SPUNTI DI RICERCA
Bisogno di assistenza nel paziente anziano
Un paziente anziano presenta necessità non solo legate a una singola patologia, ma anche alla
condizione generale connessa all’età. Per questo tipo di paziente, qualsiasi intervento deve mirare
soprattutto a un miglioramento della qualità della vita, puntando a rafforzare quegli aspetti che, un
po’ per pigrizia, un po’ per demotivazione, portano l’anziano in uno stato di “apatia”.
In questo contesto, è evidente come l’infermiere debba mettere in pratica tutta la sua conoscenza
etica e professionale per calarsi in situazioni in cui la comprensione, il supporto emotivo e l’aiuto
pratico risultano alla base di qualsiasi miglioramento. Occorre definire il più possibile le esigenze
per meglio provvedervi.
La popolazione bersaglio è infinita e la scelta del campione potrebbe quindi essere estremamente
varia: da un singolo reparto a più strutture di riposo nell’ambito di un territorio, per cui sarebbe
anche possibile programmare un vero e proprio studio campionario.
Le variabili da considerare, oltre a quelle inerenti a eventuali patologie in atto, potrebbero essere di
tipo tipo familiare, socio-culturale, di relazione, emozionale ecc. Il rilevamento potrebbe avvenire
tramite questionario scritto o intervista indirizzati agli anziani, ai loro familiari ed eventualmente agli
infermieri coinvolti in questo tipo di assistenza. Le domande dovrebbero essere adeguate alla
fascia di età e mirate a individuare tutti i possibili fattori legati negativamente o positivamente alla
qualità dell’assistenza.
Si dovrebbe soppesare il modo in cui condurre la ricerca, la reticenza a fornire determinate
risposte e la soggettività di certe percezioni. A un livello descrittivo, l’indagine potrebbe fornire
suggerimenti immediati di intervento e, da una valutazione comparativa o speculativa dei dati,
potrebbero emergere ipotesi di interventi migliorativi.
Elementi di Statistica medica
Pasquale Bruno Lantieri, Domenico Risso, Giambattista Ravera
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Il paziente oncologico
Il paziente oncologico, sottoposto a pressioni psicofisiche dovute alla patologia e alle incognite legate
al suo esito, necessita di particolari riguardi da parte di coloro che se ne prendono cura. Prestare
assistenza a un paziente oncologico significa spesso doversi fare carico non solo della malattia della
persona colpita, ma anche del sistema familiare in cui è inserito e dall’aiuto “emotivo” che i familiari
sono in grado di fornire. Per questo tipo di paziente, incide particolarmente la qualità di vita (QdV),
intesa come percezione soggettiva della propria salute fisica, psicologica ed emotiva, anche in
relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni, nel contesto culturale e di valori in cui vive.
L’importanza assunta dalla QdV è tale che sono stati predisposti numerosi validi questionari in grado
di valutarla. Sotto l’aspetto statistico, si tratta di valutazioni semiquantitative, che sovente vengono
elaborate e presentate come quantitative in quanto espresse su un’ampia gamma di punteggi. Una
ricerca descrittiva consente di valutare l’impatto di un trattamento sulla qualità di vita e programmare
interventi specifici per migliorarla. In alcune indagini di livello superiore a quello descrittivo, un
miglioramento della QdV diventa addirittura prioritario nel fornire conclusioni sull’efficacia di un
trattamento chemioterapico.
La gamma di indagini in argomento è quindi molto ampia, ma una ricerca interessante per valutare
se il tipo di assistenza infermieristica giochi un ruolo importante nella situazione psicofisica potrebbe
essere rappresentata da un confronto tra tipi diversi di approccio al paziente: dalla semplice
somministrazione di farmaci a un più complesso dialogo col paziente e con i familiari.
Contaminazione batterica
La contaminazione batterica è un fenomeno particolarmente importante nei reparti di rianimazione e
terapia intensiva, come visto in precedenza. Un programma di controllo consentirebbe di studiarne gli
aspetti epidemiologici in modo da applicare efficaci misure di prevenzione.
In particolare, si potrebbe considerare come obiettivo della ricerca l’identificazione dell’incidenza
annuale delle colonie batteriche, la distribuzione di frequenza dei singoli agenti microbici e i fattori
legati alle tecniche (cateteri arterovenosi, tubi di drenaggio ecc.) e alle abitudini personali e di reparto
(lavaggio delle mani, disinfettanti ecc.) che sono considerate le maggiori responsabili della
colonizzazione. Questo tipo di esperienza permetterebbe, in ultima analisi, di adottare tecniche e
comportamenti finalizzati alla riduzione delle infezioni nelle unità di terapia intensiva.
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Pasquale Bruno Lantieri, Domenico Risso, Giambattista Ravera
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Prevenzione da contagio
Un importante argomento riguarda le prassi da rispettare con pazienti a rischio di contagio. In tal
senso, in seguito ad alcune ricerche, sono già stati individuati alcuni accorgimenti rivolti alle
misure di prevenzione del contagio, non ancora sufficienti però a garantire la massima sicurezza
in tutti i settori di intervento. Anche in questo caso, gli infermieri, essendo tra le persone a
maggiore contatto con il paziente, dovrebbero essere attenti a individuare le fonti di contagio più
importanti e suggerire opportuni rimedi in relazione alle specifiche situazioni. Le variabili che
potrebbero essere considerate al riguardo concernono, per esempio, la correttezza di
applicazione delle norme di igiene e profilassi già codificate.
Al di là dell’analisi di questi aspetti preventivi, potrebbe essere utile organizzare una ricerca onde
raccogliere dati anche sul comportamento di tali pazienti nei confronti del personale sanitario al
fine di attuare la migliore assistenza a fronte del minor rischio possibile.
Casi di demenza
I disturbi definiti con il termine “demenza” sono caratterizzati dallo sviluppo di deficit cognitivi, che
coinvolgono necessariamente la memoria e almeno un’altra alterazione cognitiva riguardante il
linguaggio e il movimento.
I deficit, generalmente, rappresentano un deterioramento rispetto alle abilità possedute prima
dell’avvento della malattia e spesso sono così gravi da provocare problemi nell’espletamento di
funzioni lavorative e nelle relazioni sociali.
La “demenza arteriosclerotica”, o semplicemente “arteriosclerosi cerebrale”, è stata per lungo
tempo considerata la forma di demenza più comune. Successivamente, con l’aumento degli studi
epidemiologici e l’utilizzo sempre più massiccio delle varie tecniche di neuroimmagine, si è
affermato che la causa più comune di demenza, in età presenile e senile, è rappresentata dalla
malattia di Alzheimer, mentre la demenza vascolare costituisce la seconda causa di deficit
mentale. Altra forma di demenza è quella conseguente a un “ictus”.
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Quest’ultimo tipo di demenza potrebbe essere uno spunto di ricerca che vede coinvolte le figure
professionali dei tecnici di radiologia, a livello di indagini diagnostiche con tecniche di
neuroimmagine, e dei terapisti della riabilitazione psichiatrica e fisica, attraverso controlli con test
neuropsicologici.
L’aspetto diagnostico potrebbe essere indirizzato a valutare sensibilità e specificità delle tecniche
utilizzate, anche allo scopo di definire la popolazione di riferimento e un eventuale campione da
indagare in uno studio prospettico, oppure in uno studio retrospettivo da cartelle cliniche. Per la
situazione neurologica e psichiatrica, potrebbero essere utilizzate le abituali scale di misura che, oltre
a evidenziare aspetti descrittivi, consentirebbero di valutare comparativamente gli effetti dei
trattamenti impiegati; a livello speculativo, inoltre, potrebbero essere presi in considerazione
eventuali esposizioni a fattori di rischio collegabili all’ictus e/o alla risposta alla terapia riabilitativa
(fattori ambientali, attività lavorativa, sesso, età ecc.). Optando per un’indagine campionaria e
prospettica, presumibilmente dovrebbe essere impiegata la tecnica a presentazione, considerando
tutti i casi con le caratteristiche preventivamente decise, mano a mano che si presentano ai
ricercatori.
Situazioni di emergenza sanitaria
Qualunque sia il contesto di lavoro in cui si troverà ad agire l’infermiere professionale, egli dovrà
essere preparato a qualsiasi situazione di emergenza. In questi frangenti, oltre che a fattori
professionali e organizzativi, esiste tutta una serie di reazioni emotive (per esempio, ansia,
insicurezza, problemi personali ecc.) che non solo possono “disturbare” l’intervento infermieristico di
emergenza, ma anche compromettere il lavoro del gruppo.
Conoscere questi fattori potrebbe essere utile per fornire agli infermieri il supporto tecnico-formativo
necessario per padroneggiare tali reazioni, migliorando così le prestazioni anche nei casi più difficili.
Predisporre un’indagine tra gli infermieri, tramite questionari anonimi, consentirebbe di ottenere una
conoscenza del loro modo di reagire di fronte agli eventi, soprattutto in caso di situazioni difficili e
tragiche nelle quali diventa determinante la capacità critica e decisionale. In questo modo si potrebbe
disporre di un quadro delle tipologie di reazione degli operatori in situazioni specifiche e
programmare di conseguenza l’organizzazione in emergenza.
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Day hospital
La dinamica dei costi ospedalieri ha comportato la necessità di elaborare soluzioni alternative per
una razionalizzazione del servizio assistenziale. Al riguardo, potrebbe essere interessante
sviluppare un’indagine comparata tra un servizio di day hospital e un servizio di assistenza
tradizionale di uno stesso reparto. Al di là dell’aspetto economico, si rivelerebbe decisivo il
chiarimento di come si diversifichino le esigenze assistenziali nei due servizi e di quali riflessi ne
derivino sull’impegno del personale e sul gradimento da parte dell’assistito.
Prevalenza del sovrappeso e dell’obesità e fattori di rischio
Il sovrappeso, condizione emergente nei Paesi industrializzati, se trascurato può evolvere a
obesità e sfociare in disordini cardiovascolari e metabolici. Vari fattori possono contribuire
singolarmente o sinergicamente allo sviluppo del sovrappeso: genetici, comportamentali e
ambientali. Una migliore conoscenza del problema potrebbe essere quindi determinante per
interventi preventivi nei riguardi di patologie a grande impatto sociale ed economico. Tra i fattori
comportamentali figurano, ovviamente, le abitudini alimentari e l’attività fisica e sedentaria del
soggetto. Uno studio potrebbe essere condotto in una comunità per valutare la prevalenza o
l’incidenza del sovrappeso e dell’obesità. Nel contempo, potrebbero essere valutate anche altre
variabili quali l’apporto calorico medio giornaliero, la distribuzione nella giornata e la ripartizione
nei nutrienti, le ore di attività fisica e sedentaria, la presenza di obesità e di eventuali patologie
cardiocircolatorie in famiglia ecc. La popolazione bersaglio potrebbe essere la più disparata: una
popolazione geografica, una specifica fascia di età, un determinato gruppo sociale, un gruppo a
rischio ecc. Conseguentemente lo studio potrebbe essere esaustivo o campionario, dal livello
descrittivo a quello speculativo, mettendo in relazione la presenza di squilibri ponderali con le
altre variabili eventualmente considerate come fattori di rischio. La ricerca, inoltre, dovrebbe
essere considerata di tipo multidisciplinare: in tale campo di indagine sono infatti coinvolti aspetti
di dietetica, di fisiopatologia cardiocircolatoria, di psichiatria per eventuali disturbi nutrizionali, di
educazione preventiva ecc.
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Parto e benessere neonatale
Durante il travaglio di parto, il monitoraggio fetale è fondamentale per riconoscere
tempestivamente una condizione di ipossia e prevenirne l’ulteriore possibile aggravamento
verso l’acidemia metabolica e l’eventuale conseguente danno cerebrale, che può esitare nella
morte del feto o nella paralisi. Uno dei metodi di monitoraggio più comunemente impiegati per il
controllo del benessere fetale fa ricorso alla registrazione del battito cardiaco. Questo tipo di
controllo, tuttavia, ha dato esiti incerti rispetto alla diminuzione della mortalità perinatale,
all’aumento del punteggio APGAR e alla prevenzione della paralisi cerebrale; per contro, ha
portato a un aumento dei parti cesarei con conseguenti maggiori rischi di emorragia, infezioni e
tromboembolia materni. Al riguardo, grazie alla medicina basata sulle prove, sono state
proposte linee guida da agenzie di sanità pubblica e da società scientifiche.
Potrebbero essere impostate indagini per valutare i risultati del monitoraggio e la prevalenza di
situazioni a rischio in relazione alle varie tipologie di parto. Potrebbero essere altresì
considerate altre variabili quali l’età e l’antropometria materna, l’età gestazionale, eventuali
comportamenti a rischio ecc. Anche in questa situazione, risulterebbe di estrema importanza
definire la popolazione di interesse e il tipo di campionamento più adatto al caso.
Schizofrenia e stress in relazione al sesso
Secondo la letteratura, le donne sono più colpite degli uomini da depressione, ansia e disturbi
del comportamento alimentare; soffrirebbero invece in forme più lievi degli uomini di patologie
mentali gravi, come la schizofrenia. Negli ultimi anni, questa posizione è stata messa in
discussione. Una ricerca potrebbe essere indirizzata a stabilire se eventuali differenze tra sesso
nelle manifestazioni cliniche della malattia schizofrenica si riflettano in un meccanismo
sottostante che potrebbe essere causalmente associato alla psicosi, in particolare se
ricollegabile a una maggiore o minore sensibilità allo stress della vita quotidiana.
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Pasquale Bruno Lantieri, Domenico Risso, Giambattista Ravera
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Potrebbero essere impiegate tecniche atte a misurare il contesto corrente e l’umore nella vita
quotidiana per valutare lo stress soggettivo dovuto a eventi e attività abituali e, in secondo luogo,
la reattività emotiva, concettualizzata come cambiamenti affettivi, positivi e negativi, in relazione
allo stress. Dovrebbero essere considerate tutte le variabili potenzialmente causa di stress e, per
valutazioni inferenziali, diventerebbe particolarmente importante definire la popolazione e il
campione oggetto di studio. Le tecniche di rilevamento dei dati dovrebbero essere ben
standardizzate per non inserire errori sistematici e, nelle elaborazione dei dati, si dovrebbe tener
conto del fatto che le misure adottate saranno presumibilmente qualitative o, al massimo,
semiquantitative.
Carico da lavoro
Un problema particolarmente sentito nell’attività assistenziale è rappresentato dal carico di
lavoro (mansioni) e dal rendimento che ne consegue: non è infatti da sottovalutare la facilità di
esaurimento, fisico e psichico, che si instaura nel personale sottoposto a carichi da lavoro
pesanti e che comporta una diminuita attenzione verso le necessità del malato.
Una ricerca tendente a quantificare il carico da lavoro infermieristico dovrebbe analizzare
dettagliatamente le singole attività che lo costituiscono: tempi impiegati per l’esecuzione, carico
da lavoro in relazione anche al grado di dipendenza del paziente (anziani, soggetti in posizioni
forzate, sottoposti a test diagnostici invasivi o comunque stressanti), numero dei pazienti da
seguire, tipo e grado di patologia, turni e attività notturne ecc.
Una revisione del carico da lavoro potrebbe consentire una più equa distribuzione dello stesso e,
nel contempo, favorire il processo di attenzione nei confronti dei pazienti, migliorando
globalmente la qualità dell’assistenza.
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Pasquale Bruno Lantieri, Domenico Risso, Giambattista Ravera
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Alcune proposte di screening e riabilitazione per vecchie e nuove problematiche
Anche in una popolazione di soggetti apparentemente “normali” sono presenti individui con
difficoltà visive, difetti refrattivi, alterazioni della motilità oculare, patologie non evidenziate ecc.
Quanto più è precoce la scoperta del difetto (miopia, ipermetropia, astigmatismo) o della
patologia (cataratta, glaucoma, nistagmo, strabismo, ambliopia ecc.), tanto più la riabilitazione
permetterà un recupero migliore. Da qui l’ipotesi di programmare screening delle alterazioni
visive nelle scuole materne ed elementari, presso i consultori pediatrici, nei reparti di
neonatologia e pediatria, per una loro identificazione precoce.
La diffusione dei videoterminali ha evidenziato una nuova sindrome da affaticamento visivo,
l’astenopia (senso di pesantezza oculare, bruciore, lacrimazione, sfuocamento o sdoppiamento
delle immagini, generico senso di malessere, talvolta cefalea), in genere dovuta a difetti di vista
mal corretti o non conosciuti o ad alterazioni della motilità oculare preesistenti. Anche in questo
caso, visite ortottiche periodiche o screening permettono la prevenzione e la diagnosi di difetti o
casi patologici.
Quando gli esami strumentali vengono effettuati da più rilevatori, le tecniche di esecuzione
devono essere standardizzate per evitare errori sistematici; devono anche essere scelte
tecniche con elevata sensibilità diagnostica. Dopo l’identificazione, occorre procedere alla
rieducazione visuomotoria delle alterazioni indotte dallo strabismo e/o da difetti di vista.
L’ortottista è in grado di rieducare, quando possibile, le alterazioni della motilità oculare e le varie
forme di strabismo, siano esse manifeste latenti, mediante un opportuno training ortottico. Uno
studio potrebbe essere indirizzato a valutare, oltre che la prevalenza ed eventualmente
l’incidenza delle alterazioni riscontrate, l’efficienza degli interventi rieducativi (eventualmente, in
relazione all’appartenenza a particolari gruppi a rischio).
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Pasquale Bruno Lantieri, Domenico Risso, Giambattista Ravera
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La riproducibilità delle misure di laboratorio
La qualità dei dati di laboratorio richiede un costante esercizio di verifica. La standardizzazione
pressoché giornaliera delle apparecchiature dovrebbe essere adottata come consuetudine,
mentre le tecniche analitiche dovrebbero essere verificate periodicamente. Uno studio potrebbe
essere costituito da misure replicate su uno stesso campione analitico, effettuate da più operatori
di più laboratori, per determinare la variabilità intraoperatore, intralaboratorio e interlaboratori. Per
la selezione di laboratori di eccellenza deputati a effettuare alcune valutazioni particolarmente
delicate, è previsto un controllo del genere a cadenze prestabilite e, nel caso di risultati fuori
norma, un laboratorio può essere esonerato dall’incarico. Sotto l’aspetto statistico, vengono
ovviamente coinvolti gli indici di tendenza centrale e di variabilità, in particolare il CV%. Il
problema della qualità delle misure può essere esteso a qualsiasi operazione tecnica di
laboratorio, dalla preparazione di una soluzione all’allestimento di un vetrino adeguato per la
lettura da parte del patologo.
Assistenza domiciliare
Molti sono gli aspetti sociali e sanitari legati all’assistenza domiciliare. Purtroppo, manca una
valida organizzazione, a livello infermieristico, dei servizi da svolgere al di fuori di ospedali;
inoltre, strutture di questo tipo sono poco diffuse, per cui all’infermiere spettano mansioni che
vanno spesso al di là delle proprie competenze. Va infatti precisato che con il termine “assistenza
domiciliare” non si intende solo quella rivolta a malati cronici, a persone anziane o altri tipi di
pazienti le cui cure non necessitano di ospedalizzazione, ma anche quella indirizzata a persone
con problemi, a volte anche molto gravi, di salute mentale. In questi casi, non esistendo un
protocollo su come comportarsi nelle varie situazioni, potrebbe essere molto interessante
intraprendere un’indagine che si ponga l’obiettivo di pianificare l’intervento domiciliare. Mancando
una esauriente documentazione su questo tipo di intervento, un primo passo potrebbe essere
quello di raccogliere scientificamente le varie esperienze (questionario, intervista) per ottenere
una più precisa conoscenza del fenomeno, e avviare successivamente un programma per la
gestione delle situazioni più frequenti.
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Pasquale Bruno Lantieri, Domenico Risso, Giambattista Ravera
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