DANNO PSICHICO Il danno psichico trova il proprio riconoscimento nel concetto di danno biologico, quale menomazione dell’integrità psichica della persona in sé e per sé considerata, come indicato esplicitamente nella sentenza della Corte costituzionale (n. 184 del 14.7.1986). Il valore persona (uomo o donna che sia), in quanto tale, non si esaurisce dunque nella sola attitudine a produrre reddito, ma esprime tutte le funzioni naturali afferenti al soggetto nell’integrazione delle sue dimensioni biologiche, psicologiche e sociali. Quando si parla di «danno psichico», in realtà, si intende riferirsi al «danno biologico di natura psichica».Il discorso sul danno biologico di natura psichica non può esimersi dal considerare i profondi mutamenti che si sono verificati negli ultimi decenni nella dottrina e nella prassi psichiatrica. Infatti, è mutato il concetto medico secondo cui la medicina si occupava della malattia; oggi, la medicina per il cambiato clima culturale e sociale non si occupa della malattia, ma della persona malata o ancora meglio della persona in sé considerata, nella sua integrità psicofisica. DANNO PSICHICO Anche la psichiatria e la dottrina giuridica sono mutate in ambito di risarcimento del danno alla persona. Fino a qualche tempo fa, tali cambiamenti tecnici, culturali e dottrinari non avevano destato un forte interesse in ambito medico legale. Il medico legale, a fronte della malattia mentale, era orientato nel senso del misconoscimento della stessa intendendola come frutto di simulazione oppure l’accettava come conseguenza di una lesione organica del sistema nervoso centrale. In pratica, vi era confusione tra danno neurologico e danno psichico. Ormai, la distinzione tra danno biologico e danno psichico è da considerare acquisita, il primo essendo afferente al sistema nervoso in quanto apparato anatomico e funzionale, costituito da encefalo, organi di senso, nervi periferici, il secondo afferendo alla psiche. DANNO PSICHICO Con il passare degli anni, la situazione è cambiata, ma vi è stata la necessità di una rielaborazione completa della conoscenza psichiatrica in rapporto alle esigenze della valutazione del danno alla persona al fine di poter disporre di idonee criteriologie valutative, che da un lato devono tenere conto della particolarità dei disturbi psichici ai quali non possono essere applicati i principi della causalità vista in senso lineare, dall’altro del fatto che la valutazione medico-legale del danno alla persona non può riconoscere parametri unitari, ma deve essere rapportata al soggetto (analisi funzionale): aspetti entrambi importanti reciprocamente integrantisi e di sua specifica pertinenza nel processo di analisi delle conseguenze della lesione della sfera psichica. In tutti casi la valutazione psicologico-pschiatnca appare particolarmente delicata e complessa: certamente da affidare a specialista preparato in questo specifico settore (psichiatra con formazione medico-legale, coadiuvato da uno psicologo; è escluso che un medico-legale possieda analoga formazione frutto di semplice apprendimento teorico). DANNO PSICHICO In buona sostanza, relativamente al danno psichico, bisognerà dunque dimostrare che, in seguito e in conseguenza a un danno ingiusto altrui (doloso, colposo o preterintenzionale che sia stato), è sopravvenuta un’effettiva lesione dell’integrità psicofisica del soggetto in esame (danno biologico), lesione che ha seriamente minato il suo funzionamento mentale e relazionale con caratteristiche di temporaneità o di permanenza (danno alla salute) e che ha comportato e comporta interventi sanitari (farmacologici e psicoterapeutici). Prima di affrontare criteriologia e metodologia valutative, è necessario ricordare che il danno biologico di natura psichica può essere: DANNO PSICHICO diretta conseguenza di traumi cranio-encefalici; - maltrattamenti, abusi e violenze a vario titolo inferte a bambini, adulti e anziani; - mobbing (i maltrattamenti sul luogo di lavoro); - stalking (la sindrome del molestatore assillante); - il bullismo; - altri traumi fisici (lesioni personali); - sequestri di persona; o derivare indirettamente da - un lutto da morte di un familiare o di una persona significativa (danno da rimbalzo); - DANNO PSICHICO il gravame psicofisico derivante dal dover assistere un familiare non più autosufficiente per evento lesivo altrui. - In altre parole, il danno biologico di natura psichica diretto è la conseguenza di un evento lesivo nel soggetto che ne è stato colpito. Il danno biologico di natura psichica indiretto è il riflesso che su altri ha il danno che ha colpito quella persona. Appare opportuno segnalare inoltre che il settore del risarcimento del danno, in continua evoluzione, negli ultimi anni, allargando i propri confini, è giunto ad Interessarsi anche di eventi quali il concepimento, la gestazione e il parto, ponendo i giuristi e i medici legali di fronte a questioni di non facile soluzione. Ci si riferisce in particolare al danno da nascita indesiderata (wrongful birth). - DANNO PSICHICO «Secondo questi Autori con l’espressione “danno da nascita indesiderata’’ ci si riferisce ad una serie di fattispecie che presentano caratteristiche proprie, ma che hanno come comune denominatore il fatto che per i genitori la nascita del figlio rappresenta un evento non lieto. In effetti la pretesa risarcitoria può fondarsi sul presupposto che una nascita si è verificata successivamente ad un intervento medico non riuscito; ma a differenza dei casi in cui tale intervento era volto alla sterilizzazione di uno dei potenziali genitori (in tali casi l’espressione utilizzata è wrongfulpregnancy o wrongful conception) ovvero era consistito nel fallimento dell’intervento di interruzione di gravidanza, l’azione risarcitoria può scaturire dall’errore medico in occasione della diagnosi di malattie o malformazioni fetali: in queste fattispecie il risarcimento si chiede perché quella nascita causerà sofferenze a tutto il nucleo familiare» . DANNO PSICHICO La nascita indesiderata o la nascita di un figlio malformato possono dar luogo oltreché a un danno esistenziale e a un danno morale, ad un danno biologico di natura psichica. La Corte di Cassazione si è già espressa su casi di danni da nascita indesiderata, una delle quali da considerare particolarmente innovativa in quanto con la stessa viene riconosciuto il danno esistenziale subito dai genitori per la nascita di un figlio handicappato. Da ricordare infine il danno da wrongful life, con questo termine ci si riferisce ad una condizione in cui un bambino che nasca con malformazioni o patologie congenite o comunque con una condizione di svantaggio esistenziale e la cui nascita o la presenza di tali patologie sia da ricondurre alla responsabilità di terzi, intenti una causa perché vengano riconosciuti e quindi risarciti i danni alla propria persona. DANNO PSICHICO Si tratta di una fattispecie di danno ancora in evoluzione, l’unico ordinamento in Europa ad ammettere il danno da wrongful life è quello francese; a tale proposito è famosa una sentenza del 2001 della Corte di Cassazione francese che riconobbe tale tipo di danno e risarcì un ragazzo nato con gravi handicap fisici. Anche in relazione al danno da wrongful life può essere invocato un danno esistenziale, un danno morale o un danno biologico di natura psichica. DANNO PSICHICO Il danno psichico da lutto L’argomento che sarà trattato in questo paragrafo riguarderà solo il problema relativo all’esistenza di un danno psichico risarcibile nei parenti della vittima primaria di un evento lesivo: uno dei pochissimi esempi, se non unico esempio di danno biologico di natura psichica indiretto e argomento individuato dalla Giurisprudenza in questi ultimi anni. L’esistenza di un danno biologico nei parenti di una vittima, definito come danno psichico risarcibile iure proprio, è riconoscibile alle seguenti condizioni: che vi sia stata la morte di un congiunto; che i parenti siano i genitori o i figli; che sussista un’alterazione o una lesione dell’integrità psicofisica, identificabile nell insorgenza o nell’aggravamento di una vera e propria malattia psichica; che l’onere della prova per la sussistenza di tale danno, incomba alla parte che assume di aver subito la lesione. DANNO PSICHICO Anche se l’attenzione è stata focalizzata esclusivamente sulla morte del congiunto, pare quantomeno opportuno ricordare altre situazioni che hanno caratteristiche tali da costituire una possibile noxa patogena, altrettanto importante della morte, per esempio la evidenziazione di un disturbo mentale nei familiari del soggetto. Si tratta, in particolare, dei casi in cui la vittima primaria dell’illecito ha subito lesioni tali da determinare una condizione di totale perdita della autosufficienza, quali: la tetraplegia e lo stato vegetativo persistente. DANNO PSICHICO Anche se il decesso di un genitore o di un figlio è un evento indubbiamente molto traumatizzante, nella maggior parte dei casi però con il trascorrere del tempo, con l’attenuarsi del ricordo e con il subentrare delle capacità di adattamento, l'evento luttuoso tende a ridurre la propria azione negativa, determinata dalla mancanza di un affetto o di un aiuto morale oppure di un valido supporto nella evoluzione formativa. Per contro, il vivere quotidianamente accanto ad una persona ridotta ad una condizione di puro stato vegetativo, ed ancor più nel caso in cui il congiunto conscio del proprio stato si trovi nella condizione di dover essere assistito in modo continuativo, anche per i più semplici atti della vita quotidiana, sono senza alcun dubbio delle condizioni molto stressanti in quanto il turbamento dell’animo per la violazione della sfera degli affetti, è quotidianamente presente e svolge in modo continuo la sua azione traumatizzante. DANNO PSICHICO Si tenga presente, a titolo di esempio, che nella scala della gravità degli eventi psicosociali stressanti la morte del coniuge è classificata come «evento acuto estremo», la morte del figlio come «evento acuto catastrofico», mentre la malattia cronica del figlio è classificata come «situazione duratura estrema». Per i bambini e gli adolescenti solo la morte di entrambi i genitori è classificata come «evento acuto catastrofico», mentre la malattia cronica con pericolo di vita per un genitore è classificata come «situazione duratura grave». Sostanzialmente condivisibile è la delimitazione della sfera d’influenza del danno biologico indotto agli stretti congiunti della vittima, quali i genitori o i figli. Infatti sarebbe impensabile l’estensione del diritto al risarcimento a tutti coloro che potrebbero aver subito un risentimento emotivo, poiché in tal modo si aprirebbe un ventaglio talmente ampio da dilatare in modo abnorme ed incontrollabile l’area degli aventi diritto, stimolando nel contempo pretestuose richieste basate non sulla esistenza di un nesso causale o concausale, ma sul semplice concetto di occasione. DANNO PSICHICO Non vi è alcun dubbio che per il medico-legale sussistono notevoli e talora insormontabili difficoltà nell’affrontare il problema dell’individuazione e della valutazione di un eventuale danno psichico permanente conseguente ad un trauma emotivo doloroso. Le ragioni sono non solo tecniche: infatti il momento attuale di regnante e imperante edonismo e di continue affermazioni sui diritti delle persone hanno costruito un clima culturale in cui tutto è dovuto al singolo e morte e malattia sono eventi che appartengono ad altri, come se non si trattasse di fenomeni naturali che accompagnano tutta la nostra esistenza. La nascita e la morte rappresentano rispettivamente i due estremi distacchi dai quali nessuna persona può dichiararsi o illudersi di essere estranea. DANNO PSICHICO Vivere significa anche affrontare ed elaborare lutti, perdite, abbandoni: tutti accadimenti integranti il nostro essere persone umane. In realtà, l’atteggiamento emotivo e spesso anche cognitivo è quello di negare, scindere, rimuovere questi eventi, per cui, quando ci si trova di fronte alla morte o alla malattia grave e invalidante le porte del paradiso artificiale che ci siamo creati si chiudono e per molti di noi l’elaborazione del lutto diventa un problema non risolubile, se non applicando meccanismi difensivi primari: come tali patogeni e generatori di depressione non elaborabile, rabbia, risentimento, impossibilità di conciliazione e di perdono. Tutti questi meccanismi, ampiamente addebitabili a un assetto culturale che favorisce la negazione e la scissione, intervengono nel determinare e nel mantenere un «quantum» di sofferenza psicologica diffiicilmente misurabile e obiettivabile. DANNO PSICHICO «E dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente a un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina e giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi il rango costituzionale inerente alla persona». Per la Corte costituzionale il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. deve essere risarcibile anche nel caso in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto illecito risulti da una presunzione di legge, ampliando così i limiti del dettato di cui al suddetto articolo (risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli casi previsti dalla legge, tra i quali rientra quello del danno derivante da reato, ai sensi dell’art. 185 c.p.). DANNO PSICHICO Il profilo risarcitorio del danno, in questo modo, trova un ulteriore suo ampliamento, in accordo, tra l’altro con due altre sentenze della Corte di Cassazione richiamate nella citata sentenza e in cui si afferma che «alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come nei casi di cui agli artt. 2051 e 2054 cod. civ., debba ritenersi sussistente in base a una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato» (Cass., 12.5.2003, nn. 7281 e 7282). Proprio per questo motivo è indispensabile tentare di focalizzare una metodologia che quantomeno fissi i presupposti per un corretto approccio al problema, finalizzata a ridurre, per quanto possibile, al minimo i margini della superficialità e dell’approssimazione, affinché il medico-legale non fornisca un ulteriore contributo a quell’anarchia giurisprudenziale che oggi è presente nelle aule giudiziarie. La premettiamo al paragrafo dedicato ai criteri valutativi in tema di danno biologico in generale, stante la peculiarità di questo tipo di danno. DANNO PSICHICO Appare utile premettere cosa si possa intendere per lutto in ambito psichiatrico. «Questa categoria può essere usata quando l’oggetto dell’attenzione clinica è una reazione alla perdita di una persona cara. Come parte della loro reazione alla perdita, alcuni soggetti si presentano con i sintomi caratteristici di un Episodio depressivo maggiore (per es. sentimenti di tristezza e sintomi associati come insonnia, scarso appetito, e perdita di peso). Il soggetto in lutto tipicamente considera “normale” l’umore depresso, sebbene possa ricercare un aiuto professionale per alleviare i sintomi associati come insonnia o anoressia La durata e l’espressione del lutto “normali” variano in modo considerevole tra i diversi gruppi culturali. La diagnosi di Disturbo depressivo maggiore non viene generalmente fatta se i sintomi non sono più presenti 2 mesi dopo la perdita DANNO PSICHICO Comunque la presenza ili certi sintomi che non sono caratteristici di una reazione “normale” di lutto può essere utile per differenziare il lutto da un Episodio depressivo maggiore. Questi includono: 1) sentimenti di colpa riguardanti cose diverse dalle azioni fatte o non fatte dal soggetto sopravvissuto al momento della morte; 2) pensieri di morte diversi dal sentimento del soggetto sopravvissuto che sarebbe meglio essere morto o che sarebbe dovuto morire lui al posto della persona deceduta; 3) pensieri eccessivi e morbosi di inutilità; 4) marcato rallentamento psicomotorio; 5) prolungata e intensa compromissione di funzionamento; 6) esperienze allucinatorie diverse dal pensare di udire la voce o di vedere fuggevolmente l’immagine della persona deceduta. DANNO PSICHICO Ritornando alla metodologia della valutazione medico-legale, il primo problema che si pone è quello relativa al momento in cui debba essere eseguita l’indagine peritale, in quanto un accertamento troppo precoce potrebbe risultare viziato nelle sue conclusioni dalla non stabilizzazione del quadro clinico. Fermo restando il fatto che il momento della consulenza non dipende prioritariamente dalla decisione del medico-legale, pare logico ritenere che l’indagine peritale non dovrebbe essere svolta prima che siano trascorsi almeno due anni dall’evento, lasso di tempo questo che ragionevolmente può essere ritenuto sufficientemente adeguato per considerare, nella maggior parte dei casi, il quadro clinico come stabilizzato. A questa schematizzazione sfuggono i minori, nei quali solo a distanza di molti anni si possono manifestare disturbi psichici, situazione questa che oggi può essere solo evidenziata, e per la quale è necessario individuare una opportuna metodologia. DANNO PSICHICO Il secondo problema è quello che riguarda l’inquadramento clinico della condizione psichica presentata dal soggetto esaminato. Si tratta di appurare la reale esistenza di una vera e ben definita patologia psichica, comportante una compromissione obiettiva, durevole e quindi permanente della personalità dell’individuo, la quale incida sull’equilibrio e sulla efficienza del soggetto. Trattandosi di materia altamente specialistica, dovrà essere affrontata dal medico-legale in stretta collaborazione con uno specialista psichiatra, e ciò anche in considerazione del fatto che l’analisi deve comprendere la diagnosi differenziale tra le autentiche forme morbose e la pura sofferenza soggettiva o una eventuale patologia simulata. DANNO PSICHICO La simulazione si caratterizza con la produzione volontaria e controllata di sintomi fisici e/o psichici falsi o grossolanamente esagerati, finalizzata ad ottonere uno scopo che può essere facilmente individuato, tenendo contro delle circostanze. La diagnosi di simulazione deve essere avanzata quando viene notata una qualche combinazione dei seguenti elementi: contesto medico-legale: per esempio la persona viene inviata dal suo avvocato al medico per l’esame; marcata discrepanza fra il disturbo o l’invalidità lamentata dalla persona ed il reperto obiettivo; mancanza di cooperazione durante la valutazione diagnostica e nel corso del trattamento prescritto; presenza di un disturbo antisociale di personalità (abbandono dei figli). DANNO PSICHICO La simulazione, lo ricordiamo, si differenzia dai Disturbi fittizi per il fatto che questi sono la conseguenza di un bisogno del soggetto ad assumere il ruolo di malato e non sono mai determinati da incentivi esterni. Il terzo problema è quello attinente al nesso causale, e cioè ai rapporti esistenti tra l’evento psicotraumatizzante ed il quadro clinico obiettivato. Si tratta di esaminare il caso clinico in riferimento ed alcune ipotesi interpretative e cioè se l’evento traumatizzante la psiche sia da considerare come causa efficiente o come concausa, oppure momento occasionale o acceleratore o aggravatore, secondo le definizioni che riportiamo qui di seguito: causa efficiente: è la causa senza la quale non può venire prodotto un determinato effetto; concansa: un determinato effetto si può realizzare solo dall’azione comune di più cause, mentre ognuna da sola non avrebbe portato alcun effetto o ne avrebbe prodotto uno diverso; DANNO PSICHICO Causa occasionale: o momento liberatore della causa. Ha minima importanza, è assolutamente inidoneo a produrre l’effetto, può essere sostituito con altri eventi simili; causa acceleratrice o momento acceleratore: è un evento concausale od occasionale che, pur non modificando quantitativamente l’effetto di una causa, ne accelera l’effettuazione; causa aggravante o momento aggravatore: è una concausa che modifica quantitativamente l’effetto che sarebbe derivato da una data causa. DANNO PSICHICO Il primo quesito che il medico-legale si deve porre è se sempre ed in ogni caso deve essere affermata la sussistenza di una causalità oppure se vi sono delle situazioni nelle quali la sua esistenza deve essere esclusa. Non vi è alcun dubbio che in presenza di una simulazione o di disturbi fittizi l’esistenza di un nesso causale tra evento e quadro clinico presentato non possa che essere escluso. Inoltre la reazione al lutto raramente insorge dopo 2-3 mesi dall’evento, per cui una patologia psichica che si evidenzi a distanza di 12 o più mesi con un silenzio clinico che copre tutto il periodo precedente verosimilmente non può essere ricollegata in termini di causaeffetto con l’evento traumatizzante. Per contro, nella situazione conseguente alla totale perdita di autosufficienza del parente, proprio per la persistente presenza della condizione stressante, il criterio cronologico per l’esclusione del nesso causale non pare assumere una concreta dignità. DANNO PSICHICO Il successivo problema interpretativo è quello di stabilire se la condizione di lutto possa essere considerata una causa occasionale. Appare evidente che le condizioni individuate, quali la morte del congiunto o la perdita totale della sua autosufficienza, essendo eventi psicosociali estremi o catastrofici, non possono in quanto tali essere interpretati come fattori assolutamente inidonei o di minima Importanza. Se però la condizione psichica evidenziata ha caratteristiche tali, come ad esempio la schizofrenia, da essere considerata come del tutto indipendente dalle esperienze di vita, ovviamente l’evento non potrà essere considerato nient’altro che come momento rivelatore e di conseguenza come del tutto ininfluente dal determinismo del quadro psicopatologico presentato. DANNO PSICHICO Nell’affrontare il problema della causa efficiente, non vi è dubbio che l’evento emotivo-doloroso sia caratterizzato dalla probabilità scientifica di determinare unii temporanea situazione di sofferenza psichica reattiva quale è quella del «lutto non complicato». Con questa dizione viene indicata la normale reazione di adattamento alla morte di una persona cara, anche caratterizzata da una completa sindrome depressiva, la quale si colloca tra le condizioni che, pur potendo richiedere attenzione o trattamento, non sono considerate come veri disturbi mentali. DANNO PSICHICO Inoltre la durata della reazione al lutto, pur variando considerevolmente tra i diversi sottogruppi culturali, se il funzionamento mentale del soggetto è esente da grossolane turbe patologiche, evolve sempre verso la completa risoluzione. In base a questi presupposti, non sussiste alcun dubbio sul fatto che il passaggio da una situazione di temporanea sofferenza psichica a quella di un vero disturbo mentale, possa avvenire, solo se antecedentemente al fatto nel soggetto sussisteva una condizione patologica. Di conseguenza uno stress emotivodoloroso non potrà mai essere considerato come causa diretta ed esclusiva per il determinismo nell’adulto di un disturbo mentale permanente. DANNO PSICHICO Proseguendo nell’analisi e quindi affrontando il capitolo delle concause, emerge una considerazione che, come tale, fornisce una utile chiave di lettura del problema. Ancorché non esistano dati statistici sulla evidenziazione di patologie psichiatriche permanenti a seguito dell’evento lutto, le esperienze quotidiane sino ad ora acquisite, sia nell’ambito psichiatrico che in quello medico-legale, sono univoche nell’indicare come non frequente l’insorgenza di tale evenienza. DANNO PSICHICO Da questa constatazione, inevitabilmente scaturisce la deduzione che il momento di stress emotivo- doloroso, non possa essere considerato come concausa prevalente: definizione, questa, che meglio connota la condizione preesistente, in quanto di fondamentale e indispensabile importanza per l’evidenziazione di una patologia neuropsichica. L’unica situazione nella quale lo stress emotivo- doloroso potrebbe verosimilmente assumere maggior rilevanza concausale è quella del decesso di un figlio unico, sul quale un genitore aveva proiettato un impegno affettivo totalizzante. Si tratta, in sostanza, di una preesistente condizione psicologica che, pur non definibile come patologica, si pone all’estremo limite della normalità, si caratterizza con un investimento affettivo estremamente elevato e proiettato in modo mono- settoriale sulla figura del figlio senza possibilità di altri interessi affettivi sostitutivi. DANNO PSICHICO Passando ad esaminare la condizione per la quale lo stress emotivo-doloroso può essere considerato come momento acceleratore, pare logico ritenere che la stessa si concretizzi nel caso in cui la patologia psichica nell’ambito della vita del soggetto, indipendentemente dall’evento, sicuramente si sarebbe comunque evidenziata per caratteristiche evolutive e di decorso sue intrinseche. Il primo problema interpretativo che in questo caso si pone è di quanto tempo sia stata anticipata la manifestazione della malattia «di base». La risposta, indubbiamente difficile, potrà essere espressa solo in termini orientativi, prendendo come riferimento i dati forniti dalla clinica per quanto riguarda la prevedibile età di insorgenza di quella specifica patologia. DANNO PSICHICO Un secondo problema riguarda la possibile concretizzazione di conseguenze negative più pesanti nell’ambito della vita sociale e lavorativa, rispetto a quanto in ogni caso si sarebbe verificato, nel caso in cui la manifestazione del disturbo psichico sia stata anticipata di anni, rispetto a quella che era la prevedibile età di insorgenza del disturbo. L’evento stressante si può connotare come concausa di aggravamento, nel caso in cui una diagnosticata preesistente patologia si sviluppi con un più importante quadro clinico e/o in modo non prevedibile evolva in senso peggiorativo e/o richieda trattamenti terapeutici più consistenti. L’ultimo argomento da affrontare è quello della valutazione medico-legale e cioè della quantificazione del danno conseguente alla condizione peggiorativa allo stato anteriore. DANNO PSICHICO Secondo una impostazione tradizionale, la estrema variabilità delle singole situazioni e la diversa rilevanza che di volta in volta assumono i fattori predisponenti sia endogeni sia esogeni, impedirebbero di formulare una qualsiasi regola per valutare il danno, se non in maniera superficiale, se non addirittura arbitraria. Secondo questa impostazione i sistemi tabellari non trovano appliazione nella valutazione del danno biologico di natura psichica. Di conseguenza, la valutazione del danno psichico dovrebbe essere espressa in maniera descrittiva sottolineando la preesistente condizione psicopatologica, ove sussistente, e la validità funzionale del soggetto puntualizzando in modo chiaro e comprensivo le caratteristiche dell’evento nell’ambito della causalità, definendo il quadro clinico riscontrato e quali sue componenti siano rapportabili all’evento, fornendo una analisi accurata sul come e su quali attività della vita lavorativa ed extralavorativa il riscontrato peggioramento dello stato anteriore svolga la sua influenza negativa. DANNO PSICHICO Ovviamente, tale tipo di conclusioni non corrisponde alle pragmatiche richieste dei magistrati e degli avvocati di avere, cioè, una indicazione numerica in base alla quale sviluppare i calcoli della monetizzazione del danno. A fronte di un problema di tale difficoltà e complessità, la soluzione per così dire «descrittiva» sarebbe la più corretta, rispetto ad una empirica soluzione valutativa «numerica» la quale in sostanza verrebbe ad addebitare al medico-legale la responsabilità di una conclusione in termini di liquidazione che nella maggior parte dei casi molto probabilmente si rivelerebbe non corretta e ingiusta. DANNO PSICHICO La valutazione descrittiva costituisce una prassi comunemente seguita in altri Paesi, tra i quali l’Inghilterra. Il problema quindi dovrebbe essere affrontato in modo approfondito, nell’ambito delle rispettive competenze di carattere psicopatologico e medico-legale. Il medico legale, in particolare, dovrebbe impegnarsi a svolgere compiutamente un’analisi tecnica, evidenziando tutte le sfaccettature che il caso presenta, mentre il magistrato e gli avvocati dovrebbero impegnarsi nell’interpretazione di tutti questi dati conoscitivi forniti dal medico per acquisire concreti elementi di ragione sulla reale entità del danno. DANNO PSICHICO L'evoluzione concettuale che è maturata negli ultimi anni ha tuttavia portato alla formulazione di sistemi tabellari che ripartiscono la valutazione percentuale in classi (normalmente cinque) del danno permanente: classe 1: 0-5%, classe 2: 10- 20%, classe 3: 25-50%, classe 4: 55-75%; classe 5: superiore al 75%. Le varie classi si riferiscono sostanzialmente al livello di compromissione di sei funzioni psichiche e cioè l’intelligenza, l’ideazione, la percezione e il giudizio clinico, l’affettività, il comportamento, l’autosufficienza e la risposta alla riabilitazione. Nella prima classe andranno «incasellate» le funzioni che risultano normali o senza deficit, nell’ultima classe le funzioni che risultano gravemente alterate, per cui il funzionamento psicologico, sociale e occupazionale del soggetto risulta estremamente compromesso. Questo tipo di valutazione, tuttavia, appare inadeguata in quanto sostanzialmente costituisce una estensione della scala convenzionale adoperata per valutare il danno somatico. DANNO PSICHICO Alla valutazione finale invece occorre pervenire attraverso un incontro e la comune intesa del criterio clinico e di quello medico-legale. Il criterio clinico deve tener conto dei sintomi, della loro gravità e tendere all’accertamento della loro emendabilità; il criterio medico-legale invece deve tendere a stabilire l’incidenza negativa di quanto è emerso in sede psicopatologica sulla integrità psicofisica della persona, avendo come punto di riferimento fondamentale il suo funzionamento, prima e dopo l’evento dal quale scaturisce l’eventuale risarcimento. Diversi Autori, tra i quali Brondolo e Marigliano e Buzzi e Vanini, si sono impegnati nella elaborazione di tabelle per la valutazione psichiatrica e medico-legale del danno biologico di natura psichica. Tali tabelle costituiscono ormai da qualche anno un punto di riferimento importante nella valutazione di tale tipo di danno. Ma di altri tipi di danno (morale ed esistenziale) occorre ora brevemente trattare. DANNO PSICHICO Il danno morale Nelle già citate sentenze (nn. 184/1986 e 356/1993) la Corte costituzionale ha definito danno morale il «turbamento transeunte soggettivo di natura psichica». Si tratta di danno psichico diretto; come tale, appartiene ad una categoria autonoma e distinta dal danno biologico, nel senso che non può essere identificato con lo stesso e deve essere adeguatamente personalizzato In sostanza (sentenza n. 30668/2011): «Il danno morale appartiene ad una categoria autonoma e distinta dal danno biologico, entro l’ampio genere del pregiudizio non patrimoniale; il profilo morale del danno non patrimoniale è, dunque, autonomo e non può certo considerarsi scomparso “per assorbimento” all’interno dell’onnicomprensivo danno biologico tabellato. DANNO PSICHICO La modifica del 2009 delle tabelle del Tribunale di Milano non ha mai “cancellato” la fattispecie del danno morale intesa come “voce” integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale: né avrebbe potuto farlo senza violare tra l’altro un preciso indirizzo legislativo, manifestatosi in epoca successiva alle sentenze del 2008 delle stesse sezioni unite, dal quale il giudice, di legittimità e non, evidentemente non può in alcun modo prescindere in una disciplina (Il sistema che, nella gerarchia delle fonti del diritto, privilegia ancora la diposizione normativa rispetto alla produzione giurisprudenziale...Inoltre, poiché il danno biologico ha natura non patrimoniale, e dal momento che il danno non patrimoniale ha natura unitaria, è corretto liquidare il risarcimento del danno biologico e morale in una somma omnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale possono venire in considerazione in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, e sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici». DANNO PSICHICO Con la recente sentenza del 12.9.2011, n. 18641, inoltre, la Cassazione si è pronunciata sulla risarcibilità del danno morale, considerando quest’ultimo come appartenente ad una categoria autonoma e distinta dal danno biologico, entro l’ampio genere del pregiudizio non patrimoniale; i giudici, ribadiscono che il profilo morale del danno non patrimoniale è autonomo e non può certo considerarsi scomparso “per assorbimento” all’interno dell’onnicomprensivo danno biologico tabellato. Sempre la III Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 19133 del 20.9.2011 ha stabilito che deve essere risarcito, a titolo di danno morale, anche il patimento d’animo sofferto dalla vittima del sinistro, nel lasso di tempo intercorso tra l’incidente subito e la morte, se sono assenti alterazioni dello stato di coscienza, per cui il soggetto è in grado di “avvertire la estrema gravità delle proprie condizioni e patirne la conseguente, intensa sofferenza”. DANNO PSICHICO Tale “patimento d’animo” è stato dalla Corte “definitivamente ricondotto nell’orbita del danno morale risarcibile, inteso nella sua nuova e più ampia accezione”. La sua valutazione non compete al perito o al consulente, nel senso che esso viene liquidato con una somma forfettaria di volta in volta stabilita dal giudice. Il perito può, tutt’al più, porre le premesse storiografiche alla sua esistenza. DANNO PSICHICO Il danno esistenziale Il danno esistenziale è ravvisabile nel caso di alterazione, ad opera di fatto illecito di terzi, delle normali quotidiane attività dell’individuo, tra le quali attività familiari, sociali, di svago, culturali, di intrattenimento, di riposo e di relax, cui ciascun soggetto ha diritto e che incidono, con modalità e gradi diversi, conseguenti alla diversa sensibilità individuale e struttura della personalità, nella sfera psichica del soggetto leso, potendo anche alterare in misura più o meno rilevante i predetti rapporti familiari, sociali, culturali, affettivi, ecc. Nei casi più gravi può anche insorgere una vera e propria malattia psichica; in tal caso, tuttavia, anche al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, il danno va qualificato come biologico in senso stretto e liquidato sotto tale voce. Trattasi di danno diretto. DANNO PSICHICO La modificazione peggiorativa della vita della vittima, conseguenza diretta o indiretta del fatto illecito altrui, qualora non sia ravvisabile un danno biologico, in base ai normali ed usuali criteri di accertamento del danno, resterebbe sfornita di tutela risarcitoria. In mancanza di una lesione obiettivamente accertabile dell’integrità psicofisica del soggetto leso direttamente o indirettamente, come nel caso di sofferenze indotte dalla perdita di un congiunto, in base all’attuale giurisprudenza, non è configurabile un danno biologico risarcito. DANNO PSICHICO Il danno esistenziale è sostanzialmente un danno psichico, in cui le alterazioni psìchiche non sono talmente gravi da ripercuotersi con aspetti patologici nella personalità del soggetto. Assumendo le caratteristiche cliniche e di decorso già precisate, si tratta di un’alterazione psichica di un certo rilievo nell’ambito, come si è detto, della vita familiare, personale, affettiva di svago e di relax del danneggiato, cioè di una compromissione della c.d. «gioia di vivere». Trattasi di un danno non reddituale, di natura non patrimoniale, che può essere comunque liquidato, in presenza di un fatto illecito, indipendentemente da un fatto costituente reato, superando l’art. 209 c.c., con un’interpretazione costituzionale, che fa riferimento all’art. 2 Cost., che tutela ogni libera estrinsecazione della personalità: quindi tutela anche ogni diritto fondamentale dell’individuo DANNO PSICHICO L’apprezzamento del danno esistenziale non è di competenza dello psichiatra o del medico-legale, il quale al massimo potrà descrivere i presupposti biologici ove sussistano. La valutazione del danno esistenziale, come di quello morale, deve essere pertanto lasciata alla discrezionalità del magistrato. Una sentenza delle Sezioni Unite Civili aveva rivoluzionato la valutazione del danno esistenziale e di quello morale, facendoli entrambi rientrare nel danno biologico: «In tema di danno non patrimoniale, che è categoria generale non suscettibile di suddivisioni in sottocategorie variamente etichettate, non può farsi riferimento a una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità. DANNO PSICHICO Quindi, il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile solo entro il limite segnato dall’ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno e al danno biologico va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva. Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato». Con questa sentenza era stato introdotto un concetto decisamente allargato del danno biologico, comprendendo nella valutazione dello stesso anche il danno morale e quello esistenziale, definiti sotto il termine omnicomprensivo di danno non patrimoniale con pregiudizi di tipo esistenziale, concernenti aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato e identificatisi in essi. DANNO PSICHICO Prevedeva la sentenza che «va affermato che, nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua un’autonoma sottocategoria di danno, ma descrivi, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini dell’esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento». DANNO PSICHICO Criteriologia e metodologia valutative Occorre premettere che la valutazione del danno psichico deve tenere distinti gli aspetti del risarcimento del danno organico (neurologico, cranioencefalico, fisico) che avvengono tramite l’applicazione di tabelle percentuali e gli aspetti del danno propriamente psicologici e psicopatologici che vengono denunciati come conseguenza dell’evento traumatizzante. 1. Per quanto concerne le conseguenze psichiche dei traumi cranioencefalici, un criterio di probabilità predittiva può essere fornito dall’intensità del trauma iniziale. In questo ambito, vengono descritti i traumi psichici sine materia, cioè senza trauma organico riconoscibile. Essi sono per definizione soggettivi e sono traumi che agiscono solo sulla psiche e provocano alterazioni psichiche, senza quadri fisici specifici; le risposte al trauma possono essere diverse, in quanto mediate da strutture psichiche diverse. In questo campo, la realtà e l’intensità del trauma sono spesso di difficile apprezzamento. DANNO PSICHICO 2. Tutti gli avvenimenti fuori del comune che sono vissuti come una minaccia grave e immediata alla propria incolumità o all’incolumità di persone care possono essere considerati come generatori di un trauma psichico dotato di lesività ed efficacia; tuttavia, lo stesso evento (ad esempio un terremoto), non produce nelle persone coinvolte gli stessi effetti, come si può comunemente osservare. Quindi, l'esperienza vissuta è sempre mediata dalla psiche del soggetto che può sviluppare o meno una patologia mentale. 3. Il danno biologico di natura psichica (come il danno biologico in generale) esiste quando è stato ed è necessario instaurare e portare avanti nel tempo un intervento sociosanitario (generico, specialistico, psichiatrico e psicologico) documentato e documentabile nella sua effettiva traduzione pratica; la sua permanenza (durata nel tempo), o meglio, persistenza (perdurare di una menomazione sensibile ed apprezzabile) della compromissione dell’efficienza del leso va valutata a distanza dal momento dell’evento. DANNO PSICHICO Nel trauma cranio-encefalico il lasso di tempo può essere dilatato fino a 36 mesi dopo l’evento. Nel caso di danno psichico da trauma diretto di natura non cranio encefalica e da trauma indiretto non meno di 18-24 mesi. Tale lasso di tempo è più che sufficiente per risolvere una reazione da lutto «semplice» o «normale» e affrontare il problema diagnostico-differenziale con una reazione da lutto «complicata» o con un Disturbo distimico o con un episodio depressivo maggiore o medio o grave o, peggio, con uno scompenso psicotico di natura schizofrenica e così via. DANNO PSICHICO 4. Tutti gli psichiatri e gli psicologi sanno quali discussioni intorno alla nozione di disturbo mentale e alla sua classificazione e quanti sistemi nosografici siano stati nel tempo proposti e come il problema di definire la malattia mentale sia ritenuto da molti non risolvibile. Ogni evento ha diverso valore psicolesivo, anche in funzione del significato psicolesivo che gli attribuisce il danneggiato. Donde il carattere relativo e comparativo che caratterizza la valutazione in questo ambito. Ciononostante, il tecnico consultato deve tradurre la sintomatologia denunciata in qualche cosa di «obiettivo», la deve etichettare utilizzando schemi nosografici discutibili e non definitivi, e la deve «misurare» ( = quantitativizzare) nella sua portata e nel suo valore di «malattia». Gli si chiede di pronunciarsi anche circa le cause che entrano in gioco nella genesi dei disturbi accertati e sul nesso causale (inesistente in psichiatria, nel senso di ignoto ed indimostrabile per ora; di largo uso invece nel linguaggio medico-legale e giuridico, come abbiamo già visto) tra evento lesivo e conseguenza psicopatologiche. Tutto ciò egli ha da fare, senza possedere schemi o protocolli precostituiti cui fare riferimento DANNO PSICHICO 5. L’evento psicolesivo ingiusto deve essere dimostrato, è vero. Ma è pur vero che il «nesso di causalità» è sempre, in ambito psicologico-psichiatrico, un nesso di con-causalità, essendo ben nota la variabilità recettiva e reattiva individuale dii un lato, l’inesistenza di un rapporto unilineare tra evento psicolesivo e danno Imi logico dall’altro. Ciò vale anche in riferimento alla patologia da lesione cerebrali organica e ai disturbi psicotici cc.dd. «maggiori»: figurarsi nelle cc.dd. «sindromi soggettive» (più o meno elaborate), dove - al massimo - evidente è il fenomeno della concorrenza multifattoriale, circolare e soggettiva II fatto che in medicina legale, in questi ultimi casi, a fronte di un comprovato traumatismo cranico seguito da sintomi soggettivi si riconosca una invalidità permanente che varia da 2 a 1 punti, non sposta e non chiarisce il problema di fondo, ma si limita semplicemente ad applicare una convenzione-finzione di tipo fittizio. DANNO PSICHICO 6.Il quesito (esiste o non esiste un danno biologico? È transeunte o permanente?) viene posto, però, in termini dicotomici. Di contro, gli «esperti» non hanno nessuna possibilità di fornire risposte obiettive, generalizzate, concordate, condivise su cosa si intenda per transeunte e permanente, soggettivo ed obiettivo, sofferenza e disturbo mentale, afflizione e morbosità. Quali sono i limiti temporali e i contenuti concettuali che definiscono e differenziano gli uni dagli altri? 7. Nell’ambito della medicina e della chirurgia generali o delle varie specializzazioni mediche si può giungere a dare una risposta corretta, obiettiva e sostanzialmente rispondente alla verità clinica. Le lesioni «fisiche» sono certamente più facili da obiettivare di quelle psichiche, dove la soggettività dell’osservatore e dell’osservato non sono eludibili. DANNO PSICHICO 8. La valutazione psichiatrica, pertanto, non può basarsi soltanto sull’esame clinico attuale, bensì assume caratteristiche di «validità obiettiva» (relativa, sempre e comunque), se è possibile accertare che l’alterato funzionamento psichico si traduce in una sensibile, effettiva compromissione delle abilità sociali preesistenti e che è difficile o impossibile ricompensarle per via farmacologica o psicoterapica. DANNO PSICHICO 9. Ogni evento traumatico (diretto o indiretto) ha diverso valore psicolesivo, a seconda del significato psicolesivo che gli attribuisce il danneggiato. Un fatto obiettivamente di scarso impatto emotivo o affettivo (perché è a questo livello che si pone il discorso: non certo su di un evento che può «causare» un deterioramento intellettivo misurabile e quantitativizzabile) può determinare un danno rilevante e viceversa. Donde il carattere relativo e comparativo che caratterizza la valutazione in questo ambito. Ne discende che di fronte al medesimo accadimento psicotraumatizzante, un soggetto «normale» (con strutture dell’Io funzionanti, funzionali ed autonome, cioè) uno «nevrotico» (con strutture dell’Io compromesse nel loro funzionamento da una patogenesi conflittuale) ed uno «psicotico» (le cui strutture e le cui funzioni dell’Io sono scisse, disgregate deteriorate; sempre compromesse sul piano del rapporto con la realtà e con gli Altri) hanno reazioni differenziate. Ma non è detto che ad un evento psicotraumatizzante debba corrispondere una risposta «patologica» da parte di ciascuna ili queste persone. DANNO PSICHICO Così non è detto che ad un evento «lieve» corrisponda una risposta «lieve» e ad un evento «grave» segua una risposta «grave». A seconda del significato che ognuno di noi dà agli eventi che lo colpiscono nella vita, corrisponde una risposta che va dal registro del «normale» (= adeguato) a quello ilei «disarmonico» e del «patologico» (= discordante, dissonante, deteriorante lin precedente livello di funzionamento dell’Io). E ancora: una struttura psicotica ben compensata prima dell’evento, può, in conseguenza di questo, andare incontro ad uno nuovo scompenso, non riducibile e non riconducibile allo «status quo ante». Oppure può essere scarsamente significativo sul piano della compromissione preesistente (esempio: Disturbi dell’umore o Sindromi affettive maggiori). Un grave trauma cranico può avere poche o nulle conseguenze, di contro a quadri soggettivi che possono sviluppare certi soggetti, fino alle psirosi e alle depressioni più radicate e irriducibili. Quindi nel campo psicologico-psichiatrico è possibile di tutto e niente di tutto. DANNO PSICHICO Quello che è certo è che eventuali fattori preesistenti non possono essere motivo di esclusione del risarcimento. Anzi, sono proprio quelli sui quali vanno condotte le più attente ed approfondite analisi e valutazioni. Da tutto ciò consegue che il discutere circa il nesso di causalità così come inteso dalla medicina legale (specie se si voglia portare il discorso sulla causalità unilineare) è ampiamente destituito di fondamento, trattandosi sempre di concause aventi effetto patoplastico, mai patogenetico, esclusi i casi ove sia dimostrabile il danno cerebro-organico. Le capacità e possibilità che ogni individuo possiede di «compensare» disturbi organici e funzionali è non codificabile e non prevedibile, variando enormemente da caso a caso. DANNO PSICHICO Rimane fuori discussione il fatto che - a un certo punto, piaccia o non piaccia una qualche forma di valutazione del danno deve essere proposta da un punto di vista medico-legale. Bisogna ricordare che in questo settore non si tratta di dire quanto vale un disturbo psichico isolatamente considerato (si vedano, ad esempio, le tabelle pubblicate nel 1992 indicative delle percentuali di invalidità civile), bensì quanto quel disturbo mentale lede, menomandola, l’integrità psicofisica, la vita relazionale e la capacità lavorativa di quel soggetto. 10. Il punto fondamentale di partenza è rappresentato dall’analisi della struttura e del funzionamento della personalità di base del soggetto che allega il danno, quale essa era prima che intervenisse l’evento psicolesivo. Di conseguenza, essa si basa da un lato sulla ricostruzione di una storia di vita precedente il danno, dall’altro sulla raccolta dei sintomi soggettivamente lamentati dal leso e sulla possibilità di una obiettivazione clinica e psicodiagnostica dello «stato di malattia» che si allega essere sopravvenuto (indagine comparativa). DANNO PSICHICO La criteriologia Si tratta, dunque, di un giudizio comparativo e relativo, che non può prescindere dalla collocazione esistenziale di quel danneggiato nella sua storia di vita. Il c.d. «danno psichico» è di difficile e controverso accertamento, perché in questo ambito, come in nessun altro settore della medicina, entra in gioco una componente soggettiva che riguarda il «valutatore» (psichiatra, psicologo, medico-legale che sia), e il «valutato» (lo psicoleso, cioè). La criteriologia da tenere presente nella valutazione dell’esistenza o meno del danno psichico in quel determinato soggetto (esclusi i casi estremi di malattia certa da lesione cerebro-organica) è la seguente: DANNO PSICHICO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. preesistenza o meno di disturbi psichici (la concausalità); loro aggettivazione e quantificazione (= qualità e quantità della compromissione preesistente); descrizione delle abilità sociali preesistenti all’evento traumatizzante e del livello di integrazione del soggetto in esame nel «sociale»; identificazione della personalità premorbosa, tenendo presente che lo «stile di vita» è unitario e che le caratteristiche di personalità rimangono immutate nel corso della vita; analisi del momento e del «tipo» di cambiamento sopravvenuto (quando e che cosa); lo stato attuale; individuazione delle linee di compensazione e dei meccanismi di difesa messi in atto dopo l’evento; DANNO PSICHICO 8. analisi delle motivazioni al miglioramento o al mantenimento dello status quo al peggioramento; 9. valutazione dell’efficacia lesiva di quell’evento psicotraumatizzante su quel soggetto che si sta esaminando; 10.analisi del momento e del «tipo» di cambiamento sopravvenuto (quando e elle cosa); 11. precisazione del contesto relazionale e situazionale in cui il «cambiamento» si manifesta e delle relative modalità espressive; 12. precisazione degli interventi terapeutici (psicofarmacologici o psicoterapeutici) e di riabilitazione neuropsicologica messi o meno in atto; loro efficacia ed efficienza; 13, esame del tipo ed entità di risposta ottenuta e tempo trascorso dall’inizio delle terapie al momento dell’indagine (ininfluenza, attenuazione, remissione, stabilizzazione); DANNO PSICHICO 14. attenta disamina delle abilità sociali che, al momento dell’indagine clinica, risultano compromesse (interessi sociali e culturali, capacità relazionali, attività sportive; hobbies; vita sessuale); 15. descrizione dello «stato di malattia» sopravvenuto, adottando un criterio comparativo tra il «prima» e il «dopo», al fine di «comprendere» il significato che ha assunto per quella persona quel particolare evento psicolesivo sul suo diritto fondamentale al «bene salute», e di valutare il correlato impatto nel determinare il quid novi o il quid pluris. L’obiettivo da perseguire - giova ripeterlo - è quello di descrivere lo «stato di malattia» sopravvenuto, adottando un criterio comparativo tra il «prima» e il «dopo», al fine di «comprendere» il significato che ha assunto per quella persona quel particolare evento psicolesivo sul suo diritto fondamentale al «bene salute», e di valutare il correlato impatto. DANNO PSICHICO La metodologia La metodologia si articola nei seguenti passaggi: - raccolta di una accurata anamnesi; - esame di ogni tipo di documentazione clinica; - analisi delle deposizioni testimoniali esclusivamente orientata a fini clinici; - individuazione della patologia cognitiva, affettiva e comportamentale in atto) (esame psichiatrico diretto, somministrazione di reattivi mentali e di eventuali test neuropsicologici, indagini strumentali); - inquadramento nosografico della suddetta patologia in una sindrome di natura o prevalentemente psicogena o prevalentemente fisiogena (la diagnosi); DANNO PSICHICO - - - rapporto proporzionale tra gravità oggettiva dell’evento «psicotraumatizzante» e allegata menomazione dell’efficienza psichica, o meglio psicofisica essendo ogni persona una unità psicosomatica), del leso (il funzionamento); diagnosi differenziale tra genuinità da un lato, amplificazione, simulazioni aggravamento iatrogeno del danno dall’altro; definizione del quid novi e del quid plurìs; valutazione dell’incidenza dell’accertata compromissione sulle attività di vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l'efficienza psicofisica del soggetto danneggiato (individuazione delle aree di funzionamento psicosocoale alterate) traduzione in un quantum orientativo da proporre alla valutazione del magistrato. DANNO PSICHICO Le regole minime Riassumendo tutto quanto è stato esposto nelle pagine precedenti, possiamo dire che ogni caso deve essere singolarmente analizzato e valutato integrando l’approccio nosografico con quello psicodinamico; la definizione di cosa sia o cosa non sia la malattia mentale è ancora del tutto aleatoria e provvisoria (il problema definitorio e nosografico); l’obiettivazione psichiatrica è la traduzione in termini più o meno codificati e concordati di qualcosa di cui l’osservatore viene a conoscenza attraverso i sintomi che l’osservato soggettivamente denuncia; è da escludere che si possa stabilire un rapporto di causa-effetto tra situazione ambientale negativa e malattia mentale, proprio perché -per definizione - essa riconosce una genesi multifattoriale, in cui singoli fattori (e l’ambiente è uno di questi) svolgono un semplice ruolo patoplastico o scatenante, non certo di causalità unilineare; DANNO PSICHICO L’aspetto qualificante e unificante l’apporto psicologicopsichiatrico è costituito dal rigore metodologico (che etimologicamente deriva da metathodòs e significa «la strada che si percorre»); L’inquadramento clinico deve fondarsi su dati trasferibili, comprensibili e controllabili; il danno psichico valutabile risulta dal grado di compromissione funzionale al momento dell’indagine nel senso di un quid novi o di un quid pluris, da cui vanno sottratti disturbi fittizi, elaborazioni secondarie e preesistenti disturbi del funzionamento mentale dell’esaminando; DANNO PSICHICO non esistono criteri standard codificati o precisi metodi di misurazione dell’invalidità per le patologie mentali che consentano la costruzione di sistemi tabellari, generalizzazioni o valutazioni analogiche, se ci si attiene semplicisticamente alla nosografia psichiatrica, qualsiasi essa sia; ogni tipo di nosografia, infatti, offre unicamente la possibilità di costruire un contenitore alfa numerico entro il quale deve sempre essere inserito una complessa e articolata discussione clinica; la valutazione del danno biologico può scaturire solo da una opportuna e meditata integrazione tra approccio nosografico e approccio funzionale-, ne consegue la categoria «disturbo» (posto che sia stata correttamente applicata) non significa nulla sul piano valutativo; DANNO PSICHICO convenzionalmente, la valutazione percentuale del danno psichico può essere fatta ricorrendo alle tabelle in uso per l’invalidità civile; il giudizio che viene dato ha caratteristiche orientative, alcune di probabilità, nessuna di certezza; forse come in nessun altro campo della psichiatria medicolegale, i tecnici hanno semplicemente il compito di offrire il massimo di elementi di conoscenza, sui quali si possa poi basare la discussione e motivare ogni decisione; la quantificazione del danno resta di pertinenza dei tecnici, attraverso il contraddittorio delle parti, con la supervisione del magistrato; DANNO PSICHICO è necessaria una specifica formazione medico-legale per lo psichiatra e psichiatrica per il medico-legale che si avventurino in questo settore di attività; il massimo di attendibilità si può avere se l’accertamento viene affidato ad un collegio in cui siano garantite e rispettate competenze diversificate (lo psichiatra, lo psicologo, il medicolegale, con possibilità di usufruire della consulenza di altri colleghi). DANNO PSICHICO Osservazioni e proposte conclusive La liquidazione del danno psichico (diretto o indiretto che sia) «non è standardizzabile e «tabellabile», ma richiederebbe un’attenta costruzione che emerga dall'opera del tecnico e del magistrato. Anche se sono state proposte una scala di valutazione del danno da menomazione psichica e percentuali indicative, è nostro personale convincimento che, a parte la valutazione in percentuale del trauma cranio-encefalico e dei postumi di una qualsiasi lesione del corpo, il danno psichico dovrebbe essere indicato in fasce di invalidità permanente (permanent impairment), piuttosto che in percentuali di danno. DANNO PSICHICO Al proposito, la guida dellX.M.A. (American Medicai Association) nella parte in cui tratta le procedure di valutazione dell’invalidità di natura psichiatrica, richiama l’attenzione sui disturbi comportamentali conseguenti e correlali disturbi mentali. Non sono riferite stime numeriche o percentuali nella valutazione dell’invalidità, ma vengono fornite indicazioni circa le modalità da seguire per descrivere le capacità e l’efficienza di un individuo nello svolgere le comuni attività della vita quotidiana dopo l’evento psico-traumatizzante, con esclusione dì quelle lavorative. Le regole generali sono le seguenti: DANNO PSICHICO necessità di una diagnosi pluriassiale e chiara per stabilire l’esistenza di un’invalidità permanente di natura mentale o comportamentale; 2. la diagnosi, formulata secondo i criteri D.S.M., non deve costituire l’unico aspetto della valutazione, per cui occorre prendere in attento esame i seguenti aspetti; a) descrizione dell’efficienza funzionale e delle limitazioni funzionali nel tempo e nel quotidiano (analisi longitudinale e trasversale, tolleranza allo stress, ecc.); b) valutazioni lavorative, socio-ambientali e relazionali, prima e dopo l’evento traumatizzante; c) presenza o meno di una motivazione verso il miglioramento; sua dipendenza - se assente - da eventuale patologia mentale (depressione, autismo), dii atteggiamenti simulatori o amplificatori, dagli effetti collaterali dei farmaci somministrati; 1. DANNO PSICHICO d) presenza o meno di vantaggi economici nel rimanere «malati» e contininuare a ricevere benefici assicurativi o assistenziali; 3. eventuali ricoveri ospedalieri e loro esito; accertamenti sanitari extraospodalieri: tipo ed efficacia; 4. presenza o meno di risposta al trattamento (in senso ampio inteso) e alla riabilitazione e loro influenza sui sintomi, sui segni e sulla funzionalità globale dell’individuo (remissione rapida o lenta; totale o parziale); 5. stabilità o evoluzione della condizione invalidante; sua contestualizzazione (dove, come, quando, perché); 6. possibilità o meno di svolgere mansioni lavorative alternative o di modificare quelle già esistenti. DANNO PSICHICO Ribadito che non esistono precisi metodi di misurazione dell’invalidità per le patologie mentali, vengono proposte 5 classi di invalidità per disturbi mentali e comportamentali, in ognuna delle quali vengono individuate le seguenti 4 aree di limitazione dell’efficienza funzionale: 1. le attività della vita quotidiana (cura e igiene personale; comunicazione; deambulazione; spostamenti; funzione sessuale; sonno); 2. le relazioni sociali (che documentano la capacità di un individuo di interagire adeguatamente e di comunicare efficacemente con gli altri); 3. concentrazione, perseveranza e rapidità (qualità necessarie per lo svolgimento di molte attività della vita quotidiana); 4. deterioramento o scompenso in attività complesse o di tipo lavorativo (riguardano l’incapacità di un individuo di adattarsi a circostanze stressanti). DANNO PSICHICO Come già si è detto, la trasformazione di queste linee guida in valori percentuali non può essere effettuata in maniera affidabile, se non per convenzione, dal momento che non si possono fare stime precise e valide su scale graduate. La sesta edizione della Guida (2008) individua otto classi di quantificazione tra lo 0 e il 100% e raccomanda l’utilizzazione di tre scale con cui valutare e quantificare i disturbi mentali, quali la gravità dei sintomi, il funzionamento sociale, la concorrenza dei due.