1 Opposizione a d.i.: costituzione oltre il termine di 5 giorni ed improcedibilità Cassazione civile , SS.UU., sentenza 09.09.2010 n° 19246 (Angela Calaluna) In caso di opposizione a DI, in caso di termine a comparire inferiore a quello legale si applica il termine ordinario di dieci giorni per la costituzione dell’attore o il termine abbreviato di 5 giorni? Opposizione a DI: costituzione dell’opponente oltre il termine di 5 giorni e improcedibilità (Cassazione, SS.UU., sentenza 9 settembre 2010, n. 19246) di Angela Calaluna (Fonte: Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza 10/2010) Il quesito: • In caso di opposizione a DI, in caso di termine a comparire inferiore a quello legale si applica il termine ordinario di dieci giorni per la costituzione dell’attore o il termine abbreviato di 5 giorni? Il fatto Il Tribunale di Lecce dichiara improcedibile l’opposizione promossa da Tizio avverso un decreto ingiuntivo emesso in favore di B. s.p.a., in quanto l’opponente, che aveva assegnato all’opposto un termine a comparire di 53 giorni, si è costituito oltre il termine di cinque giorni dalla notifica della citazione. La Corte d’appello conferma la decisione di primo grado richiamando l’orientamento espresso dalla Cassazione, tra l’altro, con sentenza n. 37521 del 2001, secondo il quale l’abbreviazione dei termini di costituzione per l’opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all’opposto di un termine di comparizione inferiore a sessanta giorni, risultando del tutto irrilevante che la concessione dello stesso sia dipesa da una scelta consapevole ovvero da errore di calcolo. Tizio propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, al quale ha resistito, con controricorso, la B. s.p.a.. Con ordinanza del 12 novembre 2008, la prima sezione ritenendo che il consolidato orientamento della corte presenti aspetti problematici ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione a queste sezioni unite. La prima sezione ha invero ritenuto che non risponde alla sistematica del codice di rito che la disciplina dei termini di un procedimento possa discendere dalla scelta di una delle parti del giudizio, al di fuori di ogni controllo da parte del giudice. Irrilevante sarebbe il richiamo all’art. 645, comma 2, c.p.c., nel quale manca un’espressa prescrizione relativa al dimezzamento dei termini di costituzione che, infatti, viene fatto discendere dall’applicazione degli articoli 165 e 166 c.p.c., i quali tuttavia prevedono la riduzione dei termini di costituzione quale conseguenza della riduzione dei termini di comparizione operata dal giudice a richiesta dell’attore nella ricorrenza dei presupposti indicati nell’art. 163 bis c.p.c.. Peraltro, se fosse vero l’assunto della esistenza di un principio di adeguamento dei termini di costituzione a quelli di comparizione la riduzione dei termini di costituzione dovrebbe operare sempre e comunque nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, perché la formulazione dell’art. 645, c.p.c., comma 2, non consentirebbe alcuna discrezionalità. In realtà se la ratio della riduzione dei termini di comparizione è quella di accelerare la definizione del giudizio di opposizione, la riduzione alla meta dei termini di costituzione non è coerente con tale finalità, posto che il termine di costituzione del creditore opposto decorre non già dalla costituzione dell’opponente, ma dalla data dell’udienza di comparizione, che, tra l’altro, per effetto della modifica dell’art. 163 bis c.p.c., introdotto dall’art. 2 della legge n. 263 del 2005, è ampliato da sessanta a novanta giorni per l’Italia e da centoventi a centocinquanta giorni se il luogo della notificazione si trova all’estero. Pertanto, senza un’apprezzabile utilità per la sollecita definizione del giudizio di opposizione, si finisce per introdurre un onere particolarmente gravoso a carico dell’opponente, che solo formalmente verrebbe bilanciato da analogo onere imposto al creditore opposto, il quale non può in alcun modo essere equiparato al convenuto in un giudizio ordinario, avendo egli, anzi, la qualità di attore in senso sostanziale. In tale situazione, ove si ritenga operante la riduzione del termine di costituzione per effetto automatico dell’attribuzione al creditore opposto di un termine inferiore a quarantacinque giorni sarebbe evidente l’irragionevolezza giacché, a fronte di un termine di costituzione per l’opponente di soli cinque giorni, l’opposto dovrebbe costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell’udienza di comparizione, venendo così a godere di ben 35 giorni per provvedere alla propria difesa. La pressione che in tal modo grava sull’opponente, mentre non vale ad abbreviare i termini di durata del processo di opposizione risulterebbe ingiustificata tenendo conto che l’opponente è attore solo in senso formale, ma sostanzialmente è convenuto, e che la necessità di intraprendere la causa non è frutto di una meditata scelta in un lasso di tempo discrezionale, ma necessitata dalla notifica dell’ingiunzione, laddove l’opposto dispone di tempi ben più ampi per la costituzione, anche se, attore in senso sostanziale, ha fruito di ampia disponibilità temporale nella decisione di presentare ricorso per decreto ingiuntivo. La normativa Codice di procedura civile Art. 163 (Contenuto della citazione) La domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa. Il presidente del tribunale stabilisce al principio dell'anno giudiziario, con decreto approvato dal primo presidente della corte di appello, i giorni della settimana e le ore delle udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione delle parti. L’atto di citazione deve contenere: 1) l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; 2) il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore, il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimo del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio; 3) la determinazione della cosa oggetto della domanda; 4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni; 5) l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; 6) il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata; 7) l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termin implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167. L'atto di citazione, sottoscritto a norma dell'art. 125, è consegnato dalla parte o dal procuratore all'ufficiale giudiziario, il quale lo notifica norma degli artt. 137 ss. Art. 163-bis (Termini per comparire) Tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all'estero. Nelle cause che richiedono pronta spedizione il presidente può, su istanza dell'attore e con decreto motivato in calce all'atto originale e de copie della citazione, abbreviare fino alla metà i termini indicati dal primo comma. Se il termine assegnato dall'attore eccede il minimo indicato dal primo comma, il convenuto, costituendosi prima della scadenza del termin minimo, può chiedere al presidente del tribunale che, sempre osservata la misura di quest'ultimo termine, l'udienza per la comparizione de parti sia fissata con congruo anticipo su quella indicata dall'attore. Il presidente provvede con decreto, che deve essere comunicato dal cancelliere all'attore, almeno cinque giorni liberi prima dell'udienza fissata dal presidente. Art. 165 (Costituzione dell'attore) L'attore, entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, ovvero entro cinque giorni nel caso di abbreviazione di termini norma del secondo comma dell'articolo 163-bis, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti da legge, depositando in cancelleria la nota d'iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha s il tribunale. Se la citazione è notificata a più persone, l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notificazione. Art. 166 (Costituzione del convenuto) Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno venti giorni prima dell'udien di comparizione fissata nell'atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell'articolo 163-bis, ovvero almeno venti giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 168-bis, quinto comma, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i docume che offre in comunicazione. Art. 645 (Opposizione) L'opposizione si propone davanti all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, con atto di citazione notifica al ricorrente nei luoghi di cui all'art. 638. Contemporaneamente l'ufficiale giudiziario deve notificare avviso dell'opposizione al cancelliere affinche' ne prenda nota sull'originale del decreto. In seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione sono ridotti a meta'. Sintesi della questione Preliminarmente va rilevato che la questione decisa dalla Cassazione a SSUU incide su una causa promossa con i vecchi termini di comparizione e costituzione del convenuto che erano: 1) sessanta giorni per il termine di comparizione (ora 90); 2) venti giorni per il termine di costituzione. In casi di particolare urgenza, dice il codice, i termini di comparizione possono essere ridotti a trenta giorni; in questo caso anche il termine di costituzione si riduce a dieci giorni. Per la costituzione dell’attore i termini sono: 1) dieci giorni dalla notifica della citazione al convenuto; 2) cinque giorni in caso di abbreviazione di termini. Ai sensi dell’articolo 645, in caso di opposizione a DI i termini di comparizione sono ridotti alla metà; dunque sono trenta giorni. Il problema è che nell’opposizione a DI, l’articolo 645 dice che i termini di comparizione sono ridotti della metà, ma non specifica se si riducano automaticamente anche i termini per la costituzione dell’attore. In linea di massima la giurisprudenza applica comunque la riduzione dei termini prevista per la citazione ordinaria, ritenendo in altre parole che la dimidiazione dei termini di comparizione comporti automaticamente, in ogni caso, anche la dimidiazione dei termini di costituzione dell’attore-opponente. Nella fattispecie in esame Tizio proponeva opposizione a decreto ingiuntivo, e fissava i termini per comparire, in 53 giorni, cioè 7 in meno rispetto a quelli previsti per le citazioni ordinarie (o, se preferiamo, 23 giorni in più rispetto a quelli minimi previsti per la citazione in opposizione a DI). Si costituiva dopo 9 giorni (quindi dopo i 5 giorni previsti dall’articolo 165) e il ricorso veniva dichiarato improcedibile. La difesa di Tizio prova a sostenere la tesi secondo cui, in mancanza di espressa indicazione da parte della legge, i termini per costituirsi sono quelli ordinari (10 giorni e non 5). La Corte risponde dunque a questi quesiti: 1) In caso di opposizione a DI il termine per la costituzione dell’attore, nel silenzio della legge, è dimidiato automaticamente rispetto a quello ordinario? 2) Quale sanzione si applica in caso di costituzione oltre il termine? 3) L’opposizione deve essere considerata improcedibile, o si applica l’ultimo comma dell’articolo 165, con assegnazione di un nuovo termine a comparire? La sentenza La tesi del ricorrente Il ricorrente (tra le altre tesi, molte delle quali errate o incomprensibili, come quella secondo cui si tratterebbe di un mero errore di calcolo, desumibile dal fatto che egli si era costituito il nono giorno e aveva fissato un termine a comparire di 53 giorni) sostiene quanto segue: •in primo luogo la previsione della rinnovazione della citazione (art. 164 c.p.c.) nel caso di assegnazione di un termine inferiore a quello di legge dovrebbe trovare applicazione anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che costituisce un ordinario giudizio di cognizione, essendo insufficiente il riferimento alla specialità del rito per giustificare l’applicazione di una sanzione, quale quella della improcedibilità. •Al giudizio di opposizione, come previsto dall’art. 645 c.p.c., deve applicarsi la disciplina del procedimento ordinario e pertanto in caso di costituzione in giudizio, non omessa, ma semplicemente ritardata, non sarebbe giustificata la sanzione processuale dell’improcedibilità, prevista soltanto per il giudizio di appello dall’art. 348 c.p.c., come modificato dalla legge n. 353 del 1990. Viene anche denunciata l’incoerenza consistente nel ritenere inapplicabile, per la specialità del rito, l’art. 164 c.p.c. facendo allo stesso tempo applicazione del disposto dell’art. 165 e 163 bis c.p.c.. •Non sarebbe corretta l’estensione della riduzione del termine di costituzione previsto dall’art. 165, per il caso in cui il giudice abbia autorizzato la riduzione del termine minimo a comparire, all’ipotesi in cui la riduzione del termine di comparizione sia conseguenza di una mera scelta di parte. La posizione della corte Le ragioni addotte dal ricorrente, in parte recepite e sviluppate nell’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile, non sono idonee a giustificare un mutamento del costante orientamento della corte, anche se, come sarà in seguito precisato, è opportuno procedere a una puntualizzazione. A parte un unico risalente precedente contrario, rimasto assolutamente isolato (Cass. 10 gennaio 1955, n. 8), la giurisprudenza della corte è stata costante nell’affermare che quando l’opponente si sia avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, il termine per la sua costituzione è automaticamente ridotto a cinque giorni dalla notificazione dell’atto di citazione in opposizione, pari alla metà del termine di costituzione ordinario (principio affermato, nel vigore dell’art. 645, come modificato con l’art. 13 del d.p.r. n. 597 del 1950 a cominciare da Cass. 12 ottobre 1955, n. 3053 e poi costantemente seguito; da ultimo, v. Cass. n. 3355/1987, 2460/1995, 3316 e 12044/1998, 18942/2006). Più recentemente, nell’ambito di tale orientamento, si è ulteriormente precisato che l’abbreviazione del termine di costituzione per l’opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all’opposto di un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, essendo irrilevante che la fissazione di tale termine sia dipesa da una scelta consapevole ovvero da errore di calcolo (Cass. n. 3752/2001, 14017/2002, 17915/2004, 11436/2009). Contrariamente a quanto ritenuto da una parte della dottrina l’orientamento ora richiamato non è privo della necessaria base normativa. Se, infatti, è vero che nella formulazione originaria del codice del ‘42, l’art. 645, 2° comma prevedeva la riduzione a metà dei termini di “costituzione”, mentre nell’attuale formulazione della disposizione la riduzione a metà si riferisce solo ai termini di “comparizione”, dai lavori preparatori non emerge tuttavia che la modifica testuale sia stata introdotta per ridimensionare la funzione acceleratoria della riduzione a metà dei termini di costituzione prevista dalla disciplina previgente, ma solo che la norma era stata imposta come necessaria conseguenza dalla introduzione del sistema della citazione ad udienza fissa. Non esiste, peraltro, nessuna ragione oggettiva che giustifichi l’opposta opinione che reputa che il silenzio del legislatore in ordine alla disciplina dei termini di costituzione, a fronte della espressa previsione contenuta nella disciplina previgente, sia significativo della volontà di cambiare la regola, espressamente affermata dall’art. 165, 1° comma, c.p.c. che stabilisce un legame tra termini di comparizione e termini di costituzione, al fine di rendere coerente il sistema nei procedimenti che esigono pronta trattazione. Ne deriva che tale regola, non può certo ritenersi di natura eccezionale o derogatoria, ma espressione di un principio generale di razionalità e coerenza con la conseguenza che l’espresso richiamo nell’art. 645 di tale principio sarebbe stata del tutto superflua. Né appare decisivo il rilievo, indubbiamente corretto, della differenza esistente tra la fattispecie di cui all’art. 163 bis, 2° comma, c.p.c.; qui l’abbreviazione dei termini è conseguenza di una valutazione del giudice; nell’art. 645 c.p.c., l’abbreviazione è compiuta automaticamente dal legislatore una volta per tutte; nonostante le differenza, in entrambe le fattispecie è identica la funzione del dimezzamento dei termini di comparizione, consistente, da un lato, 1- nel soddisfare le esigenze di accelerazione della trattazione e dall’altro, 2- nell’opportunità di bilanciare la compressione dei termini a disposizione del convenuto con la riduzione dei termini di costituzione dell’attore. Essendo pacifica la sussistenza dell’esigenza di sollecita trattazione dell’opposizione, diretta a consentire la verifica della fondatezza del provvedimento sommario ottenuto dal creditore inaudita altera parte, deve osservarsi che sussiste anche l’esigenza di bilanciamento delle posizioni delle parti. Ora, se è vero che l’opposto ha avuto tutto il tempo di impostare la propria posizione processuale prima di chiedere il decreto ingiuntivo, resta anche vero che, di fronte alle allegazioni e alle prove, prodotte o richieste, dall’opponente, l’opposto ha necessità di valutarle per apprestare le sue difese e a tal fine sussiste l’esigenza di avere a disposizione i documenti sui quali si fonda l’opposizione nel più breve tempo possibile, per riequilibrare il sacrificio del termine a sua disposizione per valutare tali prove e articolare le difese prima della propria costituzione in giudizio. Ciò che è indubbio è che certamente la necessità di sollecita trattazione dei procedimenti di opposizione meglio sarebbe stata soddisfatta se oltre alla riduzione a metà dei termini di costituzione dell’opponente il legislatore avesse anche ridotto in misura congrua i termini di costituzione dell’opposto, che invece restano abbastanza ampi (trentacinque giorni dalla notifica dell’opposizione e cioè dieci giorni prima dell’udienza che deve essere fissata a non meno di quarantacinque giorni dalla notifica stessa, ai sensi dell’art. 166 c.p.c.), ma tale opportunità di assecondare “l’euritmia del sistema” (corte cost. n. 18/2008), non incide sulla fondatezza del rilievo che il dimezzamento dei termini di costituzione dell’opponente, comunque rappresenta una, sia pur parziale e, forse, insoddisfacente, misura di accelerazione del procedimento. Conclusioni della Corte Nella parte conclusiva il pensiero della Corte risulta espresso in modo a dir poco impreciso; ritengono le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell'opponente e dell'opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all'opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l'opposizione sia stata proposta, in quanto l'art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà. Nel caso, tuttavia, in cui l'opponente assegni un termine di comparizione pari o superiore a quello legale, resta salva la facoltà dell'opposto, costituitosi nel termine dimidiato, di chiedere l'anticipazione dell'udienza di comparizione ai sensi dell'art. 163 bis, comma 3. .•La diversa ampiezza dei termini di costituzione dell’opponente rispetto a quelli dell’opposto non appare irragionevole posto che la costituzione del primo è successiva alla elaborazione della linea difensiva che si è già tradotta nell’atto di opposizione rispetto al quale la costituzione in giudizio non richiede che il compimento di una semplice attività materiale, mentre nel termine per la sua costituzione l’opposto non è chiamato semplicemente a ribadire le ragioni della sua domanda di condanna, oggetto di elaborazione nella fase anteriore alla proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, ma ha la necessità di valutare le allegazioni e le prove prodotte dall’opponente per formulare la propria risposta. •È consolidato orientamento di questa Corte che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la tardiva costituzione dell’opponente va equiparata alla sua mancata costituzione e comporta l’improcedibilità dell’opposizione (Cass. n. 9684/1992, 2707/1990, 1375/1980; 652/1978, 3286/1971, 3030/1969, 3231/1963, 3417/1962, 2636/1962, 761/1960, 2862/1958, 2488/1957, 3128/1956). È innegabile infatti, da una parte, che la specialità della norma di cui all’art. 647 c.p.c. impedisce l’applicazione della ordinaria disciplina del processo di cognizione, e dall’altra, che la costituzione tardiva altro non è che una mancata costituzione nel termine indicato dalla legge. Al di là della forma, il principio è espresso in modo chiaro: Nei giudizio di opposizione a DI i termini di costituzione sono 5 giorni, altrimenti l’opposizione è improcedibile. Decreto ingiuntivo, opposizione, termini a comparire, inosservanza, improcedibilità Cassazione civile , SS.UU., sentenza 09.09.2010 n° 19246 Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà per il solo fatto che l'opposizione sia stata proposta, quindi non soltanto nel caso di effettiva assegnazione all'opposto di un termine a comparire inferiore a quello ordinario. Infatti, il dimezzamento dei termini di comparizione è un effetto legale della proposizione dell’opposizione e non dipende affatto dalla volontà dell’opponente di assegnare un termine inferiore a quello previsto dall’art. 163 bis c.p.c.. Pertanto, la tardiva costituzione dell’opponente va equiparata alla sua mancata costituzione e comporta l’improcedibilità dell’opposizione. (Fonte: Massimario.it - 33/2010. Cfr. nota di Adriana Capozzoli, nota di Paolo Maresca e nota su Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza) SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 9 settembre 2010, n. 19246 Svolgimento del processo Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 15 giugno 2000, ha dichiarato improcedibile l’opposizione proposta da **** avverso un decreto ingiuntivo emesso in favore di B. s.p.a., in quanto l’opponente, pur avendo assegnato all’opposto un termine a comparire inferiore ai 60 giorni, si è costituito oltre il termine di cinque giorni dalla notifica della citazione. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 1° luglio 2003, ha confermato la decisione di primo grado richiamando l’orientamento espresso da questa corte, tra l’altro, con sentenza n. 37521 del 2001, secondo il quale l’abbreviazione dei termini di costituzione per l’opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all’opposto di un termine di comparizione inferiore a sessanta giorni, risultando del tutto irrilevante che la concessione dello stesso sia dipesa da una scelta consapevole ovvero da errore di calcolo. Il **** ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, al quale ha resistito, con controricorso, la B. s.p.a.. Con ordinanza del 12 novembre 2008, la prima sezione ritenendo che il consolidato orientamento della corte presenti aspetti problematici ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione a queste sezioni unite. La prima sezione ha invero ritenuto che non risponde alla sistematica del codice di rito che la disciplina dei termini di un procedimento possa discendere dalla scelta di una delle parti del giudizio, al di fuori di ogni controllo da parte del giudice. Irrilevante sarebbe il richiamo all’art. 645, comma 2, c.p.c., nel quale manca un’espressa prescrizione relativa al dimezzamento dei termini di costituzione che, infatti, viene fatto discendere dall’applicazione degli articoli 165 e 166 c.p.c., i quali tuttavia prevedono la riduzione dei termini di costituzione quale conseguenza della riduzione dei termini di comparizione operata dal giudice a richiesta dell’attore nella ricorrenza dei presupposti indicati nell’art. 163 bis c.p.c.. Peraltro, se fosse vero l’assunto della esistenza di un principio di adeguamento dei termini di costituzione a quelli di comparizione la riduzione dei termini di costituzione dovrebbe operare sempre e comunque nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, perché la formulazione del dell’art. 645, c.p.c., comma 2, non consentirebbe alcuna discrezionalità. In realtà se la ratio della riduzione dei termini di comparizione è quella di accelerare la definizione del giudizio di opposizione, la riduzione alla meta dei termini di costituzione non è coerente con tale finalità, posto che il termine di costituzione del creditore opposto decorre non già dalla costituzione dell’opponente, ma dalla data dell’udienza di comparizione, che, tra l’altro, per effetto della modifica dell’art. 163 bis c.p.c., introdotto dall’art. 2 della legge n. 263 del 2005, è ampliato da sessanta a novanta giorni per l’Italia e da centoventi a centocinquanta giorni se il luogo della notificazione si trova all’estero. Pertanto, senza un’apprezzabile utilità per la sollecita definizione del giudizio di opposizione, si finisce per introdurre un onere particolarmente gravoso a carico dell’opponente, che solo formalmente verrebbe bilanciato da analogo onere imposto al creditore opposto, il quale non può in alcun modo essere equiparato al convenuto in un giudizio ordinario, avendo egli, anzi, la qualità di attore in senso sostanziale. In tale situazione, ove si ritenga operante la riduzione del termine di costituzione per effetto automatico dell’attribuzione al creditore opposto di un termine inferiore a quarantacinque giorni sarebbe evidente l’irragionevolezza giacché, a fronte di un termine di costituzione per l’opponente di soli cinque giorni, l’opposto dovrebbe costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell’udienza di comparizione, venendo così a godere di ben 35 giorni per provvedere alla propria difesa. La pressione che in tal modo grava sull’opponente, mentre non vale ad abbreviare i termini di durata del processo di opposizione risulterebbe ingiustificata tenendo conto che l’opponente è attore solo in senso formale, ma sostanzialmente è convenuto, e che la necessità di intraprendere la causa non è frutto di una meditata scelta in un lasso di tempo discrezionale, ma necessitata dalla notifica dell’ingiunzione, laddove l’opposto dispone di tempi ben più ampi per la costituzione, anche se, attore in senso sostanziale, ha fruito di ampia disponibilità temporale nella decisione di presentare ricorso per decreto ingiuntivo. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’omessa e/o insufficiente motivazione circa punti decisivi, in riferimento agli art. 645, 2° comma, 647 c.p.c., sostenendo che la corte d’appello si sarebbe acriticamente adagiata sull’orientamento della giurisprudenza di legittimità, senza considerare il rilievo, formulato nell’atto di gravame, secondo cui perché possa operare l’abbreviazione dei termini di comparizione assegnati al creditore opposto è necessaria una consapevole manifestazione di volontà dell’opponente di avvalersi della facoltà prevista dalla legge, formulata in modo esplicito o desunta da elementi concludenti. Nella specie non sarebbero state adeguatamente valutate le circostanze che il termine di comparizione assegnato era di soli sette giorni inferiore a quello minimo e che la costituzione era avvenuta il nono giorno, il che doveva far propendere per un mero errore materiale nel calcolo del termine di comparizione. A ritenere irrilevante l’errore si introdurrebbe una presunzione assoluta di esercizio della facoltà di abbreviazione dei termini da parte dell’opponente non prevista dalla legge, trasformando la facoltà in un obbligo. Inoltre, il ricorrente afferma che la previsione della rinnovazione della citazione (art. 164 c.p.c.) nel caso di assegnazione di un termine inferiore a quello di legge dovrebbe trovare applicazione anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che costituisce un ordinario giudizio di cognizione, essendo insufficiente il riferimento alla specialità del rito per giustificare l’applicazione di una sanzione, quale quella della improcedibilità. Con il secondo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 645, 2° comma, con riferimento all’art. 647 c.p.c., si sostiene che al giudizio di opposizione, come previsto dall’art. 645 c.p.c., deve applicarsi la disciplina del procedimento ordinario e pertanto in caso di costituzione in giudizio, non omessa, ma semplicemente ritardata, non sarebbe giustificata la sanzione processuale dell’improcedibilità, prevista soltanto per il giudizio di appello dall’art. 348 c.p.c., come modificato dalla legge n. 353 del 1990. Viene anche denunciata l’incoerenza consistente nel ritenere inapplicabile, per la specialità del rito, l’art. 164 c.p.c. facendo allo stesso tempo applicazione del disposto dell’art. 165 e 163 bis c.p.c.. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce errata o falsa applicazione dell’art. 645, comma 2, c.p.c., in quanto non sarebbe corretta l’estensione della riduzione del termine di costituzione previsto dall’art. 165, per il caso in cui il giudice abbia autorizzato la riduzione del termine minimo a comparire, all’ipotesi in cui la riduzione del termine di comparizione sia conseguenza di una mera scelta di parte. 2. Le ragioni addotte dal ricorrente, in parte recepite e sviluppate nell’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile, non sono idonee a giustificare un mutamento del costante orientamento della corte, anche se, come sarà in seguito precisato, è opportuno procedere a una puntualizzazione. A parte un unico risalente precedente contrario, rimasto assolutamente isolato (Cass. 10 gennaio 1955 n. 8), la giurisprudenza della corte è stata costante nell’affermare che quando l’opponente si sia avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, il termine per la sua costituzione è automaticamente ridotto a cinque giorni dalla notificazione dell’atto di citazione in opposizione, pari alla metà del termine di costituzione ordinario (principio affermato, nel vigore dell’art. 645, come modificato con l’art. 13 del d.p.r. n. 597 del 1950 a cominciare da Cass. 12 ottobre 1955, n. 3053 e poi costantemente seguito; da ultimo, v. Cass. n. 3355/1987, 2460/1995, 3316 e 12044/1998, 18942/2006). Più recentemente, nell’ambito di tale orientamento, si è ulteriormente precisato che l’abbreviazione del termine di costituzione per l’opponente consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all’opposto di un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, essendo irrilevante che la fissazione di tale termine sia dipesa da una scelta consapevole ovvero da errore di calcolo (Cass. n. 3752/2001, 14017/2002, 17915/2004, 11436/2009). Contrariamente a quanto ritenuto da una parte della dottrina l’orientamento ora richiamato non è privo della necessaria base normativa. Se, infatti, è vero che nella formulazione originaria del codice del ‘42, l’art. 645, 2° comma prevedeva la riduzione a metà dei termini di “costituzione”, mentre nell’attuale formulazione della disposizione la riduzione a metà si riferisce solo ai termini di “comparizione”, dai lavori preparatori non emerge tuttavia che la modifica testuale sia stata introdotta per ridimensionare la funzione acceleratoria della riduzione a metà dei termini di costituzione prevista dalla disciplina previgente, ma solo che la norma era stata imposta come necessaria conseguenza dalla introduzione del sistema della citazione ad udienza fissa. Non esiste, peraltro, nessuna ragione oggettiva che giustifichi l’opposta opinione che reputa che il silenzio del legislatore in ordine alla disciplina dei termini di costituzione, a fronte della espressa previsione contenuta nella disciplina previgente, sia significativo della volontà di cambiare la regola, espressamente affermata dall’art. 165, 1° comma, c.p.c. che stabilisce un legame tra termini di comparizione e termini di costituzione, al fine di rendere coerente il sistema nei procedimenti che esigono pronta trattazione. Ne deriva che tale regola, non può certo ritenersi di natura eccezionale o derogatoria, ma espressione di un principio generale di razionalità e coerenza con la conseguenza che l’espresso richiamo nell’art. 645 di tale principio sarebbe stata del tutto superflua. Né appare decisivo il rilievo, indubbiamente corretto, della differenza esistente tra la fattispecie di cui all’art. 163 bis, 2° comma, c.p.c., nella quale l’abbreviazione dei termini è conseguenza dell’accertamento da parte del giudice della sussistenza delle ragioni di pronta trattazione della causa prospettate dall’attore, e di quella di cui all’art. 645 c.p.c., nella quale tale apprezzamento è compiuto (non dalla parte, come sostiene l’ordinanza di rimessione, ma direttamente) dal legislatore una volta per tutte, essendo in entrambe le fattispecie identica la funzione del dimezzamento dei termini di comparizione, consistente, da un lato, nel soddisfare le esigenze di accelerazione della trattazione e dall’altro, nell’opportunità di bilanciare la compressione dei termini a disposizione del convenuto con la riduzione dei termini di costituzione dell’attore. Essendo pacifica la sussistenza dell’esigenza di sollecita trattazione dell’opposizione, diretta a consentire la verifica della fondatezza del provvedimento sommario ottenuto dal creditore inaudita altera parte, deve osservarsi che sussiste anche l’esigenza di bilanciamento delle posizioni delle parti, pur tenendo conto della peculiarità del giudizio di opposizione che, come è noto, ha natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice della opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto d’ingiunzione. È anche pacifico che, a differenza dalle qualità formali, le posizioni dell’opponente e dell’opposto sono quelle, rispettivamente, di convenuto e di attore in senso sostanziale. Ora, se è vero che l’opposto ha avuto tutto il tempo di impostare la propria posizione processuale prima di chiedere il decreto ingiuntivo, resta anche vero che, di fronte alle allegazioni e alle prove, prodotte o richieste, dall’opponente, l’opposto ha necessità di valutarle per apprestare le sue difese e a tal fine sussiste l’esigenza di avere a disposizione i documenti sui quali si fonda l’opposizione nel più breve tempo possibile, per riequilibrare il sacrificio del termine a sua disposizione per valutare tali prove e articolare le difese prima della propria costituzione in giudizio. Ciò che è indubbio è che certamente la necessità di sollecita trattazione dei procedimenti di opposizione meglio sarebbe stata soddisfatta se oltre alla riduzione a metà dei termini di costituzione dell’opponente il legislatore avesse anche ridotto in misura congrua i termini di costituzione dell’opposto, che invece restano abbastanza ampi (trentacinque giorni dalla notifica dell’opposizione e cioè dieci giorni prima dell’udienza che deve essere fissata a non meno di quarantacinque giorni dalla notifica stessa, ai sensi dell’art. 166 c.p.c.), ma tale opportunità di assecondare “l’euritmia del sistema” (corte cost. n. 18/2008), non incide sulla fondatezza del rilievo che il dimezzamento dei termini di costituzione dell’opponente, comunque rappresenta una, sia pur parziale e, forse, insoddisfacente, misura di accelerazione del procedimento. 3. Una parte della dottrina, ripresa anche dall’ordinanza della prima sezione civile, ha osservato che la lettera dell’art. 645 c.p.c. induce a ritenere che il dimezzamento dei termini di comparizione sia un effetto legale della proposizione dell’opposizione e non dipenda invece dalla volontà dell’opponente che intenda assegnare un termine inferiore a quello previsto dall’art. 163 bis c.p.c.. In effetti esigenze di certezza e quindi di garanzia delle parti, di fronte alla previsione di termini previsti a pena di procedibilità dell’opposizione, ha già portato a introdurre nell’orientamento tradizionale, basato sulla facoltatività della concessione da parte dell’opponente di un termine a comparire inferiore a quello legale, il temperamento costituito dall’affermazione dell’irrilevanza della volontà dell’opponente che potrebbe avere assegnato un termine inferiore anche solo per errore. Ritengono le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà. Nel caso, tuttavia, in cui l’opponente assegni un termine di comparizione pari o superiore a quello legale, resta salva la facoltà dell’opposto, costituitosi nel termine dimidiato, di chiedere l’anticipazione dell’udienza di comparizione ai sensi dell’art. 163 bis, terzo comma. D’altra parte, se effettivamente il dimezzamento dei termini di costituzione dipendesse dalla volontà dell’opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, non si capirebbe la ragione per la quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sono cumulatali il dimezzamento che deriva dalla astratta previsione legale di cui all’art. 645 c.p.c. con quello che può discendere da un apposito provvedimento di dimezzamento di tali termini richiesto ai sensi dell’art. 163 bis, 3 comma. (Cass. n. 4719/1995, 18203/2008). Né potrebbe indurre a diverse conclusioni l’osservazione che, se si ritiene irrilevante la volontà dell’opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, potrebbe sorgere il dubbio che il sacrificio del suo termine di costituzione possa essere ingiustificato, alla luce dell’art. 24 cost., come potrebbe desumersi da corte cost. n. 38/2008. Infatti, l’effetto legale del dimezzamento dei termini di costituzione dell’opponente, dipendente sia solo fatto della proposizione dell’opposizione, è pur sempre un effetto che discende dalla scelta del debitore che non può non conoscere quali sono le conseguenze processuali che la legge ricollega alla sua iniziativa. Infine, la diversa ampiezza dei termini di costituzione dell’opponente rispetto a quelli dell’opposto non appare irragionevole posto che la costituzione del primo è successiva alla elaborazione della linea difensiva che si è già tradotta nell’atto di opposizione rispetto al quale la costituzione in giudizio non richiede che il compimento di una semplice attività materiale, mentre nel termine per la sua costituzione l’opposto non è chiamato semplicemente a ribadire le ragioni della sua domanda di condanna, oggetto di elaborazione nella fase anteriore alla proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, ma ha la necessità di valutare le allegazioni e le prove prodotte dall’opponente per formulare la propria risposta. 4. È consolidato orientamento di questa Corte che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la tardiva costituzione dell’opponente va equiparata alla sua mancata costituzione e comporta l’improcedibilità dell’opposizione (Cass. n. 9684/1992, 2707/1990, 1375/1980; 652/1978, 3286/1971, 3030/1969, 3231/1963, 3417/1962, 2636/1962, 761/1960, 2862/1958, 2488/1957, 3128/1956). È innegabile infatti, da una parte, che la specialità della norma di cui all’art. 647 c.p.c. impedisce l’applicazione della ordinaria disciplina del processo di cognizione, e dall’altra, che la costituzione tardiva altro non è che una mancata costituzione nel termine indicato dalla legge. Il ricorrente non ha prospettato ragioni decisive che possano indurre la Corte a discostarsi da tale orientamento. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi, in relazione al dibattito esistente sulle questioni oggetto del presente giudizio, per compensare le spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. 2 Opposizione, decreto ingiuntivo, termini, decisione delle Sezioni Unite, overruling Tribunale Marsala, ordinanza 20.10.2010 Il principio di irretroattività del diritto vivente (c.d. overruling), tipico degli ordinamenti di Common Law, postula il carattere costitutivo e vincolante delle pronunzia delle Corti Superiori (c.d. principio dello “stare decisis verticale”), invero non operante nel nostro ordinamento, ove ogni giudice è libero di interpretare secondo la propria discrezionalità la disposizione di legge, anche discostandosi (pur motivatamente) dalle posizioni della Suprema Corte. Pertanto la violazione dei termini di costituzione da parte dell’opponente (per come detto dalle Sezioni Unite, sentenza 09.09.2010 n° 19246) non potrà mai stimarsi valida sulla scorta del principio tempus regit actum, il quale assume quale unico parametro di riferimento il diritto positivo codificato e non anche quello vivente. Lo strumento necessario per far salve le ragioni di giustizia sostanziale che sottendono ai riferiti principi di marca costituzionale ed internazionale devono essere ricercati altrove: possono essere identificati nell’istituto ex art.153 c.p.c. , il quale consente di rimettere in termini la parte che abbia incolpevolmente violato un termine perentorio. (1-3) (1) Si veda Cassazione civile , SS.UU., sentenza 09.09.2010 n° 19246. (2) Sull’applicazione della tesi dell’irretroattività della pronuncia delle Sezioni Unite in caso di c.d. overruling, si veda Tribunale Varese, sez. I civile, ordinanza 08.10.2010. (3) Nel senso della rimessione in termini in caso di c.d. Overruling, si veda Tribunale Torino, sez. I civile, sentenza 11.10.2010. NDR: alla luce del principio costituzionale del giusto processo, va escluso che abbia rilevanza preclusiva l'errore della parte la quale abbia fatto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata, al tempo della proposizione dell'impugnazione, giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la sua iniziativa possa essere dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto, non richiesto al momento del deposito dell'atto di impugnazione, discenda dall'overruling; il mezzo tecnico per ovviare all'errore oggettivamente scusabile è dato dal rimedio della rimessione in termini (così recita Cassazione civile, Sez. II, Ord., 13 luglio 2010, n. 16471). (Fonte: Massimario.it - 35/2010) Tribunale di Marsala Ordinanza 20 ottobre 2010 Il Giudice istruttore Rilevato che la convenuta opposta ha eccepito preliminarmente l’improcedibilità della opposizione in conseguenza della tardiva costituzione dell’opponente, e cioè oltre il termine dimidiato di cinque giorni di cui al combinato disposto degli artt. 165 e 645, II co., c.p.c., applicabile, alla luce del principio interpretativo stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 19246 del 2010, depositata il 9.9.2010, a tutti i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, indipendentemente dalla effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, in quanto “ …. non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposzione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà.” (così Cass. 19246/2010 citata). Considerato che, come già rilevato da altro giudice di merito (Tribunale di Torino,Ordinanza 11 ottobre 2010 e Tribunale di Varese Sentenza, 8 ottobre 2010), “ tale interpretazione ha mutato il precedente indirizzo interpretativo della stessa Corte di Cassazione, secondo cui il termine di costituzione dell’opponente era ridotto alla metà solo quando costui si fosse avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario (come spiegato nella stessa sentenza 19246/2010 citata, nella quale è riportato tale costante orientamento, da Cass. 12.10.1955 n. 3053 fino a Cass. 3355/1987, id. 2460/1995, 3316 e 12044/1998, 18942/2006)”. Rilevato che l’opponente non ha assegnato alla opposta un termine a comparire inferiore a quello minimo, avendo notificato l’atto di citazione il 28.4.2010 ed indicato la prima udienza al 18.10.2010, con la conseguenza che la sua costituzione, secondo detto precedente e consolidato orientamento interpretativo, risultava tempestiva. Ritenuto che si debba aderire alla ricostruzione evidenziata della giurisprudenza di merito sinora pronunziatasi (ancora Tribunale di Torino,Ordinanza 11 ottobre 2010 e Tribunale di Varese Sentenza, 8 ottobre 2010),secondo la quale, alla luce del principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.) ed dei principi inferibili dalla CEDU (ed in particolare dall’art.6), non sembra che l’errore della parte che abbia fatto affidamento su una consolidata (al tempo della proposizione della opposizione e della costituzione in giudizio) giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, possa avere rilevanza preclusiva, dovendosi mantenere inalterate, a giudizio in corso, le c.d. regole del gioco; Osservato che tuttavia, come correttamente considerato da parte di tale giurisprudenza (in particolare Tribunale di Varese Sentenza, 8 ottobre 2010) l’applicazione di tali coordinate costituzionali ed internazionali pongono il problema dell’identificazione all’interno del nostro ordinamento giuridico di uno strumento tipico, atto a soddisfare tali esigenze di giustizia sostanziale; Ritenuto che tuttavia tale strumento non possa essere identificato nell’applicazione combinata dei principi dell’irretroattività del diritto vivente (c.d. overruling) e del c.d. “tempus regit actum”; Ritenuto che infatti il principio di irretroattività del diritto vivente (c.d. overruling), tipico degli ordinamenti di Common Law, postula il carattere costitutivo e vincolante delle pronunzia delle Corti Superiori (c.d. principio dello “stare decisis verticale”), invero non operante nel nostro ordinamento, ove ogni giudice è libero di interpretare secondo la propria discrezionalità la disposizione di legge, anche discostandosi (pur motivatamente) dalle posizioni della Suprema Corte; ritenuto che pertanto la violazione dei termini di costituzione da parte dell’opponente non potrà mai stimarsi valida sulla scorta del principio tempus regit actum, il quale assume quale unico parametro di riferimento il diritto positivo codificato e non anche quello vivente; ritenuto che dunque lo strumento necessario per far salve le ragioni di giustizia sostanziale che sottendono ai riferiti principi di marca costituzionale ed internazionale debbano essere ricercati altrove; ritenuto che essi possano bene essere identificati nell’istituto ex art.153 c.p.c. , il quale consente di rimettere in termini la parte che abbia incolpevolmente violato un termine perentorio; ritenuto che invero tale incolpevole errore possa bene essere identificato in un improvviso e radicale mutamento da parte della Corte di Cassazione del proprio, consolidato, pregresso orientamento in ordine alle modalità computative di tali termini decadenziali; ritenuto che all’applicazione al caso di specie di tale istituto non osti il timore che il medesimo determini una regressione del processo, già istruito, alla sua fase iniziale, identificata nella costituzione in giudizio delle parti; ritenuto che invero, come rileva ottima dottrina, la rimessione in termini non comporta necessariamente che il processo regredisca in toto allo situazione in cui si è verificata la decadenza, ma solo una riapertura parziale, con riguardo ai poteri nei quali la parte sia stata restituita in termini e a quelli di controparte che sono la conseguenza dell’esercizio dei primi, della vicenda di contrapposizione degli interessi in causa; ritenuto che dunque non ogni rimessione in termini importi una riattivazione della dialogica processuale, ma solo quella che essa postuli a cagione della necessità di far salvo il c.d. principio di parità delle armi processuali; ritenuto che diretto corollario di tale assioma sia che, in presenza di una rimessione avente ad oggetto attività processuali non importanti innovazioni allegatorie o probatorie all’interno del processo (quali sono invece le memorie ex art.183, sesto comma, c.p.c. o le istanze di disconoscimento di scritture private,etc), alcuna rieditazione dei poteri dialogici delle parti possa configurarsi e, dunque, alcuna regressione processuale possa ipotizzarsi; ritenuto che nel caso di specie oggetto della rimessione in termini richiesta sia un’attività processuale (costituzione) che non innova in alcun modo il plesso allegatorio o probatorio preesistente alla sua realizzazione (essendosi lo stesso cristallizzato nell’atto di citazione notificato, nella comparsa di risposta depositata e nelle successive memorie processuali); ritenuto che dunque alcuna regressione processuale possa configurasi; letta l’istanza di rimessione in termini per la costituzione di parte attrice; ritenuti sussistenti, per i suddetti motivi, la ragioni che valgono a qualificare come giustificato il mancato rispetto del termine a costituirsi entro cinque giorni dall’ultima notifica; ritenuta dunque come legittima tale richiesta; rilevato infine che la stessa riguarda un’attività processuale (costituzione) già posta in essere e che pertanto, nel caso di specie,la rimessione intermini possa esaurirsi in una riqualificazione di tale atto come tempestivo; ritento quanto all’istanza di concessione della provvisoria esecuzione che essa non possa essere concessa difettando la prova del ragionevole fumus del credito (cfr. in tal senso: Corte Cost. 4.5.1984 n. 137 in Foro it. 1984, I, 1775; Corte Cost., con ord. 25.5.1989 n. 295 in Foro it. 1989, I, 2391). P.Q.M. Rimette l’opponente in termini e per l’effetto dichiara tempestiva la costituzione da questi già effettuata; Rigetta l’istanza dell’opposta di declaratoria di improcedibilità dell’opposizione; Rigetta l’istanza dell’opposta di concessione della provvisoria esecutività, non ravvisandone i presupposti; Assegna a tutte le parti, che ne hanno fatto istanza: a) termine perentorio di 30 giorni dal 30.10.2010 per il deposito di memorie contenenti precisazioni e modifiche delle domande, eccezioni, conclusioni rispettivamente proposte; b) ulteriore e successivo termine perentorio di 30 giorni per il deposito di memorie di replica alle domande, eccezioni e conclusioni come sopra modificate e precisate, per proporre eccezioni consequenziali a dette domande ed eccezioni, nonché per il deposito di documenti e per la richiesta di mezzi di prova; c) ulteriore e successivo termine perentorio di 20 giorni per articolare prova contraria. Si comunichi. Marsala 20.10.2010. Il Giudice Dott. Francesco Lupia 3 Decreto ingiuntivo, opposizione, termini, dimezzamento, overruling, effetto retroattivo Tribunale Sant'Angelo dei Lombardi, sentenza 20.10.2010 n° 625 L’overruling realizzato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19246/2010, giustifica l’errore cui incorsa la parte che abbia seguito l’indirizzo giurisprudenziale previgente. La parte incorsa in errore, però, piuttosto che essere rimessa in termini, con regressione del giudizio e conseguente grave danno alla giurisdizione deve essere considerata come aver agito correttamente, sulla scorta di un mero accertamento del giudice di merito, che verifica l’overruling e l’affidamento incolpevole del litigante. (1-2) (1) Nello stesso senso (contrario alla rimessione in termini) Trib. Varese, sez. I civile, sentenza 8 ottobre 2010 e Trib. Milano, ordinanza 13 ottobre 2010. (2) In senso contrario (favorevole alla rimessione in termini), si veda Trib. Torino, ord. 11 ottobre 2010 e Trib. Pavia, 15 ottobre 2010. (Fonte: Massimario.it - 35/2010. Si ringrazia per la segnalazione il dott. Giuseppe Buffone) Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi Sentenza 20 ottobre 2010, n. 625 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in persona del dott. Luigi Levita, ha pronunciato, mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ex art. 132 c.p.c., la seguente FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, il Comune di XXX proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 174/2005 emesso dal Presidente del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi in data 25.10.2005, con il quale si ingiungeva il pagamento in favore di YYY Sas della somma di euro 13.783,00 oltre interessi e spese della procedura; deduceva a tal fine l’incompetenza per territorio e, nel merito, di aver concordato telefonicamente con la società opposta una decurtazione del 20 per 100 rispetto al totale delle prestazioni pattuite, trattandosi di debiti fuori bilancio (segnatamente, di noleggio di autocompattatori adibiti al contenimento di rifiuti). Chiedeva pertanto l’accoglimento dell’opposizione, il tutto con vittoria delle spese di lite. Si costituiva in giudizio la YYY Sas, contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto dell’opposizione, il tutto con condanna alle spese di giudizio. Espletata l’attività istruttoria, questo Giudice rinviava quindi all’udienza del 5 maggio 2010 per la precisazione delle conclusioni, nel corso della quale la causa veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. L’opposizione proposta è infondata e va rigettata, per le ragioni che di seguito si espongono. In via assolutamente preliminare ed officiosa, va affrontata la questione afferente l’ammissibilità e la procedibilità del giudizio, a seguito dello scrutinio della tempestività della noti-fica dell’opposizione al decreto ingiuntivo e della costituzione dell’opponente (verificatasi, per quanto desumibile dagli atti, oltre i cinque giorni dalla notifica della citazione: 10.1.2006 – 18.1.2006). Tale scrutinio si appalesa necessario alla luce del recente e noto dictum delle Sezioni Unite (n. 19246/2010), a mente del quale “esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automatica-mente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire infe-riore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà”. Orbene, ritiene questo Giudice che i primi orientamenti di merito (cfr. Trib. Velletri, 18 ot-tobre 2010; Trib. Padova, 14 ottobre 2010; Trib. Torino, 11 ottobre 2010), nel valorizzare ciascuno in diversa misura ed intensità l’istituto della rimessione in termini ex art. 184-bis c.p.c., giungano nondimeno ad una dilatazione del medesimo oltre l’area della significanza sua propria, finendo per assegnare alla rimessione la natura di una vera e propria “sanatoria”; il che non appare ineccepibile in punto di corretta esegesi di questo istituto, pur sempre racchiuso nell’ambito delle norme concernenti l’istruzione della causa e non estensibile oltre i confini suoi propri, nemmeno mediante il ri-chiamo ai canoni sovranazionali e costituzionali del “giusto processo”. Tali richiami, nondimeno, si dimostrano congruenti e di particolare decisività qualora con-ducano a ritenere che la parte – piuttosto che essere rimessa in termini, con regressione del giudizio e conseguente grave danno alla giurisdizione – debba essere considerata come aver agito corretta-mente, sulla scorta di un mero accertamento del giudice di merito, che verifica l’overruling e l’affidamento incolpevole del litigante (in termini, Trib. Varese, 8 ottobre 2010). Alla luce di siffatte considerazioni e stante l’evidente condizione di affidamento incolpevole dell’opponente, ingenerato da un pronunciamento delle Sezioni Unite – peraltro non sorto dalla ne-cessità di comporre un contrasto giurisprudenziale – del tutto opposto rispetto al consolidato orien-tamento tradizionale, può quindi procedersi allo scrutinio dei motivi di merito adombrati nell’opposizione. Secondo la giurisprudenza, la conferma o meno del decreto ingiuntivo è collegata nel giudi-zio di opposizione non tanto ad un giudizio di legalità e di controllo riferito esclusivamente al mo-mento della sua emanazione, quanto piuttosto ad un giudizio di piena cognizione in ordine all’esistenza e alla validità del credito posto a base della domanda di ingiunzione (così Cass. Civ., Sez. I, 17 giugno 1999, n. 5984). Nella vicenda in esame, va in primo luogo data per pacifica l’esistenza del contratto di forni-tura fra le parti, sia in ragione delle deduzioni delle parti, sia in ragione di mancate specifiche conte-stazioni sul punto (rectius, di vere e proprie ammissioni); ciò acquista peraltro uno specifico rilievo ai sensi del novellato art. 115 c.p.c.; cfr. sul punto Trib. Piacenza, 2 febbraio 2010, secondo cui “il principio di non contestazione ora introdotto legislativamente, aveva in realtà già da diversi anni trovato cittadinanza nell’ordinamento, in virtù di un’interpretazione sistematica ormai consolidata da parte della Suprema Corte. Pertanto, l’intervento legislativo del 2009, in parte qua, non può es-sere ricostruito come una vera e propria modifica normativa, ma piuttosto come una mera ricogni-zione di un precetto già sancito in via interpretativa sulla base del dato normativo pregresso”. Tale conclusione si impone altresì sulla base delle deduzioni dell’opponente, in ragione del costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la parte convenuta in giudizio per il pagamento di una somma di denaro (nel caso di specie l’opponente, che è convenuto in senso sostanziale) che si limiti a contestare la condotta inadempiente di controparte, sia pur implicitamente, ammette l’esistenza del rapporto su cui si fonda la pretesa creditoria di parte opposta, che è conseguentemen-te sollevata dall’onere della relativa prova, incombendo sul convenuto il compito di dimostrare il proprio assunto difensivo, in base al principio per cui chi eccepisce l’estinzione del diritto fatto va-lere nei suoi confronti deve provare il fatto su cui l’eccezione si fonda (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 26 gennaio 2005, n. 1554); nel caso in esame, deducendo l’esistenza di una decurtazione del corrispet-tivo pattuito, di fatto l’opponente finisce per confermare la sussistenza del rapporto contrattuale nei termini esposti dalla società opposta. In via preliminare, va disattesa l’eccezione d’incompetenza per territorio avanzata dall’opponente giacché, secondo il disposto dell’artt. 20 c.p.c., “è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio”, il che radica la competenza del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi in quanto tale obbligazione va adempiuta al domicilio del creditore in Lacedonia, ex art. 1182 c.c. (cfr. Cass. Civ., sez. III, 30-10-2007, n. 22941; Cass. Civ., sez. III, 14-10-2005, n. 19958; Cass. Civ., sez. III, 15-07-2005, n. 15012; Cass. Civ., sez. III, 30-04-2005, n. 9013; Cass. Civ., sez. III, 13-04-2005, n. 7674), trattandosi peraltro di somma de-terminata nel suo ammontare (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 24 ottobre 2007, n. 22326) ed alla luce del principio secondo cui, “in tema di competenza territoriale, per «obbligazione dedotta in giudizio», ai sensi dell’art. 20 c.p.c., deve intendersi, in caso di inadempimento, l’obbligazione originaria ri-masta inadempiuta o inesattamente adempiuta” (Cass. Civ., Sez. III, 15 luglio 2005, n. 15012). Peraltro, sulla scorta dei fax prodotti in giudizio dalla società opposta, che provano il ruolo di soggetto proponente dalla stessa effettivamente rivestito e smentiscono l’assunto di controparte – peraltro indimostrato – quale soggetto proponente, deve ritenersi che il contratto de quo sia stato concluso presso la sede amministrativa di Lacedonia, dal momento che (Cass. Civ., Sez. II, 14 lu-glio 2009, n. 16417) “nei contratti conclusi per telefono, luogo della conclusione è quello in cui l’accettazione giunge a conoscenza del proponente ed in cui questi, attraverso il filo telefonico, ha immediata e diretta conoscenza dell’accettazione; ne consegue che nel predetto luogo si radica il primo dei fori alternativi previsti dall’art. 20 c.p.c.”. Nel merito l’opponente, con un unico motivo di opposizione, ha dedotto che per le presta-zioni oggetto delle fatture azionate in via monitoria era stata pattuita telefonicamente una decurta-zione del 20 per 100 sul totale. Tale deduzione – prescindendo da ogni considerazione in merito alle conseguenze poten-zialmente scaturenti in punto di diritto – è rimasta nondimeno sfornita di qualsivoglia sostegno pro-batorio, avendo parte opponente, all’udienza del 17.2.2010, rinunciato all’escussione del teste am-messo e chiesto la precisazione delle conclusioni, con rinuncia accettata da controparte ed accon-sentita dal Giudice (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 6 settembre 2007, n. 18688: “In tema di istruzione pro-batoria nel rito ordinario, spetta alla parte attivarsi per l’espletamento del richiesto mezzo istrutto-rio che il giudice abbia ammesso; sicché, ove la parte rimanga inattiva, chiedendo la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni senza più instare per l’espletamento del mezzo di prova, è presumibile che abbia rinunciato alla prova stessa”; Cass. Civ., Sez. II, 19 agosto 2002, n. 12241: “Qualora la parte che abbia indicato un teste richieda la fissazione dell’udienza di precisa-zione delle conclusioni, la stessa manifesta con tale inequivoco comportamento la sua volontà di rinunciare all’audizione del teste stesso e se la controparte aderisce alla richiesta di remissione della causa al collegio in sostanza accede alla rinuncia al teste; tale rinuncia acquista poi efficacia per effetto del consenso del giudice implicitamente espresso con il provvedimento di chiusura dell’istruttoria e di remissione della causa in decisione”). Né l’invocato regime dei debiti fuori bi-lancio, involgendo problematiche interne all’Ente comunale, può spiegare alcuna efficacia nell’ambito del rapporto contrattuale con la società opposta, laddove invece – e non pare ultroneo evidenziarlo – altra fattura estranea al presente giudizio (ma afferente al medesimo rapporto) era stata regolarmente saldata dal Comune opponente, senza invocare alcuna decurtazione. La società opposta pertanto, a mezzo delle succitate produzioni documentali, ha fornito la piena prova dell’adempimento dell’obbligazione di cui al non contestato contratto di noleggio di au-tocompattatori adibiti al contenimento di rifiuti, laddove l’opponente non ha documentato le proprie affermazioni difensive, limitandosi a contestazioni vaghe e generiche, oltre che sfornite di qualsiasi supporto argomentativo. Orbene, poiché è comune insegnamento giurisprudenziale che l’opposizione a decreto in-giuntivo dà luogo ad un ordinario e autonomo giudizio di cognizione, esteso all’esame non solo del-le condizioni di ammissibilità e validità del procedimento monitorio ma anche della fondatezza del-la domanda del creditore in base a tutti gli elementi offerti dal medesimo e contrastati dall’ingiunto (cfr. Cass. Civ., sez. III, 10 marzo 2009, n. 5754; Cass. Civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1184), nel caso in esame la società opposta ha fornito la piena prova del rapporto contrattuale sottostante, dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in sede monitoria, oltre che della corretta esecuzione della propria prestazione e dell’ammontare del credito. Alla luce delle suesposte considerazioni, l’opposizione va quindi disattesa. Il decreto ingiuntivo acquista efficacia esecutiva ex art. 653 c.p.c. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 1 febbraio 2007, n. 2217: “Il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione non costituisce un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma dà luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto introduttivo, in cui è contenuta la proposizione della domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione; perciò, il giudice che con la sentenza chiude il giudizio da-vanti a sé, deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite”). Va conclusivamente evidenziato in proposito che il rimborso c.d. forfetario delle spese gene-rali costituisce una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge, che spetta automaticamente al professionista difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, dovendosi, quest’ultima, ritenere implicita nella domanda di condanna al paga-mento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 22 febbraio 2010, n. 4209). P.Q.M. Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in composizione monocratica, in persona del Giudice unico dott. Luigi Levita, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede: • rigetta l’opposizione e conferma il decreto ingiuntivo n. 174/2005 emesso dal Presidente del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi in data 25.10.2005, che acquista efficacia esecuti-va; • condanna l’opponente al pagamento delle spese processuali in favore dell’opposta, che li-quida in euro 2.000,00 per onorari ed euro 1.300,00 per diritti, oltre rimborso forfetario per spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Sant’Angelo dei Lombardi, in data 20 ottobre 2010. Il Giudice dott. Luigi Levita Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2010. 4 Decreto ingiuntivo, opposizione, iscrizione, rimessione in termini, sussistenza Tribunale Macerata, sez. Civitanova Marche, sentenza 22.10.2010 Per i procedimenti in corso al momento dell’intervento delle Sezioni Unite 19246/2010, la parte opponente che abbia iscritto a ruolo la causa dopo il quinto giorno ma entro il decimo, va rimessa in termini ex art. 153 c.p.c. (ieri: 184-bis c.p.c.). Il ridetto istituto costituisce una delle declinazioni del principio fondamentale del giusto processo e del diritto di difesa, come espressi dagli artt. 24 e 111 cost., dall’art. 6 CEDU (ormai comunitarizzata) e dalla costante giurisprudenza della CGE. (Fonte: Massimario.it - 37/2010) Tribunale di Macerata Sezione distaccata di Civitanova Marche Sentenza 22 ottobre 2010 L’opponente allega l’inesistenza del debito, in quanto tutte le forniture oggetto delle numerose fatture azionate in monitorio sarebbero state già integralmente pagate attraverso il rilascio di assegni. Precisa in particolare l’ingiunta che il pagamento aveva generalmente luogo in contrassegno, ovvero i titoli con scadenza a 90 gg venivano consegnati al momento del ricevimento della merce direttamente nelle mani del corriere. Alcune volte capitava invece, soprattutto quando le fatture erano riferite a forniture di importi ridotti, che il contrassegno venisse annullato ed il pagamento accorpato a quello di altre fatture relative a forniture più consistenti. Si costituiva l’opposta preliminarmente eccependo la nullità dell’atto di citazione in quanto la trasmissione dell’atto tramite mezzi di comunicazione non era avvenuta in conformità alla l. 183/93, siccome l’avvocato ricevente non è munito di procura alle liti ma è mero domiciliatario. Nel merito deduce che alcuni assegni (specificamente indicati) citati dall’opponente non sono mai stati incassati e che gli altri pagamenti si riferiscono a diversi crediti, come emerge dalla evidente discrepanza tra le date e gli importi in essi riportati e quelli recati dalle fatture oggetto della presente causa. Con le note difensive finali l’opposta deduce altresì l’improcedibilità dell’opposizione per tardività nella costituzione dell’opponente, secondo il dictum della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 19246/2010. L’opposizione è parzialmente fondata, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. L’atto di citazione non è nullo, come deduce l’opposta, atteso che con riferimento alla disciplina relativa all'utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione tra avvocati per la trasmissione di atti processuali, il conferimento della procura all’avvocato ricevente è prescritta dall'art. 1 l. 7 giugno 1993 n. 183, non ai fini dell'esistenza o della validità dell'atto, ma della possibilità di considerare la copia ricevuta come conforme all'originale inviato con mezzo telematico, con la conseguenza che la mancanza di tale requisito ha rilievo solo nel caso in cui detta conformità venga posta in discussione, ciò che non è dato riscontrare nel caso di specie. (cfr. Cassazione civile, sez. II, 11 marzo 2009, n. 5883; Cass. Civ. 17304/2006). Si osserva inoltre che per effetto dell'art. 1, comma 1, l. 7 giugno 1993 n. - che disciplina l'utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione tra avvocati della stessa parte per la trasmissione degli atti relativi a provvedimenti giurisdizionali - nella presunzione, "iuris et de iure", stabilita dall'art. 2719 c.c., prima parte, di conformità all'originale della fotocopia di un atto, se attestata da pubblico ufficiale, rientrano gli atti del processo trasmessi a distanza da un avvocato all'altro, se: a) l'avvocato trasmittente attesti la conformità della copia all'originale; b) sia l'avvocato trasmittente sia quello ricevente siano, congiuntamente o disgiuntamente, difensori della parte; c) l'avvocato trasmittente abbia sottoscritto in modo leggibile l'atto trasmesso e, se con lo stesso è conferita la procura alle liti, anche la sottoscrizione della parte sia leggibile. In mancanza di tali requisiti la fotocopia dell'atto del processo può tuttavia presumersi conforme all'originale per effetto dell'ultima parte dell'art. 2719 c.c. se nel termine indicato dall'art. 215 n. 2 c.p.c. non è stata disconosciuta. (Cassazione civile, sez. II, 17 maggio 2004, n. 9323; Cassazione civile, sez. II, 15 marzo 2010, n. 6237). Come emerge evidente dalla lettura della comparsa di costituzione, tale tempestivo disconoscimento non è avvenuto, avendo (infondatamente) sollevato la convenuta la (diversa) eccezione di nullità dell’atto, asseritamente inidoneo a costituire un valido rapporto processuale. Neppure l’eccezione di improcedibilità può essere accolta. Si premette che essa non è soggetta a termini di decadenza potendo essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Va altresì precisato che è da rigettare la tesi secondo cui il dictum della sentenza citata sarebbe applicabile solo per il futuro, alla stregua delle norme di legge, atteso che è principio cardine del nostro ordinamento quello secondo cui l’attività giurisdizionale ha natura meramente interpretativa, con la conseguente ed ineliminabile efficacia retroattiva propria di ogni operazione ermeneutica. Operate tali fondamentali premesse, va tuttavia rilevato che l’interpretazione sposata dalla Sentenza delle Sezioni Unite sovverte un costante e pressoché unanime orientamento contrario, che si era consolidato nel tempo quale diritto vivente ed a cui la prassi forense si era conformata. Vi sono pertanto ampi margini per l’attivazione dell’istituto della rimessione in termini, atteso che il mutamento della giurisprudenza che intervenga su di un orientamento consolidato integra senza dubbio la causa non imputabile richiesta dall’art. 184 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla presente controversia (cfr. Cassazione Civile, Sezione II, Ordinanza n. 15811 del 02.07.2010). Né è di ostacolo la collocazione di tale norma nella sezione del codice di rito dedicata alla trattazione: questo giudice infatti ritiene che la modifica intervenuta con la l. 69/ 2009 sul codice di procedura civile ed in particolare l’introduzione del secondo comma dell’art. 153 e la contestuale abrogazione dell’art. 184 bis c.p.c. non abbia soltanto un effetto innovativo, ma ridondi anche un’efficacia interpretativa sullo stesso art. 184 bis c.p.c., nel senso che occorre ritenere che il Legislatore con tale modifica abbia inteso disattendere l’impostazione della pregressa giurisprudenza maggioritaria secondo cui l’istituto della rimessione in termini poteva trovare applicazione solo con riferimento agli atti di istruzione e opinare al contrario che esso esprima una direttiva di sistema. Va sottolineato, infatti, che il ridetto istituto costituisce una delle declinazioni del principio fondamentale del giusto processo e del diritto di difesa, come espressi dagli artt. 24 e 111 cost., dall’art. 6 CEDU (ormai comunitarizzata) e dalla costante giurisprudenza della CGE. Si aggiunge che, proprio in virtù dei predetti principi, compendiati da quello di ragionevole durata che ne costituisce un corollario, non occorre ripetere tutta l’attività processuale successiva alla costituzione dell’opponente (atto per cui lo stesso viene rimesso in termini), stante l’assenza di qualsivoglia profilo in cui possa ravvvisarsi la lesione del contraddittorio o del diritto di difesa dell’opposto. Venendo al merito della controversia, si premette che, in linea generale, quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto una somma di denaro idonea all’estinzione del medesimo, spetta al creditore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all'estinzione di un debito diverso, provare di quest'ultimo l'esistenza, nonché le condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione, non trova applicazione nel caso in cui il debitore eccepisca l'estinzione del debito per effetto dell'emissione di un assegno bancario negoziato in favore del creditore prenditore o di una cambiale atteso che, implicando tale emissione (o girata) la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un'obbligazione cartolare, resta a carico del debitore convenuto l'onere di superare tale presunzione, dimostrando il collegamento tra il precedente debito azionato ed il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto del pagamento delle cambiali. (Cassazione civile, sez. III, 18 ottobre 2005, n. 20134; Cass. Civ. 9784/1997; Cass. Civ. 1121/1985). Nel caso di specie si rileva innanzi tutto che con riferimento agli assegni n. ……. tratti sulla Banca …. l’opponente non ha neppure fornito la prova di aver corrisposto i relativi importi, risultando i predetti titoli non incassati (in tal senso milita la produzione documentale in originale dei titoli effettuata dall’opposta, le risultanze dell’ordine di esibizione e la non contestazione specifica sul punto da parte dell’opponente). Di tal che tutte le fatture correlate dalla stessa opponente all’emissione dei predetti titoli vanno senz’altro ritenute non pagate (nn… Con riguardo alle altre fatture si ritiene che in linea generale l’opponente non abbia fornito la prova, su di essa incombente, che la corresponsione degli altri titoli fossero collegati all’estinzione dei crediti azionati dall’opposta con l’ingiunzione di pagamento, in quanto è manifesta la discrepanza tra le somme oggetto dei titoli e gli importi dovuti per le fatture cui l’opponente pretenderebbe di imputarli e tra le date di scadenza delle fatture e quella di emissione e/o negoziazione dei titoli. A tali conclusioni, tuttavia, non può pervenirsi con riferimento ad alcuni dei titoli in oggetto, che si andranno analiticamente ad indicare, in ordine ai quali è stata raggiunta la prova del collegamento con alcune delle fatture oggetto del decreto ingiuntivo, per le quali pertanto il pagamento si ritiene già effettuato. L’assegno n. … del ..2005 dell’importo di € 4.236,48 corrisponde alla fattura n. … di € 4.236,48, con scadenza il ..2005. L’assegno n. … del ..2005 dell’importo di € 2.645,84 corrisponde alla fattura n. …. di € 2.078,53 con scadenza ..2005. Tale imputazione non risulta peraltro neppure contestata dall’opposta, che pure in comparsa di costituzione redige un analitico e specifico elenco di contestazioni. L’assegno n. .. del ..2005 dell’importo di € 1.432,80 corrisponde alla fattura n. …/05 di € 1.432,80, con scadenza il ….2005. L’assegno n. … del 30.2005 dell’importo di € 3.703,81 corrisponde alla fattura n. …/05 di € 3.703,81, con scadenza il ..2005. L’assegno n. … del …2006 dell’importo di € 1.392,00 corrisponde alla fattura n. …./06 di € 850,90, con scadenza il …2006. In tal caso la corrispondenza si ritiene provata, oltre che dalla coincidenza delle date, in virtù della produzione da parte dell’opponente del DDT relativo alla merce di cui alla fattura, da cui risulta espressamente la modalità in contrassegno del pagamento. L’assegno n. …. del …2006 dell’importo di € 1.094,40 corrisponde esattamente agli importi e agli interessi delle fatture n. …/06, con scadenza il …2006, n. …/06, con scadenza il ...2006 e n. …/06 con scadenza il ..2006. L’importo complessivo dovuto dall’opponente ammonta conclusivamente ad € 33.254,81 oltre agli interessi nella misura stabilita dall’art. 5 D.lgs 231/2002, dalla scadenza delle singole fatture per cui è dovuto il pagamento, fino al saldo effettivo. Le spese di lite seguono la soccombenza sostanziale dell’opponente. P.Q.M. Il Tribunale di Macerata, sezione distaccata di Civitanova Marche, definitivamente pronunciando nella causa promossa come in narrativa, disattesa ogni diversa domanda, istanza, deduzione ed eccezione, così decide: 1) revoca il decreto ingiuntivo n…./08 emesso il ….2008 dal Tribunale di Macerata, Sezione Distaccata di Civitanova Marche; 2) condanna …. s.a.s. di … & C. in liquidazione al pagamento in favore di …. s.p.a., in persona del legale rappresentante, della somma di € 33.254,81, oltre agli interessi nella misura stabilita dall’art. 5 D. lgs 231/02 dalla scadenza delle singole fatture fino al saldo effettivo; 3) condanna … s.a.s. di … & C. in liquidazione alla rifusione in favore di … s.p.a., in persona del legale rappresentante, delle spese di lite, che liquida in complessivi € 2.109,00 di cui € 809,00 per diritti ed € 1.300,00 per onorari, oltre rimborso forfetario per spese generali, CPA e IVA, se dovuta, come per legge. Così deciso in Civitanova Marche il 22 ottobre 2010. Il giudice Corrado Ascoli 5 Decreto ingiuntivo, opposizione, costituzione, rimessione in termini, applicabilità Tribunale Pavia, ordinanza 14.10.2010 In caso di opposizione a decreto ingiuntivo, se l’opponente non ha rispettato il termine perentorio per costituirsi così come interpretato dalla Suprema Corte di Cassazione, SS.UU, sentenza 09.09.2010 n° 19246, tale comportamento deve ritenersi non imputabile alla parte in quanto, salvo qualche giurisprudenza di merito, l’indirizzo assolutamente maggioritario riteneva sufficiente il rispetto del termine di 10 giorni per provvedere all’iscrizione a ruolo. Pertanto, si ritiene applicabile l'istituto della rimessione in termini, avente carattere generale. Peraltro, la stessa Suprema Corte, già in ua precedente sentenza (Cassazione civile, sez. II, ordinanza 17.06.2010 n° 14627), ha riconosciuto il mutamento giurisprudenziale come elemento sufficiente per concedere la rimessione in termini, anche d'ufficio. (Fonte: Massimario.it - 34/2010. Si ringrazia per la segnalazione il Dott. Giuseppe Buffone) Tribunale di Pavia Ordinanza 14 ottobre 2010 Il Giudice A scioglimento della riserva assunta all’udienza dell’8.10.2010; LETTI gli atti; SENTITA la discussione delle parti all’udienza; CONSIDERATO: che l’odierno opponente ha iscritto la causa a ruolo entro il termine di gg 10 ma oltre il termine di gg 5 dalla notifica della citazione al convenuto; che l’opponente ha fissato l’udienza di comparizione nel termine ordinario e non assegnando all’opposto un termine ridotto a comparire; LETTA la sentenza della Suprema Corte a SS.UU. 19246/2005 secondo cui “esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l'opposizione sia sfata proposta, in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà. Nel caso, tuttavia, in cui l’opponente assegni un termine di comparizione pari o superiore a quello legale, resta salva la facoltà dell’opposto, costituitosi nel termine dimidiato, di chiedere l’anticipazione dell’udienza di comparizione ai sensi dell’art. 163 bis, terzo comma. D’altra parte, se effettivamente il dimezzamento dei termini di costituzione dipendesse dalla volontà dell’opponente di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello legale, non si capirebbe la ragione per la quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sono cumulati il dimezzamento che deriva dalla astratta previsione legale di cui all'art. 645 c.p.c. con quello che può discendere da un apposito provvedimento di dimezzamento di tali termini richiesto ai sensi dell’art. 163 bi=, 3 comma. (Cass. n. 4719/1995, 18203/2008). CONSIDERATO che il nostro sistema giuridico non prevede la vincolatività del precedente giurisprudenziale; che le pronuncie giurisprudenziali, ancorché delle Sezioni Unite, non possono che avere efficacia dichiarativa limitandosi ad interpretare la norma giuridica esistente e non costituendo mai fonte del diritto; che questo ufficio ritiene, conseguentemente, non sia condivisibile il recentissimo e pur apprezzabile orientamento giurisprudenziale secondo cui in caso di c.d. overruling - e cioè allorché si assista ad un mutamento, ad opera della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, di un’interpretazione consolidata a proposito delle norme regolatrici del processo la parte che si è conformata alla precedente giurisprudenza della Suprema Corte, successivamente travolta dall’overruling, ha tenuto un comportamento non imputabile a sua colpa e perciò è da escludere la rilevanza preclusiva dell’errore in cui essa è incorsa. Ciò vuol dire che, per non incorrere in violazione delle norme costituzionali, internazionali e comunitarie che garantiscono il diritto ad un Giusto Processo, il giudice di merito deve escludere la retroattività del principio di nuovo conio (Tribunale di Varese 8.10.2010) che questo ufficio ritiene, conseguentemente, non sia condivisibile neppure l’oridentamento dottrinale secondo cui per il caso di overruling occorrerebbe distinguere tra norme sostanziali e processuali limitando solo alle prima l’effetto retroattivo della novazione giurisprudenziale per il principio secondo cui non possono mai cambiarsi le regole del processo durante lo svolgimento dello stesso (art.. 11 cost e valore della predeterminazione delle regole processuali) RITENUTO, differentemente, sussistere nell’ordinamento l’istituto di carattere generale della rimessione in termini; VISTO l’art. 153 C.P.C. secondo cui “I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti II. La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma” CONSIDERATO che L’abrogazione dell'art. 184-bis codice procedura civile e lo spostamento del suo contenuto nell’art. 153, cioè nel capo dedicato in via generale ai termini processuali, indica la volontà del legislatore di fare in modo che l’istituto della rimessione in termini sia di applicazione generalizzata e non limitata all’ipotesi in cui le parti siano decadute dal potere di compiere determinate attività difensive nel corso della trattazione della causa (in questi termini Tribunale di Monodì 19.2.2010 in www.ilcaso.it, I, 2029) CONSIDERATO, inoltre che la rimessione in termini presuppone: a) l’inosservanza di un limite temporale assegnato al compimento di un atto processuale; b) il verificarsi di un impedimento di fatto puntuale e tendenzialmente limitato alla parte, non imputabile a quest’ultima; c) l’apprezzabilità dell'impedimento, in quanto tale, con una valutazione già coeva al verificarsi di quest’ultimo; d) l’accertamento in concreto dell’impedimento, sulla base degli elementi forniti dall’istanza della parte, che lasci al giudice significativi margini di valutazione circa la sussistenza o meno del fatto che ha impedito il tempestivo compimento dell’atto; che nel caso di specie tutti questi elementi sono presenti: l’opponente non ha rispettato il termine perentorio per costituirsi così come interpretato dal sopra richiamato arresto delle Sezioni Unite; tale comportamento non è imputabile alla parte in quanto, salvo qualche giurisprudenza di merito, l’indirizzo assolutamente maggioritario riteneva sufficiente il rispetto del termine di 10 giorni per provvedere all’iscrizione a ruolo; il mutamento giurisprudenziale è stato riconosciuto dalla Stessa Suprema Corte elemento sufficiente per concedere la rimessione in termini (Cass. 14627/2010); RITENUTO che per il caso di mutamento giurisprudenziale la rimessioni in termini debba essere concessa anche d'ufficio (in senso conforme Cass. 14627/2010); CONSIDERATO da ultimo, che, nel caso di specie l’effetto della rimessione in termini consiste nel ritenere tempestiva l’iscrizione a ruolo della causa per cui nessun ulteriore attività deve essere svolta dall’attore opponente; RITENUTO necessario disporre per l’ulteriore corso dell’istruttoria testimoniale come ammessa; P.T.M. Il Giudice Respinge l’eccezione sollevata di tardività dell’iscrizione a ruolo; rimette l’opponente in termini; fissa udienza in prosecuzione al 17.11.2010 ore 10,45 per escussione di due ulteriori testi parte opponente si comunichi anche a mezzo fax ove necessario. Pavia, 14.10.2010 Il giudice Andrea Balba 6 Opposizione a d.i. dopo le Sezioni Unite: l'opponente va rimesso in termini Tribunale Torino, sez. I civile, sentenza 11.10.2010 Alla luce del principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.), l’errore della parte che abbia fatto affidamento su una consolidata (al tempo della proposizione della opposizione e della costituzione in giudizio) giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, non può avere rilevanza preclusiva, sussistendo i presupposti per la rimessione in termini (art. 153 c.p.c. nel testo in vigore dal 4.7.2009), alla cui applicazione non osta la mancanza dell’istanza di parte, essendo conosciuta, per le ragioni evidenziate, la causa non imputabile (così, Cass., sez. II, ordinanze interlocutorie nn. 14627/2010, 15811/2010 depositate il 17.6.2010 ed il il 2.7.2010). E' quanto stabilito dal Tribunale di Torino con l'ordinanza 11 ottobre 2010, che ha escluso nel caso di specie la retroattività del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (sentenza 9 settembre 2010, n. 19246) in materia di costituzione dell’opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ricorrendo allo strumento della remissione in termini. Il giudice torinese ha precisato che la tardiva costituzione dell’opponente e la decadenza che ne è derivata sono riconducibili ad un causa non imputabile all’opponente stesso, con la conseguente sussistenza dei presupposti per rimettere in termini l’opponente, di guisa che la sua costituzione, effettuata oltre il suddetto termine dimidiato ma entro quello ordinario di dieci giorni, deve essere ritenuta tempestiva, e che quindi non occorre assegnare un ulteriore termine per provvedervi, trattandosi di attività già compiuta. La pronuncia segue la recente decisione del Tribunale Varese (ordinanza 08.10.2010). (Altalex, 14 ottobre 2010. Si ringrazia Giuseppe Buffone per la segnalazione) Tribunale di Torino Sezione I Civile Ordinanza 11 ottobre 2010 (est. Liberati) ****** Il Giudice istruttore Sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 6.10.2010. Rilevato che la convenuta opposta ha eccepito preliminarmente l’improcedibilità della opposizione in conseguenza della tardiva costituzione dell’opponente, e cioè oltre il termine dimidiato di cinque giorni di cui al combinato disposto degli artt. 165 e 645, II co., c.p.c., applicabile, alla luce del principio interpretativo stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 19246 del 2010, depositata il 9.9.2010, a tutti i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, indipendentemente dalla effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, in quanto “ …. non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposzione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà.” (così Cass. 19246/2010 citata). Considerato che tale interpretazione ha mutato il precedente indirizzo interpretativo della stessa Corte di Cassazione, secondo cui il termine di costituzione dell’opponente era ridotto alla metà solo quando costui si fosse avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario (come spiegato nella stessa sentenza 19246/2010 citata, nella quale è riportato tale costante orientamento, da Cass. 12.10.1955 n. 3053 fino a Cass. 3355/1987, id. 2460/1995, 3316 e 12044/1998, 18942/2006). Rilevato che l’opponente non ha assegnato alla opposta un termine a comparire inferiore a quello minimo, avendo notificato l’atto di citazione il 2.4.2010 ed indicato la prima udienza al 5.10.2010, con la conseguenza che la sua costituzione, secondo detto precedente e consolidato orientamento interpretativo, risultava tempestiva. Osservato, alla luce del principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.), che non sembra che l’errore della parte che abbia fatto affidamento su una consolidata (al tempo della proposizione della opposizione e della costituzione in giudizio) giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, possa avere rilevanza preclusiva, sussistendo i presupposti per la rimessione in termini (art. 153 c.p.c. nel testo in vigore dal 4.7.2009), alla cui applicazione non osta la mancanza dell’istanza di parte, essendo conosciuta, per le ragioni evidenziate, la causa non imputabile (così, Cass., sez. II, ordinanze interlocutorie nn. 14627/2010, 15811/2010 depositate il 17.6.2010 ed il il 2.7.2010). Ritenuto, pertanto, che la tardiva costituzione dell’opponente e la decadenza che ne è derivata siano riconducibili ad un causa non imputabile all’opponente stesso, con la conseguente sussistenza dei presupposti per rimettere in termini l’opponente, di guisa che la sua costituzione, effettuata oltre il suddetto termine dimidiato ma entro quello ordinario di dieci giorni, deve essere ritenuta tempestiva, e che quindi non occorre assegnare un ulteriore termine per provvedervi, trattandosi di attività già compiuta. Osservato, quanto alla istanza di autorizzazione alla provvisoria esecuzione del decreto opposto, che l’opposizione, fondata sulla interperazione del contratto concluso dall’attore con la P di quello accessorio di finanziamento dallo stesso stipulato con la convenuta N, sia di pronta soluzione, non sembrando richiedere istruzione, con la conseguenza che non paiono esservi i presupposti per la provvisoria esecutorietà del decreto opposto. Rilevato, infine, che entrambe le parti hanno domandato l’assegnazione dei termini previsti dall’art. 183 c.p.c., di guisa che occorre assegnare loro i relativi termini, invitandole anche ad indicare separatemente i nomi dei testimoni da escutere su ogni capitolo di prova che dedurranno ed a prendere posizione sul calendario del processo, ai sensi dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c. P.Q.M. Visto l’art. 153, II co., c.p.c. Rimette in termini l’attore ai fini della sua costituzione. Visto l’art. 648 c.p.c. Respinge l’istanza di autorizzazione alla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo n. …. del 2010 di questo Tribunale. Visto l’art. 183, 6° comma, c.p.c., Assegna a tutte le parti, che ne hanno fatto istanza: - termine perentorio di 30 giorni dal 31.10.2010 per il deposito di memorie contenenti precisazioni e modifiche delle domande, eccezioni, conclusioni rispettivamente proposte; - ulteriore e successivo termine perentorio di 30 giorni per il deposito di memorie di replica alle domande, eccezioni e conclusioni come sopra modificate e precisate, per proporre eccezioni consequenziali a dette domande ed eccezioni, nonché per il deposito di documenti e per la richiesta di mezzi di prova; - ulteriore e successivo termine perentorio di 20 giorni per articolare prova contraria. Invita le parti ad indicare separatemente i nomi dei testimoni da escutere su ogni capitolo di prova che dedurranno ed a prendere posizione sul calendario del processo, ai sensi dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c.. Riserva di provvedere sulle istanze delle parti alla scadenza di tali termini. Si comunichi. Torino, 11.10.2010 IL GIUDICE ISTRUTTORE Giovanni Liberati 7 Opposizione a d.i.: il nuovo principio di diritto delle SSUU non è retroattivo Tribunale Varese, sez. I civile, sentenza 08.10.2010 n° 1274 In caso i cd. overruling - e cioè allorché si assista ad un mutamento, ad opera della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, di un’interpretazione consolidata a proposito delle norme regolatrici del processo - la parte che si è conformata alla precedente giurisprudenza della Suprema Corte, successivamente travolta dall’overruling, ha tenuto un comportamento non imputabile a sua colpa e perciò è da escludere la rilevanza preclusiva dell’errore in cui essa è incorsa. Ciò vuol dire che, per non incorrere in violazione delle norme costituzionali, internazionali e comunitarie che garantiscono il diritto ad un Giusto Processo, il giudice di merito deve escludere la retroattività del principio di nuovo conio E' quanto stabilito dal Tribunale di Varese con la sentenza depositata ieri che esclude nel caso di specie la retroattività del principio di diritto enunciato da Cass. civ. SS.UU.9 settembre 2010 n. 19246 in materia di costituzione dell’opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. (Altalex, 9 ottobre 2010. Si ringrazia il dott. Giuseppe Buffone per la segnalazione) Tribunale di Varese Sezione Prima civile Sentenza 8 ottobre 2010, n. 1274 Fatto L’odierno giudizio trae linfa dall’opposizione al decreto ingiuntivo oggetto di impugnazione mediante la citazione introduttiva del giudizio. La costituzione dell’attore, successivamente alla notificazione del libello di opposizione, è avvenuta entro i dieci giorni dalla notifica ma oltre il quinto giorno. Questo giudice deve interrogarsi, anche in mancanza di sollecitazione di parte, della procedibilità dell’opposizione, trattandosi di questione giuridica rilevabile d’ufficio. Nel caso di specie, tuttavia, trattandosi di causa pendente dal 2005, le parti hanno sollecitato un giudizio sulla questione, onde evitare ulteriore attività processuale da ritenersi poi non utile ai fini della decisione. Hanno, così, chiesto discussione orale della causa ex art. 281-sexies c.p.c. e questo giudice, ritenendo condivisibile la richiesta, ha trattenuto la causa in riserva per deciderla secondo il modulo della trattazione orale. Diritto L’eccezione di improcedibilità non è fondata e va respinta, ma nei termini e per gli argomenti giuridici che seguono, condivisi dalla giurisprudenza civile di questo Tribunale. 1. Mutamento giurisprudenziale: Cass. civ. Sez. Unite, sentenza 9 settembre 2010 n. 19246 A parte un unico risalente precedente, rimasto assolutamente isolato (Cass. 10 gennaio 1955 n. 8), la giurisprudenza della Corte di Cassazione è stata costante nell'affermare che quando l'opponente si sia avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, il termine per la sua costituzione è automaticamente ridotto a cinque giorni dalla notificazione dell'atto di citazione in opposizione, pari alla metà del termine di costituzione ordinario (principio affermato, nei vigore dell'art. 645, come modificato con il D.P.R. n. 597 del 1950, art. 13 a cominciare da Cass. 12 ottobre 1955, n. 3053 e poi costantemente seguito; v. Cass. n. 3355/1987, 2460/1995, 3316 e 12044/1998, 18942/2006). L’indirizzo di legittimità, per effetto della costante conferma nel tempo, ha assunto le fogge di un vero e proprio “diritto vivente” che, come noto, costituisce espressione della norma quale vive nell’ordinamento[1] ovvero il significato giuridico che, tratto dall’enunciato normativo, deve seguirsi come dettato legislativo. Il costume giurisprudenziale di cui si tratta è rimasto controverso solo per quanto concerne la rilevanza o meno della volontarietà dell’opponente, nell’assegnazione all’opposto dei termini a comparire dimezzati o inferiori al termine ordinario, ai fini dell’effetto conseguente del dimezzamento dei termini di costituzione dell’attore[2]. E’ stata la Corte costituzionale, di recente, a riconoscere in tale interpretazione un “diritto vivente”. Nella ordinanza n. 230 del 22 luglio 2009[3], la Consulta afferma: “è orientamento giurisprudenziale consolidato, costituente diritto vivente, quello secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la riduzione alla metà del termine di costituzione dell'opponente, ai sensi dell'art. 645, secondo comma, cod. proc. civ., consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all'opposto di un termine di comparizione inferiore a quello previsto dall'art. 163-bis cod. proc. civ., anche se involontaria, e che la tardiva costituzione dell'opponente è equiparata alla mancata costituzione, determinando l'improcedibilità dell'opposizione”[4]. Secondo lo jus receptum, formatosi in calce all’art. 645 c.p.c., dunque, la riduzione alla metà del termine di costituzione dell'opponente, ai sensi dell'art. 645, secondo comma, cod. proc. civ., consegue automaticamente al fatto obiettivo della concessione all'opposto di un termine di comparizione inferiore a quello previsto dall'art. 163-bis cod. proc. civ. In altri termini: i termini di costituzione si dimezzano solo se vengono ridotti i termini a comparire. Il diritto vivente così richiamato è stato più volte nel tempo sospettato di illegittimità costituzionale, ma la Consulta ha escluso la violazione dell’art. 111 Cost. riconoscendo, al contempo, però, nella disciplina ex art. 645 comma II, c.p.c., una “compromissione della euritmia del sistema”, la cui “modifica non può che essere rimessa all'opera del legislatore” (Corte costituzionale, ordinanza 8 febbraio 2008 n. 18). Stando al diritto vivente così richiamato, nel caso di specie l’opposizione dovrebbe essere dichiarata procedibile: l’opponente si è costituito oltre il quinto giorno (ma entro i dieci) avendo, però, concesso all’opposto il termine ordinario per comparire senza alcuna riduzione o dimezzamento. La conclusione che precede sembra perdere, però, di validità alla luce del recentissimo intervento della Suprema Corte di Cassazione, nella sua massima composizione. Infatti, con la sentenza 9 settembre 2010 n. 19246, le Sezioni Unite civili hanno “puntualizzato” che “esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell'opponente e dell'opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all'opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l'opposizione sia stata proposta, in quanto l'art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà”. Secondo il Supremo Collegio, dunque, il dimezzamento dei termini di costituzione dell’attore non dipende dal fatto dell’assegnazione all’opposto di un termine a comparire ridotto rispetto al quantum ordinario ma dalla circostanza tout court della opposizione. Seguendo la direttrice ermeneutica tracciata dalle Sezioni Unite, l’opposizione dovrebbe essere dichiarata improcedibile. Questo giudice reputa che, per i procedimenti civili instaurati prima del 9 settembre 2010 (data di deposito della sentenza delle Sezioni Unite), il principio di diritto enunciato da Cass. civ. 19246/2010 non sia applicabile, dovendosi tenere fermo il diritto vivente come fotografato da Corte cost. 230/2009. 2. Overruling L’ordinamento civile italiano, perseguendo il fine di deflazionare il contenzioso e al contempo preservando l’esigenza di certezza del diritto, valorizzando l’interesse pubblico alla prevedibilità delle decisioni, ha nel tempo rafforzato l’efficacia vincolante del precedente di legittimità, in particolare di quello autorevole reso a Sezioni Unite, “potenziando” il controllo nomofilattico, valorizzando la peculiare vocazione del giudizio di legittimità, e, così, perseguendo il tendenziale obiettivo di assicurare una esatta ed uniforme interpretazione della legge. In tal senso, dapprima, la legge 2 febbraio 2006 n. 40, modificando l’art. 374 c.p.c., ha previsto che il precedente delle Sezioni Unite non possa essere disatteso tout court dalla Sezione Semplice che, là dove intenda discostarsi dal pronunciamento nomofilattico, deve investire della quaestio juris in riedizione le stesse Sezioni Unite (art. 374, comma III, c.p.c.). Lo stesso saggio di legificazione ha, anche, allargato le maglie procedurali del “principio di diritto nell’interesse della Legge” (art. 363 c.p.c.) sottolineando “una evoluzione legislativa (…) orientata al potenziamento della pura funzione di corretta osservanza della legge ed uniforme applicazione del diritto (su cui cfr. Cass. civ., Sez. Unite, sentenza 1 giugno 2010 n. 13332). Successivamente, la legge 18 giugno 2009 n. 69 ha ulteriormente rafforzato la “tenuta” dalla regola giuridica a formazione nomofilattica introducendo uno scrutinio semplificato (sfociante in rigetto[5] con motivazione agevolata) in caso di allineamento del decisum del giudice di merito al precedente conforme di legittimità (art. 360-bis c.p.c., su cui cfr. Cass. civ., Sez. Unite, ordinanza 6 settembre 2010, n. 19051). Dalle premesse che precedono si trae una conclusione: la giurisprudenza delle Sezioni Unite non è più semplice espressione degli indirizzi di legittimità di un organo giudiziario ma Giudice che contribuisce a garantire la “certezza del diritto” nell’ordinamento (v. art. 65 ord. giud.) così divenendo il suo precedente tendenzialmente vincolante per il giudice di merito e avvicinandosi il diritto vivente al diritto positivo anche dal punto di vista della “introduzione” delle regole giuridiche e non solo dal punto di vista della loro interpretazione. In tal modo si espresse già a suo tempo l’autorevole Dottrina, allorché segnalò come formalmente l'autorità del principio dello stare decisis in Italia si potesse ritrovare in due principi affermati dalla Cassazione: quello della motivazione semplificata in caso di richiamo al precedente di legittimità che si conferma[6] e quello dell’obbligo di motivazione rafforzata nel caso in cui il precedente venga disatteso[7]. Entro tale cornice – come è stato Autorevolmente scritto – la Suprema Corte diventa “uno dei luoghi essenziali in cui la “legge” si definisce e si manifesta”. Ciò, però, vuol anche dire che, in alcuni casi, il revirement giurisprudenziale può avere le stesse fattezze e lo stesso impatto dello jus superveniens, in specie nel caso in cui le Sezioni Unite enuncino un principio di diritto che affiora nella giurisprudenza e tra gli operatori del diritto come regola del tutto nuova, se raffrontata al costume pretorile seguito costantemente sino alla sua emersione. Il fenomeno sin qui descritto è ben noto nei regimi di common law e viene identificato nell’istituto del cd. overruling: un cambiamento delle regole del gioco a partita già iniziata e dunque una somministrazione al giudice del potere-dovere di giudicare dell’atto introduttivo in base a forme e termini il cui rispetto non era richiesto al momento della proposizione della domanda. L’overruling pone il (serio) problema dell'efficacia nel tempo dell’abrogazione del precedente che è del tutto affine, per effetti, all’abrogazione della norma, soprattutto per il destinatario finale del servizio di Giustizia: in ambo i casi, sopravviene una regola di diritto neofita, in un contesto in cui, sino al nuovo pronunciamento, ne vigeva una diversa o addirittura contraria nell’imperativo che ne costituisce il contenuto. Il problema della limitazione della retroattività del mutamento giurisprudenziale è risolto nel Common Law con il metodo del cd. prospective overruling: il giudice stabilisce che la soluzione adottata dal nuovo precedente varrà solo per il caso deciso e per le future fattispecie ma non per le fattispecie precedentemente disciplinate per le quali avrà sempre valore il precedente overruled. Il sistema qui richiamato riguarda solo casi speciali e particolari come, ad esempio, quelli in cui il mutamento giurisprudenziale modifichi, in senso peggiorativo per il cittadino, le norme di accesso al processo e, dunque, alla Giustizia. In questi casi, la retroattività del nuovo stare decisis andrebbe a vulnerare rapporti quesiti dal punto di vista sostanziale in ragione dell’improvviso mutamento delle regole processuali che ad essi sono sottesi: come avviene esattamente nel caso di specie, quanto al principio di diritto enunciato da Cass. civ. SSUU 19246/2010. Un elevatissimo numero di procedimenti civili dovrebbe essere definito con sentenza di improcedibilità dell’opposizione perché introdotti nel vigore di una norma che abilitava i difensori a costituirsi, per l’opponente, entro i dieci giorni e non anche cinque, in caso di assegnazione all’opposto dell’integralità del suo quantum ordinario per comparire. Da qui, peraltro, le preoccupazioni già espresse dalla classe forense italiana nel comunicato del Consiglio Nazionale Forense del 6 ottobre 2010. Diventa, invero, fisiologico interrogarsi circa la regola della retroattività nell’ambito della teoria della natura puramente dichiarativa della interpretazione giudiziale. Orbene, dai rilievi che precedono, è evidente come siano condivisibili le osservazioni di Autorevole Dottrina afferma che la retroattività “sorprende gli interessati e quindi attenua o esclude la prevedibilità” del comando legislativo: da qui, invero, una precisa risposta della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[8] che, come noto, impone la “conoscibilità della regola di diritto e la (ragionevole) prevedibilità della sua applicazione” (cfr. Sunday Times c. Regno Unito, sentenza del 29 aprile 1979, §§ 48-49) limitando, pertanto, l’efficacia del mutamento giurisprudenziale “creativo” ai casi futuri o individuandone la data di decorrenza da un dato oggettivo di pubblicità della decisione (cfr., per verificare i principi della CEDU in tema di overruling: Cocchiarella c. Italia, sentenza del 29 marzo 2006, §44; Di Sante c. Italia, decisione del 24 giugno 2004;Midsuf c. Francia, decisione della Grande Chambre dell’ 11 settembre 2002. Il punto di partenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è che il termine legge riguarda anche la norma di diritto vivente (“englobe le droit d’origine tant législative que jurisprudentielle”) con conseguente estensione del principio di irretroattività all’ipotesi di mutamento giurisprudenziale imprevedibile con effetti in malam partem (soprattutto nel diritto penale). Anche la Corte di giustizia della CE ha recepito il principio di irretroattività della giurisprudenza creativa (cfr. da ultimo, CGCE, 8 febbraio 2007, C-3/06 P, Groupe Danone c. Commissione) stabilendo che deve essere impedita l’applicazione retroattiva di una nuova interpretazione di una norma nel caso in cui si tratti di un’interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui l’infrazione è stata commessa. È vero che tali pronunciamenti riguardano in specifico il settore penale, ma il problema investe la problematica generale della principio di Legalità, che salvaguardia lo stesso accesso del cittadino alla Giustizia: si pensi al caso di specie. Il giudizio è stato introdotto il 14 luglio 2005 e, dopo intense e onerose attività processuali (come CTU e prove orali) questo verrebbe caducato in rito per improcedibilità sopravvenuta, alla distanza di oltre cinque anni. Una simile conclusione non può che qualificarsi come violento strappo al tessuto connettivo degli artt. 24 e 111 Cost. con manifesta violazione dei soggettivi coinvolti che non troverebbero sbocco in una pronuncia del merito per motivi estranei in modo assoluto alla condotta, volontà o colpa dei litiganti e dei difensori. Da qui la necessità, secondo questo giudice, di applicare una interpretazione conforme a Costituzione. I principi sin qui richiamati sono stati, invero, recepiti anche dalla Corte di Cassazione, con una giurisprudenza che questo giudice intende recepire e fare propria. 3. Contrasto degli effetti patologici dell’Overruling In tempi recenti, l’esigenza di preservare il cittadino dai rischi dell’overruling è stata avvertita anche dalla Suprema Corte, nella importante pronuncia: Cass. civ., sez. II, ordinanza 2 luglio 2010, n. 15811. Nella decisione, la Corte afferma che l’overruling si risolve in un cambiamento delle regole del gioco a partita già iniziata e in una somministrazione all’arbitro del potere-dovere di giudicare dell’atto introduttivo in base a forme e termini il cui rispetto non era richiesto al momento della proposizione dell’atto di impugnazione”. Secondo il Collegio, “allorché si assista, come nella specie, ad un mutamento, ad opera della Corte di cassazione, di un’interpretazione consolidata a proposito delle norme regolatrici del processo, la parte che si è conformata alla precedente giurisprudenza della stessa Corte, successivamente travolta dall’overruling, ha tenuto un comportamento non imputabile a sua colpa e perciò è da escludere la rilevanza preclusiva dell’errore in cui essa è incorsa”; Il Collegio riferisce che in questa direzione orienta il principio costituzionale del “giusto processo”, la cui portata non si esaurisce in una mera sommatoria delle garanzie strutturali formalmente enumerate nell’art. 111 Cost., comma 2, (contraddittorio, parità delle parti, giudice terzo ed imparziale, durata ragionevole di ogni processo), ma rappresenta una sintesi qualitativa di esse (nel loro coordinamento reciproco e nel collegamento con le garanzie del diritto di azione e di difesa), la quale risente dell’”effetto espansivo” dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo (cfr. Corte cost., sentenza n. 317 del 2009, punto 8 del Considerato in diritto). Il Collegio conclude ritenendo “contrario alla garanzia di effettività dei mezzi di azione o di difesa e delle forme di tutela – la quale è componente del principio del giusto processo – che rimanga priva della possibilità di vedere celebrato un giudizio che conduca ad una decisione sul merito delle questioni di diritto veicolate dall’impugnazione, la parte che quella tutela abbia perseguito con un’iniziativa processuale conforme alla legge del tempo – nel reale significato da questa assunto nella dinamica operativa per effetto dell’attività “concretizzatrice” della giurisprudenza di legittimità -, ma divenuta inidonea per effetto del mutamento di indirizzo giurisprudenziale. La Suprema Corte conclude attingendo al bacino della remissione in termini per consentire al ricorrente di proporre l’impugnazione secondo le nuove regole giurisprudenziali (poiché inammissibile secondo le vecchie). Possono, dunque, trarsi delle conclusioni: in caso di radicale mutamento giurisprudenziale che abbia ad oggetto le regole del processo e introduca, di fatto, una regola da ritenersi nuova alla luce del costume giurisprudenziale costantemente seguito sino al pronunciamento neofita (overruling) la parte che abbia posto in essere un’iniziativa processuale conforme al precedente indirizzo, ma divenuta inidonea per effetto del mutamento di indirizzo giurisprudenziale, conserva il diritto ad una decisione nel merito. Posta tale premessa in principio occorre verificare quale sia lo strumento giuridico cui attingere per renderlo vitale. In casi del genere, il Collegio ha fatto ricorso all’art. 184-bis c.p.c. (oggi art. 153 c.p.c.). E, però, in genere, l’applicazione dell’istituto de quo impone un sub-procedimento che si conclude con la facoltà concessa all’istante di ripetere l’attività processuale inibita dalla decadenza andatasi a formare. Ma nel caso di specie, essendo i procedimenti come quello in esame già in istruttoria o in fase di trattazione, la remissione si risolverebbe in una lesione del principio di ragionevole durata anche con rischio di perdita delle attività processuali sino ad ora svolte ed espletate e, dunque, comunque con un effetto di sfavore per la parte sostanziale incolpevole in spregio a quanto poc’anzi affermato. E, allora, una interpretazione costituzionalmente orientata, intrisa dei principi della giurisprudenza comunitaria e internazionale richiamata, impone di ritenere che la parte – piuttosto che essere rimessa in termini, con regressione del giudizio e conseguente grave danno alla giurisdizione – deve essere considerata come aver agito correttamente, su mero accertamento del giudice di merito che verifica l’overruling e l’affidamento incolpevole del litigante. Tale approdo è espressione ed applicazione del principio “tempus regit actum” che, come regola e orienta lo jus superveniens, in materia processuale, così deve guidare e disciplinare l’overruling. In altri termini, in caso di decisioni alle quali non può riconoscersi effetto meramente dichiarativo, alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento civile italiano, deve escludersi l’efficacia retroattiva delle nuove regole interpretative in materia processuale e di accesso alla Giustizia. Ovvio che, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza (9 settembre 2010), tutti i procedimenti civili di nuova instaurazione saranno sottoposti alla nuova interpretazione nomofilattica, ritenendo questo giudice di dover rispettare e applicare il Supremo pronunciamento per l’avvenire. 4. prosecuzione del giudizio Le spese di lite vanno regolate alla conclusione del giudizio che deve essere proseguito per l’ulteriore corso A tal fine, si provvede con separata ordinanza ai sensi dell’art. 279, comma II, n. 4, c.p.c. Per questi Motivi Il Tribunale di Varese, Sezione Prima Civile, in composizione monocratica, non definitivamente pronunciando nel giudizio civile iscritto al n. 3527 dell’anno 2005, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, così provvede: Rigetta l’eccezione di improcedibilità e dichiara l’opposizione a decreto ingiuntivo procedibile, poiché iscritta in data 14 luglio 2005; Rimette alla separata ordinanza contestuale all’odierna sentenza, le disposizioni per l’ulteriore corso del giudizio. Sentenza letta in udienza in data 8 ottobre 2010 Varese, lì 8 ottobre 2010 Il Giudice dott. Giuseppe Buffone [1] L’espressione è della giurisprudenza della Consulta per segnalare che la “regola pretorile” è di fatto divenuta paragonabile alla norma di Legge (cfr. Corte Costituzionale , sentenza 8 febbraio 2006 n. 41) [2] Controverso nel senso che è residuato un indirizzo del tutto minoritario secondo cui l’effetto del dimezzamento dei termini doveva ritenersi conseguente al solo caso della assegnazione dei termini ridotti per comparire sorretta dall’elemento della volontarietà: indirizzo su cui v. Cass. civ., sez. I, ordinanza 12 novembre 2008 [3] La Corte viene adita da: Trib. Monza, ordinanza 6 ottobre 2008 [4] www.cortecostituzionale.it [5] La norma parla di inammissibilità, ma cfr. Cass. civ., Sez. Unite, ordinanza 6 settembre 2010, n. 19051 [6] Cfr. sentenza Cass., 13 maggio 1983, n. 3275: Soddisfa l'obbligo della motivazione della sentenza di cui all'art. 132 n. 4, c.p.c., il mero riferimento da parte del giudice del merito alla giurisprudenza della Corte di Cassazione in relazione alla soluzione di una questione univocamente espressa dalla Suprema Corte [7] Cfr. sentenza Cass., 3 dicembre 1983, n. 7248: Nell'esercizio del suo potere-dovere di interpretazione della norma applicabile alla fattispecie sottoposta al suo esame, il giudice può anche non seguire l'interpretazione proposta dalla Corte di cassazione (salvo che si tratti di giudizio di rinvio). Tale libertà non esclude, peraltro, l'obbligo dello stesso giudice di addurre ragioni congrue, convincenti a contestare e far venir meno l'attendibilità dell'indirizzo interpretativo rifiutato [8] Come noto, infatti, il 13 dicembre 2007 ha visto la luce il Trattato di Lisbona che ha apportato modifiche al Trattato sull’Unione Europea ed è entrato in vigore in data 1 dicembre 2009 ed è stato ratificato dall’Italia con la legge 2 agosto 2008 n. 130. L’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea (post Lisbona) recita: “L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (…).Secondo alcuni Autori e, soprattutto, secondo una già formata giurisprudenza (v. Cons. St., Sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220 e TAR Lazio, Sez. II bis, 18 maggio 2010 n. 11984) la norma avrebbe determinato la cd. comunitarizzazione delle norme CEDU: “non più, pertanto, norme internazionali e parametro interposto di legittimità costituzionale di norme domestiche ex art. 117 Cost., bensì norme comunitarie le quali in virtù del principio di primautè del diritto comunitario” legittimerebbero “la non applicazione di norme interne con esse contrastanti”. 8 Opposizione a decreto ingiuntivo: ripristinato il termine di 10 gg. per la costituzione dell'attore. Con la Legge del 29/12/2011 n. 218 il legislatore ha risolto in via definitiva la querelle sorta in materia di costituzione dell'attore nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo a seguito della sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 19246 del 9 settembre 2010, che di fatto aveva imposto all'attore opponente l'obbligo di iscrivere la causa a ruolo nei cinque giorni successivi alla notifica dell'atto di citazione (in luogo dei dieci giorni), in ogni caso, senza alcun riferimento al discrimine della riduzione alla metà dei termini di comparizione. La nuova normativa, entrata in vigore dal 20/01/2012, ha dissipato ogni dubbio, eliminando dall'art. 645 cpc le parole «; ma i termini di comparizione sono ridotti a meta'», con la conseguenza che al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo si applicano le norme del procedimento ordinario, ivi compresa quella che prevede per l'attore l'onere di costituirsi in giudizio entro dieci giorni dalla notifica dell'atto di citazione. L'art. 2 della L. 218/2012 ha infatti chiarito che “Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l’articolo 165, primo comma, del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell’attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l’opponente abbia assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’articolo 163-bis, primo comma, del medesimo codice“, ossia inferiore a 90 gg. liberi Testo completo della legge 218/2011 LEGGE 29 dicembre 2011, n.218 Modifica dell'articolo 645 e interpretazione autentica dell'articolo 165 del codice di procedura civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo. La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge: Art. 1 Modifica all'articolo 645 del codice di procedura civile 1. Al secondo comma dell'articolo 645 del codice di procedura civile, le parole: «; ma i termini di comparizione sono ridotti a meta'» sono soppresse. Art. 2 Disposizione transitoria 1. Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l'articolo 165, primo comma, del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell'attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l'opponente abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all'articolo 163-bis, primo comma, del medesimo codice. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addi' 29 dicembre 2011 Napolitano Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri Visto, il Guardasigilli: Severino Lavori Preparatori Senato della Repubblica (atto n. 2380): Presentato dal sen. Caruso ed altri il 14 ottobre 2010. Assegnato alla 2ª Commissione (Giustizia), in sede referente, il 20 ottobre 2010 con parere della 1ª Commissione. Esaminato dalla 2ª Commissione, in sede referente il 9, 10 e 23 novembre 2010; il 25 gennaio 2011. Assegnato nuovamente alla 2ª Commissione (Giustizia), in sede deliberante, il 12 aprile 2011 con parere della 1ª Commissione. Esaminato dalla 2ª Commissione, in sede deliberante, ed approvato il 13 aprile 2011. Camera dei deputati (atto n. 4305): Assegnato alla II Commissione (Giustizia), in sede referente, il 27 aprile 2011 con parere della I Commissione. Esaminato dalla II Commissione, in sede referente, il 31 maggio 2011; il 22 e 30 giugno 2011. Esaminato in aula il 5 dicembre 2011 ed approvato il 6 dicembre 2011. 9 Opposizione a decreto ingiuntivo: dimezzamento dei termini anche in appello Cassazione civile , sez. II, sentenza 22.11.2013 n° 26252 (Riccardo Bianchini) Con la pronuncia n. 26252/2013 la Cassazione ha avuto modo di confermare la portata dell'art. 645 c.p.c. nel senso di una sua applicabilità anche al grado di appello. Al riguardo sembra opportuno ricordare come il secondo comma di tale previsione, in passato, prevedesse che “In seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione sono ridotti a metà” e che, per lungo tempo tale disposizione aveva dato origine ad un’interpretazione, cristallizzatasi in modo assai radicato nella coscienza degli operatori, tale per cui ove l'opponente si fosse avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario, il termine per la sua costituzione risultava automaticamente ridotto a cinque giorni dalla notificazione dell'atto di citazione in opposizione, pari alla metà del termine di costituzione ordinario. Successivamente, le Sezioni Unite, con pronuncia 9 settembre 2010, n. 19246 avevano fornito una innovativa interpretazione del dato normativo, affermando il principio in forza del quale sia i termini di comparizione che i termini di costituzione risulterebbero ridotti automaticamente alla metà in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, a prescindere della volontà dell’attore opponente di dimezzare il termine di comparizione. Come noto, a seguito di tale revirement giurisprudenziale erano emersi orientamenti interpretativi volti a salvaguardare l’affidamento degli operatori: erano cioè emerse opzioni interpretative volte ad evitare che fosse dichiarata improcedibile l’opposizione depositata tardivamente (tardivamente, beninteso, secondo l’innovativa tesi delle Sezioni Unite) quando fino a quel momento risultava monolitica l’interpretazione fornita dalla giurisdizione nel suo complesso in merito all’applicazione del disposto degli art. 645 c.p.c. e 165 c.p.c. Ebbene, sul tema era infine intervenuto il legislatore ordinario, modificando il secondo comma dell'art. 645 c.p.c. nel senso di eliminare le parole “ma i termini di comparizione sono ridotti a metà.” La pronuncia in esame, tuttavia, verte su una vicenda svoltasi antecedentemente a tale modifica normativa (e al revirement delle Sezioni Unite): era infatti avvenuto che a seguito della proposizione di un'opposizione a decreto ingiuntivo in cui l'attore opponente si era avvalso della possibilità di dimidiare i termini di comparizione, tale attore di primo grado, soccombente in giudizio, avesse poi proposto appello. Ma in tale secondo grado di giudizio esso aveva omesso di costituirsi nel rispetto dei termine dimidiato. Il giudice dell'appello, tuttavia, aveva ritenuto che il mancato rispetto del dimezzamento del termine non fosse rilevante, in quanto, nella tesi da esso accolta, il dimezzamento dei termini avrebbe efficacia soltanto nell'ambito del primo grado di giudizio. A fronte di tale pronuncia veniva quindi proposto ricorso per cassazione. La Cassazione, nell'affrontare la questione, ha quindi evidenziato come, invece, per giurisprudenza risalente – ma dalla quale essa non ha inteso discostarsi - la riduzione dei termini, prevista dall'art. 645 c.p.c., comma 2, per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è applicabile anche nella fase di appello, poiché trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di particolare celerità del procedimento monitorio. La Corte ha ulteriormente argomentato evidenziando che tale esigenza di celerità si coglie soprattutto nel procedimento di primo grado attesa la particolare conformazione del provvedimento monitorio: tuttavia ciò, secondo la Corte, non autorizza a ritenere che tale particolare norma non possa essere utilizzata anche nel procedimento d'appello, “per cui sembra davvero arbitrario limitare la norma in questione al giudizio di primo grado”. Per approfondimenti: • Master breve sul nuovo Processo Civile, Altalex Formazione; • Il decreto ingiuntivo e l'opposizione, di De Stefano Franco, Valitutti Antonio, Cedam, 2013. (Altalex, 2 aprile 2014. Nota di Riccardo Bianchini) 10 SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Sentenza 9 ottobre - 22 novembre 2013, n. 26252 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente Dott. BURSESE Gaetano Antonio - rel. Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere Dott. PROTO Cesare Antonio - Consigliere Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 30230-2007 proposto da: T.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato GERACI GIUSEPPE; - ricorrente contro TO.AN.; - intimata sul ricorso 717-2008 proposto da: TO.AN. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell'avvocato STUDIO SEMINARA & ASSOCIATI, rappresentata e difesa dall'avvocato SEMINARA DARIO; - c/ric. e ricorrente incidentale contro T.G.; - intimato avverso la sentenza n. 280/2006 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI di ACIREALE, depositata il 09/11/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2013 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso incidentale e per l'assorbimento del ricorso principale. Svolgimento del processo T.G., proponeva opposizione avverso il decreto ing. n. 118/05 con il quale il Giudice di Pace di Acireale gli aveva ingiunto - istante la propria sorella To.An. - il pagamento in favore della medesima della somma di Euro 1.797,95 a titolo di pagamento di 1/4 dell'imposta di registro e dell'imposta ipotecaria a lui imputabile, da essa corrisposta per provvedere alla registrazione della sentenza resa in un precedente giudizio di divisione ereditaria intercorso tra le stesse parti e definito con la decisione della Corte d'Appello di Catania n. 1212/03. Deduceva l'opponente di nulla dovere per il titolo indicato, per cui chiedeva la revoca o l'annullamento del provvedimento monitorio opposto. L'adito G.d.P. con sentenza n. 388/2005 rigettava l'opposizione ritenendo che l'opposta To.An. avesse diritto al rimborso da parte del fratello della quota parte delle spese di registrazione della sentenza da lei anticipate. La decisione era appellata da T.G.; si costituiva To.An. eccependo l'improcedibilità dell'appello per asserita costituzione tardiva dell'appellante e, nel merito l'infondatezza del gravame. L'adito Tribunale di Catania - sez. distaccata di Acireale, con sentenza n. 280/06, rigettava l'appello, confermando la pronuncia impugnata. Sosteneva il tribunale che l'eccezione d'improcedibilità era priva di pregio in quanto la disposizione di cui all'art. 645 c.p.c., comma 2 (riduzione a metà dei termini per comparire) non si applicava anche al giudizio d'appello. Ribadiva poi che entrambe le parti avevano beneficiato della sentenza resa all'esito del giudizio di divisione celebrato nel loro comune interesse, per cui le spese riguardanti la registrazione della sentenza rientravano tra quelle da porre a carico della massa, senza possibilità di distinguere tra soggetti che hanno ricevuto beni immobili e soggetti che hanno ricevuto somme di danaro. Per la cassazione di tale sentenza ricorre T.G. sulla base di n. 2 mezzi; resiste con controricorso To.An. che propone altresì ricorso incidentale, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.. Motivi della decisione Preliminarmente occorre riunire i ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Appare necessario prendere in esame in via preliminare, il ricorso incidentale con il quale To.An. eccepisce l'improcedibilità dell'appello per tardiva costituzione dell'appellante ai sensi dell'art. 645 c.p.c., comma 2, nel testo allora vigente ratione temporis (... ma i termini per la comparizione sono ridotti della metà: parole poi soppresse dalla L. n. 218 del 2011, art. 1). Osserva l'esponente che la controparte si era avvalsa nel promuovere il giudizio d'appello, del termine a comparire dimezzato, per cui anche il termine utile per la sua costituzione si sarebbe dovuto dimidiare (da 10 a 5 gg) regola che deve ritenersi valida anche in grado appello, in forza del citato art. 645 c.p.c., comma 2. Contrariamente a quando ritenuto dal primo giudice, tale norma invero si applicherebbe all'intero giudizio di opposizione, ivi compreso quindi il grado d'appello e non unicamente al giudizio di 1 grado, come sostenuto dal tribunale. La doglianza è fondata. Intanto è pacifico in giurisprudenza che l'opponente ove si avvalga della facoltà della riduzione del termine a comparire, ha correlativamente l'onere di costituirsi in giudizio osservando un termine ugualmente ridotto ai sensi dell'art. 165 c.p.c. (entro 5 giorni in caso di abbreviazione dei termini), la cui inosservanza, nel giudizio d'appello, comporta l'improcedibilità dell'impugnazione ex art. 348 c.p.c.. Le S.U. di questa Corte hanno stabilito che nel giudizio in esame, la previsione della riduzione a metà dei termini a comparire, stabilita nell'art. 645 c.p.c., comma 2, comporta il dimezzamento automatico dei termini di comparizione dell'opposto e dei termini di costituzione dell'opponente, "discendendo tale duplice automatismo della mera proposizione dell'opposizione con salvezza della facoltà dell'opposto, che si sia costituito nel termine dimidiato, di richiedere ai sensi dell'art. 163 bis c.p.c., comma 3, l'anticipazione della prima udienza di trattazione" (Cass. S.U. sentenza n. 19246 del 09/09/2010). Ha altresì ribadito questa S.C. che: "Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in applicazione della norma di interpretazione autentica dell'art. 165 c.p.c., comma 1, dettata dalla L. 29 dicembre 2011, n. 218, art. 2 la riduzione alla metà del termine di costituzione dell'opponente si applica solo se questi abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all'art. 163-bis c.p.c., comma 1, (Cass. n. 2242 del 16/02/2012). Per quanto riguarda il giudizio d'appello, questa Corte, ha affrontato il problema solo con decisioni non recenti, a cui si ritiene però di dover aderire". La riduzione dei termini, prevista dall'art. 645 c.p.c., comma 2, per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avente carattere facoltativo, è applicabile anche nella fase di appello, poichè trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di particolare celerità del procedimento monitorio. La parte può esercitare tale facoltà senza alcuna preclusione, anche se nel giudizio di primo grado abbia fatto uso dei termini ordinari, ed anche se non vi sia stato espresso richiamo alla suddetta disposizione" (Cass. n. 1040 del 07/04/1971; Cass. n. 3031 del 30/12/1967; Cass. n. 1286 del 21.06.1965). L'interpretazione di tale norma invero sembra più rispondente al dato testuale, essendo la lettera della legge semplice e chiara (... ma i termini per la comparizione sono ridotti della metà, nonchè alla ratio del procedimento monitorio improntata a rapidità. E' vero che tale ultima esigenza si coglie soprattutto nel procedimento di primo grado attesa la particolare conformazione del provvedimento monitorio; ma ciò non autorizza a ritenere che tale particolare norma non possa essere utilizzata anche nel procedimento d'appello, considerata l'indiscussa chiarezza della stessa disposizione che non può essere interpretata al di fuori del contesto normativo in cui è collocata. Ed invero, va pure sottolineato che secondo il disposto di cui all'art. 347 c.p.c." la costituzione in appello avviene secondo le forme ed i termini per i procedimenti davanti al tribunale", per cui sembra davvero arbitrario limitare la norma in questione al giudizio di primo grado. Il ricorso incidentale va dunque accolto, con l'assorbimento di quello principale; ciò comporta, la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, con la declaratoria d'inammissibilità dell'atto di appello; le spese processuali, per il principio della soccombenza sono poste a carico del T.. P.Q.M. riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso incidentale, dichiara assorbito il principale; cassa senza rinvio la sentenza impugnata; dichiara l'improcedibilità dell'appello e condanna G. T. al rimborso delle spese processuali del giudizio d'appello e del presente grado, che liquida: quanto a quello d'appello, in Euro 1.600, di cui 800 per onorario, ed Euro 450,00 per diritti; e quanto al presente giudizio, in Euro 1.500,00 di cui Euro 1.300,00 per onorario ed Euro 200 per esborsi. Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2013. Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2013. 11 Decreto ingiuntivo, opposizione, appello, termini, riduzione Cassazione civile , sez. II, sentenza 22.11.2013 n° 26252 La riduzione dei termini, prevista dall'art. 645, co. 2 c.p.c., per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avente carattere facoltativo, è applicabile anche nella fase di appello, poiché trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di particolare celerità del procedimento monitorio. La parte può esercitare tale facoltà senza alcuna preclusione, anche se nel giudizio di primo grado abbia fatto uso dei termini ordinari, ed anche se non vi sia stato espresso richiamo alla suddetta disposizione. (1) (*) Riferimenti normativi: art. 645, co. 2 c.p.c. (1) Cfr. Cass. Civ., SS.UU., sentenza 9 settembre 2010, n. 19246. (Fonte: Massimario.it - 15/2014. Cfr. nota di Riccardo Bianchini) /SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Sentenza 9 ottobre - 22 novembre 2013, n. 26252 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente Dott. BURSESE Gaetano Antonio - rel. Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere Dott. PROTO Cesare Antonio - Consigliere Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 30230-2007 proposto da: T.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato GERACI GIUSEPPE; - ricorrente contro TO.AN.; - intimata sul ricorso 717-2008 proposto da: TO.AN. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell'avvocato STUDIO SEMINARA & ASSOCIATI, rappresentata e difesa dall'avvocato SEMINARA DARIO; - c/ric. e ricorrente incidentale contro T.G.; - intimato avverso la sentenza n. 280/2006 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI di ACIREALE, depositata il 09/11/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2013 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso incidentale e per l'assorbimento del ricorso principale. Svolgimento del processo T.G., proponeva opposizione avverso il decreto ing. n. 118/05 con il quale il Giudice di Pace di Acireale gli aveva ingiunto - istante la propria sorella To.An. - il pagamento in favore della medesima della somma di Euro 1.797,95 a titolo di pagamento di 1/4 dell'imposta di registro e dell'imposta ipotecaria a lui imputabile, da essa corrisposta per provvedere alla registrazione della sentenza resa in un precedente giudizio di divisione ereditaria intercorso tra le stesse parti e definito con la decisione della Corte d'Appello di Catania n. 1212/03. Deduceva l'opponente di nulla dovere per il titolo indicato, per cui chiedeva la revoca o l'annullamento del provvedimento monitorio opposto. L'adito G.d.P. con sentenza n. 388/2005 rigettava l'opposizione ritenendo che l'opposta To.An. avesse diritto al rimborso da parte del fratello della quota parte delle spese di registrazione della sentenza da lei anticipate. La decisione era appellata da T.G.; si costituiva To.An. eccependo l'improcedibilità dell'appello per asserita costituzione tardiva dell'appellante e, nel merito l'infondatezza del gravame. L'adito Tribunale di Catania - sez. distaccata di Acireale, con sentenza n. 280/06, rigettava l'appello, confermando la pronuncia impugnata. Sosteneva il tribunale che l'eccezione d'improcedibilità era priva di pregio in quanto la disposizione di cui all'art. 645 c.p.c., comma 2 (riduzione a metà dei termini per comparire) non si applicava anche al giudizio d'appello. Ribadiva poi che entrambe le parti avevano beneficiato della sentenza resa all'esito del giudizio di divisione celebrato nel loro comune interesse, per cui le spese riguardanti la registrazione della sentenza rientravano tra quelle da porre a carico della massa, senza possibilità di distinguere tra soggetti che hanno ricevuto beni immobili e soggetti che hanno ricevuto somme di danaro. Per la cassazione di tale sentenza ricorre T.G. sulla base di n. 2 mezzi; resiste con controricorso To.An. che propone altresì ricorso incidentale, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione Preliminarmente occorre riunire i ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Appare necessario prendere in esame in via preliminare, il ricorso incidentale con il quale To.An. eccepisce l'improcedibilità dell'appello per tardiva costituzione dell'appellante ai sensi dell'art. 645 c.p.c., comma 2, nel testo allora vigente ratione temporis (... ma i termini per la comparizione sono ridotti della metà: parole poi soppresse dalla L. n. 218 del 2011, art. 1). Osserva l'esponente che la controparte si era avvalsa nel promuovere il giudizio d'appello, del termine a comparire dimezzato, per cui anche il termine utile per la sua costituzione si sarebbe dovuto dimidiare (da 10 a 5 gg) regola che deve ritenersi valida anche in grado appello, in forza del citato art. 645 c.p.c., comma 2. Contrariamente a quando ritenuto dal primo giudice, tale norma invero si applicherebbe all'intero giudizio di opposizione, ivi compreso quindi il grado d'appello e non unicamente al giudizio di 1 grado, come sostenuto dal tribunale. La doglianza è fondata. Intanto è pacifico in giurisprudenza che l'opponente ove si avvalga della facoltà della riduzione del termine a comparire, ha correlativamente l'onere di costituirsi in giudizio osservando un termine ugualmente ridotto ai sensi dell'art. 165 c.p.c. (entro 5 giorni in caso di abbreviazione dei termini), la cui inosservanza, nel giudizio d'appello, comporta l'improcedibilità dell'impugnazione ex art. 348 c.p.c. Le S.U. di questa Corte hanno stabilito che nel giudizio in esame, la previsione della riduzione a metà dei termini a comparire, stabilita nell'art. 645 c.p.c., comma 2, comporta il dimezzamento automatico dei termini di comparizione dell'opposto e dei termini di costituzione dell'opponente, "discendendo tale duplice automatismo della mera proposizione dell'opposizione con salvezza della facoltà dell'opposto, che si sia costituito nel termine dimidiato, di richiedere ai sensi dell'art. 163 bis c.p.c., comma 3, l'anticipazione della prima udienza di trattazione" (Cass. S.U. sentenza n. 19246 del 09/09/2010). Ha altresì ribadito questa S.C. che: "Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in applicazione della norma di interpretazione autentica dell'art. 165 c.p.c., comma 1, dettata dalla L. 29 dicembre 2011, n. 218, art. 2 la riduzione alla metà del termine di costituzione dell'opponente si applica solo se questi abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all'art. 163-bis c.p.c., comma 1, (Cass. n. 2242 del 16/02/2012). Per quanto riguarda il giudizio d'appello, questa Corte, ha affrontato il problema solo con decisioni non recenti, a cui si ritiene però di dover aderire". La riduzione dei termini, prevista dall'art. 645 c.p.c., comma 2, per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avente carattere facoltativo, è applicabile anche nella fase di appello, poichè trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di particolare celerità del procedimento monitorio. La parte può esercitare tale facoltà senza alcuna preclusione, anche se nel giudizio di primo grado abbia fatto uso dei termini ordinari, ed anche se non vi sia stato espresso richiamo alla suddetta disposizione" (Cass. n. 1040 del 07/04/1971; Cass. n. 3031 del 30/12/1967; Cass. n. 1286 del 21.06.1965). L'interpretazione di tale norma invero sembra più rispondente al dato testuale, essendo la lettera della legge semplice e chiara (... ma i termini per la comparizione sono ridotti della metà, nonchè alla ratio del procedimento monitorio improntata a rapidità. E' vero che tale ultima esigenza si coglie soprattutto nel procedimento di primo grado attesa la particolare conformazione del provvedimento monitorio; ma ciò non autorizza a ritenere che tale particolare norma non possa essere utilizzata anche nel procedimento d'appello, considerata l'indiscussa chiarezza della stessa disposizione che non può essere interpretata al di fuori del contesto normativo in cui è collocata. Ed invero, va pure sottolineato che secondo il disposto di cui all'art. 347 c.p.c." la costituzione in appello avviene secondo le forme ed i termini per i procedimenti davanti al tribunale", per cui sembra davvero arbitrario limitare la norma in questione al giudizio di primo grado.) Il ricorso incidentale va dunque accolto, con l'assorbimento di quello principale; ciò comporta, la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, con la declaratoria d'inammissibilità dell'atto di appello; le spese processuali, per il principio della soccombenza sono poste a carico del T. P.Q.M. riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso incidentale, dichiara assorbito il principale; cassa senza rinvio la sentenza impugnata; dichiara l'improcedibilità dell'appello e condanna G. T. al rimborso delle spese processuali del giudizio d'appello e del presente grado, che liquida: quanto a quello d'appello, in Euro 1.600, di cui 800 per onorario, ed Euro 450,00 per diritti; e quanto al presente giudizio, in Euro 1.500,00 di cui Euro 1.300,00 per onorario ed Euro 200 per esborsi. Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2013. Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2013.