“OGNI STUDENTE SUONA IL SUO STRUMENTO, NON C’E’ NIENTE DA FARE…” Ognuno di noi è il frutto di storie ed esperienze uniche ed irripetibili. Quando un insegnate si trova davanti ad uno studente dovrebbe sempre ricordarsi di questo semplice concetto ed accettare l’unicità della persona che ha davanti. Alla nascita il meccanismo di identificazione accompagna e aiuta il processo di crescita, ma, allo stesso tempo, questa avverrà in maniera sana, solo se l’ individuo riuscirà a liberarsi da quei processi di identificazione a cui l’esistenza lo sottopone. L’iter di sviluppo individuale che una persona fa consiste anzitutto in un lungo e inarrestabile processo di differenziazione, in cui l’ essere umano impara a “camminare sulle proprie gambe”. Sviluppare questo senso di differenziazione rispetto alle regole, modelli e canoni prestabiliti, è quindi fondamentale per il nostro benessere psicofisico. Nell’esperienza lavorativa come psicologo scolastico spesso mi sono posta una domanda: in che misura la personalità individuale di studenti e docenti influenza i processi di apprendimento e di insegnamento? Queste due variabili indubbiamente si influenzano a vicenda, ma io vorrei sottolineare l’importanza dell’eterogeneità dei gruppi-classe. Se l’insieme degli studenti è omogeneo si riproducono e si consolidano le differenze socioculturali di partenza degli alunni. Una classe eterogenea, invece, è formata da individui che nella loro specificità si confrontano con gli altri in un ambiente rispettoso delle differenze individuali, perchè ogni alunno nel gruppo-classe ha sempre qualcosa da ricevere e da dare nell’interazione con gli altri. Ad esempio, una classe di studenti modello potrebbe essere portata alla competizione come regola sociale, allo stesso modo di una classe di alunni “non bravi” potrebbe essere costretta alla devianza. Un gruppo eterogeneo, invece, favorisce le opportunità di apprendimento e di maturazione. Viceversa si finirebbe per operare una dura semplificazione della relazione di insegnamentoapprendimento riducendola a un iter tecnico di acquisizione di conoscenze escludendo o subordinando una progettualità che si riferisca alla dimensione socio-affettiva. In passato la relazione alunno-docente era ispirata da principi disciplinari, il suo scopo era cioè quello di precisare stili educativi che, se utilizzati dall’insegnante, favorivano una buona condotta dell’alunno. Solo negli ultimi anni l’attenzione si è spostata anche sulle variabili legate alle competenze relazionali dell’insegnante. Dall’esperienza accumulata in ambito scolastico ho potuto constatare che spesso le relazioni tra alunni e insegnanti sono caratterizzate da dinamiche che spingono l’insegnante stesso a vedere l’ alunno in un duplice modo: o come il riflesso di loro stessi o come un essere svogliato che non ha quel desiderio di sapere che apparteneva loro, quando frequentavano ancora la scuola. I docenti spesso non sono portati alla messa in discussione del proprio modo di insegnare e molte volte, di fronte alle difficoltà legate al rapporto con la classe, si barricano dietro alle lamentose frasi che spesso si sentono nei consigli di classe: “I ragazzi non studiano, a loro interessa altro…non la scuola, non c’è niente da fare…”. Solitamente l’insegnante, anche quando possiede grandi capacità di comunicazione, si pone, nella relazione con la classe, come chi dirige e anticipa le conseguenze della sua azione didattica non variando quasi per niente il suo atteggiamento nel dialogo con gli alunni. Molti insegnanti non sono disposti a mettersi in gioco come persona in grado di accogliere empaticamente le risposte degli alunni. Di solito prevale un atteggiamento di controllo della dinamica relazionale che impedisce gli effetti di ritorno e ciò ha come conseguenza la mancanza di riflessione critica su stessi. La classe è un gruppo formato dagli alunni e dai docenti, e in essa vi è o vi dovrebbe essere un continuo flusso di informazioni e di opinioni provenienti da entrambe le parti. Questo scambio continuo è la ricchezza stessa del gruppo in cui vi sono molte personalità e persone con le loro esperienze e con la loro forma mentis. Vorrei a questo proposito concludere citando un passo tratto dal Diario di scuola di Pennac. Metaforicamente si rende bene l’idea del tipo di “armonia” che dovrebbe essere il punto di arrivo di ogni classe, nella quale si valorizzano le differenze personali che sono sinonimo di ricchezza pedagogica e in cui ognuno lavora con il proprio stile verso il raggiungimento di un obiettivo finale che è quello della conoscenza e della crescita personale e professionale: “Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che suona la stessa sinfonia”.