Dispensa relativa a Lezione I

annuncio pubblicitario
Dispensa I lezione
La definizione della qualità da un punto di vista economico
“…l’economista di alto livello deve avere una rara combinazione di
doti. Deve essere, in qualche misura, matematico, statista, filosofo. Deve
capire i simboli ed esprimersi in parole. Deve considerare il particolare alla
luce del generale, e toccare l’astratto e il concreto nello stesso tratto di
pensiero. Deve studiare il presente alla luce del passato ai fini del futuro.
Non c’è parte della natura e delle istituzioni umane del tutto estranea al suo
ambito. Dev’essere simultaneamente risoluto e disinteressato; distaccato e
incorruttibile come un artista, eppure a volte vicino alla terra come un
politico”.
John Maynard Keynes
1. Introduzione
Lo scopo di questo primo capitolo è di “inquadrare” lo studio della qualità da un punto di vista economico.
Per questo motivo viene prima descritto brevemente il ruolo delle produzioni di qualità nel mondo
globalizzato evidenziando il crescente peso della produzione “high-value” nel corso degli ultimi anni sul
totale degli scambi agroalimentari mondiali. Successivamente si delineano i principali modelli della teoria
neoclassica che permetteranno di comprendere meglio con l’avanzamento del corso, alcuni fenomeni
economici legati al mercato dei prodotti agroalimentari e al comportamento del consumatore. Nel quarto
paragrafo infine, viene definita la qualità e le sue implicazioni per il consumatore da un punto di vista
economico.
2. Il ruolo delle produzioni di qualità nel mondo globalizzato
“La globalizzazione – cioè il processo di progressivo aumento ed integrazione degli scambi internazionali di
merci e capitali, determinato dalla riduzione dei costi di transazione e dalla progressiva liberalizzazione degli
scambi internazionali – ha comportato dei cambiamenti fondamentali nelle “regole del gioco” della
competizione internazionale. Si è passati, infatti, da una competizione basata sui costi di produzione e sui
vantaggi comparati, a una competizione basata sulla qualità e sulla reputazione dei prodotti. La prova più
eclatante di questo fenomeno è rappresentata dal rapido aumento della quota di servizi sul valore degli
scambi internazionali che, tra il 1983 ed il 2003, è passata dal 16% al 20% ed è quadruplicata in valore
assoluto (WTO, 2004). Si tratta di un fenomeno generalizzato, che si manifesta tanto nei paesi sviluppati,
quanto in quelli meno sviluppati, e che caratterizza, anche se in maniera diversificata, tutti i settori
economici. Ad esempio, solo nel corso degli anni ’90, il peso dei prodotti agricoli high-value è passato dal
42% al 48% del valore delle esportazioni agricole totali (WTO, 2004). Questa tendenza sta diventando
sempre più significativa e tutto lascia prevedere che continuerà anche in futuro, con il commercio delle
commodities tradizionali (come cereali, zucchero, tabacco, caffé, ecc.) che vedrà ulteriormente diminuire il
proprio peso, mentre quello dei prodotti di qualità è destinato ad aumentare.
Quale è, dunque, il ruolo del nostro paese in questo contesto dinamico? I dati Ismea (2005a) mostrano che,
nel 2004, la bilancia commerciale del settore agroalimentare italiano non si è modificata di molto rispetto agli
anni precedenti, con un saldo negativo intorno a 7.700 milioni di euro, caratterizzato da una crescita delle
importazioni (+4,7%) superiore alla crescita della esportazioni (+3,9%). Tuttavia, se è vero che, a livello di
volumi la situazione sostanzialmente non cambia, osservando i prezzi medi delle esportazioni si può
riconoscere l’esistenza di una forbice ormai strutturale: i prodotti agroalimentari italiani vengono scambiati
sui mercati internazionali a prezzi più elevati rispetto a quelli dei principali concorrenti e questo dato se, da
una parte potrebbe indicare una difficoltà da parte delle nostre imprese a competere in termini di costi di
produzione, dall’altra, potrebbe essere il sintomo di un migliore mix qualitativo del nostro export” (Romano e
Cavicchi, in corso di stampa)
3. Lo studio dell’economia: la “ratio” e i modelli principali della teoria neoclassica
“Dalla metà degli anni 40 dell’800 alla prima guerra mondiale si assiste a una rapida espansione economica
in quasi tutti i paesi europei e nel Nord America. La rapida crescita industriale è accompagnata ad un grado
crescente di concentrazione del capitale. I mutamenti principali sono caratterizzati da nuove tecniche di
trasporto, ispessimento della comunicazione, espansione delle società per azioni (controllo di molti capitali).
Il principio che viene preso come riferimento fondamentale dalla teoria economica neoclassica vede
il comportamento umano basato sul calcolo razionale teso alla massimizzazione dell’utilità. A questo
principio viene data importanza universale: si può capire tutta la realtà economica.
Quindi, da questo punto di vista si vive una specie di assimilazione alle scienze naturali e alla fisica in
particolare. Il privilegio viene dato allo scambio rispetto alla produzione che caratterizzava invece la teoria
classica. L'economia neoclassica sviluppa in modo formale la metafora della "mano invisibile" di Adam
Smith, secondo cui gli interessi dei singoli convergono verso l'interesse collettivo, ovvero il massimo
benessere, attraverso il meccanismo impersonale della concorrenza.
L'economia neoclassica è basata sul concetto di equilibrio. Il mercato di concorrenza perfetta garantisce
l'ottima allocazione delle risorse e il coordinamento delle decisioni dei singoli attori atomistici è ottenuto
attraverso i prezzi. In equilibrio tutte le imprese sono uguali e gli extra-profitti sono nulli
Il modello di partenza della teoria economica neoclassica è quello della concorrenza perfetta. Si tratta di
una forma di mercato caratterizzata dall'alto numero di venditori e compratori e dall'omogeneità del prodotto
offerto: i prodotti, essendo ottenuti dalle varie imprese mediante processi produttivi molto simili (o addirittura
uguali), sono difficilmente distinguibili tra loro o non lo sono affatto. In tale forma di mercato non è possibile
per alcun soggetto economico influire sulla determinazione del prezzo che, invece, è il risultato della libera
contrattazione tra offerenti e acquirenti.
Le caratteristiche che contraddistinguono un tale tipo di mercato sono:
- atomicità: nel mercato sono presenti infiniti soggetti economici, ognuno dei quali domanda ed offre beni che
costituiscono una piccolissima percentuale della merce complessivamente presente sul mercato. In tal modo
nessun singolo operatore economico individualmente considerato è in grado di influenzare con il suo
atteggiamento la domanda o l'offerta e, di conseguenza, il prezzo del bene;
- trasparenza: le condizioni delle contrattazioni, i prezzi e la qualità delle merci sono note a tutti gli operatori;
- libertà (o assenza di coalizioni): ciascun operatore è libero di acquistare o vendere le quantità che
desidera. Ogni soggetto economico, cioè, deve essere in grado di entrare in qualsiasi momento nel mercato
come consumatore o produttore. Non devono, inoltre, esistere intese fra gli imprenditori tendenti ad impedire
l'entrata nel mercato di nuove imprese;
- omogeneità: tutti i compratori possono acquistare beni che presentano analoghe caratteristiche presso un
qualsiasi produttore;
- fluidità: i produttori e i consumatori al prezzo di mercato riescono a vendere e ad acquistare tutta la merce
che desiderano.
Come è facilmente comprensibile, una forma di mercato perfettamente concorrenziale è difficilmente
realizzabile nel sistema economico; lo schema teorico del mercato di concorrenza perfetta è stato tuttavia,
per lungo tempo, accolto dalla scienza economica come esempio tipico del modo in cui dovrebbe funzionare
un mercato che assicuri la massima efficienza allocativa.
In regime di concorrenza perfetta i consumatori non sono in grado, né come singoli né come gruppo, di
influire con la loro condotta sul prezzo del bene: essi possono solo decidere quanto acquistare di un certo
bene in corrispondenza di un dato prezzo, fissato dal mercato.
Analogamente, gli offerenti del bene non sono in grado di determinare un prezzo senza tener conto della
concorrenza: essi possono solo decidere quale quantità offrire per ognuno dei prezzi che si formano,
spontaneamente, come risultato del comportamento simultaneo degli altri offerenti e dei possibili acquirenti.
Il monopolio invece è l’ipotesi di studio della realtà utilizzata in contrapposizione alla concorrenza perfetta.
Si tratta di una forma di mercato in cui tutta l'offerta di un dato bene o servizio è concentrata nelle mani di
un'unica impresa, la quale può influenzare unilateralmente il prezzo di vendita modificando a proprio
piacimento la quantità offerta. All'offerta del monopolista si contrappone una domanda frazionata tra
numerosi acquirenti. Si possono rintracciare due tipologie di monopolio nella realtà: legale o “di fatto”. La
prima si instaura quando, con disposizioni di legge, la produzione e l'offerta di un bene o servizio è attribuita
in esclusiva allo Stato o ad un'impresa da esso designata: è il caso delle aziende municipalizzate.
L'espressione monopolio di fatto è invece utilizzata per indicare il caso in cui l'offerta è concentrata nelle
mani di un'unica impresa, che si è imposta sul mercato dopo aver eliminato tutte le rivali. Quest'ultima
accezione del termine monopolio, tuttavia, indica un'ipotesi difficilmente riscontrabile nella realtà. Anche
l'impresa monopolistica deve organizzare la propria azione secondo taluni comportamenti che le permettono
di rendere massimo il profitto, vale a dire di massimizzare la differenza tra ricavi e costi. Per poter
determinare la condizione di equilibrio dell'impresa monopolista è necessario considerare tre variabili: la
domanda di mercato, i costi di produzione ed il ricavo del monopolista. Per definizione, l'impresa
monopolista è l'unico venditore di un prodotto, il mercato è quindi disposto ad assorbire una produzione via
via maggiore solo al decrescere del prezzo. Il monopolista, quindi, come unico offerente del prodotto può,
entro certi limiti, stabilirne il prezzo variando la quantità prodotta ed immessa successivamente nel mercato.
In regime di monopolio al crescere della quantità venduta di un bene, il prezzo tende a diminuire, in quanto il
monopolista, essendo unico sul mercato, ha di fronte a sé tutti i consumatori che domandano quel bene: per
indurli ad acquistare una quantità maggiore di esso deve operare una riduzione del prezzo.
La concorrenza monopolistica ipotizzata da Chamberlin1 è una forma di mercato caratterizzata dalla
presenza di un numero considerevole di imprese, le quali possono esercitare il proprio potere di mercato
attraverso la differenziazione, sia pur minima, del prodotto. La presenza di prodotti simili, ma non uguali,
crea una fedeltà del consumatore verso il prodotto della singola impresa; in altre parole, il consumatore
considera i beni che gli vengono offerti non perfettamente sostituibili tra loro. Questo crea potere di mercato,
in quanto ciascuna impresa sa di poter aumentare il prezzo senza perdere tutti i clienti, a differenza di
quanto accade in concorrenza perfetta. Qualcuno verrà scoraggiato dall'aumento e sceglierà un bene simile
offerto da un produttore diverso, ma altri rimarranno fedeli al bene acquistato fino a quel momento. Ciò che
differenzia la concorrenza monopolistica dall'oligopolio (vedi modello successivo), invece, è la mancanza di
interazione fra le imprese. Questo modello si pone ad un livello intermedio tra i due modelli estremi: quello
della concorrenza perfetta e del monopolio
L'esempio tipico di un mercato di concorrenza monopolistica è costituito dai negozi al dettaglio, ad esempio
di generi alimentari. In questo caso, l'elemento di differenziazione fra prodotti è la collocazione del negozio
(in questo caso la localizzazione è un attributo di differenziazione): per l'utente tipico, il negozio di alimentari
che conta è quello sotto casa, o quello nella strada accanto, o magari, se i prezzi sono eccellenti, quello di
due strade più in là. .
L’oligopolio è una forma di mercato in cui poche imprese di grandi dimensioni sono strategicamente
collegate fra di loro. In essa, cioè, dato il numero limitato delle imprese, nessuna potrà prendere una
decisione senza cercare di prevedere le reazioni che il suo comportamento provocherà nelle rivali. Ciò
significa che l'impresa oligopolista, al contrario di quelle monopolistiche e di quelle che operano in
concorrenza perfetta, non conosce con certezza quale quota della domanda di mercato le spetta. L'analisi
1
Chamberlin Edward Hastings (Washington, 1899 - Cambridge, Mass. 1967) Economista statunitense famoso per le
teorie sui mercati di concorrenza monopolistica. Con la sua opera “The Theory of Monopolistic Competition”, del tutto
innovatrice (siamo negli anni Trenta), introdusse un approccio alla realtà economica che teneva conto delle imperfezioni
dei mercati e di fenomeni quali la pubblicità e la non omogeneità dei prodotti. Partendo da un’attenta osservazione della
realtà degli scambi, Chamberlin sosteneva che certi beni si differenziano da altri con l’effetto di far emergere delle
preferenze nei consumatori, i quali sceglieranno i venditori non casualmente, ma distinguendo in maniera critica.
empirica, poi, ha dimostrato come le imprese oligopoliste abbiano spesso comportamenti collusivi. Dato per
scontato che ciascuna di esse cercherà di allargare la propria quota di mercato nel lungo periodo, nel breve
periodo esse cercheranno di evitare qualsiasi guerra dei prezzi, cercando invece di differenziare il proprio
prodotto e di giungere ad accordi sul livello dei prezzi e delle quote di mercato. Questi accordi possono
essere formali e giungere alla costituzione di un cartello. Altre volte, invece, le intese sono meno formali ma
altrettanto efficaci: in questo caso le aziende coordinano la propria attività e si informano rispettivamente sui
cambiamenti nei listini di prezzo, evitando così il rischio che una variazione di prezzo sia interpretata come
un tentativo di mutare le quote di mercato. Le imprese che appartengono ad una stessa industria possono
anche fondersi per eliminare la concorrenza al loro interno e, di conseguenza, limitare quella di imprese non
aderenti al patto; ottenuto lo scopo, il nuovo trust cercherà di fissare alte barriere che impediscano l'entrata
di nuove imprese” (Revisioni da Dizionario Economico – Edizioni Simone)
Ritorniamo sul concetto di comportamento razionale del consumatore su cui si basa tutta la teoria
economica neoclassica. Un estratto dal libro di Campiglio “Tredici Idee per Ragionare di Economia” (2002,
pagg. 51-53), permette di comprendere meglio i fattori in gioco:
“Come sta oggi?”: homo oeconomicus ed egoismo razionale.
“Negli Stati Uniti mentre paghiamo la spesa al supermercato la cassiera ci chiede con un sorriso: “come sta
oggi?”. Non è il caso di intavolare una conversazione sulla nostra vita con la cassiera, anche se simpatica,
perché lei sta solo facendo il suo lavoro; forse non è in realtà particolarmente interessata a come va la
nostra vita e per di più ci sono altri clienti in coda a cui rivolgerà la stessa domanda. Quelle parole gentili
sono solo strumentali alle maggiori vendite del supermercato: anche se siamo consapevoli di tutto ciò la
domanda ci fa piacere ugualmente. Perché? Perché sappiamo che nella vita economica vince chi fa meglio i
propri interessi privati, ma allo stesso tempo ci piacerebbe vivere in un mondo più “gentile”.
Sul piano teorico, la convenzionale visione dell’uomo che decide solo in funzione del proprio interesse
privato è sintetizzata dal concetto del cosiddetto homo oeconomicus il cui comportamento è guidato da un
egoismo utilitarista con il quale, di regola, viene fatta coincidere l’idea di razionalità economica. Il sostantivo
“egoismo”, che nella lingua italiana ha un’implicita valutazione etica negativa, viene qui utilizzato con un
significato neutrale analogo al termine inglese self-interest, cioè interesse per se stesso. Porre l’egoismo
razionale come unico fondamento del comportamento umano rappresenta una notevole semplificazione
della molteplicità di motivazioni umane: ma se ci si pone il problema di prevedere il comportamento di un
soggetto economico, l’ipotesi che egli sia guidato esclusivamente dal proprio interesse individuale consente
id prevedere con gran accuratezza il suo effettivo comportamento futuro. Il fatto che il comportamento
umano sia in realtà molto più difficile da prevedere suggerisce come l’egoismo razionale, pur essendo una
potente molla del comportamento, non sia tuttavia unica. Riassumiamo gli elementi centrali di tale visione.
Ogni possibile scelta di azione di un soggetto economico, cioè ogni decisione, implica una conseguenza: se
ad esempio dobbiamo scegliere se passare le nostre vacanze al mare o in montagna, la nostra scelta
dipenderà da una molteplicità di fattori, come le nostre preferenze ed esigenze fisiche, le preferenze e le
esigenze fisiche di coloro con cui intendiamo passare le vacanze, il costo degli alberghi e la nostra
disponibilità di reddito. Sceglieremo quell’azione (mar o montagna) a cui è associata la conseguenza
migliore, sulla base delle nostre preferenze e dato il vincolo di bilancio delle risorse disponibili: ad esempio la
famiglia con bambini piccoli sceglierà le vacanze al mare, in un posto tranquillo, per ragioni di salute dei
bambini e riposo proprio. In presenza di incertezza, a ogni decisione si associano più conseguenze possibili
(il numero di giornate al sole o in montagna) e il soggetto economico sceglie allora quell’azione per la quale
è migliore la conseguenza probabile. In molte situazioni elementari (come il mangiare i consueti biscotti al
mattino) è tuttavia ragionevole ipotizzare che non esista incertezza sulla conseguenza della decisione.
Le preferenze rispecchiano i motivi dell’azione e la migliore conseguenza è misurata (convenzionalmente) in
termini di utilità, cioè di “benessere” del consumatore: ad esempio il problema del consumatore che entra al
supermercato consiste nello scegliere un paniere di beni, ad esempio arance e mele, in modo tale da
massimizzare la sua utilità senza spendere più del denaro (o del credito) disponibile. Vediamo più
precisamente come questo comportamento individuale può essere tradotto sul piano teorico (come tutte le
traduzioni non è l’unica possibile). Supponiamo che, sulla base delle proprie preferenze, il consumatore sia
in grado di “mettere in ordine” i possibili panieri di consumo, dal più al meno preferito. In altra parole, di
fronte ai possibili panieri di arance e mele il consumatore è in grado di fare una graduatoria: ad esempio
potrà sostenere di preferire il paniere A (3 arance e 3 mele) al paniere B (2 arance e 3 mele) e quest’ultimo
al paniere C (2 arance e 2 mele). La graduatoria delle preferenze vede quindi il paniere A al 1° posto, il
paniere B al 2° posto e il paniere C al 3° posto: possiamo perciò attribuire un numero a ciascun paniere in
modo tale da rispettare la precedente classifica, ad esempio assegnando il numero 5 al paniere A, il numero
4 al paniere B e il numero 3 al paniere C. Questi numeri rappresentano la funzione di utilità che rispecchia le
preferenze sottostanti al consumatore. Poiché possiamo attribuire qualunque altra terna di numeri, solo a
patto di rispettare l’ordine (ad esempio i tre precedenti numeri potrebbero essere sostituiti da 8, 4, 2), la
funzione di utilità è anche chiamata ordinale (ordina, ma non misura, l’utilità e le preferenze). L’ipotesi di
comportamento è che il consumatore massimizzi la sua utilità totale, il che avviene in corrispondenza del
paniere A: per realizzare ciò tiene conto della sua utilità marginale. Nel nostro esempio l’utilità marginale di
un’arancia è pari all’aumento di utilità totale che si realizza passando dal paniere B (2 arance e 3 mele) al
paniere C (3 arance e 3 mele) che contiene un’arancia in più: per questo motivo l’utilità marginale è anche
chiamata utilità dell’ultimo bene consumato.
Quella descritta è una plausibile traduzione del comportamento individuale di consumo riportata in tutti i libri
di testo di economia: ma non è l’unica possibile. Nell’ambito di questa traduzione non vi è spazio per gli
acquisti d’impulso (quante volte usciamo dal supermercato con un paniere diverso da quello programmato?)
e nemmeno per la gentilezza delle cassiere o del personale. Per prevedere il comportamento individuale dei
consumatori il concetto di utilità è utile, ma non basta (come ben sanno gli esperti di marketing). Inoltre una
visione dell’uomo basata sull’egoismo razionale può risultare inadeguata per spiegare comportamenti
individuali di rilevanza collettiva, come rispettare l’ambiente, aiutare eventuali sconosciuti nel bisogno o
votare alle elezioni: l’incentivo economico del denaro, per i consumatori così come per le imprese, è solo
una delle spinte del comportamento umano.”
Tutti quegli aspetti che riguardano il collegamento tra economia, marketing, psicologia e sociologia verranno
analizzati nei capitoli successivi analizzando in particolare lo studio del comportamento del consumatore.
4. Definizione di qualità
4.1 La qualità: un concetto dinamico
“Definire la qualità di un prodotto e in particolar modo di un bene alimentare non è semplice 2. La
complessità nasce dalla multidimensionalità del concetto, derivante a sua volta dalla pluralità di
caratteristiche e proprietà che il bene possiede. Una definizione operativa di qualità viene data a livello
internazionale dalle norme ISO. In particolare, la ISO 9000 definisce la qualità come “l’insieme delle
caratteristiche di un prodotto o servizio che soddisfano le esigenze del cliente”. La ISO 8402, in maniera più
estensiva, definisce la qualità come “l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un
servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite”.
D’altra parte, il Reg. (CE) 178/2002 indica che per alimento può intendersi “qualsiasi sostanza o prodotto
trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato a essere ingerito o di cui si prevede
ragionevolmente che possa essere ingerito”. Di conseguenza, considerando che la qualità è la rispondenza
di un prodotto al fine per il quale è destinato e considerando che nel caso dei prodotti agro-alimentari il fine è
il consumo, allora “un maggiore o minore grado di qualità di un bene alimentare si può identificare con un
maggiore o minore numero di proprietà che soddisfano le esigenze o i gusti del consumatore” (Nichols, 1993
in Mariani e Viganò, 2002: 176).
Queste definizioni pongono l’accento sulla rispondenza delle caratteristiche del prodotto alle esigenze del
cliente, sia esso un utilizzatore intermedio o il consumatore finale. Un modello economico che consente di
2
Per una rassegna delle diverse definizioni del concetto di qualità, si veda il n. 6 del 1995 della rivista Food Quality and
Preferences che tratta esplicitamente l’argomento.
trattare adeguatamente tali aspetti è quello di Lancaster (1971) il quale, nella sua modellizzazione della
domanda per beni qualitativamente differenziati, ipotizza che (i) tutti i beni possiedono caratteristiche
oggettive rilevanti per le scelte del consumatore, (ii) il contenuto in caratteristiche di un dato bene è
determinato univocamente e (iii) i consumatori differiscono nelle loro reazioni alle differenti caratteristiche. Si
possono così riconoscere due stadi distinti nella valutazione di un bene: il primo riguarda la valutazione
oggettiva rispetto al contenuto di caratteristiche di un bene, il secondo, invece, concerne le preferenze
soggettive espresse dal consumatore per insiemi di caratteristiche 3.
Più in generale, è possibile distinguere tra dimensioni “oggettive” della qualità, afferenti a caratteristiche
(fisiche, chimiche, ecc.) che fanno parte direttamente di un dato prodotto e sono oggetto del lavoro di
ingegneri e tecnologi, e dimensioni “soggettive”, che fanno invece riferimento a caratteristiche percepite dai
consumatori4. La relazione tra queste due dimensioni è cruciale per comprendere la valenza economica
della qualità. Infatti, “solo quando i produttori possono tradurre i desideri dei consumatori in caratteristiche
fisiche del prodotto e solo quando i consumatori possono inferire le qualità desiderate dal modo in cui il
prodotto è stato costruito, allora la qualità diventa un parametro della competizione per i produttori” (Grunert,
2005: 371-2). È l’interazione di questi due aspetti – l’offerta e la domanda di qualità – che determina
l’interesse economico e la necessità di politiche per la qualità.
Se si accetta questa impostazione, è evidente come la qualità sia un concetto che non può essere definito
una volta per tutte, ma evolve nel corso del tempo. Infatti, l’attenzione al lato della domanda (esigenze del
cliente) richiama l’importanza della dinamica del consumo. Al riguardo, un concetto importante è quello noto
come legge di Engel che sottolinea come, con il procedere del processo di sviluppo, la domanda di beni e
servizi (i) si esplicita su una gamma sempre maggiore di prodotti, e (ii) attiva domande di beni che sono
gerarchicamente sovra-ordinati nella struttura di preferenze dei consumatori (Falkinger e Zweimüller, 1996).
D’altra parte, fin dal pionieristico lavoro di Chamberlin (1938) sulla competizione monopolistica, è stato
evidente come la differenziazione qualitativa dei prodotti rappresenti, nella realtà delle economie sviluppate,
la regola più che l’eccezione alle ipotesi standard della teoria economica neoclassica (concorrenza perfetta),
in cui si presupponeva l’omogeneità dei prodotti5. La differenziazione non è casuale, ma è l’effetto di azioni
deliberate da parte degli imprenditori volte a cogliere le opportunità offerte dalla strategia “differenziazione
produttiva → segmentazione del mercato → comunicazione pubblicitaria → estrazione di (quasi) rendite”.
Ovviamente, un ruolo cruciale dal lato della produzione viene giocato dall’innovazione tecnologica, che
rende possibile sempre più la differenziazione.
In buona sostanza, è l’interazione tra evoluzione dei consumi ed evoluzione della tecnologia che fa della
qualità un fattore determinante per la dinamica strutturale di settori e sistemi economici (Pasinetti, 1981 e
1984). È l’interazione tra dinamica del consumo e dell’offerta che offre nuove opportunità per quei produttori
e quelle filiere che sono disposti ad assumersi il rischio della differenziazione produttiva, anche e soprattutto
in un contesto di globalizzazione. Di conseguenza, molti settori produttivi vedono questa come un’occasione
per competere non solo sui costi di produzione, ma anche in termini di qualità, con prospettive di un
aumento della quota di valore aggiunto di propria competenza.
3
Si noti come la scomposizione del processo di valutazione in due stadi consenta di trattare sia quella che in letteratura
viene definita come differenziazione orizzontale di un prodotto (qualità-varietà), sia la sua differenziazione verticale
(qualità-eccellenza).
4 È evidente come esista corrispondenza solo parziale tra dimensioni oggettive e soggettive (Grunert, 2005) e
caratteristiche intrinseche o estrinseche, rispettivamente, così come definite da Steenkamp (1990). Infatti, mentre esiste
coincidenza tra caratteristiche oggettive ed intrinseche del prodotto (p.e. la forma, il colore o la dimensione), le
caratteristiche estrinseche – che, pur essendo collegate al prodotto, non riguardano la descrizione fisica (p.e. la regione
di origine, la marca e il prezzo) – non coincidono con il concetto di qualità soggettiva, che invece implica l’interazione tra
utilizzatore e prodotto con la relativa mediazione delle percezioni dell’utilizzatore.
5 Partendo da un’attenta osservazione della realtà degli scambi, Chamberlin sosteneva che certi beni si differenziano da
altri con l’effetto di far emergere delle preferenze nei consumatori, i quali sceglieranno i venditori non casualmente, ma
distinguendo in maniera critica. Più recentemente, Falkinger e Zweimüller (1996) hanno sostenuto, analizzando dati
cross-section sulla spesa provenienti dall’International Comparison Project (ICP) delle Nazioni Unite, che la
diversificazione della produzione osservabile a livello internazionale è il risultato dell’azione di una struttura gerarchica
della domanda, piuttosto che di un processo di diversificazione imputabile alla competizione monopolistica (che
rappresenta la spiegazione originaria di Chamberlin).
Va tuttavia sottolineato che l’approccio basato sull’interazione tra domanda ed offerta, che rappresenta
l’approccio economico tradizionale, è stato recentemente integrato da una terza dimensione, quella della
percezione della qualità sulla base degli studi di marketing in cui è stata messa in evidenza la centralità di
questa componente che svolge il ruolo di “mediatore” tra domanda ed offerta (figura 1).
Figura 1: Ricerca di qualità e sicurezza alimentare
Offerta di qualità e
sicurezza
Settore Primario
Prima
Trasformazione
Percezione di qualità e
sicurezza da parte del
consumatore
Domanda di qualità e
sicurezza da parte del
consumatore
Seconda
Trasformazione
Dettaglio
Fonte: nostra elaborazione da Grunert (2005, p. 370)
4.2 Qualità e asimmetrie informative
L’informazione costituisce un tema di fondamentale importanza per lo studio della qualità. Infatti, tra le varie
tipologie di fallimento del mercato, l’asimmetria informativa è quella che riguarda più da vicino il concetto di
qualità6. È infatti evidente come il consumatore/acquirente si ponga sul mercato in una posizione
svantaggiata rispetto a quella del produttore/venditore: quest’ultimo sarà sempre più informato della
controparte sulle caratteristiche del bene, soprattutto se tali caratteristiche non sono immediatamente
rilevabili prima dell’acquisto7. Ne consegue la possibilità che il venditore possa adottare dei comportamenti
opportunistici. In particolare, la “selezione avversa” (Akerlof, 1970), determinata dal gap tra qualità attesa e
qualità effettiva di un prodotto, ha come conseguenza fondamentale la progressiva diminuzione degli scambi
di beni di qualità e, in ultima analisi, un mercato incompleto o addirittura mancante. Per ovviare al fallimento
del mercato sarà allora necessario l’intervento da parte dell’ente pubblico.
Cruciale in tale contesto è la distinzione dei beni in funzione dei costi e delle modalità di acquisizione
dell’informazione da parte del consumatore (Nelson, 1970 e 1974; Darby e Karny, 1973), che consentono di
classificare le caratteristiche – e i beni cui esse si riferiscono – come caratteristiche ricerca (search),
esperienza (experience) e fiducia (credence) in base alla rilevanza dei costi di informazione prima e dopo
l’acquisto (Tabella 1). Le caratteristiche ricerca possono essere determinate prima dell’acquisto e sono, ad
esempio, rappresentate da colore, odore o grandezza di un prodotto; le seconde, come per esempio il gusto,
possono essere verificate solo dopo l’acquisto e la prova; infine, le ultime sono relative ad attributi
difficilmente verificabili anche dopo l’acquisto: è il caso di pesticidi e sostanze cancerogene presenti nella
6
Ad esempio, i problemi relativi alla sicurezza alimentare causati da informazione imperfetta e asimmetrica e da elevati
costi di transazione connessi all’individuazione dell’informazione, giustificano un intervento di regolazione da parte
dell’autorità pubblica (cfr. Jensen e Unnevehr, 1995).
7 Cfr. oltre il concetto di caratteristiche credence.
frutta, la cui rilevanza può essere dimostrata solo dopo adeguate analisi o addirittura dopo molto tempo dal
consumo a causa dell’insorgere di gravi malattie.
Dal punto di vista operativo, è ovvio come, nel caso delle caratteristiche “ricerca” non esistano problemi di
fallimento del mercato, mentre questi esistono sempre con riferimento alle caratteristiche “fiducia” e possono
esistere in relazione a quelle “esperienza”.
Tabella 1: Tipologie di beni in base ai costi di informazione
Tipologia
Caratteristiche ricerca
Costi di acquisizione
dell’informazione sulla qualità prima
dell’acquisto
Costi di acquisizione
dell’informazione sulla
qualità dopo l’acquisto
Bassi
Caratteristiche esperienza
Alti
Bassi
Caratteristiche fiducia
Alti
Alti
In quest’ultimo caso, infatti, il fallimento del mercato potrebbe essere risolto tramite meccanismi di
reputazione (Klein e Leffler, 1981) in presenza di acquisti ripetuti e con circolazione dell’informazione rapida
e poco onerosa. Quando i consumatori però non possono distinguere cibi con diversi livelli di
qualità/sicurezza il meccanismo della reputazione non funziona più. Si applica pertanto una sorta di legge di
Gresham: i prodotti cattivi (bassa sicurezza-basso costo) scacciano i prodotti buoni (alta sicurezza- alto
costo)” (Romano e Cavicchi, in corso di stampa).
Scheda 1 - Legge di Gresham (Tratto da Wikipedia)
La Legge di Gresham afferma che la moneta cattiva caccia quella buona.
Attribuita all'inglese Sir Thomas Gresham (1519-1579), agente di commercio al servizio della monarchia
britannica che la enunciò nel 1551, era probabilmente già nota da alcuni decenni, ritrovandosi per
esempio nel trattato sul conio edito da Copernico nel 1525.
In un sistema monetario nel quale il valore nominale delle monete era pari al loro contenuto in oro o in
metalli preziosi, era piuttosto comune che le monete in circolazione perdessero parte del metallo
prezioso di cui erano composte per effetto dell'uso o per la pratica illegale consistente nel grattare,
raschiare, tagliuzzare i bordi delle monete (non per nulla nacque l'uso della zigrinatura del bordo).
Accadeva così che alcune monete, solitamente quelle in circolazione da più tempo, avessero un valore
intrinseco decisamente inferiore al valore nominale. In altri termini tali monete, considerate "cattive",
continuavano ad avere ufficialmente un valore determinato dal tipo di moneta (oggi diremmo il valore su
di esse stampato), mentre il loro valore intrinseco, determinato dal contenuto in oro, argento o altri
metalli preziosi, era decisamente inferiore.
Poiché le monete, passando da uno stato ad un altro, venivano fuse e riconiate, le monete cattive
potevano dare vita, in virtù della minore quantità di metallo prezioso contenutovi, a nuove monete di
valore nominale (e intrinseco) inferiore al valore delle monete dalla cui fusione derivavano. Pertanto
nessuno era disposto ad accettare in pagamento la moneta cattiva, preferendo quella buona, vale a dire
monete di solito nuove di zecca con un contenuto di metallo prezioso pari al valore della moneta.
Gresham fu tra i primi a osservare e descrivere la tendenza della moneta cattiva a scacciare la moneta
buona, ovvero la tendenza degli operatori economici a disfarsi delle monete cattive, rifiutandole per
essere pagati ma cercando di usarle per pagare.
Il contributo che segue, tratto da Arfini (2005) consente di individuare i collegamenti esistenti tra le teorie
economiche citate qui sopra e la produzione agroalimentare di qualità.
“Asimmetria informativa: una bilancia che pende
Riconoscere i beni tipici e comprenderne il livello qualitativo è cosa ardua. Ecco perché si dice che i prodotti
tipici, più di altri, sono caratterizzati da asimmetria informativa rispetto al loro contenuto qualitativo. Questo
fenomeno si realizza là dove produttori e consumatori posseggono sulla qualità dei prodotti un livello di
informazioni impari. Secondo il modello neoclassico, le due categorie dovrebbero possedere uguali quantità
di informazioni che guidano la scelta all’acquisto. Le informazioni su prezzo, qualità e sugli altri attributi
dovrebbero permettere agli acquirenti il migliore uso possibile del proprio budget. Allo stesso tempo, la
capacità dei consumatori di trovare prodotti a loro graditi costituisce per i venditori un incentivo per
competere e migliorare la propria offerta, sicuri di un riconoscimento del mercato.
Ma l’asimmetria informativa produce effetti negativi sul mercato poiché chi possiede il maggiore livello di
informazioni è indotto a utilizzarlo nelle proprie decisioni influenzando i prezzi di mercato. Al prezzo, infatti,
fanno riferimento operatori e consumatori, senza la netta garanzia che questo possa costituire un riferimento
certo circa la qualità del prodotto. Per alcune tipologie di consumatori, addirittura il prezzo diventa l’indicatore
della qualità, creando di fatto una scala di valori in cui la relazione prezzo-qualità diventa univoca e
facilitando possibili comportamenti sleali (individuati come moral hazard e adverse selection8).
Il consumatore può affidarsi alle indicazioni del produttore, consapevole di non possedere le abilità
necessarie per valutare le caratteristiche intrinseche del prodotto. In questo contesto assume grande rilievo il
livello di fiducia (trust) nei confronti del produttore o, nel caso di un produttore sconosciuto, della garanzia
che viene conferita al prodotto di fronte al consumatore. Si tratta di una certificazione effettuata da un ente
preposto e comunicata al consumatore attraverso l’uso del marchio. L’attenzione è puntata sulla relazione
tra il prodotto e le informazione che si danno su di esso. L’ente, in concreto, garantisce che quanto descritto
dal produttore corrisponde a verità.”
Nel caso dell’adverse selection, in cui l’atteggiamento opportunistico dei produttori avviene prima dello scambio,
determina il rischio che sul mercato, i prodotti di cattiva qualità venduti a prezzi bassi scaccino quelli buoni venduti a
prezzi più elevati. Diversamente, il moral hazard che invece caratterizza le fasi successive allo scambio o contratto,
avviene se i produttori, una volta firmato il contratto con i propri clienti immettono sul mercato prodotti non rispondenti
alle aspettative.
8
Scarica