MOTIVAZIONE
E
APPRENDIMENTO
Dott.ssa Emilia Ciccia
Università della Calabria
Facoltà di Lettere e Filosofia
Dipartimento di Scienze dell'Educazione
RENDIMENTO
SCOLASTICO

Abilità specifiche (innate vs acquisite)

Strategie di apprendimento

Aspetti metacognitivi (conoscenze
strategiche e controllo metacognitivo)

Aspetti motivazionali (motivi e scopi che
portano a studiare)
riguarda ciò che accade nella nostra mente, ovvero quali
processi e modificazioni avvengono quando cerchiamo
di capire o imparare qualcosa, eseguiamo una
operazione matematica, risolviamo un problema,
decidiamo fra due possibili alternative o fantastichiamo
ASPETTO STRUTTURALE
MOTIVAZIONE
ASPETTO DINAMICO
quando ci chiediamo da dove proviene l’energia
che mette in moto e sostiene la nostra attività mentale;
l’energia, cioè, che ci permette di rimanere concentrati
per un certo tempo su un lavoro, che ci consente
di sostenere uno sforzo prolungato,
che ci aiuta a prestare attenzione a una certa spiegazione.

Motivazione ( motus): complesso insieme di
forze che attivano, dirigono e sostengono nel
tempo il comportamento.

Questa è soltanto una delle tante definizioni. La
difficoltà a costruire una definizione univoca e
completa del termine è giustificata dall’ambiguità
semantica dello stesso.
La motivazione si riferisce:
agli stati di
tensione che
mettono in moto
il comportamento
(bisogni,
ES: bere,
mangiare)
al comportamento
strumentale messo
in moto da
questi stati
(pulsioni,
Es: ricerca
di liquidi
o cibo)
agli obiettivi di
questo
comportamento,
volti a soddisfare
il bisogno o a
ridurre il desiderio
(mete,
Es: acqua
o pane).
Interesse

L’ interesse è una motivazione in cui vi è, per chi la
vive, piena consapevolezza sia della sua presenza sia
dell’obiettivo verso il quale essa ci orienta. (Es.,
possiamo provare interesse per un film di cui abbiamo
sentito parlare ma che non abbiamo visto, per cui ci
sentiamo “motivati” a vederlo).

Mentre interesse indica una spinta verso qualcosa,
motivazione indica sia una spinta a fare che a
desistere.
MOTIVAZIONE

INTRINSECA

ESTRINSECA
Teoria innatista
(Darwin, Freud)
Teoria comportamentista
Mette in risalto gli
aspetti innati,
in particolare i bisogni,
e sostiene che gli
esseri umani possiedono
fin dalla nascita alcune pulsioni,
o istinti biologici di base
che li motivano a comportarsi
in determinati modi.
Mette in risalto l’influenza dell’ambiente, sostenendo che gli esseri umani
sono dotati dalla nascita di una mente analoga ad una tabula rasa
su cui le esperienze e gli eventi esterni hanno gradualmente condizionato
un certo comportamento. Secondo questa prospettiva la
motivazione e l’apprendimento potrebbero essere controllati guidando il
comportamento attraverso ricompense, gratificazioni esterne e rinforzi.
(Teoria del rinforzo)
TEORIE MOTIVAZIONALI
Teoria cognitiva
L’attenzione maggiore è rivolta ai modi in cui
la mente struttura e organizza l’esperienza.
Da questo punto di vista la motivazione è direttamente
influenzata dalle convinzioni dell’individuo circa il suo valore,
le sue abilità o competenze, gli obiettivi e le aspettative
di successo o di fallimento e i sentimenti, positivi o negativi,
che derivano dai suoi processi di autovalutazione
Teoria socio-cognitiva e
socio-comportamentale
Mettono in rilievo l’importanza dei fattori
esterni nella motivazione ad apprendere,
comprendendo tra questi il sostegno sociale
ed emotivo da parte di persone significative
(ad esempio la stima e l’incoraggiamento)
e ricompense e incentivi estrinseci
(ad esempio ricevere un riconoscimento
per i risultati ottenuti).
RINFORZO




Stimolo capace di aumentare, mantenere o ridurre la frequenza
di un determinato comportamento (De Beni e Moé, 2000).
È possibile distinguere tra rinforzi positivi che tendono a creare
delle motivazioni e punizioni che mirano a demotivare il
comportamento oggetto di punizione.
Esistono anche i rinforzi negativi, che mirano a rimuovere una
situazione spiacevole attraverso l’aumento della frequenza di un
comportamento.
La punizione non è un rinforzo negativo, poiché la sua finalità è
quella di provocare una diminuzione (e non un aumento) della
frequenza di un dato comportamento.
Rinforzo motivante:
contingente alla prestazione, cioè
vicino temporalmente al
comportamento da rinforzare;
 specifico, cioè relativo a un ben
determinato comportamento;
 credibile, cioè non contraddetto da
livelli di prestazione troppo bassi e
inadeguati per essere premiati o da
altri comportamenti non verbali.

Rinforzo demotivante:




viene dato a tutti indipendentemente dal
risultato;
a parità di risultati alcuni studenti vengono
premiati e altri no;
sostiene la competitività e il confronto con i
compagni, piuttosto che essere centrato sul
lavoro del singolo;
sottolinea il comportamento dell’insegnante
o dei genitori piuttosto che l’impegno dei
ragazzi.
Componenti intrinseche della
motivazione

Curiosità epistemica: “bisogno universale di conoscere e di apprendere”

Motivazione di effectance: Mentre la teoria di Berlyne poggia sul concetto di
(Berlyne), bisogno che si manifesta tramite l’esplorazione dell’ambiente,
motivata solo dal desiderio di sapere (proprietà collative = caratteristiche degli
stimoli di novità, complessità e incongruenza)
pulsione e di bisogno, White (1959) propone una spiegazione alternativa del
comportamento esplorativo, secondo la quale quello dei bambini non riflette solo
un bisogno, quale può essere la curiosità epistemica, ma risponde a una
motivazione intrinseca a padroneggiare e controllare l’ambiente e le situazioni e
a sentirsi competenti ed efficaci, bisogno definito come effectance o
competenza, che dà luogo a comportamenti mediante i quali l’individuo
acquisisce padronanza o controllo sull’ambiente.

Autodeterminazione:Il prototipo di un comportamento autodeterminato è
l’azione intrinsecamente motivata che implica curiosità, spontaneità e interesse.
L’impegno che viene dedicato per l’esecuzione del compito è quindi svincolato
da incentivi esterni, possibili risultati, obiettivi e dipende dal desiderio di svolgere
proprio quella specifica attività per le caratteristiche ad essa inerenti.
Teoria dell’autodeterminazione (Deci
e Ryan, 1980)

Mentre la curiosità epistemica e la motivazione
di effectance si riferiscono essenzialmente a
due spinte motivazionali di base (una relativa al
bisogno di conoscere, l’altra a quello di sentirsi
competenti), l’autodeterminazione consiste
nella libera scelta, svincolata da bisogni o forze
esterne, di condurre un'azione.

La teoria dell’autodeterminazione, tende a
stabilire un continuum piuttosto che un
opposizione tra motivazione estrinseca e
motivazione intrinseca.
Corrente umanista


Uno dei rappresentanti di questa corrente è
H. Maslow (1977) che vede nella
motivazione la spinta prima di ogni azione
umana.
Egli cataloga e distribuisce i bisogni
fondamentali dell’uomo in modo gerarchico
e piramidale: perché nasca il desiderio di
soddisfare quelli della categoria successiva,
è necessario che quelli della categoria
precedente siano già stati soddisfatti

I bisogni di natura superiore sono fondamentali quanto quelli
primari – anche se non sono vitali.

L’uomo si trova in un costante stato di motivazione, e
quando un bisogno viene soddisfatto, immediatamente ne
insorge un altro.

Le aspirazioni più elevate dell’uomo non derivano dunque
da un bisogno legato alla mancanza di qualcosa di esterno
all’organismo, ma da un bisogno di crescita interiore: è
questa la fonte della motivazione intrinseca, e del desiderio
di self-actualisation.
Teoria della Motivazione al
successo (Atkinson)

Si configura come la prima teoria
motivazionale alla riuscita e riprende,
aggiungendo una nuova componente che è
quella emotiva, il concetto di conflitto
introdotto da Lewin, secondo cui la
motivazione è vista come un’energia che
origina da un conflitto e viene liberata nel
momento in cui il conflitto viene risolto.
Motivazione alla riuscita
dipende da due tendenze
motivazionali contrapposte:
 una tendenza al successo (spinta ad
agire)
 una motivazione ad evitare il
fallimento (inibizione dell’azione).

L’individuo motivato a riuscire
tende a scegliere i compiti
di media difficoltà,
scartando quelli facili,
che hanno scarsa attrattiva,
e i difficili, con scarsa
probabilità di successo
Emozioni tipiche sono la
fiducia nella riuscita,
il desiderio di affrontare
il compito, la soddisfazione
e l’orgoglio anche
anticipati, per il successo
Una volta raggiunto il successo,
la tendenza è quella di
attribuire la riuscita
al proprio impegno
e a valutare il compito
come facile
Tutto ciò conduce
ad accrescere il desiderio
di imparare e alla
ricerca di compiti sempre
più difficili.
L’individuo che ha paura di fallire
Affronta compiti molto facili,
per i quali il successo è sicuro,
oppure compiti estremamente
difficili la cui riuscita è molto
improbabile, ma che permettono
comunque di far risalire il
fallimento a cause diverse
dalla mancanza di abilità e di impegno,
quali la difficoltà del compito,
la sfortuna o
la mancanza di aiuto.
L’emozione tipica che
accompagna la tendenza
a evitare l’insuccesso è
la vergogna anticipata,
dovuta al fatto di sentirsi
inadeguati rispetto agli altri
rispetto a come ci si aspettava
di essere e alla sensazione
di non avere la capacità
di farcela.
Prima di affrontare il compito, il soggetto può apparire apatico
o rassegnato, durante l’esecuzione del compito
è spesso ansioso, teme di non farcela. A tutto ciò che
avviene prima, si accompagna, durante il compito, confusione,
dovuta all’incapacità di selezionare e applicare la strategie più
opportune, e sentimenti di incapacità che possono
giungere a configurarsi anche come impotenza appresa,
cioè incapacità di sentire il controllo personale della situazione.
Autostima
Senso soggettivo e duraturo del proprio valore
personale, basato su autopercezioni.
Il modo di percepire se stessi dipende e dalle
esperienze, come conoscenza delle cose acquisita
attraverso prove fatte da noi stessi, e dal giudizio
altrui, l’opinione, cioè, e il parere delle persone che ci
circondano in merito a noi stessi.
Una valutazione di questa autopercezione comporta
inevitabilmente delle reazioni e degli stati emotivoaffettivi che influiscono sui diversi livelli di autostima.
COMPONENTI DELL’AUTOSTIMA
SOCIALE
CORPOREA SCOLASTICA
FAMILIARE
Soddisfazione
nei rapporti
con gli altri,
accettazione
all’interno del
gruppo e
sentimenti
riguardo a sé
come amici
degli altri.
Accettazione
del proprio
aspetto fisico
Comprende il
Apprezzamenti
vissuto
generici su se
familiare, il
stessi
sentirsi
considerati e
sicuri
dell’amore e
del rispetto dei
propri
familiari.
Valore di sé
come studente;
può non
corrispondere
al reale
rendimento
scolastico.
GLOBALE
SE’ REALE
AUTOSTIMA =
SE’ PERCEPITO
ALTA
AUTOSTIMA
BUONA
AUTOSTIMA
BASSA
AUTOSTIMA
Molta
diversità tra
l’immagine
che si ha di
sé e quella
che si
vorrebbe
avere.
Rapporto
adeguato tra
immagine che
si ha di sé e
immagine
ideale.
Sovrastima
delle proprie
qualità, limitata
capacità di
autocritica e
ridotta spinta al
miglioramento.
Genitori
autoritari o
permissivi.
Genitori
autorevoli
Il livello di
autostima
dei
genitori
influisce
su quello
dei figli
Bassa
autostima
dei figli
Buona
autostim
a dei figli
AUTOEFFICACIA
Convinzione delle proprie capacità di organizzare e
realizzare azioni necessarie alla adeguata gestione di
situazioni, allo scopo di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Usa le proprie
capacità con
maggiore efficienza
Sceglie obiettivi
più elevati
Più
motivata
Meno ansiosa
Gestisce meglio
i fallimenti
Piu tenace
Esperienze di gestione efficace.
Sperimentare il successo
favorisce l’acquisizione di
autoefficacia
Persuasione
Esperienza
vicaria.
Vedere
persone simili
a sé che
raggiungono
obiettivi
perseverando,
incrementa la
convinzione di
poter riuscire.
CONVINZIONI
DI EFFICACIA
(Bandura,
1996)
Stati emotivi e fisiologici.
Stress, tensione, indebolimento fisico
vengono interpretati come segnali di
possibile insuccesso; rispetto al successo è
importante migliorare le condizioni fisiche e
lo stato d’animo positivo.
Consolida il
convincimento
di possedere le
qualità
necessarie per
riuscire; chi è
convinto delle
proprie abilità
regge meglio
l’impegno
prolungato.
Una volpe affamata vide dei grappoli
d’uva che pendevano da un pergolato,
e tentò di afferrarli. Ma non ci riuscì.
“Robaccia acerba!” disse allora tra sé
e sé; e se ne andò.
Così, anche fra gli uomini, c’è chi, non
riuscendo per incapacità a
raggiungere il suo intento, ne dà la
colpa alle circostanze.
(Esopo, XXXII; Fedro, IV;3)
STILE ATTRIBUTIVO = insieme sufficientemente stabile
di categorie causali a cui la persona fa riferimento
abitualmente e varia da individuo ad individuo.
abilità
difficoltà del
compito
Successi ed
insuccessi
si
attribuiscon
o a 4 cause
fondamental
i.
fortuna
impegno
abilità
impegno
CAUSE INTERNE
volontà
maturità
fortuna
compito
CAUSE ESTERNE
Atteggiamento e
umore
insegnante
famiglia
Controllabilità
Stabilità
Cause stabili
o instabili nel
tempo
DIMENSIONI CAUSALI
Interno
Esterno
Eventi sotto il
controllo
dell’ambiente
SUCCESSO
Cause interne
Aumento
autostima e
orgoglio
Cause
esterne
Sentimenti di
gratitudine
Cause
controllabili o
incontrollabili
dalla volontà del
soggetto.
locus of
control
Influisce sulle reazioni
emotive degli individui
(Weiner, 1986)
Eventi sotto
il controllo
personale
INSUCCESSO
Cause interne
Vergogna e
rincrescimento
Cause
esterne
Rabbia e
risentimento
c
a
u
s
e
dimensioni
interne
esterne
stabili
instabili
controllabili
incontrollabili
Abilità
interna
stabile
incontrollabile
Sforzo
interna
instabile
controllabile
Difficoltà del compito esterna
instabile
incontrollabile
esterna
instabile
incontrollabile
Fortuna
Principali stili attributivi (De Beni e Moè, 1995)
Stile
Stile
Stile
impegno depresso negatore
strategico
Il soggetto
attribuisce
principalmente
il suo successo
all’impegno e il
suo insuccesso
alla mancanza
di impegno.
Il soggetto
attribuisce
principalmente
il suo successo
a cause esterne
e il suo
insuccesso alla
mancanza di
abilità
Il soggetto
attribuisce
principalmente
il suo successo
all’abilità e il
suo successo a
cause esterne
Stile
pedina
Stile abile
Il soggetto
attribuisce
principalmente
il suo successo
e il suo
insuccesso a
cause esterne
Il soggetto
attribuisce
principalmente
il suo successo
all’abilità e il
suo insuccesso
a mancanza di
abilità.
V
A
R
I
A
B
I
L
I
INSEGNANTE
ALLIEVI
ETA’
SESSO
Valutano più positivamente gli studenti
con scarsa abilità ma che dimostrano
grande impegno. Lo scarso impegno
genera stizza.
Livello di autostima alto se si attribuisce
il successo all’abilità. Fenomeno di
“occultamento dell’impegno”
(Marini, 1990)
Gli studenti più giovani prediligono
l’impegno (forse perché influenzati
dall’insegnante), gli universitari l’abilità
(forse perché socialmente più utile).
Le studentesse, al contrario dei colleghi
maschi, attribuiscono l’insuccesso a
cause interne e il successo a cause
esterne (ansia pre-esame)
(Callaghan & Manstead, 1983)
Comportamento
altrui
Comportamento
proprio
Successo
Successo
Attribuzioni
di tipo
interno
(“sono
bravo”, “mi
sono
impegnato)
Attribuzioni
di tipo
esterno (“è
stato
fortunato”,
il suo
compito era
facile”).
Insuccesso
Attribuzioni
di tipo
esterno (“il
compito era
difficile”,
“sono
sfortunato”)
Schema del
BIAS
EDONIC
O
(De Beni e Moè,
1996)
Insuccesso
Attribuzioni
di tipo
interno
(“non è
capace”,
“non si è
impegnato”)
TEORIA ATTRIBUZIONALE
offre
Un approccio interattivo al problema della
motivazione che mette in evidenza le
complesse relazioni tra componenti cognitive
e affettive del successo e soprattutto
dell’insuccesso.
“la consapevolezza dell’esistenza di
certi meccanismi attribuzionali in
classe, facilita la comprensione dello
scarso impegno di alcuni allievi e
anche del precoce abbandono degli
studi.” (Marini & Milia, 1993)
sottoline
a
Il ruolo dell’insegnante nell’orientare le
attribuzioni degli allievi, nel sostenerne
la motivazione o provocare la
demotivazione.
ergo
STILE ATTRIBUTIVO
non è innato, ma appreso da
genitori
modelli
comportamentali
preesistenti
insegnanti
TEORIE DELL’INTELLIGENZA
Teoria dell’entità
La convinzione che
l’intelligenza sia un
tratto stabile e
immodificabile
porta ad attribuire i
fallimenti alla
mancanza di abilità.
prestazione
padronanza
Teoria incrementale
La convinzione che
l’intelligenza sia in
continua crescita
favorisce un
modello attributivo
basato sul sostegno
all’impegno.
personale.
Le variabili socio-culturali della motivazione
scolastica

motivazione/età degli allievi; la motivazione intrinseca sembra
decrescere in modo inversamente proporzionale all’età. Questo non
significa che sia più facile motivare un bambino piuttosto che un
adolescente; la difficoltà permane in entrambi i casi se la famiglia
non offre sostegno;

motivazione/sesso; si è riscontrato maggior successo scolastico
da parte delle donne: i sociologi individuano ciò nelle spinte familiari,
negli stili di vita e in una forma di rivalsa femminile. Oltre a questo
altri elementi potrebbero favorire le donne, come l’uso della
verbalizzazione, comune nella prassi didattica;

motivazione/contesto familiare e urbano; Bordieau diceva che la
cultura si eredita, intendendo con cultura tutta la rete di motivazioni e
sostegni che caratterizzano un contesto familiare.

La famiglia può incoraggiare o addirittura contrastare l’azione didattica;
quello che conta in particolar modo è il titolo di studio ed è proprio
questa spaccatura fra bisogno di competenza e titolo di studio a
determinare scarsa motivazione all’apprendimento, quasi come se un
miglioramento del livello di vita non fosse influenzato dal livello di
scolarizzazione.

Se a questo si aggiunge anche che ormai il titolo di studio non è la
chiave per avere un lavoro sicuro si spiega la caduta motivazionale forse
più potente.

Anche il contesto sociale e urbano ha grande influenza sulle famiglie: nei
grossi centri urbani, dove la vita è stressante, si avverte un
abbassamento della soglia di fatica psichica sopportabile, per cui è facile
avere un crollo motivazionale se vengono a mancare stimoli e novità.

motivazione/didattica; nel rapporto fra motivazione e stile di
insegnamento si può cogliere il legame fra modalità relazionali di
insegnamento e motivazione rispetto alle singole discipline. Ecco
perché nella ricognizione delle ragioni della demotivazione si indaga
anche sull’interesse o le preferenze fra le discipline.

A favorire la motivazione e la successiva riuscita sono anche le
conoscenze d’ingresso che l’allievo possiede: egli impara meglio ciò
per cui ha sufficienti conoscenze iniziali.

Al contrario, se ritrova negli anni successivi materie non gradite e si
ripetono gli insuccessi, si genera un senso di inadeguatezza
personale difficile da rimuovere. Gli aspetti emotivo-affettivi si
intrecciano a quelli cognitivi impedendo un riequilibrio spontaneo
della motivazione;

motivazione/stile d’insegnamento; in generale una buona
didattica è motivante, soprattutto se si basa su attività di
ricerca in cui il sapere viene visto in un aspetto dinamico
(motivazione in atto). Gli insuccessi possono anche portare
alla demotivazione progressiva, fino ad arrivare al rifiuto di
certi apprendimenti, soprattutto se questi non sono favoriti
dai modi con i quali l’insegnante usa relazionarsi.

motivazione dell’insegnante stesso nei confronti dello
studio e della sua professione; è utile sapere come
l’insegnante è stato motivato, la sua carriera scolastica e
come a sua volta motiva gli allievi. Mentre si è approfondito
il perché si è scelta la professione, meno lo si è fatto per
indagare l’aspetto individuale della motivazione
dell’insegnante rispetto all’attività di studio (Gatti, 1992)