Y00 (θ1 , φ1 ) = 0 da cui deduciamo che i due elettroni dell’atomo di elio non possono trovarsi entrambi nel proprio stato fondamentale perché una funzione nulla non può essere un’autofunzione di un’hamiltoniana. Se passiamo da un sistema con due particelle ad un sistema generale di n particelle avente autofunzione φ(x1 , x2 , ..., xn ), allora, indicata con Pi una certa permutazione delle coordinate x1 , x2 , ..., xn , possiamo costruire le autofunzioni simmetriche ψs e antisimmetriche ψa ponendo ψs (x1 , x2 , ..., xn ) = X Pi φ(x1 , x2 , ..., xn ) i ψa (x1 , x2 , ..., xn ) = X (−1)|Pi| Pi φ(x1 , x2 , ..., xn ) i dove |Pi | vale +1 o −1 a seconda che la permutazione Pi sia rispettivamente pari o dispari. Se il sistema avesse n particelle indipendenti, allora la generica autofunzione separata assumerebbe la forma ψEk (x1 , x2 , ..., xn ) = φEk1 (x1 ) · φEk2 (x2 ) · ... · φEkn (xn ) a partire dalla quale si ottiene l’autofunzione antisimmetrica ψEa k data dal determinante, detto determinante di Slater ψEa k (x1 , x2 , ..., xn ) = det φEk1 (x1 ) φEk1 (x2 ) φEk2 (x1 ) φEk2 (x2 ) ... ... φEkn (x1 ) φEkn (x2 ) ... φEk1 (xn ) ... φEk2 (xn ) ... ... ... φEkn (xn ) In meccanica quantistica relativistica si dimostra che le particelle con spin intero non possono avere funzione d’onda antisimmetrica e particelle con spin semintero non possono avere funzione d’onda simmetrica, altrimenti risulta violato il principio di causalità. Tornando all’hamiltoniana (rozza perché non contenente il termine di interazione dei due elettroni) dell’atomo di elio, abbiamo allora che se non consideriamo lo spin, lo stato fondamentale ψEa 1,2 è dato dall’autofunzione (quattro volte degenere) ψEa 1,2 (x1 , x2 ) = N [R10 (r1 )Y00 (θ1 , ϕ1 )R2l (r2 )Ylm (θ2 , ϕ2 ) − indici scambiati] Considerando ora lo spin dell’elettrone nell’atomo d’idrogeno, possiamo costruire l’autofunzione dello stato fondamentale dell’atomo di elio (rozzo) ponendo entrambi gli elettroni nello stato con n = 1 perché si ottiene ψEa 1,2 (x1 , x2 ) " = N R10 (r1 )Y00 (θ1 , ϕ1 ) 1 0 ! R10 (r2 )Y00 (θ2 , ϕ2 ) 0 1 ! + 8.1. LOCALITÀ DELLA FISICA 147 1 0 −R10 (r2 )Y00 (θ2 , ϕ2 ) ! R10 (r1 )Y00 (θ1 , ϕ1 ) = R10 (r1 )Y00 (θ1 , ϕ1 )R10 (r2 )Y00 (θ2 , ϕ2 ) " 1 0 ! 0 1 ! 0 1 − !# = 0 1 ! 1 0 !# dove i termini di spin sono autostati di S1z e S2z . Indicando con |0, 0i lo stato composizione di due momenti angolari 1 |0, 0i = √ 2 " 1 0 ! 0 1 ! − 0 1 ! 1 0 !# detto stato di singoletto perché unico stato antisimmetrico per scambio delle particelle ottenuto componendo i due spin s1 = s2 = 1/2, segue che lo stato fondamentale dell’atomo di elio (rozzo), scritto nella forma ψEa 1 (x1 , x2 ) = R10 (r1 )Y00 (θ1 , ϕ1 )R10 (r2 )Y00 (θ2 , ϕ2 ) |0, 0i è dato dal prodotto di una parte spaziale simmetrica (con i due elettroni in n = 1) e di una parte di spin antisimmetrica (perché data dal singoletto). 8.1 Località della fisica Poiché gli elettroni sono presenti nell’universo in enorme quantità, si potrebbe pensare che il determinante di Slater debba tener conto di tutti questi elettroni. Dimostriamo invece che la fisica è locale, ovvero, per ogni elettrone soltanto quelli “vicini” ad esso hanno rilevanza. Consideriamo infatti due elettroni separati aventi funzioni d’onda ψ1 (x1 ) e ψ2 (x2 ) e con autofunzione totale antisimmetrica per scambio 1 Ψ(x1 , x2 ) = √ [ψ1 (x1 )ψ2 (x2 ) − ψ1 (x2 )ψ2 (x1 )] 2 Data un’osservabile O(1, 2), simmetrica per scambio delle due particelle identiche, verifichiamo che per il calcolo del suo valor medio gli elettroni “lontani” fra loro forniscono contributo nullo. Sviluppando infatti il valor medio di O(1, 2) hOi = 1 2 Z d3 x1 d3 x2 [Ψ∗ (x1 , x2 ) O(1, 2) Ψ(x1, x2 )] si ottiene la somma dei due termini non misti uguali fra loro Z d3 x1 d3 x2 [ψ1∗ (x1 )ψ2∗ (x2 ) O(1, 2) ψ1(x1 )ψ2 (x2 )] (8.2) CAPITOLO 8. PARTICELLE IDENTICHE 148 e due termini misti uno dei quali è 1 2 Z d3 x1 d3 x2 [ψ1∗ (x1 )ψ2∗ (x2 ) O(1, 2) ψ1(x2 )ψ2 (x1 )] Se i due elettroni sono “lontani” fra loro e i loro pacchetti d’onda non si sovrappongono, ovvero ψ1 (x1 ) , ψ2 (x2 ) sono diversi da zero e ψ1 (x2 ) = ψ2 (x1 ) = 0, allora i due termini misti nello sviluppo del valor medio (8.2) sono nulli perché x1 si trova nella parte nulla della funzione d’onda ψ2 del secondo elettrone e x2 si trova nella parte nulla della funzione d’onda ψ1 del primo elettrone. Capitolo 9 Teoria delle perturbazioni L’equazione di Schrödinger corrispondente all’hamiltoniana di un sistema fisico concreto non è quasi mai risolubile in forma chiusa e quindi di conseguenza non si posssono quasi mai determinare in modo esatto lo spettro di un’hamiltoniana e i corrispondenti livelli di energia (autovettori dell’hamiltoniana stessa). Allora si presenta l’esigenza di approssimare in qualche modo gli autovalori e gli autovettori dell’hamiltoniana assegnata e il metodo di approssimazione che presentiamo consiste nel considerare l’hamiltoniana data come scindibile nella somma di una parte della quale si possano determninare gli autovalori in modo esatto e di un’altra parte che possa avere il ruolo di piccola perturbazione. I metodi di approssimazione avranno procedure diverse a seconda che l’hamiltoniana sia indipendente dal tempo con spettro della parte risolubile esattamente degenere o non degenere, oppure l’hamiltoniana sia dipendente dal tempo. 9.1 Teoria indipendente dal tempo: caso non degenere Data un’hamiltoniana H, tale che l’equazione secolare H |E (k) i = E (k) |E (k) i (9.1) non abbia soluzioni in forma chiusa, supponiamo che si possa esprimere l’operatore H nella forma H = H0 + ǫV , con ǫ parametro piccolo e H0 tale che la sua equazione secolare (k) (k) (k) H0 |E0 i = E0 |E0 i abbia soluzioni in forma chiusa. Se ǫ è parametro piccolo, allora sviluppiamo gli autovalori e gli autovettori di H in serie di potenze di ǫ, ovvero E (k) (ǫ) = +∞ X ǫn En(k) e n=0 149 |E (k) , ǫi = +∞ X n=0 ǫn |En(k) i (9.2) CAPITOLO 9. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI 150 in modo tale che per la non degenerazione dello spettro valga (k) lim E (k) (ǫ) = E0 (k) lim |E (k) , ǫi = |E0 i e ǫ→0 ǫ→0 Sostituendo dunque gli sviluppi (9.2) nell’equazione secolare (9.1), si ottiene l’equazione (k) (k) (k) [H0 + ǫV ] ( |E0 i + ǫ |E1 i + ǫ2 |E2 i + ... ) = (9.3) (k) (k) (k) (k) (k) (k) = ( E0 + ǫ E1 + ǫ2 E2 + ... )( |E0 i + ǫ |E1 i + ǫ2 |E2 i + ... ) nella quale debbono essere uguagliati i coefficienti delle potenze di ǫ corrispondenti in ambo i membri. Uguagliando i termini di ordine zero, si ottiene ovviamente l’equazione agli autovalori dell’operatore H0 (k) (k) (k) H0 |E0 i = E0 |E0 i che già conosciamo e sappiamo risolvere. Uguagliando i termini di ordine 1, si ottiene l’equazione vettoriale (k) (k) (k) (k) (k) (k) H0 |E1 i + V |E0 i = E0 |E1 i + E1 |E0 i (9.4) (k) dalla quale, proiettando ambo i membri su hE0 |, si ricava l’equazione scalare (k) (k) (k) (k) (k) (k) (k) (k) (k) (k) hE0 | H0 |E1 i + hE0 | V |E0 i = hE0 | E0 |E1 i + E1 hE0 |E0 i (k) (k) (k) (k) (k) (k) (k) (k) che, dopo la semplificazione di hE0 | H0 |E1 i = hE0 | E0 |E1 i = E0 hE0 |E1 i, diventa (k) (k) (k) E1 = hE0 | V |E0 i (9.5) La relazione (9.5) rappresenta la correzione al primo ordine nella teria delle per(k) turbazioni che deve essere aggiunta all’autovalore E0 per avere l’approssimazione al primo ordine dell’autovalore E (k) dell’hamiltoniana H: si ha cioè (k) (k) (k) (k) (k) E (k) = E0 + ǫ E1 = E0 + ǫ hE0 | V |E0 i La perturbazione si considera piccola se le correzioni che essa induce sono più pic(k) (k+1) cole della spaziatura fra i livelli consecutivi dati dagli autovalori E0 e E0 di H0 , ovvero se i livelli perturbati sono riconoscibili da quelli non perturbati. (h) Proiettando l’equazione vettoriale (9.4) all’ordine ǫ su hE0 |, con h 6= k, si ottiene (h) (h) (k) (h) (k) (k) (h) (k) E0 hE0 |E1 i + hE0 | V |E0 i = E0 hE0 |E1 i da cui segue (h) (h) (k) hE0 |E1 i = (k) hE0 | V |E0 i (k) (h) E0 − E0 con h 6= k (9.6) 9.1. TEORIA INDIPENDENTE DAL TEMPO: CASO NON DEGENERE (k) 151 (h) Tale espressione rappresenta le proiezioni del ket |E1 i su tutti i vettori |E0 i tali che valga h 6= k. (k) La mancanza di informazione relativa al bra hE0 |, ovvero la mancanza del prodotto (k) (k) scalare hE0 |E1 i, è collegata alla norma del livello esatto e alla possibilità di moltiplicare i ket per una fase irrilevante: in altre parole, imponendo che il ket corretto al primo (k) (k) ordine |E (k) i = |E0 i + ǫ |E1 i abbia norma unitaria e ridefinendo opportunamente (k) una fase per |E0 i, si possono annullare parte reale e parte immaginaria del prodotto (k) (k) scalare hE0 |E1 i, in modo tale che, senza quindi perdita di generalità, la proiezione (k) (k) del ket |E1 i sul ket |E0 i possa essere considerata sempre nulla. Si ha infatti al primo ordine in ǫ (k) 2 |E i (k) (k) 2 (k) (k) (k) (k) = |E0 i + ǫ |E1 i = 1 + ǫ ( hE1 |E0 i + hE0 |E1 i ) = (k) (k) = 1 + Re hE0 |E1 i da cui segue che la normalizzazione hE (k) |E (k) i = 1 del ket corretto |E (k) i permette di (k) (k) annullare la parte reale della proiezione hE0 |E1 i mancante nella (9.6), cioè fornisce (k) (k) la relazione Re hE0 |E1 i = 0. (k) (k) Essendo quindi tale proiezione immaginaria pura, possiamo porre hE0 |E1 i = iα e vogliamo dimostrare che anche la parte immaginaria α può essere considerata nulla. (k) Moltiplicando il ket |E0 i per una fase irrilevante e sostituendo il ket (k) (k) (k) (k) eiγǫ |E0 i ≈ (1 + iγǫ) |E0 i = |E0 i + iγǫ |E0 i nell’espressione di |E (k) i, si ottiene (k) (k) (k) (k) (k) (k) |E (k) i = |E0 i + iγǫ |E0 i + ǫ |E1 i = |E0 i + ǫ (iγ |E0 i + |E1 i) ovvero (k) (k) |E (k) i = |E0 i + ǫ |Ẽ1 i (k) (k) (k) avendo posto |Ẽ1 i = iγ |E0 i + |E1 i. Osserviamo che le due relazioni (k) (k) |E (k) i = |E0 i + ǫ |E1 i e (k) (k) |E (k) i = |E0 i + ǫ |Ẽ1 i (k) sono equivalenti perché in esse i ket |E0 i differiscono soltanto per una fase e allora concludiamo che può sempre essere annullata anche la parte immaginaria del prodotto (k) (k) (k) (k) scalare hE0 |E1 i dimostrando che se non valesse già Im hE0 |E1 i = 0, allora si (k) (k) può in ogni caso imporre sempre Im hE0 |Ẽ1 i = 0. Infatti si ha (k) (k) (k) (k) (k) Im hE0 |Ẽ1 i = Im hE0 | (iγ |E0 i + |E1 i) = γ + α CAPITOLO 9. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI 152 (k) da cui segue che se si sceglie la fase γ = −α per il ket |E0 i, allora si ottiene appunto (k) (k) la relazione Im hE0 |Ẽ1 i = 0. Poiché dunque la normalizzazione del ket corretto |E (k) i e l’eventuale ridefinizione (k) della fase di |E0 i permettono sempre di rendere nulla la parte reale e la parte imma(k) (k) ginaria del prodotto scalare hE0 |E1 i, allora non è restrittivo considerare nulla sin (k) (k) dall’inizio la proiezione hE0 |E1 i, in modo tale che la sua mancanza nella (9.6) non costituisca dunque nessuna perdita di informazione. (k) Dalle proiezioni (9.6) si ottiene la correzione al primo ordine |E1 i data dallo sviluppo (k) |E1 i = X h6=k (h) (k) hE0 |E1 i (h) |E0 i = X h6=k (h) (k) hE0 | V |E0 i (k) E0 − (h) E0 (h) |E0 i Considerando nell’equazione (9.3) soltanto i termini in ǫ2 , si ottiene la correzione al secondo ordine. In particolare riscriviamo l’equazione agli autovalori (9.3) nella forma (k) (k) (k) [H0 + ǫV ] ( |E0 i + ǫ |E1 i + ǫ2 |E2 i) = (k) (k) (k) (k) (k) (k) = ( E0 + ǫ E1 + ǫ2 E2 )( |E0 i + ǫ |E1 i + ǫ2 |E2 i) da cui per l’hermitianità di H0 che agisce a sinistra e per l’ortogonalità, ottenuta all’or(k) (k) dine ǫ, di |E1 i e |E0 i, si ricava con procedimento analogo a quello del prim’ordine (k) (k) (k) E2 = hE0 | V |E1 i = = X n6=k (k) (n) X n6=k (n) (k) (k) hE0 | V |E0 ihE0 | V |E0 i (k) E0 − (n) E0 (n) (k) hE0 | V |En(0) i hE0 |E1 i = = Vkn Vnk (k) (n) n6=k E0 − E0 X 9.2 Teoria indipendente dal tempo: caso degenere Per introdurre il metodo di approssimazione nel caso in cui l’hamiltoniana H0 abbia spettro degenere, consideriamo un magnete immerso in un campo magnetico debole: se tale campo è parallelo alla magnetizzazione del magnete, allora la magnetizzazione subisce soltanto una piccola variazione nella medesima direzione; se il campo non è parallelo alla magnetizzazione, allora il magnete prima si allinea al campo e poi varia la propria intensità. In questo secondo caso, dopo lo spegnimento del campo si ha che il magnete permane nella direzione del campo stesso. (k) Sia ora |E0 , di uno dei d autoket ortonormalizzati, esatti e noti di H0 relativi all’au(k) tovalore E0 (avente degenerazione d). L’autoket esatto di H, indicato con |E (k) , ǫi, 9.3. METODO VARIAZIONALE 153 tenderà allora, per ǫ tendente a zero, ad un certo autovettore di H0 appartenente al sottospazio di degenerazione, ovvero avremo lim |E (k) , ǫi = ǫ→0 X d (k) Cd |E0 , di con Cd che può essere anche grande per ǫ tendente a zero. Sostituendo allora l’approssimazione al primo ordine |E (k) , ǫi ≈ X d (k) (k) Cd |E0 , di + ǫ |E1 i nell’equazione (k) (k) [H0 + ǫV ] |E (k) , ǫi = (E0 + ǫ E1 ) |E (k) , ǫi (k) e moltiplicando ambo i membri per il bra hE0 , d′ |, si ottiene l’equazione X d (k) (k) (k) Cd hE0 , d′ |V |E0 , di = E1 Cd (9.7) che, come si vede immediatamente, risulta essere un’equazione agli autovalori per la (k) (k) matrice Vd′ d = hE0 , d′ |V |E0 , di. (k) (k) Tali autovalori E1 rappresentano le d correzioni del livello degenere E0 imperturbato la cui degenerazione quindi in tal modo, come si dice, viene rimossa. Gli autovettori ottenuti dalla (9.7) sono invece i nuovi vettori di base nel sottospazio degenere imperturbato ai quali, per ǫ tendente a zero, tendono biunivocamente gli autovet(k) tori imperturbati |E0 , di scelti inizialmente come autovettori di bese nel sottospazio degenere. In analogia con il magnete, abbiamo che, spegnendo la perturbazione, gli autovettori ottenuti dall’equazione (9.7) rimangono a formare la base nel sottospazio degenere. Se la perturbazione rimuove già al primo ordine la degenerazione, allora per il secondo ordine si può applicare la teoria non degenere. Se la perturbazione rimuove solo alcuni dei d autoket, allora nel sottospazio degli autoket rimasti degeneri occorre diagonalizzare la matrice Vk′ n Vnk′′ in modo che che gli autovalori diano le correzioni e gli autovettori siano i vettori di base nel sottospazio rimasto degenere ai quali tendono gli autovettori rimasti degeneri quando si spegne la perturbazione. 9.3 Metodo variazionale Data un’hamiltoniana H avente En e |En i rispettivamente come autovalori e autovettori esatti, il valor medio di H su uno stato normalizzato |ψi verifica la seguente disuguaglianza hψ|H|ψi = X n hψ|H|En ihEn |ψi = X n hψ|En ihEn |ψi En ≥ CAPITOLO 9. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI 154 ≥ X n hψ|En ihEn |ψi E0 = E0 hψ|ψi = E0 da cui, se hψ|ψi = 1, scaturisce E0 ≤ hψ|H|ψi (9.8) In altre parole, il valor medio di H su uno stato normalizzato |ψi rappresenta un’approssimazione per eccesso del livello fondamentale E0 . La disuguaglianza (9.8) può essere utilizzata allora per stimare il livello fondamentale di un’hamiltoniana H: se si considera un ket |ψi di prova dipendente da k parametri, ovvero un ket |ψ(a1 , a2 , ..., ak )i, allora abbiamo E0 ≤ hψ|H|ψi = Z ψ ∗ (x, a1 , a2 , ..., ak ) H ψ(x, a1 , a2 , ..., ak ) dx := F (a1 , a2 , ..., ak ) e potremmo quindi minimizzare poi la funzione F (a1 , a2 , ..., ak ) rispetto ai parametri. Tale metodo, chiamato metodo variazionale, è completamente non perturbativo, ma presenta il problema che non permette di stimare l’errore che si commette. Tale metodo si applica per esempio per stimare il livello fondamentale dell’atomo di elio. 9.4 Teoria dipendente dal tempo Consideriamo ora un’hamiltoniana totale H che possa essere scritta nella forma H = H0 + ǫ V (t) (n) dove H0 è un’hamiltoniana di cui si conoscano lo spettro e gli autovettori |E0 i e ǫ è un parametro piccolo. In questo caso non cerchiamo gli autostati completi di H perché l’operatore H dipende esplicitamente dal tempo e non esiste pertanto l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo H|En i = En |En i. L’hamiltoniana H è responsabile delle transizioni del sistema da uno stato all’altro durante l’intervallo di tempo di azione della perturbazione. (n) Poiché gli autoket |E0 i di H0 formano un insieme completo, allora espandiamo l’autostato |ψ, ti di H nella forma |ψ, ti = X n −i an (t)e E (n) 0 h̄ t (n) |E0 i (9.9) in cui è stata evidenziata la dipendenza dal tempo di tipo esponenziale. Se lo stato |ψ, ti è normalizzato, allora |an (t)|2 rappresenta la probabilità di trovare il sistema al tempo t nello stato indicizzato con n. 9.4. TEORIA DIPENDENTE DAL TEMPO 155 Inserendo la (9.9) nell’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo ih̄ ∂ |ψ, ti = H |ψ, ti ∂t si ottiene l’equazione differenziale ih̄ X n (n) E d 0 an (t) e−i h̄ dt t (n) |E0 i = X an (t) ǫ V (t) e−i E n (n) 0 h̄ t (n) |E0 i (k) Moltiplicando quindi scalarmente ambo i membri di tale equazione per il bra hE0 | e (k) (n) tenendo presente la relazione di ortonormalità hE0 |E0 i = δkn verificata dagli autoket dell’operatore H0 , si ottiene (n) (k) d 1 X (k) (n) ak (t) = an (t) ǫ hE0 |V (t)|E0 i e−(i/h̄) [E0 −E0 ] t dt ih̄ n (9.10) Se inseriamo lo sviluppo in serie di potenze di ak (t) (1) 2 (2) an (t) = a(0) n (t) + ǫ an (t) + ǫ an (t) + ... nella (9.10) e uguagliamo i coefficienti delle potenze omologhe di ǫ, otteniamo d (0) a (t) = 0 dt k (9.11) (n) (k) 1 X (0) d (1) (k) (n) ak (t) = an (t) hE0 |V (t)|E0 i e−(i/h̄) [E0 −E0 ] t dt ih̄ n (9.12) (n) (k) 1 X (1) d (2) (k) (n) ak (t) = an (t) hE0 |V (t)|E0 i e−(i/h̄) [E0 −E0 ] t dt ih̄ n .. . (n) (k) 1 X (m) d (m+1) (k) (n) ak (t) = an (t) hE0 |V (t)|E0 i e−(i/h̄) [E0 −E0 ] t dt ih̄ n (0) L’equazione (9.11) dimostra che ak (t) non dipende dal tempo, come in effetti deve essere quando la perturbazione è spenta. (0) In virtù di questa conclusione, possiamo allora dire che ak definisce le condizioni iniziali del problema e dunque possiamo assumere, per semplicità, che il sistema si trova inizialmente, cioè per t ≤ t0 , in un autostato ψh ben definito. Si ha così a(0) n = δnh , senza che questa posizione sia in contraddizione con il principio di indeterminazione ∆E∆t ≥ h̄ perché c’è una quantità di tempo pressoché infinita per preparare lo stato iniziale. CAPITOLO 9. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI 156 Sostituendo la relazione a(0) n = δnh nella (9.12), si ottiene (h) (k) 1 d (1) (k) (h) ak (t) = hE0 |V (t)|E0 i e−(i/h̄) [E0 −E0 ] t dt ih̄ (9.13) Supponendo V (t) diversa da zero soltanto nell’intervallo di tempo (0, t) nel quale si ha V (t) = V0 , allora integrando la (9.13) si ottiene (k) (1) ak (t) = − (h) hE0 |V0 |E0 i (k) (h) E0 − E0 (h) e−(i/h̄) [E0 (k) −E0 ] t −1 Al primo ordine nella teoria delle perturbazioni, abbiamo quindi che la probabilità di transizione per la transizione dallo stato iniziale indicato con h allo stato finale indicato con k è data da (1) Pkh (t) = |ak (t)|2 = 2 (k) (h) |hE0 |V0 |E0 i|2 F (t, ωkh ) h̄ dove si è posto (k) ωkh (h) E − E0 := 0 h̄ e F (t, ω) = 1 − cos ωt ω2 Capitolo 10 Formalismo di seconda quantizzazione Date delle particelle identiche tutte di massa m, consideriamo un’hamiltoniana della forma X Hi H= i dove il termine p2i + V (xi ) 2m agisce soltanto sulle variabili della particella i − esima. In questo caso le particelle sono non interagenti e sentono soltanto un potenziale esterno. Risolvendo l’equazione secolare di tutte le Hi e date le autofunzioni uni (xi ) della generica Hi , si costruisce lo stato (autofunzione) complessivo simmetrico ψsimm o antisimmetrico ψantisimm eseguendo Hi = ψsimm = X [un1 (x1 ) un2 (x2 ) un3 (x3 )...unN (xN )] π e ψantisimm = X (−1)|π| [un1 (x1 ) un2 (x2 ) un3 (x3 )...unN (xN )] π dove la somma è calcolata su tutte le permutazioni π di n1 , n2 , ..., nN e |π| rappresenta l’ordine pari o dispari di una certa permutazione. La seconda quantizzazione si basa sul concetto di numero di occupazione del livello di energia Ek di singola particella: il numero di occupazione nEk è il numero di particelle che stanno nel livello di energia Ek di singola particella. Se assegnamo per esempio i numeri di occupazione (riferiti a particelle bosoniche) nE0 = 2 e nEk = 0, allora la funzione d’onda ψ(x1 , x2 ) è data da ∀k > 0 ψ(x1 , x2 ) = uE0 (x1 ) uE0 (x2 ) che è già simmetrica. 157 158 CAPITOLO 10. FORMALISMO DI SECONDA QUANTIZZAZIONE Ai numeri di occupazione nE0 = 1, nE1 = 1 ∀k > 1 nEk = 0, e corrisponde la funzione d’onda ψ(x1 , x2 ) data da 1 ψ(x1 , x2 ) = √ [uE0 (x1 ) uE1 (x2 ) ± uE0 (x2 ) uE1 (x1 )] 2 con il segno relativo positivo o negativo a seconda che i numeri quantici si riferiscano a particelle bosoniche o fermioniche. L’assegnazione dei numeri di occupazione dei livelli di singola particella non fissa il numero totale di particelle NT , che è dato da NT = ∞ X k=0 nEk ma permette di ricostruire la funzione d’onda e di calcolare il valore delle osservabili, come per esempio il valore E dell’energia dato da E= ∞ X k=0 nEk Ek Possiamo allora considerare un superspazio di Hilbert in cui agiscono infiniti operatori, denotati con ñEk , detti operatori numeri di occupazione, che commutano fra loro e sono hermitiani perché i numeri di occupazione sono osservabili. Indichiamo i vettori in questo superspazio di Hilbert con il ket |nE1 , nE2 , nE3 , ...i in modo tale che l’azione degli operatori numeri di occupazione su tali vettori sia ñEi |nE1 , nE2 , nE3 , ...i = nEi |nE1 , nE2 , nE3 , ...i In questo spazio di Hilbert l’hamiltoniana H̃ è data da H̃ = ∞ X k=0 Ek ñEk e definiamo il prodotto scalare nel seguente modo 1 h | i2 := δn(1) ,n(2) · δn(1) ,n(2) · δn(1) ,n(2) · ... E1 E1 E2 E2 E3 E3 ovvero tale prodotto scalare è pari a 1 se tutti i numeri di occupazione dei due ket sono . corrispondentemente uguali ed è pari a zero se almeno un n(1) è diverso da n(2) E E j j 159 Quindi gli elementi |nE1 , nE2 , nE3 , ...i costituiscono una base ortonormale completa del superspazio di Hilbert introdotto in modo tale che qualunque ket |ψi dello spazio si esprima come combinazione lineare degli elementi di base |ψi = X CnE 1 ,nE ,... 1 |nE1 , nE2 , nE3 , ...i Se l’hamiltoniana data è separata nella forma H = H1 +H2 +H3 +...+HN con le singole equazioni secolari Hi uni = Eni uni , allora si ha che per esempio allo stato indicato con |1, 2, 0, 0, ...i corrisponde l’autofunzione (senza simmetria) u0 (x1 ) u1(x2 ) u1(x3 ) . Con questo formalismo abbiamo stati con zero particelle, indicati con |0, 0, 0, ...i, stati con una particella o due o tre e così via. Per gli stati con una particella dobbiamo ritrovare tutte le proprietà della meccanica quantistica già studiate appunto per una particella. Se consideriamo il caso bosonico in cui ciascun numero di occupazione può assumere valori che vanno da zero a infinito (si noti l’analogia con l’oscillatore armonico), allora si può definire l’operatore ñEi in analogia con l’oscillatore armonico ponendo ãEi ñEi = ã+ E i dove gli operatori ã+ , a, pur non avendo nulla a che fare con l’oscillatore armonico, ne condividono le regole algebriche di commutazione ] = δij [ãEi , ã+ E j , ã+ ]=0 [ãEi , ãEj ] = [ã+ E E e i j L’azione di tali operatori, conseguenza delle loro regole di commutazione, è data allora da ã+ |nE1 , nE2 , ..., nEj , ...i = E j q nEj + 1 |nE1 , nE2 , ..., nEj + 1, ...i ãEj |nE1 , nE2 , ..., nEj , ...i = q nEj |nE1 , nE2 , ..., nEj − 1, ...i che giustifica il nome di operatori di creazione e annichilazione di particelle per gli operatori ã+ e ãEj rispettivamente. Ej Per costruire uno stato, si applica dunque allo stato di vuoto, indicato con |0, 0, 0, ...i, l’operatore ã+ tante volte quante sono le particelle del sistema nei vari livelli Ek , esEk sendo irrilevante l’ordine con cui agiscono ã+ e ã+ perché tali operatori commutano Ek Eh fra loro. Possiamo allora riesprimere gli operatori numero totale di particelle e hamiltoniano mediante gli operatori ã+ e ãEk ponendo E k ÑT = ∞ X k=0 ñEk = ∞ X k=0 ã+ ãEk E k e H̃ = ∞ X k=0 Ek ñEk = ∞ X k=0 Ek ã+ ãEk E k 160 CAPITOLO 10. FORMALISMO DI SECONDA QUANTIZZAZIONE Per ritrovare la meccanica quantistica di singola particella con questo formalismo, costruiamo il più generale stato |ψi di singola particella in questo spazio dato da |ψi = ∞ X ck ã+ |0i E k k=0 la cui norma al quadrato è data da hψ|ψi = X k,k ′ |0i = c∗k ck′ h0| ãE ′ ã+ E k = X k,k ′ k X k,k ′ ] |0i = c∗k ck′ h0| [ãE ′ , ã+ E c∗k ck′ h0|0i δk,k′ = k ∞ X k=0 k |ck |2 da cui segue che |ψi ha norma unitaria se, come già ricavato con il formalismo precedente, vale ∞ X k=0 |ck |2 = 1 Allora possiamo concludere che il singolo addendo |ck |2 rappresenta la probabilità che una misura dell’energia sullo stato |ψi dia valore Ek . Vediamo come costruire uno stato di singola particella in cui la particella stessa sia localizzata in x. Nel formalismo precedente è stata utilizzata la base degli autostati P dell’energia per ottenere lo sviluppo |xi = k ck |Ek i in cui si ha poi ck = hEk |xi = hx|Ek i = u∗Ek (x) Affinché il nuovo formalismo fornisca la stessa interpretazione della meccanica P quantistica di singola particella, deve valere allora |xi = k u∗Ek (x) ã+ |0i, dove il Ek ket |xi appartiene ora al nuovo superspazio di Hilbert dei numeri di occupazione. Per verificare se tale uguaglianza è valida oppure no, si deve verificare se vale oppure no la relazione hx′ |xi = δ(x′ − x). Sviluppando si ha il prodotto scalare hx′ |xi = = X k ′ ,k = X X k ′ ,k uEk′ (x′ ) u∗Ek (x) h0| ãE ′ ã+ |0i = E k k ] |0i = uEk′ (x′ ) u∗Ek (x) h0| [ãE ′ , ã+ E k uEk′ (x′ ) u∗Ek (x) = k X k Ponendo quindi ψ(x) := k ∞ X k=0 hx|Ek ihEk |x′ i = δ(x′ − x) uEk (x) ãEk (10.1) 161 in cui, come si vede, ψ(x) è un operatore, abbiamo che nel nuovo formalismo l’operatore coniugato ψ + (x) crea una particella localizzata in x quando agisce sul ket |0i, detto stato di vuoto, ovvero si ha |xi = ψ + (x) |0i Analogamente l’operatore ψ + (x)ψ + (y) crea due particelle di cui una localizzata nella posizione x e una localizzata nella posizione y. Invertendo la relazione (10.1) si ottiene Z u∗Eh (x) ψ(x) d3x = ∞ X k=0 u∗Eh (x) uEk (x) ãEk = ∞ X k=0 δhk ãEk = ãEh ovvero ãEk = Z u∗Ek (x) ψ(x) d3x + ãE = e k Z uEk (x) ψ + (x)d3 x (10.2) Con le relazioni (10.2) si possono esplicitare gli operatori numero totale di particelle e hamiltoniano. Per l’operatore numero totale di particelle si ha ÑT = ∞ X k=0 = Z ñEk = ∞ X k=0 ãEk = ã+ E k d3 x d3 y ψ + (y) ψ(x) ∞ X ∞ Z X uEk (y) ψ + (y) d3x k=0 uEk (y) u∗Ek (x) = k=0 = Z Z Z u∗Ek (x) ψ(x) d3x = d3 x d3 y ψ + (y) ψ(x) δ(x − y) = d3 x ψ + (x) ψ(x) Utilizzando la stessa procedura e sostituendo " # h̄2 2 − ∇ + V (y) uEk (y) = Ek uEk (y) 2m y otteniamo per l’operatore hamiltoniano H̃ = ∞ X k=0 Ek ñEk = = Z = Z ∞ X k=0 Ek ã+ ãEk = E k d3 x d3 y ψ + (y) ψ(x) Z ∞ X k=0 " d3 x d3 y ψ + (y) ψ(x) ∞ X [Ek uEk (y)] u∗Ek (x) = k=0 " − # h̄2 2 ∇ + V (y) uEk (y) u∗Ek (x) = 2m y # ∞ X h̄2 2 3 3 + d x d y ψ (y) ψ(x) − ∇y + V (y) uEk (y) u∗Ek (x) = 2m k=0 CAPITOLO 10. FORMALISMO DI SECONDA QUANTIZZAZIONE 162 = = Z 3 3 Z # " h̄2 2 3 3 + ∇ + V (y) δ(x − y) = d x d y ψ (y) ψ(x) − 2m y + d x d y ψ (y) ψ(x) V (y)δ(x−y) − Z # " h̄2 2 d x d y ψ (y) ψ(x) ∇ δ(x−y) = 2m y 3 3 + h̄2 Z 3 d x [∇2x ψ + (x)] ψ(x) 2m # " # " Z Z h̄2 2 h̄2 2 + 3 + 3 ∇ + V (x) ψ (x) = d x ψ (x) − ∇ + V (x) ψ(x) = d x ψ(x) − 2m x 2m x = Z d3 x ψ + (x) ψ(x) V (x) − dove si è usato due volte la relazione Z f (x) δ ′ (x) dx = −f ′ (0) e si è alla fine integrato per parti. Lo stato più generale |ψi di singola particella localizzato in x è dato da |ψi = Z d3 x f (x) |xi e si potrebbe vedere che vale H̃ |ψi = H̃ Z 3 d x f (x) |xi = Z " # h̄2 2 d x − ∇ + V (x) f (x) |xi 2m x 3 Lo stato più generale |φi di due particelle localizzate in x e in y è dato quindi da |φi = Z 3 3 d x d y f (x, y) |x, yi = Z d3 x d3 y f (x, y) ψ +(x) ψ + (y) |0i (10.3) che è simmetrico. L’ultimo integrale nella (10.3) seleziona soltanto le parti simmetriche delle f (x, y) perché se la f (x, y) fosse antisimmetrica, allora il suo prodotto con il termine simmetrico ψ + (x) ψ + (y) |0i darebbe integrale nullo. Concludiamo con un accenno al modo in cui si introducono le particelle fermioniche nel formalismo di seconda quantizzazione. Per considerare i fermioni si introduce l’oscillatore di Fermi ponendo H = h̄ωa+ a con le regole di anticommutazione {a, a+ } = 1, {a, a} = {a+ , a+ } = 0 e Si ha allora H |0i = h̄ωa+ a|0i = 0 e Ha+ |0i = h̄ωa+ a (a+ |0i) = h̄ω(a+ |0i) a|0i = 0 Capitolo 11 Qualche esercizio Esercizio 1 In un sistema quantistico è definita una grandezza osservabile a cui è associato l’operatore hermitiano rappresentato dalla matrice −2a 0 0  = 0 a 0 0 0 2a nella base degli autoket di Â. Lo stato del sistema ad un certo istante t = 0 è descritto dal ket √ √ γ + 1 − γ2 1 γ − 1 − γ2 √ √ |ψi = | − 2ai + √ |ai + |2ai 3 3 3 dove γ ∈ [−1, 1] è un parametro reale. 1. Si determini γ in modo che la probabilità di misurare il valore −2a sia massima; 2. se l’operatore hamiltoniano del sistema è rappresentato nella base degli autoket di  dalla matrice 0 0 h̄ω Ĥ = 0 2h̄ω 0 h̄ω 0 0 con ω > 0, si determini l’evoluzione dello stato |ψi al tempo t > 0, con il valore di γ determinato al punto precedente; 3. si determini il valore medio della grandezza osservabile associata ad  in funzione del tempo; 4. si determini il primo istante t∗ nel quale la probabilità di misurare il valore −2a, massima in t = 0, diventa minima. 163 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 164 Soluzione dell’esercizio 1 Prima di tutto osserviamo che lo stato assegnato |ψi è normalizzato per ogni valore γ ∈ [−1, 1]: considerando ortonormali gli autostati di A, | − 2ai, |ai, |2ai, corrispondenti rispettivamente agli autovalori −2a, a, 2a, si ha infatti 1 hψ|ψi = 3 " γ+ q γ2 1− 2 +1+ γ− q 1− γ2 2 # =1 1. La probabilità che una misura di A dia risultato −2a, indicata con P (−2a), è data dal quadrato del modulo P (−2a) = |h−2a|ψi|2 = 1 3 γ+ q 1 − γ2 2 ≡ P (γ) che è massima per quei valori del parametro γ che annullano la sua derivata prima 2 dP (γ) = dγ 3 γ+ q 1− γ2 γ 1− √ 1 − γ2 ! e rendono negativa la sua derivata seconda. Si ottiene che tale derivata prima vale zero per 1 γ = ±√ 2 √ e che il massimo è dato solo dal valore positivo γ = 1/ 2, in corrispondenza del quale si ha lo stato s 2 1 |ψm i = | − 2ai + √ |ai 3 3 e la probabilità P (−2a) = 2 3 2. Identificando gli autostati di A 1 | − 2ai = 0 0 0 |ai = 1 0 0 |2ai = 0 1 scriviamo l’equazione secolare dell’operatore hamiltoniano H −λ3 + 2h̄ωλ2 + h̄2 ω 2 λ − 2h̄3 ω 3 = (2h̄ω − λ)(λ − h̄ω)(λ + h̄ω) = 0 165 da cui otteniamo gli autovalori λ = h̄ω, −h̄ω, 2h̄ω a cui corrispondono rispettivamente gli autovettori normalizzati √ √ −1/ 2 1/ 2 |2ai + | − 2ai |2ai − | − 2ai √ √ 0√ , |vi = , |ui = 0√ = = 2 2 1/ 2 1/ 2 0 |wi = 1 = |ai 0 Sotto azione dell’operatore A, si ha |2ai + | − 2ai √ A|ui = A 2 ! = 2a|vi, |2ai − | − 2ai √ A|vi = A 2 ! = 2a|ui, A|wi = A|ai = a|wi Calcolati quindi i coefficienti di Fourier 1 hu|ψi = √ , 3 1 hv|ψi = − √ , 3 1 hw|ψi = √ 3 espandiamo lo stato |ψm i nella base degli autostati di H 1 1 1 |ψm i = √ |ui − √ |vi + √ |wi 3 3 3 da cui otteniamo lo stato al tempo t H e−iωt eiωt e−2iωt |ψm , ti = e−i h̄ t |ψm i = √ |ui − √ |vi + √ |wi = 3 3 3 2 e−2iωt 2i √ = cos ωt | − 2ai + √ |ai − √ sin ωt |2ai 6 3 6 3. Il valor medio di A in funzione del tempo è dato dal valor medio di A calcolato sullo stato |ψm , ti, ovvero hAi(t) = hψm , t|A|ψm , ti = ! ! eiωt e−iωt e2iωt eiωt e−2iωt e−iωt = √ hu| − √ hv| + √ hw| |A| √ |ui − √ |vi + √ |wi = 3 3 3 3 3 3 a a 2a 2iωt (e + e−2iωt ) = (1 − 4 cos 2ωt) = − 3 3 3 che vale −a per t = 0, come si otterrebbe anche eseguendo hψm |A|ψm i. CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 166 4. La probabiltà in funzione di t di avere valore −2a da una misura di A è data dal quadrato del modulo del coefficiente di | − 2ai nello sviluppo di |ψm , ti rispetto agli autostati di A, ovvero 2 Pt (−2a) = cos2 ωt 3 Il primo istante t∗ > 0 in cui tale probabilità è minima coincide con l’istante t∗ = π 2ω in cui cos2 ωt assume il suo valore minimo zero. Esercizio 2 Siano date le osservabili 1 0 0 A=a 0 0 1 0 1 0 3/2 0 0 1 = b 0 −1/2 0 1 −1/2 e 1. Determinare lo stato |ψ(t = 0)i sapendo che all’istante iniziale t = 0 una misura delle due osservabili ha fornito i valori A = a e B = b/2, dopo aver spiegato sotto quali condizioni ciò è possibile; 2. calcolare l’evoluzione dello stato |ψ(t)i al generico istante t se l’hamiltoniana del sistema è data dal seguente operatore 0 0 −i H=E 0 0 0 i 0 0 3. determinare il valore medio hA(t)i dell’osservabile A sullo stato |ψ(t)i. Soluzione dell’esercizio 2 E’ immediato verificare che le due matrici A e B commutano per ogni a e b. Pertanto esisterà una base formata da autovettori simultanei di A e di B e sarà possibile effettuare una misura simultanea di A e di B. Si vede immediatamente che la matrice A possiede spettro degenere: i suoi autovalori sono λ = −a a cui corrisponde autovettore u = (0, −1, 1) e l’autovalore doppio λ = a a cui corrisponde autospazio S2 dato dalle terne di R3 tali che y − z = 0. 167 La matrice B, come si può facilmente verificare, possiede spettro non degenere dato dai tre autovalori λ = −3b/2, 3b/2, b/2 a cui corrispondono rispettivamente autovettori u = (0, −1, 1), v = (1, 0, 0), w = (0, 1, 1). Come si vede, l’autovettore u di A relativo all’autovalore λ = −a coincide con l’autovettore u di B relativo all’autovalore λ = −3b/2 e inoltre gli autovettori v, w di B appartengono all’autospazio (degenere) di A relativo all’autovalore doppio λ = a. Possiamo rimuovere la degenerazione dello spettro di A scegliendo come autovettori in S2 gli autovettori v, w di B ai quali aggiungiamo quindi l’autovettore u comune ad entrambe le matrici. 1. Dire che una misura di A in t = 0 fornisce risultato a non fissa lo stato iniziale univocamente perché l’autovalore λ = a di A ha molteplicità algebrica 2 e ad esso corrisponde autospazio bidimensionale S2 , ma se si aggiunge l’informazione che in tale stato una misura simultanea di B (con B che commuta con A) fornisce valore b/2, allora l’autovettore w = (0, 1, 1) di B relativo a λ = b/2 rappresenta lo stato iniziale perché w è anche autovettore di A, in particolare appartenente a S2 . Abbiamo pertanto lo stato iniziale normalizzato 0√ 0 1 |ψi = √ 1 = 1/√2 2 1 1/ 2 2. E’ immediato verificare che l’operatore hamiltoniano H possiede gli autovalori λ = 0, ε, −ε a cui corrispondono rispettivamente gli autovettori normalizzati 0 |E0 i = 1 , 0 √ −i/ 2 0√ |E+ i = , 1/ 2 √ i/ 2 |E− i = 0√ 1/ 2 Calcoliamo i coefficienti di Fourier 1 hE0 |ψi = √ , 2 1 hE+ |ψi = , 2 hE− |ψi = 1 2 da cui otteniamo l’espressione del vettore dello stato iniziale come combinazione lineare degli autostati di H 1 1 1 |ψi = √ |E0 i + |E+ i + |E− i 2 2 2 e dunque lo stato al tempo t ε ε e−i h̄ t ei h̄ t 1 |E+ i + |E− i |ψ, ti = √ |E0 i + 2 2 2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 168 3. Scegliendo come autovettori di A gli autovettori normalizzati simultanei di A e di B, poniamo 0√ | − ai = −1/√ 2 , 1/ 2 0√ |a2 i = 1/√2 1/ 2 1 |a1 i = 0 , 0 da cui ricaviamo 1 1 |E0 i = √ |a2 i − √ | − ai, 2 2 −i 1 1 |E+ i = √ |a1 i + |a2 i + | − ai 2 2 2 1 i 1 |E− i = √ |a1 i + |a2 i + | − ai 2 2 2 E’ inoltre facile vedere che vale a A|E0 i = √ (|E+ i + |E− i), 2 A|E+ i = √ a (|E+ i − |E− i + 2 |E0 i) 2 √ a (|E− i − |E+ i + 2 |E0 i) 2 da cui si ottiene il valor medio di A sullo stato |ψ, ti A|E− i = a εt 2εt a − cos hψ, t|A|ψ, ti = + a cos 4 h̄ 4 h̄ che ovviamente vale a per t = 0, ovvero vale a sullo stato iniziale in cui una misura dell’osservabile A, come assegnato, fornisce appunto risultato pari ad a. Esercizio 3 Un oscillatore armonico quantistico di pulsazione ω si trova, al tempo t = 0, in uno stato |ψi del quale si sa che: • una misura dell’energia dell’oscillatore dà concertezza un risultato E tale che 2h̄ω < E < 5h̄ω; • lo stato ha parità Π = +1; • il valor medio dell’energia è 4h̄ω; • il valor medio dell’osservabile x̂p̂ + p̂x̂ è pari a Si chiede di 3h̄ . 2 169 1. mostrare che le condizioni assegnate non determinano univocamente lo stato; 2. determinare i due stati |ψ1 i e |ψ2 i che soddisfano le condizioni assegnate e la loro evoluzione temporale per t > 0; 3. determinare l’evoluzione temporale del valor medio dell’osservabile x̂p̂ + p̂x̂; 4. mostrare che una misura del valor medio di x̂2 permette di distinguere |ψ1 i da |ψ2 i. Soluzione dell’esercizio 3 1-2) Dati gli operatori di distruzione e di creazione a= r mω 2h̄ ip x+ , mω a = r p=i s + mω 2h̄ ip x− mω otteniamo, invertendo, gli operatori x= s h̄ (a + a+ ), 2mω h̄mω + (a − a) 2 da cui ricaviamo l’osservabile x̂p̂ + p̂x̂ = ih̄(a+ a+ − aa) A questo punto osserviamo che dalla prima condizione assegnata segue che lo stato |ψi è combinazione dei tre stati |2i, |3i e |4i aventi energie rispettivamente (5/2)h̄ω, (7/2)h̄ω e (9/2)h̄ω comprese fra 2h̄ω e 5h̄ω. Dalla seconda condizione segue che lo stato è combinazione solo dei due stati |2i e |4i aventi parità positiva. Possiamo quindi scrivere lo stato |ψi nella forma con A, B numeri complessi |ψi = A|2i + B|4i in cui si ha il valor medio dell’energia 5 9 hHi = [h2|A + h4|B ] H [A|2i + B|2i] = |A|2 + |B|2 h̄ω 2 2 ∗ ∗ Dalla terza condizione assegnata otteniamo il sistema di equazioni ( |A|2 + |B|2 = 1 2 2 5 |A| + 9 |B| = 8 (normalizzazione dello stato) (valor medio dell’energia) CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 170 che ha la soluzione 3 1 |B|2 = |A|2 = , 4 4 Utilizzando l’espressione di De Moivre-Eulero per i numeri complessi, possiamo scrivere lo stato |ψi nella forma h |ψi = |A| eiα |2i + |B| eiβ |4i = eiα |A| |2i + |B| ei(β−α) |4i i che è del tutto equivalente allo stato con la fase α pari a zero perché tale fase dà luogo soltanto ad un fattore di modulo unitario che non altera la direzione del ket. Abbiamo quindi dalla soluzione del sistema √ iβ 3e 1 |4i |ψi = |2i + 2 2 in cui compare solamente la fase relativa β fra i due autoket di H. In questo stato si ha il valor medio di x̂p̂ + p̂x̂ √ −iβ # √ iβ # " " 1 1 3e 3e hx̂p̂ + p̂x̂i = h2| + h4| (x̂p̂ + p̂x̂) |2i + |4i 2 2 2 2 √ −iβ # √ −iβ # " " 3e 3e 1 1 (a+ a+ − aa) = ih̄ h2| + h4| |2i + |4i = 3h̄ sin β 2 2 2 2 La quarta condizione imposta fornisce l’equazione sin β = 1 2 da cui seguono i due valori di β β1 = π 6 e di conseguenza i due stati √ iπ 3e 6 1 |4i |ψ1 i = |2i + 2 2 5π 6 e β2 = e 1 |ψ2 i = |2i + 2 √ 3e 2 5iπ 6 |4i L’evoluzione temporale di |ψ1 i e di |ψ2 i è √ iπ √ i( π − 9ωt ) − 25 iωt 6 H 3 e 3e 6 2 e 1 i h̄ t |ψ1 , ti = e |2i + |4i = |2i + |4i 2 2 2 2 i |ψ2 , ti = e H h̄ t 1 |2i + 2 √ 3e 2 5iπ 6 5 e− 2 iωt |4i = |2i + 2 √ 3 ei( 6 − 2 5π 9ωt 2 ) |4i 171 3) Il valor medio di x̂p̂ + p̂x̂ sullo stato |ψ1 , ti è dato da 5 e 2 iωt = ih̄ h2| + h4| 2 √ hx̂p̂ + p̂x̂i1 (t) = 3 e−i( 6 − 2 π 9ωt 2 ) 5 e− 2 iωt (a+ a+ −aa) |2i + 2 √ 3 ei( 6 − 2 π 9ωt 2 ) √ 3h̄ (cos 2ωt − 3 sin 2ωt) 2 e il valor medio di x̂p̂ + p̂x̂ sullo stato |ψ2 , ti è dato da |4i = = 5 e 2 iωt + h4| = ih̄ h2| 2 √ hx̂p̂ + p̂x̂i2 (t) = 3 e−i( 6 − 2 5π 9ωt 2 ) 5 e− 2 iωt (a+ a+ −aa) |2i + 2 √ 3 ei( 6 − 2 5π 9ωt 2 ) |4i = √ 3h̄ (cos 2ωt + 3 sin 2ωt) 2 Possiamo osservare che il valor medio di x̂p̂ + p̂x̂ per t = 0 su entrambi gli stati coincide effettivamente con il valore iniziale 3h̄/2. = 4) Qualora si ottenga hψ1 |x̂2 |ψ1 i = 6 hψ2 |x̂2 |ψ2 i possiamo concludere che una misura del valor medio di x̂2 consente di distinguere |ψ1 i da |ψ2 i. Abbiamo s 2 √ iπ 6 h̄ 3 e 1 2 2 + hψ1 |x̂ |ψ1 i = hψ1 |x̂x̂|ψ1 i = | x̂|ψ1 i | = (a + a ) |2i + |4i = 2mω 2 2 √ ! h̄ 3 3 = 4+ mω 4 e s 2 √ 5iπ 6 h̄ 3e + 1 2 2 (a + a ) |2i + |4i = hψ2 |x̂ |ψ2 i = hψ2 |x̂x̂|ψ2 i = | x̂|ψ2 i | = 2mω 2 2 √ ! h̄ 3 3 = 4− mω 4 da cui possiamo concludere che se alle condizioni assegnate aggiungessimo il valor medio dell’osservabile x̂2 , allora individueremmo univocamente |ψ1 i o |ψ2 i. CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 172 Esercizio 4 Si consideri una base completa ortonormale di stati |αi, |βi, |γi per un sistema quantistico la cui hamiltoniana è data da H = ih̄ω (|αihβ| − |βihα|) + 2h̄ω |γihγ| con ω parametro reale positivo. Siano poi dati i due operatori A = a (|γihβ| + |βihγ|) + a |αihα| 2 e B = b (|γihγ| + |βihβ|) + b |αihα| 2 con a, b parametri reali positivi. 1. Spiegare perché A e B sono osservabili fisiche e stabilire se esse sono simultaneamente osservabili; 2. trovare gli autovalori e gli autostati dell’hamiltoniana; 3. se all’istante t = 0 viene misurata A e il risultato di tale misura è il valore −a, calcolare il valor medio di A e di B al generico istante t > 0. Soluzione dell’esercizio 4 Calcoliamo le matrici associate agli operatori H, A, B relativamente alla base ortonormale |αi, |βi, |γi. Abbiamo H|αi = −ih̄ω|βi H|βi = ih̄ω|αi H|γi = 2h̄ω|γi da cui otteniamo le matrici 0 i 0 H = h̄ω −i 0 0 , 0 0 2 A|αi = (a/2)|αi A|βi = a |γi A|γi = a |βi B|αi = (b/2)|αi B|βi = b |βi B|γi = b |γi 1/2 0 0 A = a 0 0 1 , 0 1 0 1/2 0 0 B=b 0 1 0 0 0 1 1) Gli operatori A e B sono osservabili fisiche perché sono rappresentati da matrici reali simmetriche e quindi hermitiane. Inoltre A e B sono simultaneamente misurabili perché si ha 1/4 0 0 AB = BA = 0 0 1 0 1 0 173 2) L’equazione caratteristica di H è (h̄2 ω 2 − λ2 )(λ − 2h̄ω) = 0 da cui seguono gli autovalori λ = −h̄ω, h̄ω, 2h̄ω e gli autovettori normalizzati rispettivamente √ √ 1/√ 2 −1/√ 2 0 |E− i = i/ 2 , |E+ i = i/ 2 , |E2 i = 0 1 0 0 3) L’equazione caratteristica di A è a (a − λ ) λ − =0 2 2 2 e all’autovalore λ = −a corrisponde l’autovettore normalizzato 0√ |ψ0 i = 1/ √2 −1/ 2 che rappresenta dunque lo stato iniziale del sistema. Osserviamo inoltre che il ket |ψ0 i è anche autovettore di B relativo all’autovalore λ = b da cui possiamo concludere che, misurando all’istante t = 0 anche B simultaneamente ad A, si otterrebbe il valore b. Si riconosce a vista che vale il seguente sviluppo di |ψ0 i come combinazione lineare degli autostati ortonormali di H |ψ0 i = 1 1 1 |E− i + |E+ i − √ |E2 i 2i 2i 2 da cui segue l’evoluzione temporale del ket iniziale data da E− −i |ψ, ti = e √ 1/√ 2 e = i/ 2 2i 0 iωt H h̄ t e−i h̄ |ψ0 i = 2i t E+ e−i h̄ |E− i + 2i e−iωt eiωt |E− i + = 2i 2i √ −1/√ 2 −iωt e i/ 2 + 2i 0 t E2 e−i h̄ t |E+ i − √ |E2 i = 2 e−2iωt |E+ i − √ |E2 i = 2 0 sin ωt e 1 − √ 0 = √ cos ωt 2 2 1 −e−2iωt −2iωt CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 174 Possiamo allora ricavare il valor medio di A e di B sul ket |ψ, ti al generico tempo t > 0 eseguendo hAi(t) = hψ, t|A|ψ, ti = = a 2 (sin ωt cos ωt −e2iωt ) = sin ωt 1/2 0 0 0 1 cos ωt = 0 −e−2iωt 0 1 0 a sin2 ωt − a cos ωt cos 2ωt 4 ed eseguendo hBi(t) = hψ, t|A|ψ, ti = (sin ωt cos ωt −e2iωt ) sin ωt 1/2 0 0 b 1 0 = cos ωt = 0 2 −e−2iωt 0 0 1 b = b − sin2 ωt 4 Osserviamo per concludere che le evoluzioni temporali dei valori medi di A e di B forniscono, all’istante t = 0, rispettivamente i valori −a e b che coincidono con le misure simultanee iniziali di A e di B date dagli autovalori relativamente ai quali il ket iniziale |ψ0 i è autoket simultaneo di A e di B. Esercizio 5 Lo stato di un oscillatore armonico quantistico di massa m e pulsazione ω è descritto, al generico istante t = 0, dalla funzione d’onda x2 2x2 0 s h̄ mω 1. Si determini il valore della costante A di normalizzazione; 2 − ψ(x) = A x e con x0 := 2. si determinino i possibili risultati di una misura dell’energia dell’oscillatore e le rispettive probabilità; 3. si determini l’evoluzione temporale dello stato dell’oscillatore per t > 0; 4. si verifichi che lo stato assegnato è autostato della parità e si utilizzi questo risultato per dimostrare che i valori medi della posizione e della quantità di moto sono nulli ad ogni istante di tempo; 5. si determini l’evoluzione temporale del valor medio dell’operatore x2 . 175 Soluzione dell’esercizio 5 1) Per determinare la costante di normalizzazione A imponiamo la condizione che |ψ(x)|2 sia una densità di probabilità su tutto l’asse reale, ovvero che valga Z +∞ −∞ Poiché vale |ψ(x)|2 dx = |A|2 Z +∞ −∞ otteniamo il valore di A 2 Z −x2 /x20 x e +∞ −∞ x2 e−x 2 /x2 0 dx = 1 √ 3x50 π dx = 4 2 A= √ q 4 π 3x50 2) Si riconosce a vista che lo stato assegnato ψ(x) è sovrapposizione degli autoket |0i e |2i di H rappresentati dalle funzioni d’onda 1 2 2 ψ0 (x) = √ √ e−x /2x0 4 π x0 e 1 √ ψ2 (x) = √ 4 2 π 2x0 ! 4x2 2 2 − 2 e−x /2x0 2 x0 Imponendo l’uguaglianza αψ0 (x) + βψ2 (x) = ψ(x) e applicando il principio di identità dei polinomi, otteniamo i coefficienti dello sviluppo 1 α= √ 3 e β= s 2 3 da cui segue che lo stato iniziale assegnato può essere posto nella forma 1 ψ(x) = |ψi = √ |0i + 3 s 2 |2i 3 in modo che si possano utilizzare le proprietà degli operatori di distruzione e di creazione a e a+ . Si ricava ora immediatamente che i possibili risultati di una misura dell’energia dell’oscillatore armonico sullo stato |ψi sono soltanto il valore E0 = h̄ω 2 corrispondente ad n = 0 e ottenuto con probabilità 1 3 E2 = 5h̄ω 2 corrispondente ad n = 2 e ottenuto con probabilità 2 3 e il valore CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 176 3) L’evoluzione temporale dello stato |ψi per t > 0 è data da 1 |ψ, ti = e−i H h̄ e− 2 iωt t |ψi = √ |0i + 3 s 2 − 5 iωt e 2 |2i 3 4) Lo stato assegnato ψ(x) è una funzione reale pari ed è pertanto autostato della parità relativo all’autovalore +1 perché vale P ψ(x) = ψ(−x) = ψ(x) Su un autostato della parità i valori medi di x̂ e di p̂ sono nulli ad ogni istante di tempo perché gli integrali Z +∞ −∞ 2 x|ψ(x, t)| dx e Z +∞ −∞ ! d ψ(x, t) −ih̄ ψ(x, t) dx dx hanno funzioni integrande dispari e forniscono pertanto risultato nullo. Si può ottenere lo stesso risultato anche utilizzando le espressioni degli operatori x̂ e p̂ in termini degli operatori a e a+ che, a meno di un coefficiente, sono della forma x̂ ≈ a + a+ e p̂ ≈ a − a+ Allora abbiamo il valor medio 1 s 1 s 1 s 1 s e 2 iωt e− 2 iωt 2 5 iωt e2 hx̂i = h0| √ + h2| (a + a+ ) √ |0i + 3 3 3 2 − 5 iωt e 2 |2i = 0 3 e il valor medio e− 2 iωt 2 5 iωt e 2 iωt (a − a+ ) √ |0i + hp̂i = h0| √ + h2| e2 3 3 3 2 − 5 iωt e 2 |2i = 0 3 perché la presenza degli operatori a e a+ dà luogo al prodotto scalare nullo fra bra e ket ortogonali dell’oscillatore armonico. 177 5) Il valor medio di x̂2 all’istante t = 0 è pari a hx̂2 i(0) = hψ|x̂2 |ψi = hψ|x̂x̂|ψi = | x̂|ψi |2 = = h̄ 2mω 1 (a + a+ ) √ |0i + 3 s 2 3 2 |2i = 2 √ h̄ √ 5h̄ 3 |1i + 2 |1i = 2mω 2mω L’evoluzione temporale del valor medio di x̂2 si ottiene calcolando h̄ hx̂2 i(t) = | x̂|ψ, ti |2 = 2mω h̄ = 2mω = 1 e− 2 iωt √ 3 1 e− 2 iωt (a + a+ ) √ |0i + 3 s !2 2 2 − 5 iωt e 2 |2i 3 √ 5 5 2 + √ e− 2 iωt |1i + 2 e− 2 iωt |3i 3 h̄ 2 1 5ωt ωt √ cos + √ cos 2mω 2 2 3 3 = 2 = 1 2 5ωt ωt + √ sin + √ sin 2 2 3 3 h̄ (11 + 4 cos 2ωt) 6mω = !2 + 2 = Osserviamo per concludere che, come deve essere, l’espressione di hx̂2 i(t) fornisce, per t = 0, lo stesso valore ottenuto calcolando il valor medio di x̂2 sullo stato iniziale. Esercizio 6 Una particella di massa m è vincolata a muoversi sul segmento −L/2 < x < L/2 . All’istante t = 0 la funzione d’onda della particella è data da ψ(x) = hx|ψi = N cos 2πx πx sin2 L L 1. Determinare la costante N in modo che lo stato sia normalizzato a 1: hψ|ψi = 1; 2. determinare il valor medio della parità; 3. determinare i possibili valori di una misura dell’energia e le relative probabilità; 4. determinare la funzione d’onda al tempo t generico e il primo istante t∗ in cui lo stato del sistema coincide con lo stato a t = 0. CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 178 Soluzione dell’esercizio 6 1) Lo stato assegnato a t = 0 ψ(x) = N cos πx L sin2 2πx L può essere scritto, utilizzando gli esponenziali complessi per le funzioni goniometriche, nella forma iπx 2iπx 2 −iπx −2iπx L + e L L L − e e e = ψ(x) = N 2 2i =N s s s s L 1 2 πx 1 2 3πx 1 2 5πx cos − cos − cos = 2 2 L L 4 L L 4 L L =N s L 2 1 1 1 ψ1 (x) − ψ3 (x) − ψ5 (x) 2 4 4 Abbiamo allora hψ|ψi = Z L/2 L/2 |ψ(x)|2 dx = N 2L 2 3N 2 L 1 1 1 = + + 4 16 16 16 e affinché lo stato sia normalizzato a 1, da hψ|ψi = 1 segue, scegliendo N reale, il valore 4 N=√ 3L 2) Il valor medio dell’operatore di parità P sullo stato assegnato si ottiene eseguendo hPi = Z L/2 L/2 Z ∗ ψ (x) P ψ(x) dx = = L/2 L/2 Z L/2 L/2 ∗ ψ (x) ψ(−x) dx = Z L/2 L/2 ψ ∗ (x) ψ(x) dx = |ψ(x)|2 dx = 1 3) Lo stato iniziale ψ(x) assegnato e normalizzato può essere scritto allora nella forma 1 1 2 ψ(x) = √ ψ1 (x) − √ ψ3 (x) − √ ψ5 (x) 6 6 6 179 e risulta essere combinazione lineare delle autofunzioni ψ1 (x), ψ3 (x) e ψ5 (x) dell’energia corrispondenti rispettivamente agli autovalori E1 = h̄2 π 2 2mL2 E3 = 9 h̄2 π 2 2mL2 E5 = 25 h̄2 π 2 2mL2 Segue pertanto che i possibili valori ottenibili con una misura dell’energia su tale stato sono appunto E1 , E2 , E3 con probabiltà P (E1 ), P (E2 ), P (E3 ) date dal quadrato del modulo del coefficiente della relativa autofunzione. Abbiamo dunque 2 P (E1 ) = , 3 1 P (E2 ) = , 6 P (E3 ) = 1 6 4) Facendo agire l’operatore di evoluzione temporale sullo stato iniziale ψ(x) ≡ ψ(x, 0), si ottiene lo stato ψ(x, t) al generico tempo t evoluzione temporale di ψ(x, 0), dato da ψ(x, t) = e−i H h̄ t E1 E3 E5 2 1 1 ψ(x, 0) = √ e−i h̄ t ψ1 (x) − √ e−i h̄ t ψ3 (x) − √ e−i h̄ t ψ5 (x) 6 6 6 Il primo istante t∗ nel quale lo stato ψ(x, t) del sistema coincide con lo stato iniziale, ovvero per il quale valga ψ(x, t∗ ) = ψ(x, 0), si ottiene imponendo E1 t = 2π h̄ da cui segue 4mL2 h̄π Poiché, come si verifica immediatamente, per t = t∗ si ha poi t = t∗ = E3 t∗ = 18 π h̄ e E5 t∗ = 50 π h̄ si conclude che per t = t∗ gli esponenziali complessi in ψ(x, t) valgono 1 e dunque che risulta ψ(x, t∗ ) = ψ(x, 0). Esercizio 7 Una particella quantistica di massa m vincolata sul segmento [−L/2, L/2] si trova, ad un certo istante t = 0, nello stato |ψ0 i = α |1i+β |2i, dove gli |ni (con n = 1, 2, 3, ...) sono gli autoket dell’hamiltoniana che descrive la dinamica della particella nel segmento. CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 180 1. Si determini, a meno di una fase globale, lo stato in questione sapendo che il valor medio della parità vale −1/5 e che il valor medio dell’osservabile A = ia X n≥1 vale (|nihn + 1| − |n + 1ihn|) √ −2a 6 ; 5 2. si determini il valor medio dell’energia nello stato in questione; 3. si determini l’evoluzione temporale dello stato per t > 0 ed il valor medio dell’osservabile A in funzione del tempo. Soluzione dell’esercizio 7 1) Le autofunzioni della particella nel segmento simmetrico sono date da hx|1i = ψ1 (x) = s 2 πx cos L L e hx|2i = ψ2 (x) = s 2 2πx sin L L da cui segue che l’operatore di parità, indicato con P, agisce nel seguente modo P |1i = |1i e P |2i = − |2i Si ha allora il valor medio della parità dato da hψ0 | P |ψ0 i = (h1| α∗ + h2| β ∗) (α|1i − β|2i) = |α|2 − |β|2 = − Dal sistema ( |α|2 − |β|2 = −1/5 |α|2 + |β|2 = 1 si ottengono allora i coefficienti α= s 2 5 e β= s 3 iα e 5 Abbiamo inoltre √ −2a 6 hψ0 | A |ψ0i = sin α 5 da cui segue sin α = 1 e dunque α = π/2 Scriviamo in conclusione lo stato |ψ0 i = s 2 |1i + i 5 s 3 |2i 5 1 5 181 2) Il valor medio dell’energia sullo stato |ψ0 i è dato da hEi = 2 h̄2 π 2 3 4h̄2 π 2 7h̄2 π 2 · + · = 5 2mL2 5 2mL2 5mL2 3) L’evoluzione temporale dello stato |ψ0 i è data da |ψ, ti = s 2 −iE1 t e |1i + i 5 s 3 −iE2 t e |2i 5 dove si è posto E1 = h̄π 2 E1 = h̄ 2mL2 e E2 = E2 4h̄π 2 = h̄ 2mL2 A questo punto il valor medio dell’osservabile A in funzione del tempo si calcola eseguendo √ −2a 6 hAi (t) = hψ, t| A |ψ, ti = cos[(E1 − E2 ) t] 5 che per t = 0 coincide con il valor medio di A assegnato sullo stato iniziale. Esercizio 8 L’hamiltoniana di una particella di spin 1/2 in tre dimensioni è data da H = H0 + ~p2 e2 α α ~2 ( J + h̄J ) = − + 2 (J~2 + h̄Jz ) z 2 2m r h̄ h̄ ~ +S ~ è il momento angolare totale del sistema dato dalla somma del con α > 0 e J~ = L ~ e dello spin S ~ della particella. momento angolare orbitale L 1. Determinare esattamente lo spettro dell’hamiltoniana, lo stato fondamentale e le funzioni d’onda dei primi nove stati eccitati; 2. determinare lo stato del sistema al tempo t > 0 sapendo che lo stato iniziale |ψ0 i ~ 2 , Lz , Sz relativo ai seguenti autovalori è un autostato degli operatori H0 , L H0 |ψ0 i = − me4 |ψ0 i, 8h̄2 Lz |ψ0 i = −h̄ |ψ0 i, ~ 2 |ψ0 i = 2h̄2 |ψ0 i, L Sz |ψ0 i = h̄ |ψ0 i 2 3. individuare i possibili valori di una misura di Lz al tempo t e le relative probabilità. CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 182 Soluzione dell’esercizio 8 1) Data l’hamiltoniana H = H0 + H1 , dove H0 è l’hamiltoniana dell’atomo di idrogeno senza spin, avente autovalori indicati con En , e H1 = α 2 (J + h̄Jz ) h̄2 abbiamo che vale [H0 , H1 ] = 0 perché separando in H0 la parte radiale e la parte angolare contenente L2 , si ha [J 2 , L2 ] = [Jz , L2 ] = 0. Gli autostati di H sono allora gli autostati simultanei di H0 e H1 . Possiamo scrivere gli autostati Ψ di H0 come il prodotto della parte radiale Rnl (r), di quella angolare Ylm (θ, φ) e di quella spinoriale esprimibile nella base degli autostati di S 2 e Sz , ovvero 1 1 Ψ = Rnl (r) Ylm(θ, φ) , ± 2 2 Ponendo le armoniche sferiche nella notazione di Dirac, possiamo scrivere l’autostato Ψ nella forma 1 1 Ψ = Rnl (r) |l, mi , ± 2 2 Poiché gli stati 1 1 |l, mi , ± 2 2 2 non sono autostati di J e Jz , allora dovremo effettuare il cambio di base dalla base degli autostati di di L2 e Lz alla base degli autostati di J 2 e Jz dati da |j, jz i. Poiché s = 1/2 e i valori di j vanno da |l − 1/2| a l + 1/2, si vede immediatamente che lo stato fondamentale è 1 1 R10 (r) , − 2 2 relativo all’autovalore 1 E1 + α 4 I primi nove stati eccitati sono poi 1 R20 (r) 2 3 R21 (r) 1 1 R10 (r) , 2 2 1 1 1 , R20 (r) , , ,− 2 2 2 3 3 1 , R21 (r) , − , ,− 2 2 2 2 relativi agli autovalori rispettivamente E1 + 5 α, 4 E2 + 1 α, 4 E2 + , 1 1 R21 (r) , − 2 2 3 1 R21 (r) , 2 2 5 α, 4 E2 + , , 1 α, 4 1 R21 (r) 2 3 R21 (r) 1 2 3 , 2 2 E2 + 5 α 4 , 183 9 13 17 21 α, E2 + α, E2 + α, E2 + α 4 4 4 4 dove gli autostati |j, jz i sono espressi come combinazione degli autostati |l, mi|s, sz i E2 + 1 1 ,± 2 2 1 1 ,− 2 2 3 3 , 2 2 = 1 1 , 2 2 1 |1, 1i 3 = s per l = 0 1 1 1 2 1 1 − √ |1, 0i , − |1, −1i , 3 2 2 2 2 3 s 3 1 ,± 2 2 1 1 1 = √ |1, 0i , − 2 2 3 1 , , 2 2 1 ,− 2 2 = 1 |0, 0i 1 = , 2 2 s 1 2 1 |1, 1i , − 3 2 2 1 1 1 2 1 1 + √ |1, 1i , − |1, 0i , 3 2 2 2 2 3 s 1 1 1 2 1 1 = √ |1, −1i , + , |1, 0i , − 2 2 3 2 2 3 3 1 3 1 ,− = |1, −1i , − 2 2 2 2 2) Dalle condizioni assegnate si deduce che al tempo t = 0 il sistema è nello stato relativo ai numeri quantici n = 2, l = 1, lz = −1, sz = 1/2. Nella base degli autostati simultanei di Lz e Sz scriviamo tale stato iniziale nella forma |ψ0 i = R21 (r) 1 |1, −1i 1 , 2 2 Poiché l’hamiltoniana H, contenendo gli operatori J 2 e Jz , commuta con essi, allora tale espressione di |ψ0 i non è autostato di H e dunque per determinare l’evoluzione temporale dello stato iniziale, dobbiamo espandere |ψ0 i nella base degli autostati simultanei di J 2 e Jz che sono anche autostati di H. Invertendo le due relazioni contenenti lz = −1 e sz = 1/2 1 1 ,− 2 2 3 1 ,− 2 2 si ottiene = s 1 1 1 = √ |1, −1i , + 2 2 3 1 |1, −1i 1 1 1 1 1 2 − √ |1, 0i , − |1, −1i , 3 2 2 2 2 3 1 = , 2 2 s 2 3 1 2 ,− s 1 2 1 |1, 0i , − 3 2 2 1 3 1 1 + √ , − 2 2 3 2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 184 da cui segue che lo stato iniziale del sistema si esprime come combinazione degli autostati di H nella forma s |ψ0 i = R21 (r) 1 1 3 1 1 + √ , − ,− 2 2 2 3 2 2 3 Dall’azione di H sui suoi due autoket come combinazione lineare dei quali è espresso lo stato iniziale |ψ0 i 1 1 H R21 (r) , − 2 2 = E2 + α 4 e 3 1 H R21 (r) , − 2 2 13α = E2 + 4 1 1 R21 (r) , − 2 2 3 1 R21 (r) , − 2 2 1 1 := λ1 R21 (r) , − 2 2 := λ2 R21 (r) segue che l’evoluzione temporale dello stato iniziale |ψ0 i è −i H t h̄ |ψ, ti = e = R21 (r) s |ψ0 i = R21 (r) s s λ2 2 −i λ1 t 1 e−i h̄ t 1 + √ e h̄ , − 3 2 2 3 3 3 2 ,− 1 2 1 ,− = 2 2 1 1 1 2 −i λ1 t 2 1 1 − √ |1, 0i , − + e h̄ |1, −1i , 3 3 2 2 2 2 3 λ2 1 1 e−i h̄ t 1 + +R21 (r) √ √ |1, −1i , 2 2 3 3 = R21 (r) 2e−i λh̄1 t 3 λ2 s 1 2 1 |1, 0i , − = 3 2 2 1 1 e−i h̄ t + + |1, −1i , 3 2 2 √ ) λ1 1 1 2 −i λ2 t e h̄ − e−i h̄ t |1, 0i , − + 3 2 2 3) Dall’espressione di |ψ, ti si ricava che Lz al tempo t può assumere il valore lz = −1 con probabilità P (−1) data dal quadrato del modulo del coefficiente del ket contenente |1, lz = −1i e il valore lz = 0 con probabilità P (0) data dal quadrato del modulo del coefficiente del ket contenente |1, lz = 0i. Abbiamo allora P (−1) = −i λ1 t 2e h̄ 3 λ2 2 5 4 e−i h̄ t 3αt + = + cos 3 9 9 h̄ 185 e P (0) = √ 2 λ −i h̄2 t e 3 −i −e λ1 t h̄ 2 3αt 4 4 = − cos 9 9 h̄ Osserviamo per concludere che vale P (−1) + P (0) = 1 in ogni istante t e che per t = 0 si ha P (−1) = 1 perché nello stato iniziale il valore di Lz è appunto lz = −1. Esercizio 9 Sia dato un sistema di due particelle identiche di massa m in due dimensioni confinate in una buca di potenziale dalle pareti infinitamente alte. L’hamiltoniana H delle due particelle è data dall’espressione H= p21 p2 + 2 + U(r1 ) + U(r2 ) 2m 2m dove per una singola particella si è posto p = (px , py ) e U(r) = U(x, y) = ( 0 +∞ per (x, y) ∈ [0, L] × [0, L] altrimenti 1. Determinare lo spettro dell’hamiltoniana, i relativi autostati e l’eventuale degenerazione per lo stato fondamentale e il primo (o i primi) stato eccitato, nel caso che le due particelle siano bosoni di spin zero o fermioni di spin 1/2; 2. calcolare, nel caso di due fermioni, come si modifica l’energia degli stati di cui al punto precedente se si aggiunge all’hamiltoniana il termine ∆H = ω 2 (S + h̄Sz ) h̄ dove S è lo spin totale del sistema. Discutere l’eventuale degenerazione residua; 3. se si aggiunge all’hamiltoniana la peturbazione V (r1 , r2 ) = πx2 πy1 πy2 λ πx1 sin sin sin 2 S1 · S2 sin L L L L h̄ come si modifica l’energia dello stato fondamentale al prim’ordine nella teoria delle perturbazioni? 4. come si modifica la funzione d’onda dello stato fondamentale? CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 186 Soluzione dell’esercizio 9 Osserviamo che l’hamiltoniana è separabile nella forma H = Hx1 + Hy1 + Hx2 + Hy2 dove si è posto Hx1 p2x1 + U(x1 ), = 2m Hy1 p2y1 = + U(y1 ), 2m p2y2 p2x2 Hx2 = + U(x2 ), Hy2 = + U(y2 ) 2m 2m con U energia potenziale della particella libera confinata nel segmento (0, L). Avremo allora che la parte spaziale delle autofunzioni di H è data dal prodotto di quattro autofunzioni di singola particella libera nel segmento e i suoi autovalori sono dati dalla somma degli autovalori di singola particella libera nel segmento dipendenti dai numeri quantici nx1 , ny1 , nx2 , ny2 . Alla parte spaziale dovremo poi moltiplicare tensorialmente una parte di spin, se le particelle hanno spin, in modo tale che le autofunzioni complessive siano totalmente simmetriche o antisimmetriche per scambio delle due particelle a seconda che le particelle siano rispettivamente bosoni o fermioni. 1) Se le particelle sono bosoni di spin zero, allora non avremo la parte di spin e la parte spaziale rappresenterà tutta l’autofunzione e dovrà essere simmetrica. Per tali particelle abbiamo allora lo stato fondamentale non degenere dato da tutti e quattro i numeri quantici pari a 1 s s s s 2 πx1 2 πy1 2 πx2 2 πy2 ψ1 (r1 , r2 ) = sin sin sin sin L L L L L L L L che si riconosce subito essere simmetrico con energia (autovalore) E1 pari a E1 = 4E1 = 4 h̄2 π 2 2h̄2 π 2 = 2mL2 mL2 data dall’equazione secolare H ψ1 (r1 , r2 ) = (E1 + E1 + E1 + E1 ) ψ1 (r1 , r2 ) = 4E1 ψ1 (r1 , r2 ) Il primo stato eccitato è dato dal prodotto delle quattro autofunzioni di singola particella in cui un solo numero quantico è pari a 2 e gli altri tre sono pari a 1. Poiché si può dare valore 2 di volta in volta ad uno dei quattro numeri quantici, allora sembrerebbe che si possano avere quattro stati degeneri corrispondenti al primo livello eccitato. 187 Poiché però le autofunzioni complessive debbono essere simmetriche, tale condizione riduce la quantità di stati corrispondenti al primo livello eccitato soltanto a 2 che sono s s s s 1 2 2πx1 2 πy1 2 πx2 2 πy2 (1) ψ2 (r1 , r2 ) = √ sin sin sin sin + L L L L L L L L 2 s e s s s 2 πx1 2 πy1 2 2πx2 2 πy2 sin sin sin sin + L L L L L L L L (2) ψ2 (r1 , r2 ) s s s s 1 2 πx1 2 2πy1 2 πx2 2 πy2 = √ sin sin sin sin + L L L L L L L L 2 s s s s 2 πx1 2 πy1 2 πx2 2 2πy2 sin sin sin sin + L L L L L L L L L’energia dei due stati (degeneri) del primo livello eccitato è E2 = E2 + 3E1 = h̄2 π 2 7h̄2 π 2 4h̄2 π 2 + 3 = 2mL2 2mL2 2mL2 data dall’equazione secolare Hψ2 (r1 , r2 ) = (Hx1 + Hy1 + Hx2 + Hy2 ) ψ2 (r1 , r2 ) = (E2 + E1 + E1 + E1 )ψ2 (r1 , r2 ) Se le particelle sono fermioni di spin 1/2, allora le autofunzioni sono date dal prodotto tensoriale di una parte spaziale e di una parte di spin e dovranno essere totalmente antisimmetriche per scambio delle due particelle. Lo stato fondamentale è dato dal prodotto della parte spaziale simmetrica avente tutti i numeri quantici pari a 1 e della parte di spin antisimmetrica (che è il singoletto |0, 0i composizione antisimmetrica di due spin 1/2), ovvero si ha lo stato non degenere s s s s 2 πx1 2 πy1 2 πx2 2 πy2 ψ1 (r1 , r2 ) = sin sin sin sin ⊗|0, 0i L L L L L L L L Il primo stato eccitato può essere ottenuto moltiplicando tensorialmente una parte spaziale simmetrica per una parte di spin antisimmetrica (singoletto), oppure una parte spaziale antisimmetrica per una parte di spin simmetrica (data dai tre stati di tripletto |1, ±1i, |1, 0i composizione simmetrica di due spin 1/2), ovvero si hanno gli otto stati (degenerazione 8) s s s s 1 2 2πx1 2 πy1 2 πx2 2 πy2 (1) ψ2 (r1 , r2 ) = √ sin sin sin sin + L L L L L L L L 2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 188 s s s s πx1 2 πy1 2 2πx2 2 πy2 2 sin sin sin sin ⊗ |0, 0i + L L L L L L L L s s s s 2 πx1 2 2πy1 2 πx2 2 πy2 1 (2) sin sin sin sin + ψ2 (r1 , r2 ) = √ L L L L L L L L 2 s s s s 2 πx1 2 πy1 2 πx2 2 2πy2 sin sin sin sin ⊗ |0, 0i + L L L L L L L L s s s s 2πx1 2 πy1 2 πx2 2 πy2 1 2 (3) sin sin sin sin − ψ2 (r1 , r2 ) = √ L L L L L L L L 2 s s s s 2 πx1 2 πy1 2 2πx2 2 πy2 − sin sin sin sin ⊗ |1, 1i L L L L L L L L s s s s 2 2πx1 2 πy1 2 πx2 2 πy2 1 (4) sin sin sin sin − ψ2 (r1 , r2 ) = √ L L L L L L L L 2 s s s s 2 πx1 2 πy1 2 2πx2 2 πy2 sin sin sin sin ⊗ |1, 0i − L L L L L L L L (5) ψ2 (r1 , r2 ) s s s s s s s 2πx1 2 πy1 2 πx2 2 πy2 1 2 sin sin sin sin − = √ L L L L L L L L 2 s 2 πx1 2 πy1 2 2πx2 2 πy2 − sin sin sin sin ⊗ |1, −1i L L L L L L L L s s s s 2 πx1 2 2πy1 2 πx2 2 πy2 1 (6) sin sin sin sin − ψ2 (r1 , r2 ) = √ L L L L L L L L 2 189 s s s s πx1 2 πy1 2 πx2 2 2πy2 2 − sin sin sin sin ⊗ |1, 1i L L L L L L L L s s s s πx1 2 2πy1 2 πx2 2 πy2 1 2 (7) sin sin sin sin − ψ2 (r1 , r2 ) = √ L L L L L L L L 2 s s s s 2 πx1 2 πy1 2 πx2 2 2πy2 − sin sin sin sin ⊗ |1, 0i L L L L L L L L (8) ψ2 (r1 , r2 ) s − s s s s πx1 2 2πy1 2 πx2 2 πy2 1 2 sin sin sin sin − = √ L L L L L L L L 2 s s s 2 πx1 2 πy1 2 πx2 2 2πy2 sin sin sin sin ⊗ |1, −1i L L L L L L L L Le energie dello stato fondamentale e del primo livello eccitato nel caso fermionico sono le stesse dei corrispondenti livelli bosonici, ovvero si ha 2h̄2 π 2 mL2 E1 = 4E1 = E2 = E2 + 3E1 = 4h̄2 π 2 h̄2 π 2 7h̄2 π 2 + 3 = 2mL2 2mL2 2mL2 2) Se, nel caso fermionico, ad H aggiungiamo il termine ∆H = ω 2 (S + h̄Sz ) h̄ allora l’hamiltoniana diventa H = Hx1 + Hy1 + Hx2 + Hy2 + ω 2 (S + h̄Sz ) h̄ Poiché si ha ∆H|1, 1i = 3h̄ω|1, 1i, ∆H|1, 0i = 2h̄ω|1, 0i, ∆H|1, −1i = h̄ω|1, −1i, ∆H|0, 0i = 0 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 190 segue che l’energia dello stato fondamentale rimane inalterata e gli otto stati del primo livello eccitato sono autostati dell’hamiltoniana totale non più relativi alla medesima energia. Come si può facilmente verificare attraverso l’equazione secolare, per effetto del termine ∆H si ha in particolare il seguente schema delle energie per gli otto stati (k) ψ2 (r1 , r2 ), k = 1, 2, ..., 8, del punto precedente (1) (2) (3) (6) (4) (7) (5) (8) • gli stati ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ) hanno energia inalterata E2′ = E2 ; • gli stati ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ) hanno energia E2′ = E2 + 3h̄ω; • gli stati ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ) hanno energia E2′ = E2 + 2h̄ω; • gli stati ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ) hanno energia E2′ = E2 + h̄ω Come si vede, il termine ∆H rimuove solo in parte la degenerazione: la degenerazione residua (degenerazione doppia per ogni livello E2′ ) è dovuta al fatto che tale termine ∆H non distingue le parti spaziali, simmetrica o antisimmetrica, della funzione d’onda. Il nuovo primo livello eccitato diventa allora, per effetto del termine ∆H, il livel(1) (2) lo (doppiamente degenere) dato dalle funzioni d’onda ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ) avente energia 7h̄2 π 2 ′ E2 = E2 = 2mL2 3) Il termine S1 · S2 nella perturbazione assegnata può essere scritto nella forma S1 · S2 = 1 (S − S21 − S22 ) 2 da cui otteniamo (S1 · S2 ) |0, 0i = 1 3h̄2 (S − S21 − S22 ) |0, 0i = − |0, 0i 2 4 Scrivendo il termine di perturbazione nella forma V (x1 , y1, x2 , y2 ) = λ L4 2 ψ (x1 ) ψ12 (y1) ψ12 (x2 ) ψ12 (y2 ) S · S 1 2 16 1 h̄2 dove con ψ1 (z) si intende l’autofunzione relativa a n = 1 della singola particella nel segmento, abbiamo che al primo ordine nella teoria delle perturbazioni l’energia dello stato fondamentale diventa E1T OT = E1′ + λ ∆E1 191 dove ∆E1 è dato dalla relazione 3 ∆E1 = h ψ1 (r1 , r2 )|V |ψ1 (r1 , r2 ) i = − 4 L4 16 ! Z 0 L ψ1 (z) ψ13 (z) dz !4 =− 243 1024 4) Per effetto della perturbazione lo stato fondamentale ψ1 (r1 , r2 ) si modifica e diventa ψ˜1 (r1 , r2 ), ottenuto mediante la relazione della teoria perturbativa indipendente dal tempo e non degenere (in cui è omessa la dipendenza della funzione d’onda da r1 , r2 ) X hψk |V |ψ1 i ψ˜1 = ψ1 + ψk (11.1) k6=1 E1 − Ek do Per calcolare gli elementi di matrice hψk |V |ψ1 i, semplifichiamo la notazione ponenψn1 (x1 ) ψn2 (y1 ) ψn3 (x2 ) ψn4 (y2 ) := ψ(n1 ,n2 )(n3 ,n4 ) e utilizziamo gli integrali In = = 1 4πL Z 0 π Z 0 L ψn (x) ψ13 (x) dx 4 Zπ sin nx sin3 x dx = = πL 0 [ei (n+3) x + e−i (n+3) x − 3 ei (n+1) x − 3 e−i (n+1) x + 3 ei (n−1) x + 3 e−i (n−1) x + −ei (n−3) x − e−i (n−3) x ] dx = 3 1 δ1n − δ3n 2L 2L (11.2) Poiché abbiamo V |ψ1 i = − 3 L4 3 λ ψ (x1 ) ψ13 (y1 ) ψ13 (x2 )ψ13 (y2 ) |0, 0i 4 16 1 segue che gli unici elementi di matrice hψk |V |ψ1 i diversi da zero sono quelli in cui ψk è data dal prodotto di una parte spaziale (simmetrica) contenente i numeri quantici 1 e 3 per il singoletto di spin. In particolare abbiamo che tali elementi di matrice hψk |V |ψ1 i sono diversi da zero soltanto per le seguenti funzioni d’onda ψk : ψ a = ψ(3,3)(3,3) |0, 0i ψ b = ψ(3,1)(3,1) |0, 0i 1 ψ d = √ (ψ(3,1)(1,3) + ψ(1,3)(3,1) ) |0, 0i 2 1 ψ f = √ (ψ(3,3)(3,1) + ψ(3,1)(3,3) ) |0, 0i 2 ψ c = ψ(1,3)(1,3) |0, 0i 1 ψ e = √ (ψ(3,3)(1,1) + ψ(1,1)(3,3) ) |0, 0i 2 1 ψ g = √ (ψ(3,3)(1,3) + ψ(1,3)(3,3) ) |0, 0i 2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 192 1 ψ h = √ (ψ(3,1)(1,1) + ψ(1,1)(3,1) ) |0, 0i 2 1 ψ i = √ (ψ(1,3)(1,1) + ψ(1,1)(1,3) ) |0, 0i 2 In virtù degli integrali (11.2), si ha hψ a |V |ψ1 i = − 3 L4 3 λ (I3 )4 = − λ 4 16 1024 27 3 L4 (I3 )2 (I1 )2 = − λ hψ |V |ψ1 i = − λ 4 16 1024 b 27 3 L4 λ (I3 )2 (I1 )2 = − λ 4 16 1024 √ 3 L4 2 27 2 d 2 2 √ (I3 ) (I1 ) = − hψ |V |ψ1 i = − λ λ 4 16 2 1024 √ 3 L4 2 27 2 e 2 2 √ (I3 ) (I1 ) = − hψ |V |ψ1 i = − λ λ 4 16 2 1024 √ 3 L4 2 9 2 f 3 √ (I3 ) (I1 ) = hψ |V |ψ1 i = − λ λ 4 16 2 1024 √ 4 2 L 2 3 9 √ (I3 )3 (I1 ) = λ hψ g |V |ψ1 i = − λ 4 16 2 1024 √ 81 2 3 L4 2 3 h √ (I3 ) (I1 ) = hψ |V |ψ1 i = − λ λ 4 16 2 1024 √ 4 L 2 3 81 2 √ (I3 ) (I1 )3 = λ hψ i |V |ψ1 i = − λ 4 16 2 1024 hψ c |V |ψ1 i = − Inserendo tali elementi di matrice nella (11.1), si ottiene lo stato fondamentale perturbato ψ˜1 = ψ˜1 (r1 , r2 ) dato da 3λmL2 27 λmL2 27 λmL2 ψ˜1 (r1 , r2 ) = ψ1 (r1 , r2 )+ 14 2 2 ψ a (r1 , r2 )+ 13 2 2 ψ b (r1 , r2 )+ 13 2 2 ψ c (r1 , r2 )+ 2 h̄ π 2 h̄ π 2 h̄ π √ √ 27 2 λmL2 e 27 2 λmL2 d ψ (r1 , r2 ) + ψ (r1 , r2 ) − + 213 h̄2 π 2 213 h̄2 π 2 √ √ 3 2 λmL2 g 81 2 λmL2 h − 12 2 2 ψ (r1 , r2 ) − ψ (r1 , r2 ) − 2 h̄ π 212 h̄2 π 2 √ 3 2 λmL2 f ψ (r1 , r2 )+ 212 h̄2 π 2 √ 81 2 λmL2 i ψ (r1 , r2 ) 212 h̄2 π 2 193 Esercizio 10 Sia dato un sistema di due particelle identiche di massa m in due dimensioni confinate in una buca di potenziale dalle pareti infinitamente alte. L’hamiltoniana H delle due particelle è data dall’espressione p21 p22 H= + + U(r1 ) + U(r2 ) 2m 2m dove per una singola particella si è posto p = (px , py ) e U(r) = U(x, y) = ( 0 +∞ per (x, y) ∈ [0, L] × [0, L] altrimenti 1. Determinare lo spettro dell’hamiltoniana, i relativi autostati e l’eventuale degenerazione per lo stato fondamentale e il primo (o i primi) stato eccitato, nel caso che le due particelle siano bosoni di spin zero o fermioni di spin 1/2; 2. calcolare, nel caso di due fermioni, come si modifica l’energia degli stati di cui al punto precedente se si aggiunge all’hamiltoniana il termine ∆H = ω (S1 · S2 − h̄Sz ) h̄ dove S è lo spin totale del sistema. Discutere l’eventuale degenerazione residua; 3. se si aggiunge all’hamiltoniana la peturbazione V (r1 , r2 ) = λ sin2 2πx1 2πx2 sin2 L L come si modifica l’energia dello stato fondamentale al prim’ordine nella teoria delle perturbazioni? 4. come si modifica la funzione d’onda dello stato fondamentale? Soluzione dell’esercizio 10 1) La risposta al primo quesito è identica alla risposta al primo quesito nell’esercizio precedente. 2) Se, nel caso fermionico, ad H aggiungiamo il termine ∆H = ω (S1 · S2 − h̄Sz ) h̄ CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 194 allora l’hamiltoniana diventa H = Hx1 + Hy1 + Hx2 ω + Hy2 + h̄ " S − S21 − S22 − h̄Sz 2 # Poiché si ha 1 h̄ω|1, 0i, 4 3 5 ∆H|0, 0i = − h̄ω|0, 0i ∆H|1, −1i = h̄ω|1, −1i, 4 4 dall’equazione secolare segue che l’energia dello stato fondamentale diventa ∆H|1, 1i = − 3 h̄ω|1, 1i, 4 E1′ = E1 − ∆H|1, 0i = 3 2h̄2 π 2 3 h̄ω = − h̄ω 2 4 mL 4 e che gli otto stati del primo livello eccitato sono autostati dell’hamiltoniana totale non più relativi alla medesima energia. Come si può facilmente verificare attraverso l’equazione secolare, per effetto del termine ∆H si ha in particolare il seguente schema delle (k) energie per gli otto stati ψ2 (r1 , r2 ), k = 1, 2, ..., 8, del punto precedente (1) (2) (3) (6) • gli stati ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ) hanno energia E2′ = E2 − (4) 3 h̄ω; 4 (7) • gli stati ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ) hanno energia E2′ = E2 + (5) 1 h̄ω; 4 (8) • gli stati ψ2 (r1 , r2 ), ψ2 (r1 , r2 ) hanno energia E2′ = E2 + 5 h̄ω 4 Come si vede, il termine ∆H rimuove solo in parte la degenerazione: la degenerazione residua (degenerazione quadrupla per un livello E2′ e doppia per gli altri tre livelli E2′ ) è dovuta al fatto che tale termine ∆H non distingue le parti spaziali, simmetrica o antisimmetrica, della funzione d’onda. Il nuovo primo livello eccitato diventa allora, per effetto del termine ∆H, il livel(1) (2) lo (con degenerazione 4) dato dalle quattro funzioni d’onda ψ2 (r1 , r2 ) , ψ2 (r1 , r2 ) , (3) (6) ψ2 (r1 , r2 ) , ψ2 (r1 , r2 ), avente energia E2′ = E2 = 7h̄2 π 2 3 − h̄ω 2 2mL 4 195 3) In virtù della perturbazione assegnata, abbiamo che al primo ordine nella teoria delle perturbazioni l’energia dello stato fondamentale diventa E1T OT = E1′ + λ ∆E1 dove ∆E1 è dato dalla relazione ∆E1 = h ψ1 (r1 , r2 )|V |ψ1 (r1 , r2 ) i = Z 16 = 4 L 0 L πy1 dy1 sin2 L !2 Z L 0 πx1 2πx1 sin2 dx1 sin2 L L !2 = 1 4 4) Per calcolare gli elementi di matrice hψk |V |ψ1 i nella (11.1), utilizziamo gli integrali Jn = Z 1 = 4πL π 0 0 L ψn (x) ψ1 (x) ψ22 (x) dx = 4 πL Z 0 π sin nx sin x sin2 2x dx = [ei (n+5) x + e−i (n+5) x − ei (n+3) x − e−i (n+3) x − 2 ei (n+1) x − 2 e−i (n+1) x + i (n−1) x +2 e Z + 2 e−i (n−1) x + ei (n−3) x + e−i (n−3) x − ei (n−5) x − e−i (n−5) x ] dx = = 1 1 1 δ1n + δ3n − δ5n L 2L 2L (11.3) Poiché abbiamo V |ψ1 i = λ L2 [ψ1 (x1 ) ψ22 (x1 )] ψ1 (y1 ) [ψ1 (x2 ) ψ22 (x2 )] ψ1 (y2 ) |0, 0i 4 segue che gli unici elementi di matrice hψk |V |ψ1 i diversi da zero sono quelli in cui ψk è data dal prodotto di una parte spaziale (simmetrica) avente 1 come secondo e quarto numero quantico, 1,3,5 come primo e terzo numero quantico per il singoletto di spin. In particolare abbiamo che tali elementi di matrice hψk |V |ψ1 i sono diversi da zero soltanto per le seguenti funzioni d’onda ψk : ψ a = ψ(3,1)(3,1) |0, 0i ψ b = ψ(5,1)(5,1) |0, 0i 1 ψ d = √ (ψ(3,1)(1,1) + ψ(1,1)(3,1) ) |0, 0i 2 1 ψ c = √ (ψ(3,1)(5,1) +ψ(5,1)(3,1) ) |0, 0i 2 1 ψ e = √ (ψ(5,1)(1,1) + ψ(1,1)(5,1) ) |0, 0i 2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 196 In virtù degli integrali (11.3), si ha hψ a |V |ψ1 i = λ L2 1 (J3 )2 12 = λ, 4 16 √ 2 λ L2 2 2 √ J3 J5 1 = − λ, hψ |V |ψ1 i = 4 16 2 hψ b |V |ψ1 i = λ L2 1 (J5 )2 12 = λ 4 16 √ 2 λ L2 2 2 √ J1 J3 1 = hψ |V |ψ1 i = λ 4 8 2 √ 2 λ L2 2 e 2 √ J1 J5 1 = − λ hψ |V |ψ1 i = 4 8 2 c d Inserendo tali elementi di matrice nella (11.1), si ottiene lo stato fondamentale perturbato ψ˜1 (r1 , r2 ) dato da λmL2 λmL2 a b ψ (r , r ) − ψ˜1 = ψ˜1 (r1 , r2 ) = ψ1 (r1 , r2 ) − 1 2 2 2 2 2 ψ (r1 , r2 )+ 128 h̄ π 384 h̄ π √ √ √ 2 λmL2 c 2 λmL2 d 2 λmL2 e + ψ (r , r ) − ψ (r , r ) + ψ (r1 , r2 ) 1 2 1 2 256 h̄2 π 2 32 h̄2 π 2 96 h̄2 π 2 Esercizio 11 Due particelle identiche sono vincolate a muoversi in una dimensione sul segmento [0, L] con hamiltoniana p2 α ~ ~ p2 H0 = 1 + 2 + 2 S 1 · S2 2m 2m h̄ dove α verifica la condizione α < h̄2 π 2 . 2mL2 • Nel caso che le due particelle siano fermioni di spin 1/2: 1. calcolare il valore esatto dei due livelli energetici più bassi e discutere la loro degenerazione; 2. se all’hamiltoniana si aggiunge la perturbazione V = λ (S1x + S2x ), calcolare come si modificano i due livelli energetici più bassi. • Nel caso che le due particelle siano bosoni di spin 1, calcolare il valore esatto dei due livelli energetici più bassi e discutere la loro degenerazione. 197 Soluzione dell’esercizio 11 ~1 + S ~2 = S ~ e scriviamo l’hamiltoniana nella forma Per il caso fermionico, poniamo S p2 p2 α H0 = 1 + 2 + 2m 2m 2 ~2−3 S 2 dove si ha α 2 α 4 per S = 1 (tripletto simmetrico) 3 ~2− = S 2 −3α per S = 0 (singoletto antisimmetrico) 4 1) Poiché la funzione d’onda fermionica deve essere complessivamente antisimmetrica per scambio delle due particelle, allora si ha che lo stato fondamentale ha autofunzione s s 2 πx1 2 πx2 ψ1 (x1 , x2 , S, Sz ) = sin sin ⊗ |0, 0i L L L L a cui corrisponde il livello energetico h̄2 π 2 3α h̄2 π 2 3α h̄2 π 2 + − = − 2mL2 2mL2 4 mL2 4 E1 = e dunque è non degenere. Segue poi che il primo stato eccitato ha autofunzione data dal prodotto tensoriale fra la parte spaziale (costruita simmetrica) con un numero quantico pari a 2 e l’altro pari a 1 per il singoletto (antisimmetrico) di spin ψ2 (x1 , x2 , S, Sz ) = s s s s 2 2πx1 2 πx2 2 πx1 2 2πx2 |0, 0i √ = sin sin + sin sin L L L L L L L L 2 a cui corrisponde il livello energetico E2 = 4h̄2 π 2 h̄2 π 2 3α 5h̄2 π 2 3α + − = − 2mL2 2mL2 4 2mL2 4 e dunque è non degenere. 2) Esprimendo S1x = S1+ + S1− 2 e S2x = S2+ + S2− 2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 198 e 1 |S = 0, Sz 0i = √ 2 si ottiene 1 1 1 1 1 1 1 1 ,− − , − , 2 2 2 2 2 2 2 2 , (S1x + S2x ) |0, 0i = 0 da cui segue hψ1 |V |ψ1 i = hψ2 |V |ψ2 i = 0, ovvero deduciamo che i due livelli energetici più bassi non vengono modificati dalla perturbazione V assegnata. ~1 + S ~2 = S ~ e scriviamo l’hamiltoniana Nel caso bosonico con s = 1, poniamo S nella forma p2 p2 α ~2 H0 = 1 + 2 + (S − 4) 2m 2m 2 dove si ha α per S = 2 (pentupletto simmetrico) α ~2 (S − 4) = −α per S = 1 (tripletto antisimmetrico) 2 −2α per S = 0 (singoletto simmetrico) Poiché la funzione d’onda bosonica deve essere complessivamente simmetrica per scambio delle due particelle, allora si ha che lo stato fondamentale ha autofunzione s s 2 πx1 2 πx2 ψ1 (x1 , x2 , S, Sz ) = ⊗ |0, 0i sin sin L L L L a cui corrisponde il livello energetico E1 = h̄2 π 2 h̄2 π 2 h̄2 π 2 + − 2α = − 2α 2mL2 2mL2 mL2 e dunque è non degenere. Per ottenere poi il primo stato eccitato, dobbiamo confrontare i livelli energetici di due funzioni d’onda: la prima, indicata con ψa , è data dal prodotto tensoriale fra la parte spaziale (costruita simmetrica) con un numero quantico pari a 2 e l’altro pari a 1 per il singoletto (simmetrico) di spin, mentre la seconda, indicata con ψb , è data dal prodotto tensoriale fra la parte spaziale (simmetrica) con entrambi i numeri quantici pari a 1 per il pentupletto (simmetrico) di spin. Si ha ψa (x1 , x2 , S, Sz ) = s s s s 2 2πx1 2 πx2 2 πx1 2 2πx2 |0, 0i √ = sin sin + sin sin L L L L L L L L 2 a cui corrisponde il livello energetico Ea = 4h̄2 π 2 h̄2 π 2 5h̄2 π 2 + − 2α = − 2α 2mL2 2mL2 2mL2 199 e s s 2 πx1 2 πx2 ψb (x1 , x2 , S, Sz ) = sin sin ⊗ |2, Sz i L L L L a cui corrisponde il livello energetico Eb = h̄2 π 2 h̄2 π 2 h̄2 π 2 + + α = +α 2mL2 2mL2 mL2 Poiché dalla condizione assegnata su α si ricava la disuguaglianza Ea > Eb , allora concludiamo che il primo stato eccitato, indicato con ψ2 , è dato da ψ2 (x1 , x2 , S, Sz ) = ψb (x1 , x2 , S, Sz ) a cui corrisponde il livello energetico E2 = Eb avente degenerazione pari a 5, data dal pentupletto di spin. Esercizio 12 Siano date due particelle identiche di spin 1/2 descritte dall’hamiltoniana H0 = p~21 p~2 g2 2ω ~ ~ S1 · S2 + 2 − + 2m 2m |~r1 − ~r2 | h̄ mg 4 . 32h̄3 1. Determinare gli autovalori dell’hamiltoniana e discuterne la degenerazione; con 0 < ω < 2. detereminare le funzioni d’onda degli undici stati di energia più bassa; 3. data la perturbazione V = λ |~r1 − ~r2 |, calcolare, al primo ordine nella teoria delle perturbazioni, lo spostamento di energia dello stato fondamentale. Soluzione dell’esercizio 12 1,2) Eseguendo il cambio di variabili ~r = ~r1 − ~r2 √ 2 + ~r2 ~ = ~r1√ R 2 (11.4) l’hamiltoniana del sistema diventa P~ 2 g2 ~p 2 H0 = + − 2m 2m r ! ω + h̄ 2 ~ 2 − 3h̄ S 2 ! CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 200 ~˙ e ~p = m~r˙ . dove si è posto P~ = mR Considerando soltanto il moto legato relativo (cioè trascurando il moto del baricentro come particella libera), abbiamo che gli autovalori sono dati dalla somma dell’autovalore En dell’atomo di idrogeno e del termine di spin dato dalla richiesta di simmetrizzazione o antisimmetrizzazione. Osservando che nel sistema di due particelle l’operatore di scambio delle particelle stesse coincide con l’operatore di parità (perché ~r2 − ~r1 = −~r), segue che un’autofunzione dell’atomo di idrogeno è simmetrica per scambio delle due particelle se il numero quantico l è pari, mentre la stessa è antisimmetrica se il numero quantico l è dispari. Ricordando che la funzione d’onda deve essere complessivamente antisimmetrica per scambio delle due particelle e utilizzando per il termine di spin la base degli autovettori di S 2 , Sz , abbiamo che gli autovalori di H0 e gli undici stati di energia più bassa sono mg 4 3 ψ100 ⊗ |0, 0i con energia E1 = − 2 − h̄ω 2 2h̄ ψ200 ⊗ |0, 0i E2 = − mg 4 3 − h̄ω 2 8h̄2 con energia E3 = − mg 4 1 + h̄ω 2 8h̄2 con energia E3 = − mg 4 1 + h̄ω 2 8h̄2 con energia E3 = − |1, 1i ψ211 ⊗ |1, 0i |1, −1i ψ210 ⊗ con energia |1, 1i |1, 0i |1, −1i |1, 1i ψ21−1 ⊗ |1, 0i |1, −1i mg 4 1 + h̄ω 2 8h̄2 dove gli autovalori E1 , E2 sono non degeneri e l’autovalore E3 ha degenerazione 9. Dalla condizione mg 4 0<ω< 32h̄3 segue poi la disuguaglianza 3 mg 4 1 mg 4 − 2 + h̄ω < − h̄ω 2 − 2 2 8h̄ 18h̄ in virtù della quale possiamo concludere che l’energia degli stati corrispondenti al numero quantico n = 3 dell’atomo d’idrogeno è maggiore dell’energia degli stati corrispondenti a n = 2. 201 3) Per determinare ∆E1 (dove E1 è l’energia dello stato fondamentale) conseguente all’accensione della perturbazione V , applichiamo la formula ∆E1 = hψ100 |V |ψ100 ih0, 0|0, 0i = Z λ πa0 0 +∞ r e−2r/a0 4πr 2 dr = 3 λa0 2 perché la perturbazione agisce solo sulla parte spaziale e nella separazione dei termini spaziali da quelli di spin si ha h0, 0|0, 0i = 1. In tale calcolo il parametro a0 indica il raggio di Bohr dell’atomo di idrogeno. Esercizio 13 L’hamiltoniana di una particella di spin 1/2 è data dall’espressione H= α (2J2 + h̄Jz ) h̄2 dove J = L + S è il momento angolare totale e Jz è la componente lungo l’asse z. All’istante t = 0 lo stato della particella è dato da |ψi = N √ √ 1 1 1 1 1 1 − 2 |2, 1i , − + eiφ 3 |1, 1i , |1, 1i , − 2 2 2 2 2 2 1. Determinare lo spettro dell’hamiltoniana; 2. determinare il valore della costante N in modo che valga hψ|ψi = 1; 3. determinare la fase φ in modo che hψ|Sx |ψi assuma valore massimo; 4. se si effettua su questo stato una misura di L2 , Lz , Sz , J2 , Jz , stabilire quali valori si possono ottenere e con quali probabilità; 5. determinare lo stato all’istante t generico. Soluzione dell’esercizio 13 1) Lo spettro dell’hamiltoniana è dato da E = α [2j(j + 1) + jz ] 2) Si ha hψ|ψi = |N|2 (1 + 2 + 3) = 6 |N|2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 202 da cui segue che lo stato assegnato |ψi è normalizzato a 1 se la costante N, scelta reale e positiva, ha il valore 1 N=√ 6 3) Si ha hψ|Sx |ψi = 1 1 hψ|(S+ + S− )|ψi = √ cos φ 2 12 da cui segue che hψ|Sx |ψi è massimo per φ = 0. 4) Lo stato iniziale |ψi è assegnato nella base degli autostati simultanei degli operatori L2 , S2 , Lz , Sz e per φ = 0 è dato da 1 −1 1 −1 1 1 1 1 1 − √ |2, 1i , + √ |1, 1i , |ψi = √ |1, 1i , 2 2 2 2 2 2 6 3 2 Effettuando una misura di L2 si ottengono i possibili valori l2 = 1(1 + 1) = 2 con probabilità P (2) = 1 1 2 + = 6 2 3 l2 = 2 (2 + 1) = 6 con probabilità P (6) = 1 3 Effettuando una misura di Lz si ottiene il valore lz = 1 con probabiltà 1 perché i tre ket come combinazione dei quali si esprime lo stato |ψi contengono soltanto appunto lz = 1. Effettuando una misura di Sz si ottengono i possibili valori 1 sz = − 2 1 sz = 2 con probabilità con probabilità 1 1 1 1 = + = P − 2 6 3 2 P 1 1 = 2 2 Per determinare i valori di una misura di J2 e Jz con le rispettive probabilità, dobbiamo esprimere lo stato |ψi nella base degli autostati simultanei degli operatori L2 , S2 , J2 , Jz scritti nella forma |l, s; j, jz i. Effettuando il cambio di base mediante i coefficienti di Clebsch-Gordan, abbiamo 1 |1, 1i , −1 2 2 1 1 3 1 = √ 1, ; , − 2 2 2 3 s 2 1 1 1 1, ; , 3 2 2 2 203 1 |2, 1i , −1 2 2 s s 2 1 5 1 3 1 3 1 = + 2, ; , 2, ; , 5 2 2 2 5 2 2 2 1 3 3 1 1 = 1, ; , |1, 1i , 2 2 2 2 2 da cui segue che in questa base lo stato iniziale |ψi assume l’espressione |ψi = − s 2 1 5 1 1 1 3 3 1 1 3 1 √ √ 1, 1, 2, + + + ; , ; , ; , 15 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 18 1 1 3 1 1 − √ 2, ; , − 2 2 2 3 5 Considerando i valori di j, jz e i coeffcienti misura di J2 può dare i possibili valori 5 j = 2 35 5 +1 = 2 4 con probabilità j2 = 3 2 3 15 +1 = 2 4 j2 = 1 2 2 1 3 +1 = 2 4 1, 1 1 1 ; , 2 2 2 dei ket corrispondenti, si ha che una P 2 35 = 4 15 con probabilità P 1 1 1 34 15 = + + = 4 2 18 5 45 con probabilità P 1 3 = 4 9 e una misura di Jz può dare i possibili valori 3 jz = 2 con probabilità 1 jz = 2 con probabilità P P 1 3 = 2 2 2 1 1 1 1 1 = + + + = 2 15 18 5 9 2 5) Facendo agire l’operatore di evoluzione temporale sullo stato iniziale |ψ, 0i, si ottiene lo stato |ψ, ti al generico tempo t, dato da |ψ, ti = e−i =− s H h̄ t |ψ, 0i = α α 1 3 3 1 3 1 2 −18i α t 1 5 1 1 1 h̄ + √ e−9i h̄ t 1, ; , + √ e−8i h̄ t 1, ; , + e 2, ; , 15 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 18 1 −2i α t 1 1 1 1 −8i α t 1 3 1 h̄ h̄ −√ e − e 2, ; , 1, ; , 2 2 2 3 2 2 2 5 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 204 Esercizio 14 Sia dato un sistema di due particelle identiche di massa m e di spin 1/2, la cui hamiltoniana è data dall’espressione Htot = p2 mω 2 2 2ω p21 + 2 + (r1 + r22 ) − S1 · S2 2m 2m 2 h̄ Etichettiamo l’autostato dell’hamiltoniana H= mω 2 2 p2 + r 2m 2 di singola particella con tre numeri interi |ni = |nx , ny , nz i, corrispondenti all’energia En = h̄ω (n + 3/2), dove n = nx + ny + nz . Includendo lo spin, i cui autostati sono indicati con il ket |1/2, σz i, lo stato di singola particella sarà dato allora dal ket complessivo |n, σz i = |ni ⊗ |1/2, σz i. 1. Determinare lo stato fondamentale e il primo stato eccitato del sistema delle due particelle e discuterne la degenerazione; 2. se all’istante t = 0 lo stato del sistema è dato da 1 1 1 |ψi = √ ( |1, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |1, 0, 0i2 ) ⊗ , 2 2 3 1 + √ |0, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 ⊗ 6 1 , 1 2 2 1 ,− 1 2 1 2 2 1 − , − 2 1 2 1 , 1 1 2 2 1 , 1 1 2 2 + 2 ! 2 determinare i possibili risultati di una misura dell’energia e le relative probabiltà; 3. determinare lo stato all’istante t generico; 4. determinare per il predetto stato i risultati possibili di una misura di J2 e Jz e le relative probabilità, dove J = L + S è il momento angolare totale del sistema, dato dalla somma del momento angolare orbitale totale L e dello spin totale S. Soluzione dell’esercizio 14 L’hamiltoniana scrivibile nella forma HT = ! ! 1 1 ω p22 p21 + mω 2 r21 + + mω 2 r22 − (S 2 − S12 − S22 ) = 2m 2 2m 2 h̄ = H1 + H2 − Hspin 205 ha autostati dati dal prodotto tensoriale di una parte spaziale e di una parte spinoriale che debbono essere una simmetrica e l’altra antisimmetrica per scambio delle due particelle fermioniche. La composizione di due spin 1/2 dà il singoletto antisimmetrico |0, 0i che per la relazione 3 Hspin |0, 0i = − h̄ω |0, 0i 2 è autostato di Hspin con autovalore (−3/2)h̄ω e dà i tre stati di tripletto |1, sz i che per la relazione 1 Hspin |1, sz i = h̄ω |1, sz i 2 sono autostati di Hspin con autovalore (1/2)h̄ω. 1) Il livello di energia più bassa (stato fondamentale) del sistema è dato allora dai nove stati (degenerazione 9) aventi la forma 1 √ ( |1, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |1, 0, 0i2 ) |1, sz i 2 1 √ ( |0, 1, 0i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |0, 1, 0i2 ) |1, sz i 2 1 √ ( |0, 0, 1i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |0, 0, 1i2 ) |1, sz i 2 ai quali corrisponde l’autovalore di energia E0 = 3 1 7 5 h̄ω + h̄ω − h̄ω = h̄ω 2 2 2 2 Il primo livello eccitato ha degenerazione 28 perché all’autovalore di energia E1 = 3 3 3 9 h̄ω + h̄ω + h̄ω = h̄ω 2 2 2 2 corrisponde l’autospazio individuato dai 28 stati indipendenti che sono |0, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 |0, 0i, 1 √ ( |1, 1, 0i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |1, 1, 0i2 ) |1, sz i, 2 1 √ ( |1, 0, 1i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |1, 0, 1i2 ) |1, sz i, 2 1 √ ( |0, 1, 1i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |0, 1, 1i2 ) |1, sz i, 2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 206 1 √ ( |1, 0, 0i1 |0, 1, 0i2 − |0, 1, 0i1 |1, 0, 0i2 ) |1, sz i, 2 1 √ ( |1, 0, 0i1 |0, 0, 1i2 − |0, 0, 1i1 |1, 0, 0i2 ) |1, sz i, 2 1 √ ( |0, 1, 0i1 |0, 0, 1i2 − |0, 0, 1i1 |0, 1, 0i2 ) |1, sz i, 2 1 √ ( |2, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |2, 0, 0i2 ) |1, sz i, 2 1 √ ( |0, 2, 0i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |0, 2, 0i2 ) |1, sz i, 2 1 √ ( |0, 0, 2i1 |0, 0, 0i2 − |0, 0, 0i1 |0, 0, 2i2 ) |1, sz i, 2 con sz = 1, 0, −1. 2) Riscriviamo lo stato assegnato a t = 0 nella forma in cui la parte di spin è espressa nella base degli autostati di S 2 e Sz , essendo stata quindi effettuata la composizione degli spin delle due particelle S1 + S2 = S 1 1 |ψi = √ |1, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 |1, 1i − √ |0, 0, 0i1 |1, 0, 0i2 |1, 1i+ 3 3 1 + √ |0, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 |0, 0i 3 Considerando i valori dell’energia E e i coeffcienti dei ket corrispondenti, si ha che una misura dell’energia può dare i possibili valori 7 E = h̄ω 2 con probabilità 9 h̄ω 2 con probabilità E= P 1 1 2 7 h̄ω = + = 2 3 3 3 P 1 9 h̄ω = 2 3 3) Applicando l’operatore di evoluzione temporale allo stato iniziale |ψ, 0i, si ottiene la sua evoluzione temporale |ψ, ti al generico tempo t, data dallo stato H |ψ, ti = e−i h̄ t |ψ, 0i = 207 7 7 1 1 = √ e− 2 iωt |1, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 |1, 1i − √ e− 2 iωt |0, 0, 0i1 |1, 0, 0i2 |1, 1i+ 3 3 9 1 + √ e− 2 iωt |0, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 |0, 0i 3 4) Per determinare i possibili risultati e le relative probabilità di una misura delle osservabili J 2 e Jz sullo stato |ψi, dobbiamo esprimere |ψi come combinazione lineare di autostati simultanei di J 2 e Jz . Separando |1, 0, 0i in parte radiale e parte angolare, si ha |1, 0, 0i = = s 4 s 4 mω 4 m5 ω 5 2 2 2 x e− 2h̄ (x +y +z ) = 5 3 h̄ π m5 ω 5 h̄5 π s s 4 mω 2 4 m5 ω 5 r e− 2h̄ r sin θ cos φ = 5 3 h̄ π mω 2 1 1 8 r e− 2h̄ r √ (Y1,−1 − Y1,1 ) = R̃1 (r) √ (Y1,−1 − Y1,1 ) 3 2 2 dove R̃1 (r) è la parte radiale tale che Z +∞ 0 r 2 [R̃1 (r)]2 dr = 1 Separando |0, 0, 0i in parte radiale e parte angolare, si ha |0, 0, 0i = s 4 m3 ω 3 − mω r2 e 2h̄ = h̄3 π 3 s 4 16 m3 ω 3 − mω r2 e 2h̄ Y0,0 = R̃0 (r) Y0,0 h̄3 π dove R̃0 (r) è la parte radiale tale che Z 0 +∞ r 2 [R̃0 (r)]2 dr = 1 A questo punto, componendo prima L1 + L2 = L e quindi L + S = J, esprimiamo, con ovvio significato della notazione, 1 |1, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 |1, 1i = R̃1 (r1 )R̃0 (r2 ) √ [Y1,−1 (1) − Y1,1 (1)] Y0,0 (2) |1, 1i = 2 1 = R̃1 (r1 )R̃0 (r2 ) √ [Y1,−1 (1) Y0,0 (2) − Y1,1 (1) Y0,0 (2)] |1, 1i = 2 1 = R̃1 (r1 )R̃0 (r2 ) √ ( |1, −1i − |1, 1i ) |1, 1i = 2 1 = R̃1 (r1 )R̃0 (r2 ) √ ( |1, −1i|1, 1i − |1, 1i|1, 1i ) = 2 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 208 1 1 1 √ |2, 0i − √ |1, 0i + √ |0, 0i − |2, 2i 6 2 3 1 = R̃1 (r1 )R̃0 (r2 ) √ 2 ! Analogamente esprimiamo |0, 0, 0i1 |1, 0, 0i2 |1, 1i = 1 = R̃0 (r1 )R̃1 (r2 ) √ 2 1 1 1 √ |2, 0i − √ |1, 0i + √ |0, 0i − |2, 2i 6 2 3 ! e infine esprimiamo |0, 0, 0i1 |0, 0, 0i2 |0, 0i = R̃0 (r1 )R̃0 (r2 ) |0, 0i Possiamo quindi sviluppare lo stato iniziale |ψi assegnato come combinazione lineare di autostati simultanei di J 2 e Jz |ψi = R̃1 (r1 )R̃0 (r2 ) −R̃0 (r1 )R̃1 (r2 ) 1 1 1 1 |2, 0i − √ |1, 0i + √ |0, 0i − √ |2, 2i 6 12 18 6 ! ! + 1 1 1 1 |2, 0i − √ |1, 0i + √ |0, 0i − √ |2, 2i 6 12 18 6 1 + √ R̃0 (r1 )R̃0 (r2 ) |0, 0i 3 + Considerando i valori di j, jz e i coeffcienti dei ket corrispondenti, si ha che una misura di J 2 può dare i possibili valori j = 2 (2 + 1) = 6 con probabilità P (6) = 2 j 2 = 1 (1 + 1) = 2 con probabilità P (2) = 2 1 1 = 12 6 j 2 = 0 (1 + 0) = 0 con probabilità P (0) = 2 1 1 4 + = 18 3 9 2 1 7 1 = + 36 6 18 e una misura di Jz può dare i possibili valori jz = 2 jz = 0 con probabilità con probabilità P (2) = 2 P (0) = 2 1 1 = 6 3 1 1 1 1 2 + = + + 36 12 18 3 3 209 Esercizio 15 L’hamiltoniana di un sistema di due particelle identiche di massa m è data dall’espressione p~21 p~22 mω 2 mΩ2 2 H= + + (~r1 − ~r2 ) + (~r1 + ~r2 )2 2m 2m 4 4 All’istante t = 0, lo stato delle due particelle è dato dall’espressione ψB (~r1 , ~r2 ) = NB (~r1 − ~r2 )2 e− mω(~ r1 −~ r 2 )2 4h̄ e− mΩ(~ r1 +~ r 2 )2 4h̄ se le due particelle sono due bosoni di spin zero, mentre è dato dall’espressione ~ Sz ) = NF [(x1 − x2 ) − i(y1 − y2 )] e− ψF (~r1 , ~r2 , S, mω(~ r1 −~ r 2 )2 4h̄ e− mΩ(~ r1 +~ r 2 )2 4h̄ ⊗ |1, 1i ~ lo spin totale se le due particelle sono due fermioni di spin 1/2, avendo indicato con S del sistema e con Sz la sua componente lungo l’asse z. • Nel caso in cui le due particelle siano bosoni: 1. calcolare il valore della costante NB di normalizzazione e determinare i livelli di energia del sistema; ~2 2. se si esegue una misura del quadrato del momento angolare orbitale toale L ~ =L ~1 + L ~ 2 ) e della sua componente Lz lungo l’asse z, individuare i (dove L valori possibili di tale misura e le rispettive probabilità; • nel caso in cui le due particelle siano fermioni di spin 1/2: 1. calcolare il valore della costante NF di normalizzazione e determinare i livelli di energia del sistema; 2. se si esegue una misura del quadrato del momento angolare totale J~2 (dove ~ +S ~ =L ~1 +L ~2 +S ~1 + S ~2 ) e della sua componente Jz lungo l’asse z, J~ = L individuare i valori possibili di tale misura e le rispettive probabilità; ~1 − S ~2 )2 , calcolare, 3. se si aggiunge all’hamiltoniana il termine V = λ (S al primo ordine nella teoria delle perturbazioni, come si modifica il valore dell’energia E0 dello stato fondamentale. CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO 210 Soluzione dell’esercizio 15 Cominciando con il caso bosonico, consideriamo il cambio di variabili (11.4) la cui matrice jacobiana ha il modulo del determinante pari a 1. 1) Per determinare la costante NF imponiamo che valga la condizione di normalizzazione Z |ψB (~r1 , ~r2 )| d3~r1 d3~r2 = 1 In virtù del cambio di variabili (11.4) quest’ultimo integrale diventa 4 |NB |2 2 = 64π |NB | 2 Z r 4 e− Z 6 − r e mωr 2 h̄ mωr 2 h̄ e− dr mΩR2 h̄ Z ~ = d3~r d3 R R2 e− mΩR2 h̄ dR = 1 Utilizzando gli integrali gaussiani (estesi alla sola semiretta reale positiva), si ottiene NB = s 4 16m10 ω 7Ω3 225h̄10 π 6 Per determinare gli autovalori dell’hamiltoniana, sostituiamo il cambio di variabili dato dalle relazioni (11.4) nell’hamiltoniana del sistema e otteniamo H= ! p~ 2 1 1 P~ 2 + mω 2 r 2 + + mΩ2 R2 2m 2 2m 2 (11.5) da cui si ricavano gli autovalori En1 ,n2 3 3 + h̄Ω n2 + = h̄ω n1 + 2 2 e le relative degenerazioni, essendo n1 = n1x + n1y + n1z e n2 = n2x + n2y + n2z . 2) Scrivendo la funzione d’onda nella forma, con ovvio significato dei simboli ~ = f1 (r) f2 (R) |0, 0i |0, 0i = f1 (r) f2 (R) |0, 0; 0, 0i ψB (~r, R) ~ 2 ed Lz assumono entrambi il valore 0 con probabilità 1. si ricava che L Per il caso fermionico, gli autovalori dell’hamiltoniana del sistema sono gli stessi del caso bosonico. 1) Per determinare la costante NF di normalizzazione, imponiamo, analogamente al caso bosonico precedente, la condizione di normalizzazione Z |ψF (~r1 , ~r2 )| d3~r1 d3~r2 = 1 211 Utilizzando di nuovo il cambio di variabili (11.4), otteniamo 2 |NF |2 = 8π |NF |2 da cui si ricava Z Z (x2 + y 2) e− mωr 2 h̄ (r 2 − r 2 cos2 θ) e− e− mωr 2 h̄ mΩR2 h̄ d3~r Z ~ = d3~r d3 R R2 e− mΩR2 h̄ dR = 1 s m8 ω 5 Ω3 h̄8 π 6 ~1 + L ~2 = L ~ e quindi L ~ +S ~ = J, ~ scriviamo, con ovvio 2) Componendo prima L significato dei simboli, la funzione d’onda nella forma NF = 4 ~ = [ g1(r) g2 (R) |1, −1i |0, 0i ] ⊗ |1, 1i = g1 (r) g2(R) |1, −1i ⊗ |1, 1i = ψF (~r, R) = g1 (r) g2(R) 1 1 1 √ |1, 1; 2, 0i + √ |1, 1; 1, 0i + √ |1, 1; 0, 0i 6 2 3 ! da cui ricaviamo che una misura di J 2 può dare i possibili valori j 2 = 2 (2 + 1) = 6 con probabilità P (6) = 1 6 j 2 = 1 (1 + 1) = 2 con probabilità P (2) = 1 2 j 2 = 0 (1 + 0) = 0 con probabilità P (0) = 1 3 e una misura di Jz può dare solo il valore jz = 0 con probabilità P (0) = 1 3) Lo stato fondamentale |ψ0 i del sistema è dato dal prodotto tensoriale degli stati fondamentali dei due oscillatori armonici dell’hamiltoniana (11.5), ovvero si ha |ψ0 i = |0, 0, 0iω |0, 0, 0iΩ ⊗ |S = 0 , Sz = 0i Ponendo l’espressione della perturbazione nella forma ~1 − S ~2 )2 = λ (2S ~12 + 2S ~22 − S 2 ) = λ (3h̄2 − S 2 ) V = λ (S si ottiene che l’energia dello stato fondamentale diventa E ′ = E0 + ∆E dove ∆E è dato dall’espressione della teoria delle perturbazioni indipendente dal tempo ∆E = hψ0 | V |ψ0 i = λ hψ0 | (3h̄2 − S 2 ) |ψ0 i = 3λh̄2