Omelie per un anno - vol. 2
5ª Domenica del Tempo Ordinario
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Is 6,1-2ª.3-8 - Eccomi, manda me!
Dal Salmo 137 - Rit.: Cantiamo al Signore davanti ai suoi angeli.
1 Cor 15,1-11 - Così predichiamo e così avete creduto.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Io vi ho scelti di mezzo al
mondo, dice il Signore, perché andiate e portiate frutto, e il vostro
frutto sia duraturo. Alleluia.
 Lc 5,1-11 - Lasciato tutto, lo seguirono.
PER COMPRENDERE LA PAROLA
La liturgia mette in parallelo due racconti di vocazione, tra i quali
troviamo parecchi punti di somiglianza: Dio si manifesta, il chiamato
si dichiara peccatore, egli è mandato in missione.
PRIMA LETTURA
1. Nello scenario grandioso del tempio (certamente i serafini facevano
parte delle decorazioni che ornavano il tempio sino alla riforma di
Ezechia), Isaia riceve la rivelazione della grandezza di Dio. Si tratta
del “Dio dell’universo”, del “Signore degli eserciti” che domina le
potenze cosmiche, e non solo del Dio del piccolo mondo nel quale egli
vive.
2. La vicinanza di Dio gli fa prendere coscienza della sua indegnità,
del suo peccato. Dio è santo.
3. Di fronte all’appello di Dio, Isaia si offre per la missione. Peccatore
purificato, accetta di denunciare il peccato del popolo di cui fa parte.
In confronto agli altri racconti di vocazione, è degna di nota questa
spontaneità.
SALMO
È una lode di Dio, cantata nel tempio, “davanti agli angeli”, il che
corrisponde alla visione di Isaia.
Inoltre ha una portata universale: “Tutti i re della terra”, ed è nello
stesso tempo molto personale: ricorda al Signore un suo particolare
gesto di salvezza: “Mi hai risposto”.
Messe sulle labbra purificate del profeta, queste parole diventano più
concrete.
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SECONDA LETTURA
È una delle prime formulazioni del messaggio essenziale della fede in
Cristo morto e risorto. È ciò che vien detto il “kerygma” e che Paolo
riprende certamente da una specie di Credo usato nelle assemblee
liturgiche, nel quale va notato il ripetuto riferimento alle Scritture.
Segue l’enumerazione dei testimoni della risurrezione, fra i quali
Paolo mette anche se stesso.
Sul kerygma, invece, Paolo riferisce soltanto ciò che ha ricevuto.
Infine, se vogliamo accostare questa lettura alle altre due, possiamo
notare che Paolo, coinvolto da questa rivelazione e dalla missione di
trasmetterla, prende coscienza della propria indegnità. Unicamente
per la grazia di Dio può “faticare”.
VANGELO
È un racconto che leggiamo soltanto in Luca. Giovanni racconta una
pesca miracolosa nel contesto della Risurrezione (3a domenica di
Pasqua). Marco e Matteo raccontano la vocazione degli apostoli, ma
senza la pesca miracolosa.
Luca e Giovanni centrano il loro racconto sulla vocazione di Pietro e
sottolineano che Gesù ha affidato la missione a un uomo peccatore
(in Giovanni, allusione al rinnegamento).
Per di più, quest’uomo fallisce proprio nel mestiere nel quale
dovrebbe essere competente. Interviene Gesù, e con lui (“sulla tua
parola”) la pesca supera ogni aspettativa. La missione della Chiesa
riceverà efficacia unicamente dalla potenza di Cristo.
Di fronte a questa manifestazione di potenza, Pietro è preso da
stupore e chiama Gesù col titolo di “Signore”.
Paradossalmente, la pesca miracolosa spinge i discepoli ad
abbandonare la pesca per seguire colui che parla loro di “pescare
uomini”. “Lasciare tutto”: l’espressione sottolinea l’esigenza della
vocazione e si ritroverà per Levi (5,28) e per il giovane ricco (18,22).
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
La chiamata
Non siamo noi a scegliere Dio, è lui che ci interpella: il più delle volte,
in un momento imprevedibile e in circostanze inaspettate. Isaia (1ª
lettura) credeva alla presenza di Dio nel tempio, ma non si aspettava
certo di “vederlo”. Paolo (cf At 26,12-18) era sicuro di difendere Dio
perseguitando la nuova setta dei discepoli d’un certo Gesù, ed è
proprio questo Gesù che lo getta a terra sulla strada di Damasco.
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Pietro e i suoi amici (Vangelo) si ritenevano pescatori esperti: questo
“Maestro” provoca una pesca inaspettata, miracolosa, che li lascia
stupefatti.
Ognuno ha un incontro tutto speciale con Dio, il quale si fa conoscere
nel profondo, cosicché il chiamato entra in un’intimità tutta nuova col
Signore.
Isaia viene a conoscere dal cielo (l’inno dei serafini) che Dio non è
semplicemente il più grande e il più forte di tutti gli dèi, bensì il
“Totalmente Altro”, il “tre volte Santo”. Egli ci descrive la scossa della
visione con le immagini e le figurazioni religiose del suo tempo (un
trono, un coro di angeli, un manto regale, un luogo profumato
d’incensi e risonante di grida d’acclamazione), proprio nel tentativo di
raccontarci l’incontro della sua vita, il contatto inesprimibile con una
Presenza immensa e sovrana.
Paolo rivendica il suo titolo d’apostolo basandosi sulla nascita
improvvisa della sua fede nel Cristo: “Apparve anche a me come a un
aborto”.
Pietro aveva accettato con scetticismo di ritornare a pescare, ed ecco
che lo sgomento lo prende, non solo “perché le reti si rompevano” per
la quantità di pesci, ma anche perché sente la potenza strana di
quell’uomo: non lo chiama più “Maestro”, bensì “Signore”.
Talvolta le circostanze della vita ci portano alla scoperta d’una verità
importante, a una scelta che ci impegna, a una riflessione che ci
costringe a giudicarci, anche se la decisione che potrebbe derivarne
supera le nostre forze o le nostre possibilità: forse è un incontro di
Dio.
Isaia diventerà profeta e trasmetterà al popolo i rimproveri di Dio, le
sue meravigliose promesse messianiche. Paolo diffonderà tra i popoli
pagani (qui, fra i Corinzi) il Vangelo di Cristo che fino allora aveva
rifiutato: faticherà “più di tutti gli apostoli” e meriterà di essere
chiamato “l’Apostolo”. Pietro lascerà le barche della sua pesca sul
lago di Genesaret per andare a “prendere uomini”, e ben presto Gesù
gli affiderà la barca della sua Chiesa nascente.
L’incontro con Dio non ci lascia mai come prima.
I messaggeri
L’incontro improvviso col Signore illumina di colpo il fondo dei nostri
cuori. Chi non si sentirebbe senz’altro piccolo e povero se incontrasse
Dio? Isaia, la cui fede era profonda, si crede improvvisamente
perduto quando il Tempio risuona delle grida degli angeli attorno a
Dio: si vede come “un uomo dalle labbra impure”. Paolo non tralascia
occasione per ripetere ai fratelli di esser stato all’inizio un persecutore
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e di essere quindi indegno del titolo di apostolo. Pietro si rende conto
di essere un peccatore e di non meritare i vantaggi di un miracolo:
“Signore, allontanati da me”.
Queste confessioni d’umiltà sono già un segno di fede verso il
Signore; l’incontro si fa adorazione e offerta di sé. Isaia osa
addirittura proporsi come messaggero: “Eccomi, manda me!”. Paolo
attribuisce a Cristo i meriti del suo zelo apostolico: “Per grazia di Dio
sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana”. Pietro
si getta alle ginocchia di Gesù, “lascia tutto per seguire Gesù”.
Per noi cristiani, il primo passo è riconoscere la nostra povertà. Esso
precede e accompagna ogni missione apostolica, ogni testimonianza
autentica.
Il messaggio
Quando si è scelti come messaggeri, non si viene chiamati a una
funzione anonima, né si tratta di passare poi il tempo a rivivere
l’istante privilegiato del primo incontro. A coloro che chiama e
arricchisce dei suoi doni, il Signore affida un messaggio da
trasmettere, una parola divina da diffondere con la predicazione e la
testimonianza. Dio vuole che la fede in lui nasca per mezzo d’una
Parola trasmessa da apostolo ad apostolo.
Scrivendo il racconto della sua vocazione, una delle pagine più
grandiose dell’Antico Testamento, Isaia spinge il popolo d’Israele a
riconoscere nel Dio che ha così spesso guidato il corso della sua storia
un essere onnipotente, un Re, che è anzitutto il Totalmente Altro, il
Santo; logicamente quindi lo invita a ringraziarlo in primo luogo per la
sua immensa gloria. Anche noi, oggi, ripetiamo il canto solenne dei
Serafini durante il banchetto dell’Eucaristia, però sappiamo che Dio
non ci si presenta più “su un trono alto ed elevato”, ma su una tavola
dove si dona in comunione.
Paolo e tutti gli apostoli di Gesù trasmettono il Vangelo della Nuova
Alleanza. In realtà, al centro del loro messaggio, nel cuore della loro
predicazione, all’inizio della fede cristiana, c’è una sola affermazione:
“Cristo morì per i nostri peccati, fu sepolto ed è risuscitato”. Pietro e i
Dodici “l’hanno visto” vivo (2ª lettura): anche Paolo, il persecutore
diventato apostolo, l’ha visto vivo e l’ha sentito parlargli. Da allora
credere in Cristo non significa tanto imparare una dottrina o
abbracciare una religione, quanto aprirsi alla parola del testimone,
riferirsi alla fede della comunità primitiva e rimanere fedeli
all’avvenimento centrale della nostra storia: il Figlio di Dio morto per
noi e vincitore della morte con la sua risurrezione. La fede cristiana,
nel suo significato più alto, è fede “apostolica”.
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