Le teorie didattiche - Materiale Scienze della Formazione Primaria

Le teorie didattiche
Giuseppe Zanniello
Introduzione
In questo capitolo vengono proposte alcune idee utili per avviare una riflessione epistemologica
sulla Didattica e per informare lo studente sui temi studiati da questa disciplina. Il capitolo è
articolato in sei paragrafi:
1.
2.
3.
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5.
6.
l’oggetto e il metodo della Didattica come scienza;
i rapporti della Didattica con la Psicologia e la Pedagogia;
i temi studiati dai ricercatori di Didattica Generale;
il metodo della ricerca scientifica in campo didattico;
i motivi per cui la Didattica non è solo scienza ma anche arte;
una possibile classificazione dei principali modelli didattici.
Desidero offrire agli studenti qualche orientamento per le loro ricerche in biblioteca e in
emeroteca. Si tratta di arricchire la mia esposizione schematica con citazioni letterali ben fatte per
sostenere o confutare le affermazioni contenute in questo scritto.
Alcune domande possono aiutare lo studente a capire il significato dello studio che gli viene
proposto all’inizio del corso. Se i problemi sollevati sono per lui significativi, allora lo studente
cercherà con vivo interesse delle risposte con l’aiuto del testo scritto ; forse si ricorderà anche delle
discussioni e degli esempi fatti durante le lezioni e si sentirà invogliato a consultare diverse fonti
bibliografiche per sviluppare quello che in questo testo è appena accennato. Mi auguro che lo
studente iscritto a un corso di laurea magistrale in scienze umane e pedagogiche, applichi in primo
luogo a sé stesso, al suo modo di svolgere il lavoro intellettuale, quanto viene a conoscere
studiando la teoria e la storia della didattica. Secondariamente, propongo al lettore che alla fine
voglia verificare se ha acquisito la capacità di rielaborare personalmente i contenuti del testo, di
rispondere a nove domande che, se tenute presenti fin dall’inizio, possono orientarlo nella lettura .
1.
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Che cosa è la Didattica?
Che rapporto c’è tra l’insegnamento e l’apprendimento?
Si può imparare senza che nessuno insegni?
Come si impara ad insegnare ?
Perché chi insegna qualcosa ad un alunno dovrebbe cercare di far venire fuori la
persona umana che è dentro di lui?
Ritieni che le conoscenze entrino bene nella testa del destinatario della comunicazione
quando gli sono inculcate con la ripetizione e gli esercizi applicativi?
Quali motivi adducono coloro che sostengono che l’azione principale del docente
consiste nel mettere l’allievo in condizione di apprendere attivamente?
L’insegnante può ritenersi giustamente soddisfatto del suo lavoro dopo aver verificato
positivamente che l’alunno ha recepito, memorizzato e ripetuto le affermazioni ascoltate
durante le lezioni?
Sei in grado di ricondurre le molteplici teorie didattiche ad alcuni modelli essenziali
usando una tua classificazione razionalmente motivata?
Sono certo che alla fine il lettore saprà individuare anche altre domande che hanno orientato la
stesura di questo capitolo e , ancor più, si porrà dei problemi didattici che cercherà di risolvere con
lo studio e con la riflessione personale.
1. Oggetto e metodo della Didattica come scienza
Nel grande dizionario italiano dell’uso , ideato e diretto da Tullio De Mauro (1999, 587), la
Didattica è definita come “ramo della pedagogia che studia i metodi di insegnamento"; essa viene
distinta poi tra “generale” se studia i metodi validi per “ogni disciplina” e “speciale” se studia i
metodi di insegnamento validi per “una disciplina specifica”. Si tratta di una chiara collocazione
della Didattica all’interno del sapere pedagogico.
Dalla consultazione di alcuni dizionari ed enciclopedie delle Scienze dell’ educazione si ricavano
delle sintetiche definizioni della Didattica, che costituiscono un buon punto di partenza per
rispondere alla prima domanda: che cosa è la Didattica ?
Il Dizionario di Psicologia dell’ UTET definisce la Didattica come “settore della pedagogia
che si occupa dell’aspetto teorico della metodologia dell’insegnamento. […] Il momento della
didattica segue logicamente e metodologicamente il momento teoretico e precede i concreti atti
educativi.” (Galimberti, 1992, 284). La Didattica è concepita come una disciplina che teorizza sui
mezzi necessari per raggiungere i fini educativi e quindi si colloca tra la Pedagogia e la prassi
educativa.
Nel Nuovo Dizionario di Pedagogia delle edizioni Paoline si legge: “Se in senso lato
l’educazione è un procedere verso il più, tensione a realizzarlo, a tradurlo nel fatto, inevitabile è che
essa, come abbisogna di un obiettivo (fine o ideale che sia) che viene analiticamente studiato dalla
teleologia pedagogica, così comporta un cammino – il procedere verso, il tendere a – da percorrere
con mezzi e strumenti adeguati.” (Flores D’Arcais, 1987, 330). All’interno della classica
ripartizione delle scienze pedagogiche in due grandi aree – indagine sui fini e indagine sui mezzi-,
la Didattica si collocherebbe sul versante metodologico insieme alla Metodologia dell’Educazione,
dalla quale viene distinta, “attribuendo alla prima una funzione ‘strategica’ e alla seconda un
compito ‘tattico’[…]; in ogni caso la Didattica riguarda il modo di procedere ed è dunque da
distinguere dai mezzi e più ancora dal materiale didattico adoperato.” (Flores D’Arcais, 1987, 330).
Come si può facilmente notare, viene affermata la stretta connessione tra Pedagogia e Didattica,
tra educazione e istruzione.
Nel Dizionario delle Scienze dell’Educazione della casa editrice LAS la “Didattica è definita
come: “Disciplina pedagogica che studia il processo di insegnamento. La didattica viene
considerata in generale come una scienza pratico-prescrittiva, cioè come una scienza diretta a dare
fondamento e orientamento all’azione di insegnamento o azione didattica. Dal greco didaskein
(insegnare). La didattica viene anche definita come teoria che studia l’atto didattico (didassi).”
(Pellerey, 1997, 289). La definizione colloca la Didattica all’interno della Pedagogia, le assegna
come oggetto specifico di studio il processo di insegnamento, le riconosce la natura di scienza
pratico-prescrittiva.
Nel Dizionario Enciclopedico di Pedagogia dell’editrice SAIE di Torino, alla voce “Didattica”
si legge: “La didattica si distingue dalla pedagogia come l’insegnamento si distingue
dall’educazione. La didattica è dunque una specificazione ulteriore della Pedagogia. “
(R.Titone,1972, 1968).
L’Enciclopedia Pedagogica della casa editrice La Scuola, diretta da M. Laeng, oltre a ribadire la
collocazione della Didattica all’interno delle scienze pedagogiche – distinte dalle più vaste “scienze
dell’educazione”-, definisce la Didattica come
“scienza e arte dell’insegnamento” (G.
Proverbio,1989, 3810). Viene così introdotto un secondo aspetto della Didattica, quello che deriva
dalla sua irriducibilità ad una “scienza esatta”.
A queste poche citazioni vorrei aggiungere che, per comprendere a fondo la natura del sapere
didattico, bisogna considerare insieme il processo di insegnamento e quello di apprendimento, nel
senso che all’insegnante spetta principalmente il compito di creare le condizioni che favoriscono lo
sviluppo personale dell’alunno mentre apprende. In alcuni studenti universitari, forse per le
esperienze scolastiche personali, rimane ancora il pregiudizio che la quantità di conoscenze
acquisite dall’alunno è proporzionale alla quantità di tempo di esposizione orale da parte
dell’insegnante perché essi ritengono che quanto più l’insegnante parla tanto più l’alunno apprende.
Si tratta di una concezione difficile da rimuovere perché è legata ad esperienze personali ; ma in
realtà l’alunno apprende sempre meglio nella misura in cui l’insegnante ha saputo progettare, prima
di entrare in classe, che oggi può essere anche virtuale, le attività e gli strumenti opportuni per
rendere l’alunno protagonista del suo processo di apprendimento: gli ha saputo costruire, come si
dice oggi, un ambiente di apprendimento
Questa ultima considerazione ci consente di concludere, per ora, che la Didattica , intesa come
scienza, è una disciplina che :
a)
si occupa del rapporto fra insegnamento e apprendimento;
b)
esamina le variabili che intervengono nell’insegnamento e nel corrispondente
apprendimento;
c)
studia le azioni del docente che risultano più idonee per creare le condizioni ottimali che
facilitano l’apprendimento degli alunni.
Siccome esiste uno scarto tra quello che si insegna e quello che si impara, perché alla capacità
argomentativa (retorica) di chi emette la comunicazione non corrisponde sempre la capacità
interpretativa (ermeneutica) di chi la riceve, si preferisce dire che la Didattica è la scienza che studia
il processo di insegnamento-apprendimento, e non solo la scienza dell’insegnamento.
2. La Didattica tra Pedagogia e Psicologia
Ho appena usato l’aggettivo “ottimale” e il verbo “facilitare”. Queste due parole mi offrono
l’occasione per dire qualcosa su due scienze dell’educazione che sono in più stretto rapporto con la
Didattica: la Psicologia e la Pedagogia.
Per svolgere delle azioni che facilitino l’apprendimento bisogna prima conoscere come esso
avviene nelle varie fasi di sviluppo dell’essere umano; questo è compito della Psicologia. Al
ricercatore di Didattica non viene chiesto di sviluppare la Psicologia con il suo contributo originale
bensì di essere al corrente dei risultati delle ricerche psicologiche sull’apprendimento umano, per
rielaborarli dal suo punto di vista specifico, che è quello della progettazione di azioni di
insegnamento efficaci per particolari categorie di soggetti.
Affinché l’aggettivo “ottimale” non venga inteso in senso pragmatico-efficientistico, del
massimo risultato di apprendimento con il minimo sforzo da parte dell’alunno , la Didattica si
rapporta con la Pedagogia, come la parte si collega con il tutto. La Pedagogia indica alla Didattica
l’orizzonte di senso entro cui collocare le singole azioni di insegnamento, riservandosi di valutare
quale contributo fornisce una certa metodologia di insegnamento all’educazione della persona che
apprende. D’altro lato è chiaro che non è possibile l’educazione senza una didassi criticamente
fondata, nel senso che non si riesce ad aiutare una persona a diventare libera e responsabile dei suoi
atti senza farle acquisire adeguate conoscenze mediante una metodologia didattica scientificamente
verificata.
Nel chiarire il rapporto tra Didattica e Pedagogia diciamo che la Didattica è una parte della
Pedagogia e che , pur dipendendo dalla Pedagogia, è una scienza che ha un suo oggetto specifico e
un proprio metodo di indagine. E’ un sapere pratico-metodologico che si costruisce partendo dalle
finalità educative e che, una volta costruito, viene valutato alla luce della sua congruità con le
finalità educative che contribuisce a conseguire. Oggetto specifico della Didattica come scienza è
pertanto lo studio diretto dell’organizzazione dei processi di apprendimento.
A seconda del tipo di Pedagogia e di Psicologia di riferimento, sorgono le differenze tra le varie
concezioni della Didattica presenti nel panorama scientifico contemporaneo. Esse dipendono
certamente dalla condivisione in diversa misura delle diverse teorie psicologiche presenti nel
panorama contemporaneo. Ma dipendono ancora di più dalla pedagogia di riferimento, con la sua
antropologia filosofica soggiacente. Faccio qualche esempio di domande pedagogiche dalle quali
dipendono anche risposte didattiche. Si educa l’uomo perché diventi un attento ricettore e quindi
un efficace riproduttore della cultura dominante in una certa epoca storica, in una data società,
oppure lo si educa perché interiorizzi dei principi etici fondamentali e agisca liberamente e
responsabilmente senza lasciarsi determinare dalle mode dominanti? Lo scopo dell’educazione si
riduce all’integrazione sociale degli individui oppure è quello di promuovere lo sviluppo di persone
che contribuiscano al miglioramento della società perfezionando continuamente sé stessi? La
persona umana è capace di scelte morali libere oppure decide solo in base alle pulsioni istintive e
agli stimoli ambientali? Dalle risposte
Come si intuisce facilmente, le risposte a tali domande sono complesse e articolate e di
conseguenza non ci si può stupire che esistano diverse teorie didattiche. Non sono questioni di poco
conto se si considera che, a seconda del modo con cui si organizzano le situazioni di apprendimento
degli alunni, si favorisce o si ostacola la conquista e il consolidamento della libertà morale della
persona umana, intesa non solo come affermazione di principio bensì come un “saper agire”,
moralmente ispirato, nelle diverse circostanze di vita. Praticamente non è possibile nessun “atto
educativo” che non sia preceduto o almeno accompagnato da un “atto didattico” perché non si può
volere liberamente il bene senza avere ricevuto un’adeguata istruzione morale.
In Italia, durante il ventesimo secolo, la Didattica ha fatto fatica ad affermarsi come scienza
prima per l’idealismo pedagogico, che ha fatto sentire i suoi effetti almeno per altri trenta anni dopo
la morte di Gentile, e poi per il tentativo, tuttora in corso, di riduzionismo psicologico oppure
disciplinarista; infatti alcuni vorrebbero ridurre la Didattica alla Psicologia dell’apprendimento ed
altri alle Didattiche disciplinari. Coloro che non comprendono la necessità di una scienza che si
chiama “Didattica Generale” dicono che, una volta posseduto un certo sapere, per insegnarlo agli
altri basta conoscere un poco di Psicologia e gli elementi specifici della materia che si intende
insegnare .
Negli ultimi anni, tra le polemiche e i dibattiti accademici, lo stimolo maggiore allo sviluppo
della Didattica come scienza è venuto dalla necessità di migliorare la formazione degli insegnanti.
Dal confronto con gli altri Paesi europei si è visto che, per essere un buon insegnante, non basta
conoscere a fondo la disciplina che gli alunni devono apprendere, ma occorre anche sapere come gli
alunni imparano (Psicologia) e come si deve insegnare (Didattica) per promuovere tutte le potenze
operative delle singole persone (Pedagogia).
Nel rivolgermi a chi ha già sostenuto un esame di Didattica non ho bisogno di spiegare perché
la Didattica non si riduce alla Psicologia ma rielabora i risultati della ricerca psicologica per
adeguare i contenuti dell’insegnamento alle caratteristiche degli allievi. Rimane ora da vedere se la
Didattica Generale si possa ridurre alla somma delle didattiche particolari o speciali o disciplinari.
Per dimostrare l’esistenza della Didattica Generale basterà individuare alcuni temi comuni a tutte le
didattiche speciali; si potrà così sostenere l’opportunità di studiare insieme degli argomenti
trasversali alle diverse didattiche disciplinari. Se nello studio del processo di insegnamentoapprendimento si individuano dei problemi che si presentano qualunque siano i contenuti, i tempi, i
luoghi e i contesti , allora si giustifica l’esistenza di una scienza che studi unitariamente tali
problemi comuni. Faremo solo degli esempi senza la pretesa di elencare tutti i temi della ricerca in
Didattica Generale perché, in questa sede, interessa solo affermare l’esistenza di alcuni temi di
studio che non rientrano nell’ambito di una particolare Didattica disciplinare e che quindi
richiedono una trattazione a sé stante.
3. I temi studiati dalla Didattica Generale
Esistono alcuni problemi comuni a tutte le Didattiche specialistiche e che quindi vanno affrontati
in termini generali? Sembrerebbe di sì; basti pensare, ad esempio, alla programmazione degli
interventi formativi, alla preparazione del curricolo, alla valutazione dei risultati, al significato
dell’insegnare e dell’apprendere. La riflessione didattica porta a chiedersi: è meglio programmare
per obiettivi o per concetti? Come realizzare l’interdisciplinarità nell’insegnamento? Come
conciliare l’individualizzazione e la socializzazione nell’insegnamento? Come promuovere lo
sviluppo delle abilità metacognitive negli alunni? Come conciliare l’esigenza di una valutazione
criteriale con quella di una valutazione standardizzata? Quali sono gli obiettivi educativi
fondamentali da perseguire in qualsiasi attività di insegnamento? Come mantenere desta
l’attenzione degli alunni? Come organizzare i tempi di apprendimento degli alunni?
Si tratta di esempi di domande che ci si pone per qualsiasi disciplina insegnata, in qualunque
contesto e per qualsiasi destinatario. Molti altri esempi si potrebbero fare per dimostrare che
esistono dei problemi, connessi al processo di insegnamento-apprendimento, che si possono
affrontare con profondità e completezza solo da un punto di vista generale. Il lettore si può
esercitare a individuare altri temi pensando alla figura professionale dell’insegnante: quali sono le
caratteristiche dell’insegnante ideale? Esistono dei criteri per valutare la professionalità docente
indipendentemente dalla disciplina insegnata e dal tipo di alunni?
La Didattica Generale su questo argomento fornisce alcune risposte. Il bravo insegnante: studia
continuamente, fa ricerca nel suo settore disciplinare; conosce sempre meglio gli allievi; ascolta e
collabora con gli altri colleghi; riflette continuamente sul proprio operato; lascia memoria
professionale di quello che fa; è attento e aperto all’inedito e al nuovo; valuta gli allievi per farli
migliorare; costituisce per gli allievi un esempio, una testimonianza positiva, un incitamento a fare
sempre più e sempre meglio.
4. Il metodo di ricerca in Didattica
Lo studio dei temi didattici comuni a tutte le discipline viene condotto con un metodo che si può
definire “sperimentale” dopo averne precisato il significato. Si parte dalla rilevazione obiettiva delle
buone pratiche di insegnamento per ricavare alcune costanti, dei principi orientativi per l’azione
docente. E’ preferibile non usare il termine “regola” ma “principio” quando si costruisce una
metodologia di insegnamento perché la Didattica non potrà mai essere una scienza esatta in quanto
il rapporto tra docenti e discenti è un rapporto tra persone uniche, originali e irripetibili.
Possiamo distinguere tre modi di fare ricerca in campo didattico: analisi fenomenologica di come
si presenta la realtà del processo di insegnamento-apprendimento; costruzione di categorie
interpretative della realtà dell’insegnamento-apprendimento mediante il collegamento delle azioni
dei docenti con i cambiamenti osservati nei discenti; formulazione di indicazioni per la pratica
dell’insegnamento-apprendimento.
Per definire come “buone” alcune pratiche di insegnamento non si può prescindere dal
contributo della Pedagogia Generale, che descrive i comportamenti che si vorrebbero osservare
negli alunni per poter affermare che essi, mentre costruiscono il loro sapere, stanno progredendo
lungo un percorso che li porterà a realizzarsi pienamente in quanto persone libere e responsabili dei
loro atti . Ma per collegare tra di loro le azioni degli alunni e quelle degli insegnanti, vale a dire per
affermare l’esistenza di relazioni significative tra i risultati ottenuti dagli alunni e le attività svolte
dagli insegnanti, si fa ricorso alle tecniche di ricerca della Pedagogia Sperimentale.
Chi svolge ricerca scientifica in campo didattico dovrebbe essere competente anche in psicologia
dell’apprendimento e del carattere, in pedagogia generale e in pedagogia sperimentale. Inoltre
dovrebbe essere capace di relazionarsi positivamente con gli esperti delle varie discipline di
insegnamento perché ha bisogno di concretizzare e di verificare la validità dei principi applicati ai
diversi contenuti proposti agli alunni.
5. La didattica come arte
Il termine “didattica” viene utilizzato anche per indicare il modo di insegnare proprio di una
persona. Per esempio, quando si afferma che un certo professore ha una didattica povera oppure
una didattica ricca e vivace il termine “didattica” viene usato nell’accezione di “arte” e non più di
“scienza”. In questo caso ci si riferisce al modo personale con cui quel professore, nel rapporto con
i suoi alunni, impiega i principi metodologico-didattici elaborati dalla Didattica come scienza e da
lui acquisiti.
La Didattica come scienza arriva a costruire dei principi metodologici riflettendo sulle
esperienze di insegnamento e di corrispondente apprendimento. Alla Didattica come scienza
chiediamo di fornirci delle costanti, degli orientamenti generali per l’azione di insegnamento. Ogni
scienziato sa comunque che i risultati della sua ricerca non si possono applicare meccanicamente
alle singole situazioni ; a maggior ragione questo vale quando ci si muove nelle scienze umanistiche
perché dall’intersezione delle molteplici libertà personali nascono situazioni complesse e
imprevedibili. Siccome ogni persona è originale e irripetibile esiste sempre un salto quando si
applicano i principi generali della Didattica alle situazioni concrete.
Per essere un bravo insegnante non basta pertanto prendere 30 e lode all’esame di Didattica
Generale. Occorre essere anche degli “artisti” o almeno dei bravi “artigiani”. L’ insegnante-artista è
originale perché sa far fronte agli imprevisti. Quando si trova in un’aula con gli allievi non
dice:”questo caso non lo so risolvere perché non l’ho studiato sui libri”. L’insegnante-artista fa i
conti ogni giorno con gli imprevisti. Se l’insegnante accetta di mettersi in discussione e di
affrontare problemi per i quali non si sente del tutto preparato, allora sarà più propenso a creare in
aula le condizioni favorevoli affinché i propri alunni realizzino un apprendimento “per scoperta”,
ben sapendo che esso richiede più tempo dell’apprendimento “per trasmissione”, e quindi una
necessaria riduzione dei contenuti perché si devono rispettare i tempi previsti per il lavoro
scolastico.
La provocazione che proviene dagli imprevisti è un evento didatticamente importantissimo. Un
bravo insegnante dovrebbe rivolgere ai propri alunni delle domande vere, con le quali affrontare e
risolvere dei problemi per i quali essi non hanno già delle risposte precostituite, perché le hanno
sentite alla televisione o perché le hanno lette nel libro di testo. L’insegnante-artista desidera che i
propri allievi sperimentino il gusto della scoperta. Anche se si tratta di scoperte che altri hanno già
fatto prima, il percorso che ogni alunno fa per giungere a quella scoperta è certamente nuovo per
lui.
Il possesso dell’arte di insegnare consente al docente di porre agli alunni delle domande che li
avviano all’esplorazione di campi nuovi, alla scoperta di nuovi orizzonti. Tutto questo non si può
predefinire in un manuale didattico per il bravo insegnante perché resta un ampio margine per
l’iniziativa e l’originalità personale. In questo, Lombardo Radice aveva ragione: nel momento
artistico dell’insegnamento le regole vengono meno. Ma d’altra parte senza la precedente
acquisizione dei principi orientativi, frutto della riflessione sull’esperienza propria e altrui,
l’insegnante non riesce ad essere originale e creativo nel suo rapporto con gli allievi. Anzi corre il
rischio di sbagliare seriamente.
L’arte didattica consente all’insegnante di ammettere davanti ai propri allievi di non saper
fornire una risposta immediata a un certo quesito ma nello stesso tempo di indicare loro la strada da
percorrere e i mezzi da usare per cercare la risposta a quella particolare domanda. In questo modo
l’insegnante aumenta il proprio prestigio professionale. L’esempio di Socrate è sempre attuale: ”sa
di non sapere” e pone ai suoi interlocutori domande orientanti, fino a giungere a definire il “che
cosa è”, vale a dire il concetto universale. L’insegnante è autorevole se fornisce ai suoi alunni un
esempio di eticità: se dimostra loro di essere una persona che cerca la verità nascosta nella realtà
delle cose, una persona pronta a cambiare idee e stile di vita se scopre che prima aveva una visione
parziale o deformata della realtà, una persona umile che gioisce nel dire, “mi ero sbagliato, adesso
ho capito e quindi agisco di conseguenza anche se mi costa farlo”.
Le costanti, denominate anche categorie, della Didattica sono quattro: gli insegnanti, gli alunni, i
contenuti e i contesti. Per ciascuna di queste categorie didattiche esiste un ampio margine di
discrezionalità, che impedisce di affermare che la Didattica sia solo scienza. E’ proprio la libertà,
tipica dell’essere umano, che si manifesta anche nell’azione didattica e che impedisce di regolare in
modo prescrittivo il processo di insegnamento-apprendimento. Faccio un esempio per ciascuna
delle quattro categorie didattiche.
Gli insegnanti: vengono scelti secondo criteri discrezionali da chi dirige un agenzia formativa.
Gli alunni: scelgono tra i contenuti proposti loro dagli insegnanti, quelli che ritengono più
validi.
I contenuti dell’insegnamento: non è possibile insegnare tutti i contenuti di una disciplina ma
occorre fare delle scelte. L’insegnante decide di esporre le strutture portanti della disciplina. Si
chiede quali siano i concetti-chiave della sua disciplina e li mette in ordine per proporli agli alunni.
I contesti: l’organizzazione degli spazi, dei tempi e dei luoghi dell’apprendimento sono scelti da
chi dirige le istituzioni scolastiche.
La Didattica può solo fornire dei criteri generali per le scelte, e ciò non è cosa di poco conto.
Queste quattro categorie della Didattica si intrecciano continuamente moltiplicando così i rapporti
tra le diverse variabili che intervengono nel processo di insegnamento-apprendimento. Pertanto non
si può prevedere e programmare l’intero svolgersi il processo di insegnamento-apprendimento.
Nella docenza ci vuole inventiva, capacità artistica. L’insegnante non è il fedele esecutore di una
programmazione educativo-didattica rigida ma l’inventore di soluzioni originali, un artista che cura
ad uno ad uno gli alunni che gli sono affidati affinché raggiungano la massima perfezione umana
possibile per loro, facendo tesoro delle opportunità e delle risorse disponibili “in corso d’opera”.
Quando c’è passione per un settore scientifico-disciplinare e la voglia di approfondire
continuamente il proprio sapere, basta possedere una normale capacità di rapporti interpersonali e
un interesse per la relazione di aiuto, per sentire il bisogno di acquisire e migliorare la propria
competenza didattica. Sempre con la consapevolezza che il risultato del lavoro docente non è mai
sicuro perché, come dice San Tommaso D’Aquino a Dante nella Divina Commedia, per
l’apprendimento non basta che le parole dell’insegnante non siano “fioche” ma occorre anche la
collaborazione attiva dell’allievo che si manifesta con l’attenzione e con la memorizzazione:
“Or, se le mie parole non son fioche,
E se la tua audienza è stata attenta,
Se ciò ch’è detto a la mente rivoche”
(Par., XI, 133-135)
6. I modelli didattici
Tutte le modellizzazioni presentano il rischio del riduzionismo, delle forzature, delle
semplificazioni e delle accentuazioni delle differenze, che di per sé non dovrebbero condurre alle
contrapposizioni bensì all’integrazione delle prospettive e alla flessibilità nell’uso di un modello
piuttosto che un altro, a seconda delle circostanze concrete in cui si opera. L. Guerra, ordinario di
Didattica dell’Università di Bologna, raggruppa in tre categorie le diverse interpretazioni
dell’apprendimento umano: l’apprendimento per “esecuzione”, per “scoperta” e per “costruzione”.
Analogamente , per le interpretazioni dell’insegnamento, E. Damiano, ordinario di Didattica
all’Università di Parma, raggruppa i modelli didattici contemporanei in modelli del “prodotto”
(comportamentisti), del “processo” (gestaltisti) e dell’ ”oggetto mediatore” (costruttivisti). Si tratta
di tentativi di collegare le teorie dell’apprendimento con quelle dell’insegnamento. Le
semplificazioni che vengono fatte sono giustificate da un esigenza di chiarezza espositiva, mentre in
realtà le posizioni sono più sfumate e articolate di quanto non possa apparire in questa dispensa
introduttiva allo studio delle teorie didattiche contemporanee.
Le teorie comportamentiste dell’apprendimento vengono denominate dello “stimolo-risposta”
oppure del “condizionamento operante e strumentale”. Secondo questi teorici dell’apprendimento,
la persona apprende quando uno stimolo esterno la impressiona. Scegliendo le situazioni-stimolo
opportune si può condizionare l’apprendimento dell’uomo così come si fa per l’addestramento degli
animali. La libertà di apprendimento è tenuta in scarsa considerazione perché , secondo questa
concezione, l’insegnante, fattore strategico dell’apprendimento, è in grado di prevedere e di
controllare, almeno in parte, i comportamenti di risposta degli allievi ai suoi stimoli comunicativi.
Siccome si ritiene che si apprenda mediante l’associazione di stimoli disposti in modo opportuno
l’apprendimento umano è concepito sostanzialmente come un adattamento all’ambiente. L’alunno
apprende quando esegue degli esercizi preparati dagli insegnanti, per poi ripetere e fissare in mente
quanto ha appreso.
Dalle teorie dell’apprendimento per esecuzione deriva una Didattica che si preoccupa
essenzialmente di assicurare l’acquisizione riproduttiva da parte degli allievi di competenze
predefinite dall’insegnante e proposte a tutti gli alunni di una stessa fascia di età perché ritenute
indispensabili. All’alunno viene chiesto di memorizzare, ripetere e applicare quanto ha ascoltato
dall’insegnante o ha letto nel libro di testo. L’attività didattica svolta viene ritenuta efficace quando
l’alunno acquisisce le nozioni e le abilità fondamentali per la cultura della società in cui vive,
quando sa mettere in pratica quello che apprende e sa riutilizzare le conoscenze acquisite. La
programmazione educativa per obiettivi di “prima generazione” –quella in auge tra gli anni ’50 e gli
anni ‘80- fu un prodotto di questo modo di intendere l’apprendimento e l’insegnamento. Essa
permane ancora nella prassi didattica di molti insegnanti italiani.
A questi teorici dell’apprendimento si obietta che molte attività intellettuali – ad esempio,
l’induzione, la deduzione, l’estrapolazione, il confronto e la critica- non si riducono alla ricezione
degli stimoli né tanto meno costituiscono delle semplici risposte a stimoli esterni. In generale,
occorre considerare che l’essere umano elabora le informazioni che riceve prima di esprimere
quanto ha appreso.
I problemi di fondo della Didattica che si basa sull’apprendimento per esecuzione e riproduzione
consistono:
- nel determinare i contenuti e gli obiettivi dell’insegnamento tenendo presenti, insieme, le
indicazioni dei programmi ufficiali e le possibilità dei singoli allievi;
- nel riuscire a ottenere che le conoscenze, acquisite in modo ripetitivo, diventino, per il
singolo alunno, “strumenti effettivi di conoscenza attiva della realtà” e non si riducano invece a
saperi posticci e pappagalleschi, che si acquisiscono solo in contesti fortemente diretti dall’adulto e
scompaiono invece rapidamente al di fuori dell’ambiente scolastico, dopo che l’alunno ha ottenuto
una valutazione positiva;
- nell’individualizzazione dell’insegnamento che è necessaria per rispettare i diversi stili e
tempi di apprendimento degli alunni mentre ci sono dei contenuti che tutti devono ricevere e fare
propri.
L’apprendimento per scoperta sottolinea l’interpretazione della conoscenza come strutturazione
autonoma della realtà, operata dalla persona a partire da alcune leggi regolative fondamentali,
fondate sull’oggettività del percepire dell’essere umano, e in funzione del contesto sociale ed
affettivo in cui si trova. Ricordiamo a tale proposito le critiche di M. Wertheimer (psicologo della
Gelstat) alla scuola che abitua ad apprendere in modo meccanico e ripetitivo mentre la persona
apprende davvero solo attraverso l’esperienza diretta, quando coglie le relazioni esistenti tra i
termini del problema. In altre parole, secondo i teorici dell’apprendimento per scoperta,
apprendiamo davvero solo quando “scopriamo” una verità mossi da un forte interesse. In questo
ambito le “diversità” degli alunni sono apprezzate e valorizzate.
Tutti i teorici della Gelstat (teoria della forma) valorizzano l’intuizione e l’invenzione, il vissuto
personale dell’alunno. Di conseguenza, la Didattica che condivide i presupposti di questa scuola
psicologica si orienta a valutare nell’alunno la produzione di ipotesi personali e la persistenza non
solo dei risultati ma anche dei processi di scoperta; in questo senso si parla di “generatività della
scoperta”.
In antitesi al nozionismo vengono privilegiate le procedure di pensiero riflessivo ; in particolare
l’insegnante dovrebbe aiutare gli allievi ad acquisire un metodo di apprendimento facendo fare loro
diretta esperienza dei procedimenti di “scoperta” (o, più modestamente, “riscoperta” personale) del
sapere. Le parole chiave di questo modello didattico sono le “ricerche” degli alunni e il
“laboratorio”, non inteso necessariamente come luogo fisico bensì come situazioni che l’insegnante
crea affinché gli alunni possano fare delle scoperte partendo dalla loro esperienza concreta e
diretta. Non si valutano quindi i risultati dell’apprendimento ma i “processi”, vale a dire i
dinamismi di interesse, coinvolgimento, condivisione che dovrebbero alimentare l’attività
scolastica.
Per attuare una didattica coerente con questa concezione dell’apprendimento si richiede
all’insegnante di organizzare il tempo scolastico, lo spazio fisico e i materiali didattici in modo tale
che gli allievi possano compiere delle esperienze –opportunamente valorizzate da adeguati rinforzi
affettivi -, che consentano loro di trovare soluzioni personali ai problemi affrontati a scuola.
L’insegnante è visto come un consigliere degli alunni, come una persona capace di interpretare i
loro vissuti per attivare i loro processi di ricerca.
Certamente l’organizzazione dell’apprendimento per scoperta richiede una lunga preparazione
da parte dell’insegnante, che impiega sicuramente meno tempo nel preparare un’esposizione ben
strutturata di un tema che gli alunni memorizzano e ripetono. Inoltre i contenuti che si possono
apprendere “per scoperta” sono minori di quelli che si apprendono con il metodo precedente, dal
momento che non si possono dilatare troppo i tempi del lavoro scolastico degli alunni. La minore
quantità di nozioni apprese non costituisce un problema per i teorici di questa scuola di pensiero
perché essi concentrano la loro attenzione sulla qualità dei processi mentali attivati piuttosto che
sulla quantità delle conoscenze acquisite dagli alunni. E’ anche vero che si corre il rischio di
privilegiare unilateralmente lo sviluppo dell’originalità personale, del “pensiero divergente” – con
un’espressione di Guilford -, mentre gli alunni hanno bisogno di sviluppare anche il pensiero
logicamente strutturato e il pensiero critico per costruire e sviluppare la propria cultura . Se a scuola
ci fosse posto solo per le ricerche che corrispondono agli interessi spontanei degli alunni si
correrebbe il rischio di privare gli alunni di quelle competenze minime, essenziali, che tutti devono
possedere per inserirsi con soddisfazione nella società.
Nel terzo gruppo rientrano i modelli di apprendimento-insegnamento che vorrebbe recepire gli
aspetti migliori dei precedenti senza subire i loro inconvenienti. I sostenitori dell’apprendimento per
costruzione fanno notare che tra lo stimolo e la risposta c’è l’attività del soggetto che costruisce lo
schema di risposta. Già C. Spearman, negli anni venti del XX secolo, aveva parlato
dell’apprendimento come di una attività umana che scopre relazioni , vale a dire un’attività con cui
la persona si rende conto in qualche modo dell’ analogia e della somiglianza della relazione
esistente tra coppie di rapporti esistenti tra gli oggetti. Il soggetto cerca di cogliere i rapporti che
esistono tra gli oggetti e costruisce delle categorie oppure li fa rientrare nelle categorie già da lui
possedute. La mente manipola gli oggetti e costruisce delle relazioni. Piaget, a partire dal 1926, ha
studiato per quasi cinquanta anni come il mondo viene “rappresentato” dal bambino, dal fanciullo,
dal preadolescente, dall’adolescente e dall’adulto.
L’apprendimento umano non consiste nel semplice rispecchiamento della realtà ma è uno sforzo
operoso e laborioso per poterla rappresentare compiutamente e fedelmente. L’oggettività del lavoro
intellettuale non è compromessa perché anche le nostre azioni sono oggetto di conoscenza; inoltre
si tratta pur sempre di sforzi compiuti per scoprire le verità che esistono nella realtà e per
comprendere con l’intelligenza gli oggetti nel modo più adeguato e fedele possibile.
L’apprendimento per costruzione punta sulla dimensione dello sviluppo umano autonomo e
progressivo. La persona umana costruisce la propria conoscenza e decide se vuole imparare e che
cosa vuole imparare. Oltre alle teorie psicologiche del costruttivismo (Piaget) e dello strutturalismo
(Bruner), si fa più ampio riferimento al cognitivismo e alla significatività dell’apprendimento
(Ausubel: “imparo qualcosa se ha senso per me”). I teorici di questa corrente pongono l’accento
sulla capacità di mettere a punto le proprie competenze, di costruire la propria cultura, attraverso
l’esperienza in cui si può verificare: sia il meccanismo dell’ “equilibrazione” tra il momento dell’
”accomodamento” (dell’oggetto alla mente, diventando così esso immagine intellettuale) e quello
dell’ “assimilazione“ (dell’immagine mentale dell’oggetto percepito) (Piaget); sia l’acquisizione
operativa di capacità cognitive nel contesto dell’interazione sociale.
L’apprendimento è insieme costruzione di reti concettuali (il sapere concepito non come
semplice ripetizione ma come rielaborazione personale e collegamento dei contenuti) e acquisizione
di abilità cognitive e metacognitive (l’apprendimento è efficace solo se lo studente è in grado di
gestirlo perché conosce le proprie strategie e i suoi stili cognitivi).
Affinché producano direttamente “cultura” gli alunni vengono avviati all’osservazione, alla
formulazione di ipotesi, alla sperimentazione e alla verifica. L’ottica valutativa è duplice: quella
della coerenza interna del percorso di costruzione del proprio sapere, che deve trasformarsi anche in
un “saper fare”, e quella della validità di tale sapere.
I costruttivisti affermano che l’apprendimento consiste nel lavoro produttivo del soggetto, sul
quale l’insegnamento può intervenire solo indirettamente, agendo variamente sull’ambiente in cui si
compie (per questo motivo i loro modelli di insegnamento-apprendimento vengono definiti anche
modelli “ecologici”). Essi criticano il semplicismo dei modelli del “prodotto” e la scarsa
considerazione delle nozioni da parte di coloro che , entusiasti dell’apprendimento “per scoperta” si
concentrano solo sui processi mentali da attivare negli alunni trascurando le conoscenze, che
risultano essenziali per l’inserimento sociale degli alunni. I costruttivisti denominano le nozioni
scolastiche “oggetti culturali”, con funzione di “protesi” e di “amplificazione “ delle strutture
cognitive del soggetto che apprende, nel senso che gli oggetti culturali hanno la capacità intrinseca
di modellare il soggetto che con essi interagisce. Per questo motivo i modelli didattici del terzo tipo
vengono denominati dell’ ”oggetto mediatore”: la convergenza di insegnanti e alunni sugli “oggetti
culturali” (i contenuti disciplinari fondamentali) consente di mediare tra l’attività di insegnamento e
quella di apprendimento. L’insegnante non è né la causa diretta del sapere dell’allievo né
l’animatore della sua ricerca spontanea ma colui che ,possedendo un sapere, aiuta l’altro a
costruirselo. Rientrano nel raggruppamento dell’ “oggetto mediatore” il modello didattico del
“sistema degli obiettivi fondamentali dell’educazione”, quello dello “sfondo integratore” e quello
della “didattica per concetti”.
L’attuazione di una didattica “per costruzione”, che usa gli “oggetti culturali” come mediatori tra
l’insegnante e l’alunno, richiede un elevato livello di professionalità dell’insegnante, al quale si
propone di osservare in modo puntuale e continuativo il singolo allievo per elaborare un
insegnamento personalizzato, in un ambiente - quello scolastico - in cui predomina abitualmente
l’attenzione al gruppo-classe. Quando si adotta un modello didattico di questo genere può succedere
che un insegnante non riesca a trasformare in termini di proposta di contenuti disciplinari la lettura
dei bisogni del singolo allievo, come pure può accadere che l’eccessiva attenzione alla peculiarità
irripetibile di ogni alunno metta in secondo piano il bagaglio minimo di competenze comuni, che
tutti gli alunni dovrebbero possedere per vivere in società come membri attivi.
La valutazione degli aspetti positivi e problematici di ogni modello didattico rientra nel campo
di studio della Didattica Generale perché si tratta di un problema che interessa tutte le didattiche
particolari e tutte le discipline insegnate a scuola. Tuttavia , qualunque sia il modello didattico
preferito, per essere un buon insegnante non basta conoscerlo, ma bisogna interpretarlo
personalmente. Ciò comporta che un buon insegnante, nella sua azione, dovrebbe ispirarsi al
modello didattico, ritenuto migliore fra quelli esistenti , e che quindi padroneggia meglio; ma
dovrebbe saper prendere elementi anche dagli altri modelli, per affrontare in modo originale e
flessibile le diverse situazioni in cui si potrà trovare nell’esercizio della sua professione. Ancora una
volta, anche la giustificazione scientifica dell’assoluta necessità dell’interpretazione personale del
modello didattico da parte dell’insegnante è affidata alla Didattica Generale.