Sistemi Economici Comparati Anno accademico 2013-2014 Prof.sa Renata Targetti Lenti Lo sviluppo comparato di Cina ed India. Il caso della Cina Lezione 10 7/11/2013 Letture - Balcet G., Valli V., Nuovi protagonisti dell’economia globale: un’introduzione, in Balcet G., Valli V., “Potenze economiche emergenti”, Il Mulino, 2012, pp. 9-48. Beretta S., Targetti Lenti R., India e Cina nel processo di integrazione internazionale, in: Calchi Novati G. ( a cura di) “L’Alternativa Sud-Sud, chi vince e chi perde”, Asia Major 2011, Carocci, pp. 31-64. Iannini G., La Cina tra cambiamento e continuità. Un modello di successo al bivio, in Iannini G., Salvini G., “La Cina oggi. Una potenza al bivio tra cooperazione e antagonismo”, Rubettino 2013, pp. 95-187. • Il confronto tra due grandi paesi come Cina e India è funzionale a meglio comprendere i fattori specifici che hanno caratterizzato il sentiero di sviluppo di ciascuno di essi. Si sostiene a tale proposito che Cina e India “si svilupperanno autonomamente secondo linee mutually reinforcing e non conflittuali”. • Cina ed India continueranno a uniformarsi a modelli distinti, ma sfrutteranno al meglio le rispettive eccellenze. • Le differenze nei rispettivi percorsi di crescita sono da attribuirsi alle specifiche condizioni iniziali ed al congiunto operare non solo di fattori economici, ma anche politici e sociali. • Il progressivo inserimento di India e Cina, nell’economia globale ha seguito le tappe dei rispettivi processi di riforma con significative differenze nelle traiettorie e nei ritmi di apertura verso l’estero. • In entrambi i paesi il ruolo dello Stato e delle imprese pubbliche si è rivelato determinante per l’avvio del processo di crescita.. • La crescita cinese, ma anche quella indiana, è stata inizialmente sostenuta da una robusta accumulazione di capitale, nel settore pubblico dell’economia, e dalla corrispondente, sistematica compressione dei consumi. • In entrambi i paesi l’assetto macroeconomico e le politiche governative hanno prima frenato e poi favorito la crescita. • Gli interventi di politica economica dei primi decenni hanno modellato la struttura produttiva, segnando profondamente i ritmi e le modalità della successiva transizione. • La Cina da economia socialista pianificata e centralizzata si è gradualmente trasformata negli ultimi tre decenni fino a diventare un’ “economia socialista di mercato” • L’India è, dall’indipendenza, una democrazia pluripartitica con un marcato decentramento federale. E’ diventata un’economia mista. realizzando un “mix” tra piano e mercato. • In entrambi i paesi le diverse fasi dello sviluppo sono state contrassegnate da significativi mutamenti politici e dall’emergere di personalità come Deng Xiaoping e Jiao Zeming in Cina, come Nehru, i Gandhi e più recentemente Manmohan Singh in India. • Le radici e le caratteristiche del processo di sviluppo vanno ricercate in tempi lontani: • In Cina negli anni del “grande balzo in avanti” nascono e si sviluppano specificità e squilibri che caratterizzeranno la struttura economica cinese per l’avvenire. • In India risale a Nehru, subito dopo l’indipendenza, la decisione di promuovere un modello di pianificazione centralizzata basato sull’intervento dello Stato come regolatore del sistema economico e come “proprietario” delle risorse produttive.. • In Cina un disinterested government ha creato attraverso ad un graduale processo riformatore, le condizioni di una crescita sostenuta e per la trasformazione da un’economia pianificata ad una di mercato. • Al “socialismo confuciano” della nuova Cina si contrappone in India la “democrazia diffusa”, contraddistinta da un’ampia autonomia regionale e da un modello di “organizzazione sociale guidata dal basso”. • In India il processo di liberalizzazione a partire dall’inizio degli anni 90 ha stimolato un processo di modernizzazione del paese attraverso l’industrializzazione. • La Cina è oggi, in termini di PIL, la seconda economia a livello mondiale. • Nel 2010 la Cina ha superato il Giappone per dimensione del Pil totale nominale calcolato in base ai tassi ufficiali di cambio. • Il Pil cinese pesa per poco meno del 15% sul Pil mondiale, e si prevede che arrivi al 18,3% nel 2017, superando gli Stati Uniti (Figura 1). • Dopo la Cina L’India è stata, dopo la Cina, l’economia più dinamica. In termini di PIL l’India è oggi la quarta economia a livello mondiale (Figura 2). Figura 1 Peso sul PIL mondiale in PPA (%) 30 25 20 % Cina; 18.3 15 Stati Uniti; 17.7 BRI; 12.5 10 5 Giappone; 4.8 Germania; 3.3 Regno Unito; 2.6 Francia; 2.4 Italia; 1.9 0 • Negli anni ’70 e fino al 1984 il Pil pro capite in India superava di oltre il 20% quello della Cina. L’India era mediamente un paese molto povero, ma meno povero della Cina. • L’accelerazione del ritmo di crescita cinese verificatesi dopo le riforme economiche del 1978 ha prodotto nel 1984 il superamento del Pil pro capite (misurato come percentuale sul Pil mondiale) cinese rispetto a quello indiano (Figura 2). • A partire da quel momento si è verificata una progressiva divaricazione nel livello di reddito dei due paesi. Nel 2011 il prodotto nazionale lordo pro capite cinese, pari a 4.940 dollari risultava più del triplo di quello dell’India, pari a solamente 1.420 dollari (stime della Banca Mondiale). 2017 2016 2015 2014 2013 2012 2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000 1999 1998 1997 1996 1995 1994 1993 1992 1991 1990 1989 1988 1987 1986 1985 1984 1983 1982 1981 1980 Figura 2 20 18 16 14 12 Brazil 10 China India 8 Russia 6 4 2 0 • I tassi di crescita del prodotto interno lordo procapite di Cina ed India sono stati nell’ultimo decennio - e permangono molto elevati. Sono sempre stati maggiori per la Cina rispetto all’India. • Lo scarto tra i due paesi si è lievemente ridotto solo in seguito all’accelerazione del ritmo di sviluppo indiano in seguito alle riforme introdotte nel 1991. Nel periodo 2001-2011 il Pil pro capite è cresciuto in media all’anno del 10,3% in Cina e del 6,4% in India. • La crisi, prima finanziaria e poi reale, degli anni 2007-2009 hanno finito con l’accentuare accentuato il differenziale di crescita delle due potenze asiatiche rispetto al Giappone ed ai paesi industrializzati dell’Occidente (Figura 3). • Negli ultimi due anni Cina e India hanno registrato solo una flessione temporanea del loro rapido ritmo di sviluppo. Il tasso di crescita del Pil pro capite è stato in Cina pari al 9,9% nel 2010 e pari al 8,8% nel 2011. In India è stato pari al 9,0% nel 2010 ed al 4,9% nel 2011. Figura 3 Paesi emergenti Russia Cina Brasile India Paesi avanzati Stati Uniti 2013 2012 Giappone Regno Unito Area Euro Germania Francia Italia -2 0 2 4 6 8 10 • Lo sviluppo economico è stato accompagnato in entrambi i paesi da mutamenti strutturali profondi, anticipati e più estesi in Cina rispetto all’India. • Entrambi i paesi hanno favorito lo sviluppo di attività industriali all’interno del paese adottando politiche protezionistiche di sostituzione delle importazioni. • Entrambi i paesi si sono distinti, nell’ultimo decennio, per un flusso di esportazioni il cui grado di sofisticazione (misurato in termini di valore aggiunto contenuto) e di diversificazione (intesa come numerosità di prodotti esportati nei quali il paese manifesta un vantaggio comparato) è stato in continua crescita. • In entrambi i paesi si sono verificati significativi mutamenti nella struttura dell’economia, con una riduzione dell’importanza relativa dell’agricoltura ed un esodo di popolazione dalle aree rurali. Questi mutamenti si sono verificati in Cina con 10-15 anni di anticipo rispetto all’India. • L’industria è cresciuta assai di più in Cina (fino a rappresentare nel 2010 il 46,70% del Pil), mentre in India sono stati alcuni comparti del terziario a presentare una crescita più pronunciata (Tavola 1). Nel 2010 il settore dei servizi pesava in India per il 54,40%). • In entrambi i paesi permane rilevante il peso di un’agricoltura in larga misura arretrata. Di conseguenza sono frequenti i periodi di scarsità di beni alimentari, se non di vere e proprie carestie. Tavola 1 • La crisi ha offerto alle imprese cinesi e indiane importanti opportunità d’investimento diretto in Europa e negli Stati Uniti, sotto forma di acquisizioni di imprese in difficoltà finanziaria. • Anche dal punto di vista tecnologico la supremazia occidentale e del Giappone è destinata a ridimensionarsi grandemente. La Cina, e in alcuni comparti l’India, si stanno avvicinando e in alcuni casi stanno superando i livelli tecnologici di paesi leader, come gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, il Regno Unito, la Francia e la Corea del Sud. I robusti investimenti nella formazione superiore e nell’università, in entrambi i paesi, rappresentano un elemento fondamentale per la crescita e per la competitività internazionale. • Cina e India stanno potenziando rapidamente l’impegno in ricerca e sviluppo (R&S) e le proprie capacità innovative, sia con l’acquisizione di tecnologie estere, sia con l’impulso alla ricerca e all’innovazione interna. • L’apertura verso l’esterno e la promozione delle esportazioni hanno caratterizzato il processo di sviluppo in entrambi i paesi anche se con tempi molto diversi. • In Cina, fin dal 1979, era stata adottata la politica della “porta aperta”. Le esportazioni avevano così favorito la nascita e la crescita del settore manifatturiero (Figura 4). • In India il processo di industrializzazione è stato ritardato e più lento. Anche in questo paese, tuttavia, ha subito un’accelerazione a partire dal 1991, come conseguenza delle politiche di liberalizzazione, privatizzazione e deregolamentazione dell’economia introdotte (Figura 5). 2010 2008 2006 2004 2002 2000 1998 1996 1994 1992 1990 1988 1986 1984 1982 1980 1978 1976 1974 1972 1970 1968 1966 1964 1962 1960 1958 1956 1954 1952 1950 1948 Figura 4 12 10 8 Brazil 6 China India Russian Federation 4 2 0 2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000 1999 1998 1997 1996 1995 1994 1993 1992 1991 1990 1989 1988 1987 1986 1985 1984 1983 1982 1981 1980 Figura 5 5 4.5 4 3.5 3 Brazil 2.5 China India 2 Russian Federation 1.5 1 0.5 0 source: UNCTAD Stat • In India il sistema democratico, strutturalmente decentrato, ha rappresentato un freno al processo di accumulazione. Risparmi e investimenti risultano sistematicamente inferiori in percentuale a quelli cinesi. • In Cina la propensione all’investimento in infrastrutture ha favorito la modernizzazione del sistema produttivo, la carenza di infrastrutture adeguate ostacola tuttora lo sviluppo indiano. • In Cina il sistema creditizio ha promosso l’accumulazione e la crescita. • In India, invece, il controllo pubblico sul sistema bancario e finanziario ha determinato un’offerta di credito insufficiente e distorsioni nella sua composizione. • Cina ed India sono paesi ancora mediamente poveri, anche se il livello di povertà assoluta e relativa è minore in Cina. Entrambi i paesi sono caratterizzati da notevoli disuguaglianze interne, più la Cina che l’India. • Sono rilevanti e crescenti, le diseguaglianze di reddito, tra regioni, tra classi sociali, tra città e campagna. • Entrambi i paesi presentano livelli elevati di corruzione. Questa è maggiore in un paese relativamente più centralizzato, come la Cina, rispetto ad un paese federale e decentralizzato, come l’India. • In Cina, tuttavia, la burocrazia centrale e periferica, per tradizione millenaria, è molto più efficace di quella indiana, ereditata dal sistema coloniale • Il nazionalismo degli Stati Asiatici in generale, e di Cina ed India in particolare, si manifesta nel perseguimento della propria sicurezza ed autonomia non solo sul piano politico militare, ma anche su quello economico. Questo significa condizionare le proprie alleanze alla necessità di soddisfare i crescenti fabbisogni energetici. • La Cina importa il 40% del proprio fabbisogno, l’India ben il 70%. Cina ed India sono potenzialmente in concorrenza tra di loro e con gli USA per ottenere questi approvvigionamenti. • Entrambi i paesi sono impegnati in un complesso percorso di modernizzazione del proprio esercito e più in generale del proprio impianto strategico. In entrambi i paesi la necessità di reperire fonti energetiche aggiuntive ha finito con il condizionare la politica estera e le alleanze. • Accanto a fattori positivi sussistono, in entrambi i paesi, fattori negativi che potrebbero frenare il processo di sviluppo e di integrazione nell’economia internazionale. • In Cina l’inquinamento complessivo sta rapidamente aumentando. In India l’aumento dell’inquinamento è stato meno rapido e nel complesso meglio contrastato, tuttavia con importanti differenze al suo interno tra i diversi Stati. Una difficoltà molto rilevante, in entrambi i paesi, consiste nel diffondere i vantaggi dello sviluppo economico all’intera popolazione. Se ciò non avverrà, se le diseguaglianze economiche e le limitazioni nei diritti civili in Cina e le disparità economiche e di casta in India continueranno a crescere, le tensioni politiche e sociali potranno diventare “esplosive”, frenando o interrompendo bruscamente l’ascesa economica delle due potenze economiche asiatiche. I mutamenti economici saranno accompagnati da quelli politico-militari. • Tra India e Cina sono individuabili anche differenze significative, di varia natura, non solo economiche ma anche culturali, politiche e sociali. La Cina presenta minori divisioni sociali al suo interno anche se le minoranze etniche sono pari a circa l’8% della popolazione, e sono maggioritarie nel Tibet e nel Xinjiang. • La Cina ha, inoltre il problema del gran numero di lavoratori emigrati dalle campagne alle città senza autorizzazione, che perdono gran parte dei benefici sociali. L’India, invece, soffre del pesante retaggio del regime delle caste. L’India, soprattutto in alcuni stati, è caratterizzata da profonde divisioni etniche e religiose. I mussulmani sono in India circa il 13% della popolazione. • In due decenni la Cina è passata dalla condizione di paese semi-industrializzato a quella di paese industrializzato, da economia fortemente centralizzata è diventata un’economia gradualmente più decentrata. Da paese ad economia socialista e sostanzialmente chiuso alle relazioni commerciali esterne la Cina è diventata un’economia pienamente integrata nei circuiti commerciali globali • Prima dell’avvio del processo riformatore, la Cina era un’economia socialista pianificata dal centro. Oggi la Cina è un’economia del triplo mix: i) una complessa miscela di piano e di mercato, ii) di proprietà pubblica e privata. Permangono molto stretti gli intrecci tra imprese private e settore pubblico, in particolare per quanto riguarda l’accesso alle fonti di finanziamento. iii) di decisioni economiche centralizzate e decentrate, definita dalle stesse autorità cinesi una “economia socialista di mercato”. Figura 6 • La crescita è stata sostenuta da un elevato processo di accumulazione del capitale favorito dall’elevato tasso di risparmio interno e da una sistematica compressione dei consumi (Figura 6). • Il crescente flusso di esportazioni ha consentito al paese di accumulare ingenti riserve e di favorire un rapido processo di industrializzazione. • Le radici di un modello di “via finanziaria allo sviluppo”, vanno ricercate in tempi lontani: • i) dualismo tra un’agricoltura arretrata ed un sistema industriale con sacche di inefficienza, • Ii) l’elevato tasso di investimenti e di accumulazione a scapito dei consumi, • iii) la ridotta quota delle spesa pubblica dedicata ad interventi di natura sociale, • iv) l’elevato livello di inquinamento conseguente la natura delle tecnologie adottate nell’industria pesante. • L’evoluzione e la trasformazione del sistema economico può essere considerata il portato del succedersi dei mutamenti politici. • Il primo ventennio del dopoguerra, tra il 1953 ed il 1978, è stato caratterizzato da una sorta di rivoluzione permanente improntata all’ideologia marxista. • Gli anni 60 sono stati dominati dalla leadership di Mao che è culminata nella cosiddetta “rivoluzione culturale”. • Nel 1966 vennero chiuse le Università. Si sarebbero riaperte solo a partire dal 1970, ma sempre condizionate dall’influenza politica. • In questa prima fase la Cina ha adottato un modello di pianificazione molto rigido e centralizzato di stampo sovietico al fine di avviare un processo di industrializzazione basato prevalentemente sull’industria pesante. • Grazie al “Grande Balzo in Avanti” si era ottenuto un livello di risparmio adeguato sacrificando i salari industriali, i consumi e gli investimenti in agricoltura. • I beni agricoli, frutto del lavoro delle cooperative, venivano venduti allo Stato. La differenza tra il prezzo d’acquisto e di vendita costituiva una rendita netta incamerata dall’operatore pubblico ed utilizzata per finanziare gli investimenti nel settore industriale. • Anche i prezzi dei beni manufatti, elevati rispetto ai bassi salari, consentivano alle imprese di Stato di realizzare profitti. • Tutte le variabili (quantità e prezzi, risorse materiali ed umane a disposizione delle varie imprese e dei vari settori produttivi, importazioni ed esportazioni) erano stabilite centralmente. La proprietà dei mezzi di produzione faceva comunque riferimento alla collettività, ossia lo Stato. • L’impresa era una unità puramente amministrativa. Non esistevano profitti di cui disporre. • Tutte le famiglie contadine appartenevano alle “Comuni Popolari”, che avevano sostituito le cooperative al fine di “creare” appezzamenti terrieri di maggiori dimensioni e più efficientemente coltivabili, oltre a superare le difficoltà incontrate da ciascun nucleo famigliare preso singolarmente nel dotarsi e nel mantenere i “mezzi” di produzione. • Il compito delle piccole imprese rurali era quello di produrre, in una situazione di autosufficienza, i mezzi di produzione necessari allo svolgimento delle attività agricole e la fornitura di beni manufatti fondamentali utilizzando tecnologie produttive arretrate, mezzi di produzione vecchi ed obsoleti. • Le tecnologie ed i mezzi di produzione più avanzati erano riservate alle industrie su larga scala (strategia di sviluppo e di industrializzazione “su due gambe”). • Questa strategia di rapida industrializzazione a scapito dell’agricoltura si è rivelata un disastro economico ed umano: riduzione della produzione cerealicola a partire dal 1960 con una diffusa malnutrizione ed una vera e propria carestia che costrinse ad importare cereali. • Il livello degli investimenti in capitale fisico ed umano in agricoltura era ridotto. • L’agricoltura, in ragione della sua bassa produttività ed arretratezza, non era in grado di sostenere un processo di trasformazione e di trasferimento di risorse così veloce ed accelerato quale quello richiesto dal Piano. Inoltre le imprese cooperative, nate in seguito a provvedimenti coercitivi da parte dello Stato, si rivelarono incapaci di cooperare per migliorare i processi produttivi. • Mancavano del tutto gli incentivi economici per i contadini • Con la fine della leadership di Mao, nel 1969, ebbe inizio un periodo di lotte interne per la successione e di revisioni critiche della strategia di pianificazione. • Al primo successore Li Biao successe per un breve periodo la cosiddetta banda dei quattro capeggiata dalla stessa moglie di Mao. • Nel febbraio del 1977 il moderato Deng Xiaoping venne nominato vicepresidente del partito, e cioè al terzo posto nella gerarchia del partito. • Deng era ritornato sulla scena politica dopo essere stato l’estensore di tre documenti molto critici nei confronti dell’esperienza di pianificazione. • A partire dal 1978, su impulso di Deng Xiaoping iniziava quel complesso itinerario, durato più di un trentennio, che ha condotto la Cina dal dopo Mao al XVIII Congresso nel 2012 (figura 7). • Venne progressivamente liquidata l’eredità ideologica di Mao ed abbandonata la rivoluzione culturale. • La promulgazione della nuova Costituzione garantiva la libertà di sciopero e il diritto di esprimere le proprie opinioni e di dibatterle pubblicamente. Questa trasformazione politica ebbe importanti riflessi in campo economico. • I due nuovi principi guida diventarono “riforme e apertura”. • Il processo riformatore venne favorito da una vasta adesione da parte della popolazione all’obiettivo della crescita. • Nel 1978 iniziava una prima fase di riforme con l’abbandono progressivo del sistema pianificato ed un graduale avvio delle riforme e della liberalizzazione dell’economia. Le misure via via adottate non possono essere definite ortodosse a causa delle condizioni di partenza, non di mercato. • Si dava, innanzitutto, il via a misure per una radicale trasformazione della Cina rurale smantellando gradualmente le comuni popolari a favore di un sistema semiprivato e familiare di gestione della terra. Veniva concesso alle famiglie il diritto di tenere per sé, e/o di vendere sul mercato, tutta la produzione in eccesso rispetto al livello stabilito dal governo. • Si creava così un incentivo ad aumentare la produttività del settore agricolo e conseguentemente dei redditi familiari e dei consumi. Aumentarono i prezzi dei prodotti agricoli corrisposti dallo Stato. • Alle famiglie veniva concesso in usufrutto l’appezzamento di terreno da coltivare • Veniva introdotta una nuova tipologia di imprese collettive, la “township and village enterprises” (TVEs) controllate dal potere pubblico, ma a livello locale. Figura 7, Le fasi del processo riformatore in Cina. • i)Innanzitutto la società cinese era particolarmente egualitaria nel 1978, come effetto del periodo rivoluzionario. Nessun specifico gruppo è stato in grado di influenzare le decisioni del governo. • Ii) In secondo luogo, il Partito Comunista Cinese (PCC) si è rinnovato gradualmente attraverso un metodo di cooptazione, in presenza di una dialettica interna al partito comunista. • Il PCC è stato, così, in grado di trasformarsi da un “working class party” ad un “all people’s party”. • Nel 1979 venne approvata una legge che autorizzava gli investimenti esteri (politica della “porta aperta”). • Si introdussero innovazioni nelle politiche commerciali con riferimento agli investimenti ed ai prestiti internazionali. • In particolare si attuò la sperimentazione delle regole del libero mercato nelle cosiddette Zone economiche speciali (Zes) che garantivano agli investitori condizioni privilegiate: bassi costi di produzione e del lavoro, flessibilità, bassa pressione fiscale, discreta disponibilità di infrastrutture. • E’ stato attratto un elevato ammontare di investimenti diretti dando origine ad un vero e proprio processo di delocalizzazione da parte dei paesi industrializzati (“outsourcing”). Furono gradualmente ammesse le imprese private e quelle a capitale estero, dapprima in forma di “joint venture” con imprese cinesi, e poi anche da sole, se operanti in determinati settori o se fortemente orientate all’esportazione. • A partire dal 1984 inizia la seconda fase con le progressive riforme del settore industriale e dell’economia urbana. • Vennero introdotti meccanismi di mercato all’interno dell’economia pianificata. Con la liberalizzazione dei prezzi e dei salari aumentò l’autonomia delle singole imprese, grazie anche alla possibilità di trattenere i profitti all’interno dell’impresa. • Ad alcune imprese pubbliche, le “State-owned enterprises” (SOE) e ad alcune imprese collettive fu concesso di mantenere all’interno dell’impresa i profitti e di distribuire premi di produttività per i lavoratori. • Le SOE potevano vendere i prodotti ed acquistare gli inputs sul libero mercato una volta che fossero stati raggiunte le “quote” stabilite dal piano. • Si venne così a creare un sistema di prezzi duale (dual-track), dal momento che i prezzi di mercato erano più elevati di quelli relativi alle “quote”. • Questo sistema che prevedeva la coesistenza di prezzi diversi a seconda che valessero nel settore pianificato o di mercato venne eliminato nel 1993 al fine di migliorare l’efficienza microeconomica. • Si modificarono i canali di finanziamento degli investimenti. I prestiti governativi furono sostituiti da prestiti bancari. • Aumentò la domanda di lavoro con effetti di attrazione della forza lavoro dalle campagne. • Venne introdotto pure un nuovo sistema di tassazione progressiva degli utili in sostituzione dei trasferimenti degli stessi all’erario. • Gradualmente si è verificato un vero e proprio processo di trasformazione del settore industriale con un aumento del peso delle industrie private ed una riduzione di quelle statali. • La presenza dello Stato si è concentrata nelle imprese di grandi dimensioni. Il peso delle SOE si è notevolmente ridotto a meno del 50%. • Nel 1984 le Zes sono state estese ad un’area costiera molto più vasta il cui epicentro era Shangai. Questo processo di apertura verso l’esterno si è tradotto: • i)in una rapida integrazione della Cina nel mercato mondiale • ii) in una progressiva adesione alle principali Organizzazioni Economiche Internazionali. E’ del 1980 l’adesione della Repubblica Popolare Cinese (RPC) alla Banca Mondiale ed al Fondo Monetario Internazionale. Questa fase culminava con la piena integrazione della Cina nell’economia internazionale e con l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) nel 2001. • Sempre a partire dal 1984, venne attuata una riforma del sistema finanziario al fine di separare la gestione della politica monetaria da quella del credito. Accanto alla banca centrale (la People’s Bank of China) vennero creati quattro istituti di credito commerciale, tutti statali, distinti per settore di intervento (Agricoltura, Industria, Commercio e Costruzioni, Estero). A questi istituti era, ed è ancora, attribuito il compito di finanziare il sistema industriale erogando prestiti a tassi di interesse, generalmente bassi, fissati dalla Banca Centrale. In linea di principio anche le imprese “non di stato”, e cioè private, possono accedere a questo canale di finanziamento. • I finanziamenti, con crediti a medio e lungo termine vengono concessi seguendo criteri di natura politica più che criteri di profittabilità economica. Per questa ragione il sistema bancario cinese viene considerato molto fragile. La sua redditività è bassa ed è sensibilmente calata tra il 1980 ed il 1994. • In una terza fase è stato avviato anche il processo di privatizzazione delle grandi industrie e la costruzione di quelle istituzioni (di natura giuridica, sociale ed amministrativa) che dovevano essere funzionali all’espansione di un’economia di libero mercato come: il ritorno alla risoluzione formale delle controversie, la sostituzione dei contratti pianificati con i contratti liberi, introduzione del diritto fallimentare. • Il diritto ha acquistato una posizione centrale all’interno del sistema economico e sociale della Cina, sia pure limitato alla sfera commerciale, ed ancora subordinato alle decisioni di natura politica. • La sfera privata, in tutti i suoi aspetti, dal diritto di proprietà, alla regolamentazione dei contratti, delle professioni e dell’impresa è stata al centro delle riforme. • Di grande rilevanza è stato l’impegno legislativo e lo sforzo di armonizzazione del diritto cinese alla legislazione internazionale (norme per la concorrenza, per i diritti sulla proprietà intellettuale, leggi sugli investimenti esteri) e per garantire l’uniformità delle regole e della loro applicazione in tutto il paese (“occidentalizzazione delle regole”) • Lo sviluppo e la trasformazione dell’economia cinese è stata accompagnata da una trasformazione “silenziosa” del Partito Comunista Cinese (PCC). L’apparato amministrativo cinese è stato oggetto di ricorrenti riforme. La sua efficienza, tuttavia, resta subordinata in larga misura ad obiettivi di natura politica, e cioè alla necessità del PCC di riaffermare la propria legittimità a governare. • Il PCC, pur mantenendo saldo il potere e pur continuando a esercitare una funzione decisionale incontrastata soprattutto nelle imprese pubbliche, ha dato prova di adattabilità. E’ progressivamente aumentato il peso politico dei poteri locali, soprattutto delle province e delle città che sono cresciute più rapidamente. • Alle imprese controllate dal governo centrale, attraverso i diversi ministeri, si affiancano quelle di proprietà delle province e delle municipalità, particolarmente sensibili, nel definire i propri assi strategici di crescita, alle esigenze di sviluppo regionale e locale. • Lo Stato centrale ha mantenuto un elevato potere di coordinamento strategico e di azione diretta. • Permane inoltre l’importante ruolo di indirizzo economico da parte della “National Development and Reform Commission” (Ndrc), evoluzione istituzionale del vecchio organismo della pianificazione centrale. Questa ha compiti di guida e coordinamento delle relazioni internazionali e delle diverse forme di cooperazione tra la RPC e le istituzioni internazionali. • E’ aumentato il potere dei politici e della burocrazia pubblica locale, ma è aumentato progressivamente anche il potere degli imprenditori privati e dei manager delle grandi joint venture o imprese a capitale estero che talvolta riescono a condizionare, con la corruzione, l’azione dei quadri politici e burocratici. • Le decisioni economiche fondamentali sono generalmente assunte, oltre che dagli organi del governo centrale e dei governi dei singoli Stati, dai manager delle grandi imprese pubbliche e dalle famiglie a capo dei grandi conglomerati privati. • La classe media composta da professionisti, dipendenti pubblici, piccoli e medi imprenditori, era ed è la base sociale del regime. E’ stata, invece, progressivamente esclusa da questo processo una quota significativa della popolazione: gli immigrati dalle campagne, i contadini, e le persone prive di educazione. • Proprio grazie ad una sorta di rapporto privilegiato tra classe politica ed élite il Partito Comunista Cinese ha potuto mantenere un ruolo egemonico non solo in campo politico, proibendo la formazione di una qualsiasi organizzazione politica concorrente, ma anche in campo sociale, visto che ogni tentativo di creare un sindacato autonomo è stato sistematicamente represso. • L’adesione della Cina al Wto nel 2001 ha rappresentato una significativa tappa nel crescente peso della Cina nell’economia globale, come conseguenza di una straordinaria crescita del settore manifatturiero (9,6% nel 2009 del settore manifatturiero) • Il saldo attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti è il più elevato (pari a ben 238 miliardi di dollari nel 2010, ridimensionato a 202 nel 2011). • La presenza di un surplus commerciale strutturale nel lungo periodo può essere interpretata come espressione di una strategia neo-mercantilista (Figura 8). • La comparsa di un deficit commerciale nel primo trimestre 2011, per la prima volta dal 2004, può indicare l’inizio di una fase di transizione verso un modello di crescita più orientato al mercato interno. Dalla fine del 2000 si è verificato un graduale e controllato apprezzamento del tasso di cambio. Figura 8 • L’obiettivo di una progressiva maggiore integrazione internazionale, ha guidato, se così si può dire, il processo riformatore in Cina. • Le esportazioni sono sempre cresciute mantenendosi di un livello superiore alle importazioni. L’unico anno in cui sono diminuite è il 2009 (Figura 9 e 10). • I flussi di merci (beni intermedi e beni finali) esportati ed importati, nonché quelli di investimento diretto, insieme ai flussi di tecnologie e conoscenze riflettono il complesso dispiegarsi di reti produttive, su scala asiatica e su scala globale, attraverso le quali si articolano le catene del valore globali, ovvero gli stadi di produzione verticalmente integrati su più paesi. • Una quota molto rilevante delle esportazioni manifatturiere cinesi (stimabile a oltre il 40%) è attribuibile a filiali estere di imprese multinazionali americane, giapponesi, coreane o europee, incluse le joint venture (società miste) tra imprese cinesi, pubbliche o private, e imprese multinazionali. Figura 9 Figura 10 • I settori nei quali la Cina ha progressivamente accresciuto la propria competitività sono quelli tradizionali ad alta intensità di lavoro: tessile, calzature, abbigliamento, arredamento. • È aumentato, tuttavia, il grado di sofisticazione delle esportazioni. • Negli ultimi anni sono risultate particolarmente dinamiche le industrie produttrici di prodotti dell’elettronica come gli apparecchi radiotelevisivi, elettrodomestici, macchinari elettrici, elettronici e da ufficio, e nelle macchine elettriche. • La produzione cinese di prodotti high tech appare articolata, attraverso le reti multinazionali, con quella localizzata in Giappone, Taiwan e Corea del Sud. Una quota molto rilevante delle esportazioni manifatturiere cinesi (stimabile a oltre il 40%) è attribuibile a filiali estere di imprese multinazionali americane, giapponesi, coreane o europee, incluse le joint venture (società miste) tra imprese cinesi, pubbliche o private, e imprese multinazionali. • Parte delle importazioni è costituita proprio da macchine strumentali e beni capitali che incorporano nuove tecnologie. • E’ progressivamente aumentata la competitività delle imprese cinesi grazie anche all’afflusso di investimenti diretti esteri (Ide) ed al miglioramento delle competenze. • I più importanti investitori diretti in Cina sono Giappone, Corea, Stati Uniti e Taiwan. Anche gli investimenti cinesi all’estero hanno assunto un valore significativo, stimolati dalla cosiddetta politica go global. Si dirigono prevalentemente verso Hong Kong, Stati Uniti, Europa e più recentemente America Latina ed Africa. • Queste delocalizzazioni hanno sostanzialmente due obiettivi: investire in settori che producono fonti energetiche oppure per mantenere mercati di sbocco contrastando le crescenti tendenze protezionistiche. • Gli Ide sono più che raddoppiati nel corso degli anni 2000. Hong Kong, dopo il ritorno sotto la sovranità cinese, continua a svolgere un ruolo primario nell’attivazione e nell’attrattività degli Ide. • Gli Ide in uscita sono in forte crescita: le grandi imprese cinesi, spesso di proprietà pubblica, sono fra i protagonisti del fenomeno delle «multinazionali emergenti». • I flussi in entrata, invece, in forte crescita dal 2007 al 2008, ma in flessione nel 2009 a causa della crisi, meglio riflettono, in Cina come in India, gli andamenti congiunturali di breve periodo. • Il settore industriale, che comprende oltre al manifatturiero anche quello minerario e delle imprese dei pubblici servizi (utilities) è sempre stato consistente ed in crescita dal 42% del 1991 al 46,6% nel 2011. • Lo sviluppo del settore manifatturiero, che ha sempre rappresentato una quota pari a circa il 30% del Pil, è stato favorito da un mercato del lavoro flessibile e da infrastrutture adeguate. • La produzione manifatturiera è molto diversificata, comprendendo produzioni sia di beni di base (cemento, carbone, rame, carta) sia di beni di consumo (tessuti di cotone e di seta, fibre artificiali, prodotti per l’abbigliamento e per la casa). • Vi è stata, ad esempio, una forte crescita dell’industria aereospaziale, dell’ICT (Information, Communication Tecnology), nella produzione dei treni veloci, della cantieristica navale, degli auto-veicoli. • Una parte importante di questo spostamento sulla frontiera tecnologica è dovuta al forte afflusso di capitale estero e alle numerose joint venture aperte in Cina con grandi e medie imprese estere. • Il settore dei servizi, anche se in crescita, nel 2010 pesava solo per il 43% del Pil. In questo settore si è verificato un graduale aumento delle produzioni a tecnologia più evoluta e verso i settori del terziario avanzato come i servizi bancari, finanziari e di consulenza alle imprese. • Il settore creditizio è sempre stato monopolizzato dallo Stato ed è quasi completamente chiuso nei confronti dell’estero. Solo recentemente, come previsto dai requisiti di accesso al WTO, si sono manifestati alcuni timidi segnali di apertura. • A partire dal 2003 sono stati effettuati i primi passi di un processo di privatizzazione del sistema bancario. • Molti istituti finanziari stranieri stanno progressivamente entrando nel sistema bancario cinese tramite l’apertura di filiali ed uffici di rappresentanza, sia per mezzo di investimenti in banche cinesi. • Anche il mercato azionario e obbligazionario sono caratterizzati da una forte presenza pubblica e non funzionano in modo efficiente. Il mercato obbligazionario resta sottosviluppato anche perché ne sono praticamente escluse le imprese non statali. • Imprese inefficienti anche di grandi dimensioni hanno continuato a coesistere con imprese private in espansione. La banca centrale, a sua volta, non dispone di strumenti monetari di controllo e interviene mediante controlli diretti e misure amministrative sotto la pressione del governo: la gestione della liquidità è operata mediante misure di “sterilizzazione” e non invece modificando i tassi di interesse. • L’incapacità della Banca Centrale di controllare il credito attraverso gli ordinari strumenti monetari, e la dipendenza dal potere politico, rischia di essere una grave lacuna istituzionale. La Banca Centrale non dispone ancora di strumenti monetari di controllo, ed interviene con controlli diretti e misure amministrative sotto la pressione del governo. • Il controllo della liquidità è avvenuto con misure di sterilizzazione e non invece con una crescita dei tassi d’interesse. Si è già detto di quanto l’espansione del credito sia subordinata al finanziamento delle imprese di stato. • Le variabili macroeconomiche presentano valori anomali per un paese in via di sviluppo. • Il bilancio pubblico non presenta eccessivi squilibri. • Il deficit è stato contenuto sempre sotto il 3% ed addirittura portato al 2% in questi due ultimi anni. Il debito interno ufficiale è pari solo al 24% del Pil, mentre il debito estero si attesta attorno al 14%. Dal lato delle entrate la tassazione è ancora eccessivamente dipendente dalle imposte indirette. • E’ in corso una riforma fiscale i cui obiettivi dichiarati sono la crescita della pressione fiscale e l’aumento del peso delle entrate percepite dal governo centrale. • I risultati sono tuttavia ancora ridotti e l’applicazione appare eccessivamente graduale. • Dal lato delle spese sono troppo basse quelle per istruzione, sanità e protezione sociale è ancora troppo bassa. • Questo spiega l’elevato risparmio delle famiglie e corrispondentemente il troppo basso livello dei consumi. • Il problema dell’adeguamento del sistema di welfare è destinato ad acuirsi a causa dell’invecchiamento della popolazione. • La composizione della popolazione appare sbilanciata, con una età media superiore a quella di altri paesi in via di sviluppo ed in particolare dell’India a causa del controllo delle nascite basata sul figlio unico (“One-Child-Policy”). • Questa politica ha ridotto il tasso di fertilità. Tuttavia i costi finanziari per i controlli ed i sociali per i cittadini, sono divenuti oggi troppo elevati. • Un miglioramento delle prestazioni sociali potrebbe poi contribuire all’espansione dei consumi, contribuendo al progressivo spostamento dalla domanda estera a quella interna. • La riforma dei diritti di proprietà e una maggiore mobilità del lavoro potrebbero inoltre attenuare il divario nei livelli e nei tassi di crescita dei redditi delle diverse aree territoriali, rurali e urbane, interne e costiere. • La politica monetaria in senso lato è stata subordinata all’obiettivo del controllo della stabilità dei prezzi ed al mantenimento di un tasso di cambio fisso con il dollaro. • Il 21 luglio del 2005 è stata assunta la decisione di ancorarlo ad una paniere di monete che riflette la struttura del commercio estero cinese, il debito con l’estero, gli investimenti diretti stranieri e i trasferimenti in conto corrente. • Una successiva parziale liberalizzazione del mercato monetario ha consentito un modesto apprezzamento nominale della moneta cinese. • Nonostante questo lieve apprezzamento l’avanzo della bilancia delle partite correnti continua a crescere. • Il passaggio ad un sistema di cambio più flessibile ridurrebbe anche l’afflusso di capitali a scopo speculativo. • Vi è stato un aumento significativo delle riserve in valuta forte superando nel 2006 l’ammontare del Giappone. Si stima che il 70% di queste riserve sia costituita da obbligazioni denominate in dollari. • E’ fin troppo noto l’elevato impegno del governo cinese nel finanziare la spesa pubblica di altri Stati attraverso l’acquisto dei titoli del tesoro, italiani ed americani in misura rilevante. • Gli USA presentano da qualche anno dei disavanzi gemelli (bilancio pubblico e bilancia dei pagamenti) resi sostenibili dalla politica cinese. • Il principale fattore di crescita dal lato della domanda è stato il livello degli investimenti. • Il tasso di risparmio si avvicina al 40% come effetto di compressione dei consumi. • E’ tuttavia eccessivo e distorto a favore delle grandi imprese di Stato. • La proprietà pubblica è all’origine di alcuni dei vantaggi competitivi delle grandi imprese cinesi nell’economia globale, come la facilità di finanziamento e l’appoggio della diplomazia economica del paese. • Questo fattore, tuttavia, rappresenta una sorta di ipoteca sulla sostenibilità di una crescita che sia efficiente ed in grado di dar vita ad un sistema industriale competitivo. • La politica creditizia è stata sempre subordinata all’obiettivo del finanziamento a basso costo delle imprese, consentito dall’ampia raccolta di risparmio. • E effetti negativi di due tipi: i) crescita della liquidità come fattore di rischio di surriscaldamento per l’economia. ii) Le piccole e medie imprese non riescono ad accedere ai canali formali e devono ricorrere a fonti informali pagando tassi d’interesse ben superiori a quelli ufficiali. • Molto ridotte, inoltre, sono le competenze di “risk management”. • La redditività delle banche cinesi resta decisamente inferiore sia agli standard internazionali sia a quelli degli altri paesi asiatici. • In Cina uno dei principali problemi, oggi, consiste nel conciliare lo sviluppo con la sostenibilità sociale e ambientale. • Nonostante e probabilmente a causa del rapido processo di crescita, permangono forti squilibri di natura economica, politica e sociale. • Sono aumentate le disuguaglianze di ogni tipo, nelle condizioni delle diverse categorie di lavoratori (tra popolazione urbana e rurale, tra occupati e disoccupati, tra classe media e classe operaia), nella redditività dei diversi settori e/o aree territoriali, nelle relazioni tra Stato e mercato, nella relazione tra sviluppo e collocazione del paese a livello internazionale con riferimento in particolare alle variabili di natura macroeconomica. • Le differenze regionali espresse in Pil a prezzi correnti sono da 1 a 9. • E’ crescente pure il disagio nelle zone rurali per il modo in cui vengono urbanizzate le zone agricole a favore di nuovi insediamenti produttivi e residenziali ed assegnate le rendite derivanti dal processo di urbanizzazione. • I vantaggi dell’arretratezza economica relativa e del modello fordista di sviluppo tenderanno a ridursi nel tempo, man mano che ci si avvicinerà alla frontiera tecnologica e diversi settori industriali diverranno maturi, mentre l’invecchiamento della Popolazione contribuirà già tra pochi anni alla riduzione del tasso di crescita dell’economia • Nel medio periodo, poi, potrebbero aggravarsi i problemi derivanti da un eccesso di capacità produttiva in settori strategici come quello automobilistico e delle materie di base (cemento, ferro, acciaio, alluminio, carbone). • Gli effetti negativi sono potenzialmente molto numerosi: caduta dei prezzi e dei profitti, aumento dei crediti non esigibili da parte delle banche, caduta dell’occupazione, deflusso di capitali all’estero qualora vengano liberalizzati i movimenti dei capitali. • Queste contraddizioni irrisolte finiranno con il condizionare la sostenibilità del processo di sviluppo così come è stato prefigurato nel XII Piano quinquennale di sviluppo economico e sociale per il periodo 2011-2015. • Al fine di raggiungere l’autosufficienza nei prodotti di base, come i cereali, occorre adottare politiche che contribuiscano ad aumentare la produttività agricola, a migliorare le infrastrutture ed a ridurre il carico fiscale. • Queste misure dovrebbero: i) ridurre le diseguaglianze tra la redditività nel settore rurale e quella del settore industriale; ii) costituire un freno all’esodo della popolazione rurale verso le città. • La Cina ha seguito un percorso di modernizzazione in cui l’apporto del settore privato sta diventando preponderante, pur rimanendo significativo il ruolo del pubblico. • Una questione cruciale riguarda la capacità di continuare sulla via delle riforme non solo in campo economico, ma anche in quello giuridico, sociale e politico. • In agricoltura persistono sacche di disoccupazione che potranno essere assorbite solo lentamente dal settore secondario. • Devono essere migliorate, in termini sia di efficienza sia di equità, le prestazioni di welfare sia con riferimento alle entrate fiscali che alla composizione della spesa pubblica. Un’altra sfida è costituita dalla mancanza di adeguati strumenti finanziari e di investitori istituzionali in grado di assorbire la liquidità attraverso canali non bancari. • Il rapido processo di industrializzazione ha finito con il produrre esternalità negative di varia natura come l’inquinamento ambientale. • La Cina è la prima fonte di emissioni di diossido di carbonio al mondo (25% del totale). • L’inquinamento e la scarsità di risorse energetiche sono il vincolo maggiore per la sostenibilità della crescita, sebbene la scoperta di estesi giacimenti di gas naturale di rocce scistose bituminose (shale gas) possa in parte ridurre l’impatto della scarsità di fonti energetiche. • La riduzione della congestione e dell’inquinamento insieme all’eliminazione della povertà ed alla riduzione delle diseguaglianze sociali sono i principali obiettivi indicati da Xi Jinping (attuale presidente della Repubblica Popolare Cinese in carica dal marzo 2013) per il prossimo futuro.