Il ritardo di apprendimento della lettura

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Il ritardo di apprendimento della lettura
Rita Sidoli
1. I Disturbi di apprendimento (d.d.a.)
1.1 Il ritardo di apprendimento della lettura fa parte del più ampio gruppo dei disturbi di
apprendimento; questi comprendono: il ritardo nell’apprendimento del linguaggio orale, le difficoltà
nella scrittura (disgrafia, disortografia, difficoltà nella composizione del testo), difficoltà nei calcoli
e nella risoluzione dei problemi matematici. Ogni tipo di ritardo richiede un approfondimento
specifico, sia per l’identificazione delle cause, sia per le proposte di intervento educativo.
1.2 Disturbi di apprendimento e disabilità
I disturbi di apprendimento (d.d.a.) possono essere presenti anche in bambini normali per tutti gli
altri aspetti; sordità, cecità e disabilità motorie non sono necessariamente cause di d.d.a.; in altre
parole un bambino cieco, sordo o con un deficit motorio può imparare normalmente, mentre un
bambino senza deficit evidenti può avere un disturbo di apprendimento. In questo scritto l’interesse
verterà sui bambini normodotati (o con un lieve ritardo intellettivo) che presentano un ritardo
nell’apprendimento e nello sviluppo dell’abilità di lettura.
Le cause dei d.d.a. possono essere diverse; è importante sottolineare come spesso tali cause siano
compresenti o collegate da un legame causa - effetto; ad esempio, un ritardo di sviluppo del
linguaggio può causare un ritardo di lettura; oppure un bambino con un disturbo di lettura può avere
difficoltà di scrittura. È pertanto corretto parlare di un insieme di cause piuttosto che di una sola.
Inoltre, è opportuno porre attenzione alla fascia di età a cui appartengono i bambini o ragazzi che
presentano un quadro di d.d.a.. Dopo alcuni anni di frequenza scolastica e di continui insuccessi, un
1
bambino con d.d.a. perde la motivazione iniziale e può mettere in atto comportamenti di rifiuto o di
disturbo verso l’insegnante ed i compagni
1.3 Perché parlare dei disturbi di apprendimento?
Nel tempo, i disturbi di apprendimento possono evolvere in quadri di disagio più complessi che
incidono su tutta la vita del ragazzo o del giovane adulto: ad esempio, un d.d.a. può causare una
pseudo (falsa) insufficienza mentale derivata dalla sfiducia nelle proprie capacità, un basso livello
di autostima, la depressione, l’abbandono scolastico, con il rischio di fallire nel proprio percorso
professionale (salario basso, maggiore rischio di disoccupazione), fino all’assunzione di
comportamenti devianti, spesso messi in atto per compensare la bassa autostima.
1.4 Le cause più comuni dei d.d.a
Sono cinque le cause più frequenti di un disturbo di apprendimento1
a.
lo svantaggio socio-culturale
b.
il ritardo intellettivo lieve (che incide sui processi più complessi di apprendimento)
c.
il deficit di sviluppo del linguaggio
d.
lo svantaggio pedagogico-didattico
e.
il deficit di organizzazione ed integrazione percettiva.
a.
Lo svantaggio socio culturale è causato da fattori diversi: l’assenza di cure e talvolta
addirittura il rischio di abuso, il tipo di comunicazione usata in famiglia, le modalità di relazione fra
i membri del nucleo famigliare, i valori che orientano i genitori e la famiglia allargata. In sintesi si
possono osservare:
-
trascuratezza o veri e propri abusi da parte della famiglia, specie nei primi anni di vita:
-
un clima famigliare disagiato, magari non dal punto di vista economico, ma nella relazione
fra i genitori o con il gruppo di appartenenza: litigi e atti violenti fra i genitori, mancanza di
regole, assenza di tempi e luoghi per il sonno, il nutrimento e la pulizia, per fare i compiti
assegnati dalla scuola;
-
una diversità fra la lingua usata dai genitori e quella della scuola; a casa il vocabolario è
ridotto e spesso sostituito dai gesti, al bambino non vengono spiegati i motivi delle azioni,
non vi è mai tempo per raccontare fatti, storie, miti; difficilmente si usano parole come
1
Le cinque cause elencate sono i fattori più comuni, anche se altri possono avere come esito un d.d.a.; sarà
responsabilità dell’insegnante attuare una attenta osservazione per riconoscere cause meno evidenti.
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“Perché? Perché …! Mentre, Invece, Ma …”, parole che spiegano i nessi logici fra le
informazioni;
-
l’assenza di aiuto quando il bambino ha difficoltà nei compiti a casa;
-
la non valorizzazione dei risultati e delle richieste della scuola;
-
la discrepanza fra il mondo dei valori che orientano la famiglia e quelli della scuola riguardo
all’impegno, all’aiuto agli altri, al senso di responsabilità: al bambino riesce difficile
assumere un comportamento che sia adeguato ad entrambi.
Il ritardo intellettivo lieve o medio, in assenza di altre problematiche, non incide sulle
b.
acquisizioni di base - lettura, scrittura e calcolo - anche se il ritmo di apprendimento è più lento;
il suo effetto sarà più evidente nei processi mentali più complessi, richiesti negli anni della
scuola media inferiore e superiore.
Il deficit di sviluppo del linguaggio è invece un fattore che incide fortemente sui disturbi di
c.
apprendimento perché, passati i primi due - tre anni iniziali di frequenza, l’apprendimento a
scuola passa prevalentemente attraverso il linguaggio: l’insegnante parla quando spiega, fa
domande, assegna i compiti, il bambino parla quando chiede o risponde. Inoltre, il linguaggio è
uno strumento molto duttile e veloce per esprimere i concetti; ad esempio, la parola “uguale”
indica l’identità fra due quantità, due forme, due colori, due eventi, due affermazioni. Senza
lingua è difficile rappresentare tale concetto nella sua valenza universale. La competenza
linguistica è pertanto fondamentale nella trasmissione ed elaborazione del patrimonio culturale
di un gruppo sociale.
La riflessione su tale deficit sarà ripresa, in modo più analitico, nella presentazione del disturbo
di lettura.
d.
I fattori specificamente didattici:
-
cambi frequenti di insegnanti o la loro incompetenza didattica;
-
metodologie non adeguate allo stile di apprendimento del bambino. Le ricerche affermano
che ciascuno di noi mette in atto un suo personale stile cognitivo (cioè un suo modo di
imparare) quando deve affrontare un compito di apprendimento; gli stili di apprendimento
variano da persona a persona; in alcune persone è prevalente uno stile, per altre è più facile
imparare con un altro stile. Gli stili più diffusi sono:
lo stile visivo \ uditivo;
lo stile analitico \ sintetico;
lo stile riflessivo \ intuitivo;
lo stile iconico (con figure) \ verbale (con parole);
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Ogni stile è indicato con due modalità opposte; in genere si può parlare di prevalenza di una
delle due modalità opposte che appartengono allo stesso stile. Se, ad esempio, in un bambino
sarà prevalente lo stile visivo, egli imparerà meglio vedendo figure o schemi scritti,
leggendo un testo, ricordando parole chiave date per iscritto, che non ascoltando una lezione
orale (modalità uditiva). Un bambino con uno stile riflessivo avrà bisogno di tempi più
lunghi per completare un compito, ma saprà spiegare meglio le ragioni delle sue risposte,
mentre un bambino intuitivo risponderà immediatamente, ma la sua comprensione sarà
meno profonda. Un bambino con uno stile analitico avrà bisogno di informazioni
schematiche, organizzate in maniera chiara. Se la spiegazione dell’insegnante è fornita
secondo lo stile proprio del bambino, per lui sarà più facile imparare, se invece l’insegnante
utilizzerà – nelle sue spiegazioni - modalità diverse da quelle proprie del bambino, le sue
difficoltà aumenteranno.
Per questo motivo è importante che l’insegnante ricordi che ha in classe bambini con stili di
apprendimento diversi e che per ogni lezione dovrà utilizzare strumenti che tengano conto
dei loro bisogni individuali; individualizzazione dell’insegnamento non vuole dire fare un
programma diverso per ogni bambino, ma insegnare utilizzando strategie diverse.
L’insegnante spiegherà a voce, scriverà sulla lavagna le parole più importanti, darà degli
schemi dell’argomento con le parole scritte in colore e grandezza diversi in funzione della
loro importanza, darà figure o fotografie, chiederà ai bambini di ricordare ciò che già sanno
sull’argomento, partirà da una storia o da un esempio, fornirà le parole chiave (le parole più
importanti), utilizzerà filastrocche ed immagini per far ricordare i concetti più importanti,
userà la drammatizzazione per la storia.
I fattori connessi con il clima di classe (lo stare bene in classe)
o l’instaurarsi
di
una
buona
relazione
insegnante\allievo
motiva
e
sostiene
l’apprendimento; imparare chiede di abbandonare processi già noti per affrontare
modalità diverse di soluzione dei problemi; questo succede anche agli adulti, quando
devono imparare a guidare una nuova macchina o ad usare un nuovo fornello in cucina.
Anche la relazione bambino \ compagni è importante: un clima competitivo ingenera
insicurezza in particolare in chi già avverte le proprie difficoltà; un clima cooperativo, in
cui i bambini lavorano in piccoli gruppi e si aiutano reciprocamente, favorisce
l’apprendimento;
o l’attenzione alla storia di apprendimento del bambino, ai successi o agli insuccessi che
ha affrontato, ma anche al senso che egli attribuisce a ciò che impara (“Mi piace quello
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che imparo, mi servirà, mi ricordo una cosa che è molto simile a ciò che sto
imparando”);
o il sostegno dell’adulto che accompagna ed incoraggia il bambino nel percorso di
apprendimento
Questa breve analisi vuole sottolineare quanto sia importante nell’apprendimento il
legame fra fattori motivazionali, ossia “il desiderio di imparare”, ed il sostegno
dell’ambiente a scuola ed in famiglia
e. Il deficit di organizzazione ed integrazione percettiva: esso non è un deficit sensoriale. Il
bambino non ha un deficit visivo o uditivo, non ha un ritardo motorio. Le sue difficoltà sono
dovute alla sua incapacità di integrare più stimoli che arrivano da diversi canali sensoriali. Ad
esempio, per un bambino con un deficit di integrazione percettiva è difficile copiare sul
quaderno una parola scritta alla lavagna (integrazione occhio e mano), ricordare come si scrive
una lettera pronunciata (memoria visiva e memoria uditiva).
Domande e spunti per la riflessione degli insegnanti
-
Può un bambino con intelligenza normale avere un ritardo di apprendimento?
-
Pensare a un bambino della propria classe con un d.d.a. ed intelligenza nella norma; rileggere
l’elenco delle possibili cause e vedere quale potrebbe essere la causa o le cause prevalenti del
suo ritardo di apprendimento. Discutere con i colleghi confrontando casi diversi.
-
Pensare ad una lezione per la propria classe; ad esempio, “L’importanza dell’acqua per la
vita”, “Un animale utile all’uomo”, “Un evento storico del mio Paese” ed organizzare una
serie di strumenti di apprendimento ed attività che tengano conto della presenza di bambini
con stili di apprendimento diversi.
2. Il disturbo di lettura
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In questo articolo sarà esaminato il ritardo di apprendimento della lettura, nell’attenzione alle sue
ricadute su altre competenze: se un bambino non capisce il testo del problema di matematica come
farà a risolverlo? Anche se possiede buone capacità di comprensione matematica che lo aiutano
nelle situazioni pratiche, non saprà trovare la soluzione, perché non ha capito il testo. Se a scuola i
suoi esiti sono sempre negativi, quale motivazione avrà ad impegnarsi per imparare? Quale stima
avrà della scuola e dell’insegnante che non gli riconosce alcuna competenza?
2.1 Definizione: il ritardo di apprendimento della lettura è un disturbo che rallenta o impedisce
l’apprendimento della lettura. L’insegnante in classe nota difficoltà diverse, riguardanti:
-
la decifrazione, ossia il riconoscimento delle lettere
-
la comprensione, ossia il significato di ciò che è scritto
Le due abilità sono connesse; infatti se un bambino non riconosce le lettere non può leggere, ma
succede talvolta che un bambino sappia decifrare – ossia riconoscere le lettere - ma abbia difficoltà
a capire il significato delle parole.
Un ultimo e significativo aspetto da sottolineare è dato dalla natura del processo di lettura;
frequentemente gli insegnanti sottolineano l’aspetto della decifrazione come riconoscimento e
sonorizzazione dei segni grafici. In realtà il lettore competente – e ciò incomincia ad avvenire dal
secondo – terzo anno di frequenza elementare - è un anticipatore del testo che sta leggendo. Il suo
occhio procede per punti di fissazione e salti; il senso di ciò che sta leggendo guida la sua capacità
di anticipare le parole che con buona probabilità saranno scritte e che verificherà lo siano
veramente. Quante volta gli insegnanti dicono ai bambini: “Leggi quello che è scritto! Non
inventare!” In realtà l’invenzione indica che il bambino sta mettendo in atto un processo di
anticipazione anche se non sempre in modo corretto. Il grafico 1 vuole indicare come il ritardo di
apprendimento della lettura incida sulla capacità di decifrare (associare lettera a suono), questa a
sua volta renda difficile la comprensione, acuendo ulteriormente il ritardo di apprendimento della
lettura.
Ritardo di
apprendimento della
lettura
Difficoltà di
decifrazione
Difficoltà di
comprensione
Grafico 1
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2.2 Le più comuni difficoltà di lettura
-
Difficoltà nella decifrazione
o nel riconoscimento delle lettere (la loro forma scritta nelle diverse grafie:
minuscolo\maiuscolo; stampato\corsivo; in arabo, la grafia che varia in funzione
della posizione della lettera nella parola; in francese, il collegamento fra più lettere
con il cambiamento di suono, vedi “ch” in chat); talvolta il bambino confonde le
lettere che hanno forme simili o dissimili per piccoli particolari, per rotazione
ribaltamento
o
, nel francese, ad esempio, “n\m”, “p\q, b\d, “l\I”, “f\t”, “a\e”;
o nel collegamento con il suono che ogni segno grafico indica; il bambino vede la
lettera, ma non sa unire il suono che essa indica;
o nell’unione dei suoni in modo che diventino parole aventi significato: il bambino
legge lettera per lettera ma non riconosce la parola.
-
Difficoltà nella comprensione del significato del testo: il bambino talvolta compie errori
mentre legge, tal altra legge correttamente, ma non riesce ad organizzare le informazioni in
un insieme logico, facilmente memorizzabile. È importante ricordare che la memoria a breve
termine ha la capacità di conservare poche informazioni per un breve tempo; poi le
informazioni sono inviate alla memoria a lungo termine; perché questo avvenga le
informazioni ricavate dalla lettura di una fiaba, di un testo di storia o geografia, o altro
devono avere una connessione logica. Se il bambino non è riuscito a costruire tale
connessione, ricorderà solo alcune informazioni slegate fra di loro e non saprà collegarle in
un testo avente un senso compiuto.
I disturbi di lettura più comuni sono: il disturbo di lettura e la dislessia.
Il disturbo di lettura: colpisce il 15 - 20% della popolazione scolastica (quinto - sesto anno di
frequenza scolastica, secondo una indagine fatta personalmente); il ragazzino può decodificare
bene o male (cioè può leggere bene o male a voce alta), ma in entrambi i casi incontra gravi
difficoltà nella comprensione del testo e in tutti quei compiti che utilizzano il testo scritto: lo studio
di storia, geografia, … , la ripetizione di una storia letta, la risoluzione di un problema di
matematica dato per iscritto.
La dislessia coinvolge il 2 % di popolazione scolastica, nella stessa fascia di età; il disturbo rende
difficile l’integrazione percettiva uditivo - visiva della lettura, ossia la capacità di collegare il segno
di una lettera scritta al suo suono (e viceversa nella scrittura); la dislessia colpisce bambini
normodotati sia dal punto di vista intellettivo, sia perché provenienti da ambienti socio-culturali
adeguati.
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2.3 Chi sono i bambini a rischio?
Ci sono gruppi di bambini che hanno un rischio maggiore, rispetto ad altri, di avere un disturbo di
lettura. È opportuno che l’insegnante – specie se ha una classe iniziale o incontra i suoi alunni per la
prima volta - raccolga tutte le informazioni che li riguardano.
2.3.a Bambini con difficoltà di linguaggio
Talvolta questa difficoltà è dovuta ad un ritardo - di origine innata - nell’apprendimento iniziale e
nello sviluppo successivo del linguaggio, talaltra la causa è da attribuire alla situazione di
svantaggio culturale in cui i bambini crescono.
Nel primo caso, il disturbo innato è di tipo funzionale e consiste in una difficoltà nel conservare e
riutilizzare gli input linguistici che l’ambiente circostante offre al bambino. Le fasi di
apprendimento del linguaggio sono raggiunte più tardi – rispetto ai coetanei – sia per quanto
riguarda il numero di parole prodotte (vocabolario), sia per lo sviluppo della competenza
comunicativa: la lunghezza delle frasi, l’uso delle congiunzioni o degli avverbi. Spesso la causa è
una mancanza di stimolazione linguistica nei primi anni di vita, quando la lingua non è usata per
spiegare, organizzare nel tempo e nello spazio, evidenziare le cause o gli esiti di una azione, fare
anticipazioni (se tu … che cosa succederà …?) Questi bambini provengono da famiglia in cui
prevale il gesto e la comunicazione extraverbale; questi sono comprensibili in un ambiente noto,
dove tutti sanno a che cosa ci si riferisce, ma la scuola chiede una lingua più formale: luoghi,
tempi, cause, effetti, modi, …. Le ricerche hanno evidenziato come i primi anni siano essenziali per
lo sviluppo del linguaggio e come la scuola abbia scarse possibilità di recupero successivamente.
I bambini con difficoltà di linguaggio hanno due ulteriori carenze che li penalizzano nella lettura; la
povertà di vocabolario incide sulla comprensione e sull’anticipazione; abbiamo detto come il lettore
competente, dopo un periodo iniziale di decifrazione totale (lettura lettera per lettera), tenda ad
anticipare ciò che pensa possa esserci scritto e a controllare che siano proprio quelle le parole del
testo. Ma se un bambino ha un vocabolario povero le sue abilità di anticipazione saranno molto
ridotte. Anche la capacità di sintesi fonemica, ossia di unire i suoni letti per ricavarne la parola ed
arrivare al suo significato richiede un ricco vocabolario ed una buona competenza nella costruzione
della frase.
Che cosa osserva l’insegnante in classe? Scarsità di vocabolario nella denominazione di oggetti,
nell'uso degli aggettivi, dei verbi e dei connettivi, nella ripetizione di una storia, un linguaggio
povero che non sa descrivere una figura, spiegare che cosa sta avvenendo e perché, incapacità di
riconoscere la posizione dei suoni in una parola: il nome di questo animale incomincia con …, poi
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viene il suono … Difficoltà di comprensione del testo scritto e di memorizzazione: alla richiesta di
ripetere una storia compaiono poche informazioni, magari le meno importanti, ed in forma slegata.
Che cosa fa l’insegnante? Propone attività di ascolto della lettura (che fa personalmente curando
l’intonazione, la coloritura emotiva per i sentimenti di paura, stupore, gioia, dolore); introduce un
racconto e chiede ai bambini di continuare inventando la sequenza successiva; racconta un evento e
chiede che cosa è successo prima e che cosa succederà dopo; fa molti giochi di analisi e sintesi
fonemica (partendo dall’orale: “ch..e…v..a..l che animale è”? “Che suoni compongono la parola
mouton?”. “Qual è il primo suono nella parola cheval, dove senti il suono a nella parola cheval”? Fa
agire i bambini (un gioco, un’attività motoria, un lavoro concreto, una uscita in cortile) e poi fa
raccontare che cosa è avvenuto, dove e quando, che cosa hanno detto l’insegnante ed i compagni
2.3.b Bambini con difficoltà di organizzazione spaziale (schema corporeo ), di lateralizzazione, di
ritmo
Queste difficoltà sono dovute ad un deficit di organizzazione spaziale causato dall’assenza di
rappresentazione del proprio schema corporeo,
della dominanza della mano, del piede,
dell’occhio2, dalla difficoltà ad organizzare lo spazio nel realtà e sul foglio, dall’incapacità di
riconoscere l’ordine delle sequenze (da destra a sinistra in arabo, da sinistra a destra in francese),
dalla difficoltà a muovere parti del proprio corpo seguendo un ritmo.
Che cosa osserva l’insegnante in classe?
L’insegnante osserva una difficoltà nell’organizzazione dello spazio, nella lettura e nella scrittura,
nel riconoscere l’ordine in sequenza delle lettere, nel differenziare le lettere graficamente simili, nel
dividere le parole nella scrittura, nel seguire un ritmo, nel leggerlo o trascriverlo;
ad esempio
o oo
= due colpi forti, un colpo debole sul tamburello (una scatola di latta ed un
bastone); un passo, due salti = I
I I
Che cosa fa l’insegnante?
L’insegnante propone giochi di orientamento spaziale e temporale; ad esempio “Metti il sasso fra i
due bastoni”, “Prima fai un salto poi fai due passi”; chiede di fare delle sequenze di colori e\o
forme, suoni e movimenti, colori e forme, …: ad un colore corrisponde un suono, ad una forma un
movimento. Propone attività in sequenza e chiede successivamente di disegnare e verbalizzare,
consapevole che la trascrizione di ritmi consolida la funzione simbolica. Sempre con lo stesso
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obiettivo, stimola il passaggio dallo spazio agito (attività fatte realmente) allo spazio rappresentato
su un foglio; ad esempio, in cortile una corsa da …. a, e la sua rappresentazione con un disegno.
L’insegnante racconta una storia, fa riconoscere i momenti più importanti ed organizza i bambini in
sottogruppi per la drammatizzazione (schema corporeo, organizzazione nel tempo e nello spazio,
linguaggio).
2.3.c Bambini che provengono da ambienti con deprivazione socioculturale: l’importanza del
coinvolgimento delle famiglie.
Lo svantaggio sociolinguistico è spesso (anche se non sempre) causa di difficoltà scolastiche,
perché a scuola la maggior parte delle informazioni passa attraverso la lingua. Si è già detto del
legame fra difficoltà scolastiche e demotivazione. Spesso i genitori stessi hanno avuto una storia
scolastica negativa, rifiutano la scuola ed il sistema di valori e comportamenti che essa propone. Il
sostegno emotivo e gratificante dei genitori è essenziale per l’apprendimento del bambino. Dove vi
sia opposizione famiglia – scuola si instaurerà una comunicazione negativa che nuocerà al bambino.
Che cosa osserva l’insegnante in classe?
L’insegnante nota il disinteresse della famiglia (il bambino non è curato, non ha l’occorrente per la
scuola, mentre ha piccoli giochi o dolci), l’assenza di risposta ai suoi messaggi, il silenzio del
bambino (o la sua vergogna) riguardo a ciò che avviene in famiglia. Si noti che lo svantaggio è
diverso dalle difficoltà economiche.
Che cosa fa l’insegnante?
L’insegnante deve cambiare il proprio atteggiamento per stabilire una alleanza educativa con la
famiglia (contro la colpevolizzazione reciproca), mediante l’ascolto dei genitori, la valorizzazione
di quanto di positivo fanno per il bambino, anche se i loro interventi sono scarsi e ridotti, la richiesta
della messa in atto di semplici atteggiamenti di cura.
In classe l’insegnante propone giochi fonologici (con i più piccoli, imitativi di versi di animali,
rumori degli oggetti), analisi e sintesi fonemica (vedi sopra), giochi di arricchimento lessicale; ad
esempio, mostrando una figura o l’oggetto in miniatura: come si chiama, dove sta, di che cosa è
fatto, a che cosa serve, …
Legge un racconto ma spiega con il tono della voce, il gesto, la parafrasi i passaggi più difficili,
offrendo la formulazione linguistica più complessa e quella propria del linguaggio in famiglia.
Mostra una sequenza di figure e chiede ai bambini di ricostruire la storia; mostra una figura e chiede
di anticipare che cosa è avvenuto prima e che cosa avverrà successivamente; poi legge il testo
originale e chiede ai bambini di verificare la correttezza delle proprie anticipazioni.
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Propone attività di conoscenza del proprio sé fisico e psicologico: tratti fisici e comportamentali,
preferenze per i giochi, il cibo, i colori, desideri e paure; promuove attività di conoscenza reciproca
e valorizza l’apporto di ogni alunno; valorizza i comportamenti di collaborazione ed inizia ad usare
per brevi periodi la tecnica del lavoro di gruppo, consapevole che la sua attuazione richiede tempo
per essere appresa dai bambini (e dagli insegnanti). L’insegnante inizia il lavoro in gruppi con
compiti brevi, ben definiti, con incarichi diversi all’interno dello stesso gruppo, dopo un momento
unitario di programmazione condivisa. Soprattutto all’inizio, loda i gruppi che portano a termine il
lavoro ed in cui tutti collaborano in modo che tutti i bambini degli altri gruppi vedano qual è la
modalità di lavoro richiesta
Ancora molto sarebbe da dire, riguardo alle difficoltà di comprensione che compaiono al terzo
quarto anno di frequenza, nei testi di storia, geografia e scienze, più complessi che non il testo
narrativo. Ma questo sarà un tema futuro
Domande e spunti per la riflessione degli insegnanti
a. Il deficit di lettura
Rivedere le due definizioni – disturbo di lettura e dislessia – e pensare a come definire i
propri alunni con deficit di lettura
Riguardare i sottoparagrafi 2.3.a, 2.3.b.,
2.3.c. e pensare a quali siano le cause più comuni
del disturbo di lettura nella propria classe. Progettare un elenco di attività per ognuno dei
rischi sopra elencati.
b. Star bene in classe
Insieme ai colleghi elencare i comportamenti che l’insegnante dovrebbe attuare nel
momento dell’accoglienza degli alunni al loro arrivo a scuola, quando presenta o condivide
con loro l’agenda (le attività previste) della giornata, le modalità che sostengono la
motivazione all’apprendimento. Progettare un percorso per la formulazione condivisa
(insegnante - alunni) delle regole di comportamento in classe.
c. Lo svantaggio socioculturale
Le difficoltà più frequenti con le famiglie? Quali strategie si sono rivelate utili?
Come organizzare l’incontro con una famiglia particolarmente problematica? (quando, dove,
per quanto tempo, da soli o con un altro insegnante, da quali argomenti postivi partire per
facilitare la comunicazione, ….?)
Quali abilità e capacità del bambino sottolineare?
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Buon lavoro a tutte\tutti coloro
che leggeranno questa breve guida sui disturbi di apprendimento;
con l’augurio che essa,
nata dalla pratica quotidiana,
possa aiutare i loro alunni ad accedere al grande patrimonio umano della lingua
scritta
12
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