CASA,DOLCE CASA La vita degli esseri umani, come per tutte le altre specie, è legata alla casa. E per casa si intendono non soltanto i muri e la mobilia, ma anche i familiari, i parenti in genere, e tutte quelle conoscenze e amicizie che gravitano intorno alla casa e alla famiglia. Staccare una persona dalla casa e dal suo contesto significa metterla in crisi, collocarla in uno stato di incertezza che, se prolungato nel tempo o definitivo, può causare nevrosi e alienazione, fino a disturbarne l’equilibrio psichico. La casa, i familiari, i parenti, i conoscenti e i luoghi fanno parte della nostra persona, della nostra percezione dell’esistenza, e ne abbiamo necessità non soltanto per cose contingenti, come i pasti, il letto per dormire, o la conservazione del lavoro; ma la loro conservazione, le loro abitudini ( che possono pure modificarsi gradualmente col tempo e con l’età, e tutto il vissuto della persona) ci sono indispensabili anche per la conservazione del nostro equilibrio psichico. E se qualcuno questo equilibrio psichico lo ha già perso; nonostante la permanenza in famiglia? La risposta può sembrare strana e ci sono molte persone che non riescono a recepirla: il paziente psichico – proprio per poter guarire- deve restare il più possibile nella propria casa e nella propria famiglia, il meno “ospedalizzato” possibile. Perché è proprio lì, in famiglia, che si deve cercare ( con l’aiuto, beninteso, delle strutture psichiatriche pubbliche e private) di far sì che i rapporti con gli altri esseri umani vengano riallacciati dal paziente, ridiscutendoli, perché a volte, in certe cose, il paziente è ( e vorrei vorrei dire; come augurio, “era”) costretto a svolgere ruoli che gli vengono imposti, ai quali, magari perché giovane e inesperto o dipendente economicamente dalla famiglia, è costretto ad adeguarsi, e, pur non riuscendo a dirlo apertamentamente, non sente “suoi”. E il disturbo psichico è, in questo caso, il modo che la “persona” del paziente ha trovato, per manifestare il disagio cui ruoli non suoi, ma impostigli, lo costringevano. Perciò il paziente deve vivere il più possibile a casa e in famiglia, e il ricovero ospedaliero deve essere inteso come mezzo estremo il più possibile breve e non una punizione. Insomma non si può ricoverare il paziente (tenendo presente che il ricovero, anche nelle migliori condizioni, per il paziente è comunque un trauma) sperando che ce lo retituiscano “sano” e vicino alla guarigione, come se fosse un orologio che abbiamo portato ad aggiustare, e che ci viene restituito funzionante. Questo discorso sull’ambiente naturale del paziente è già stato recepito da decenni dalla psichiatria. Ricordo in proposito che all’O.P.P. (Ospedale Psichiatrico Provinciale) di Genova Quarto, già prima della Legge 180, i Reparti in cui il vecchio Manicomio era diviso, erano stati trasformati in Divisioni, in ognuna delle quali venivano ricoverati pazienti tenendo conto del loro luogo di residenza, dimodoché nel loro ricovero (spesso a vita in quei poveri casi) si sentissero il più possibile nel loro ambiente naturale, tra gente che conosceva le stesse persone e gli stessi luoghi che conoscevano loro. E, aggiungo, invece delle vecchie separazioni tra Reparti esclusivamente maschili o femminili, con personale esclusivamente maschile o femminile, le Divisioni furono miste ( con ovvie separazioni di camerate ecc.), così ciascuna metà del cielo poteva vedere l’altra. Credo di essere stato esauriente, e mi rendo conto che ci sono pazienti, e situazioni, ingestibili in famiglia, anche perché l’aiuto di cui si ha bisogno è molto, mentre quello che ci viene offerto dalle strutture psichiatriche è poco, e spesso insufficiente. Vorrei ricordare che noi siamo qui proprio per questo,che l’A.L.Fa.P.P. e tutte le altre associazioni di familiari di pazienti psichici esistono proprio per aiutare, e aiutarci a vicenda, aiutare le famiglie ad alleviare (e chissà che un giorno non si possa dire “superare”) queste difficoltà. Io volevo soltanto far presente che, tenendo conto unicamente della salute del paziente (ciò che, me ne rendo conto, non sempre si può fare), la casa, la famiglia, i conoscenti, e la vita nel tessuto umano e sociale, nel proprio ambiente insomma, sono un modo pressoché unico, in cui il paziente “può” guarire, la condizione sine qua non per poter superare il disagio psichico. Armando Misuri