Schopenhauer e Freud
“La Volontà è l’intimo essere del tutto”
Schopenhauer
1) Volontà e vita: l’immotivata volontà
Secondo Schopenhauer1, la vita non è altro che (consiste in) una im-motivata
(cieca) volontà di esistere: la volontà di vita ossia la volontà di esistere è allora fuori
dalle legge di motivazione2. Per Schopenhauer il cuore della realtà è dunque la volontà:
1.
2.
3.
4.
volontà cieca,
volontà che non ha nessun senso,
volontà senza nessuna direzione,
volontà che non mira a niente.
Il cuore della realtà non è allora il logos sia esso eracliteo o platonico\aristotelico, o
la ragione dialettica hegeliana, bensí la volontà3. In effetti, al fondo della realtà umana, al
fondo del nostro vissuto coscienziale, esiste solo un fondo enigmatico e buio, indistinto
(noumenico): la volontà (si badi che per Scopenhauer la Volontà è intesa sulla base di
indizi, di fattori per i quali è possibile pensare alla volontà come cosa in sè; basti pensare
che la volontà è intesa sulla base non del fenomeno o meglio delle rapresentazioni,bensì
della percezione interna per cui come cosa in sè, è anche al di là di ogni spiegazione
razionale4 ossia non ha senso chiedersi da dove venga, dove vada, perchè esiste, nè
tantomeno nessun fenomeno La esaurisce in quanto è un principio infinito ed inesauribile)
Secondo S5. quindi: “ la volontà come cosa in sè è affatto diversa dal suo
fenomeno, e pienamente libera da tutte le forme di questo,nelle quali appunto ella passa
all’atto del suo manifestarsi; sì che codeste forme riguardano la sua obiettività ,ma le
sono sostanzialmente estranee.”
Cfr. Galimberti, Il Tramonto dell’occidente.
Il mondo come Volontà e Rappresentazione, Schopenhauer, ed. Laterza. Pag. 168 e sgg.
3
La tesi che prima della Ragione e dell’autonomia del pensiero (Aassoluto hegeliano) ci sia qualcosa di antecedente è
anche la tesi marxiana: la vita infatti è senz’altro volontà e prassi; va però fatto notare che la vita per Marx non è
irrazionalità come in Schopenhaueuer, in questo discendente di Kant, ma vita illuminata dalla Ragione che ne
comprende il senso, come in Hegel, sebbene in modo capovolto: l’osservazione empirica degli stati di cose ci fanno
comprendere infatti come in Marx la coscienza sia condizionata dalla vita reale e pratica che ne forma la tipologia delle
Idee. In una battuta, la diversità dei modi di produzione (rapporti di proprietà – tribale, statale, feudale, borghese e
modi di produzione medioevale, capitalistico, etc.) che si sono presentati nel corso della storia dell’uomo condiziona il
formarsi della coscienza dell’uomo. Ancora, è il modo della esistenza sociale degli uomini a determinare il modo
attraverso cui gli uomini si pensano in relazione. Cfr. Severino, cit. Pag. 20 e sgg.
4
Cfr. Severino. Cit. Pag. 32
5
Ibidem, pag. 169.
1
2
Ora, a queste forme appartengono sostanzialmente lo Spazio ed il Tempo: tali
forme consistono nel principium individuationis6, ossia nel principio per cui e secondo
cui le cose appaiono e si manifestano con apparente ragione nel mondo.
La Ragione insomma, il Principium individuationis (a cui però la Cosa in sè
sfugge),secondo Schopenhauer ma anche Nietzsche (sebbene successivamente
Nietzsche si distacchi da Schopenhauer) nella propria concezione di Volontà), consente di
parlare con apparente ragione delle cose del mondo, degli enti, della loro relazione ed
essenza, ma tutto ciò è solo apparenza. In effetti il fenomeno è solo illusione, parvenza,
per cui secondo Schopenhauer ma anche Nietzsche:
- l’individuazione è illusione;
- è necessario lacerare l’illusione.
2) la tematica del corpo
Secondo Nietzsche, attento lettore di Schopenhauer, la vita, priva di alcuno scopo,
è solo prevaricarizione ed al limite neanche ricerca della vita stessa: cosa
spaventosa7. In fondo la vita può anche cercare la morte, pur di potenziarsi.
In buona sostanza la vita, come in Schopenhauer, non ha interesse per i suoi
portatori, ma solo per la specie che deve contnuare ad esistere.
In questo senso8, è possibile affermare che l’affermazione di Schopenhaueuer
travolge completamente l’edificazione hegeliana di un sistema dell’Assoluto come
macrosoggetto (primato della Coscienza) che fornisce (che descrive) il senso del singolo
nel divenire della Storia come dispiegarsi dell ‘Assoluto. Il senso del singolo, di
quell’unicum che è il soggetto, va piuttosto cercato in altra direzione: prima della
coscienza (Io penso kantiano, Io fichtiano, Assoluto hegeliano9) e della sua
edificazione ad Assoluto come macrosoggetto autocosciente, esiste un corpo che è vita,
anzi volontà di vita, cieca ed immotivata.
6
Natoli, Nietzsche, Il teatro della filosofia, Feltrinelli, pag. 35 e sgg.
Maurizio Ferraris, La volotà di potenza, edizioni l’Espresso.
8
Galimberti, Psiche e Techne, Feltrinelli 2006.
9
Cfr. S. Natoli, Nietzsche ed il Teatro della filosofia, Feltrinelli, 2013: “L’Idea è molto di più che un principio di
7
identificazione conoscitiva, l’Idea è il principio di
identificazione costitutitva: ciò vuol dire che
l’Idea è cio per cui l’identità è prodotta ossia ciò per cui la cosa è fatta”. Ancora: “ (...) la Dialettica di Hegel
è una dialettica progressiva. Essa si risolve nella parousia dello Spirito, nella manifestazione compiuta di ciò che
da sempre è:
- lo Spirito come eterno presente.”.
In misura ancora maggiore, Fink sostiene che Hegel : “ abbia concepito l’intero sviluppo delo spirito come un
gigantesco processo di sviluppo (...) così Egli credette di garantire l’intero sviluppo della comunità europea”
In questo senso, Schopenhauer afferma che Kant ha considerato l'uomo come una
testa d'angelo senza corpo: “ Se considero infatti il mio corpo non come
un'esteriorità, come fa Kant, come oggetto fra gli altri oggetti, ma sprofondo in una
sorta di abisso interiore, di concentrazione interiore, avvertirò che il mio corpo è un
insieme di bisogni, di
semplicemente volontà”.
esigenze,
di
tensioni,
cioè
è
Ora, per Shopenhauer, la volontà immotivata si esprime ( ossia si coglie come
fenomeno) sostanzialmente nelle azioni che il corpo mette in atto per esistere nel mondo:
Riconoscere che la volontà, tale e quale noi la troviamo nel nostro intimo, non fa la
sua comparsa, come ha sostenuto sinora la filosofia soltanto a seguito della
conoscenza, che essa non è una mera modificazione di quest’ultima, ossia un
elemento secondario, derivato e, al pari della conoscenza stessa, condizionato
dall’intelletto. Ma riconoscere invece che la volontà è il prius della conoscenza, la
sostanza del nostro essere e di quella forza primitiva che crea e tiene in vita il
corpo animale, esercitandone sia le funzioni inconsce sia quelle consce: ecco il
primo passo per penetrare i fondamenti della metafisica. (del resto dobbiamo anche
ricordare che il Linguaggio, come processo mentale, sempre secondo S., consente
all’uomo una visione panoramica del passato e del futuro: ancorato all’adesso, come
l’animale, egli sarebbe incapace di vivere).
Ecco che allora Schopenhauer colloca la coscienza, l’intelletto e la ragione
nell’alveo delle condizioni biologiche della vita: ciò senza di cui l’uomo non potrebbe
vivere. La ragione allora o meglio l’autonomia della riflessione, dimentica la sua
origine: l’immotivata volontà di vivere al cui servizio la tecnica si dispone,
senz’altro scopo che non sia il semplice proseguimento della vita.
“Certo non l'individuo, ma la specie solo importa alla natura, la quale per
la conservazione della specie si affatica con ogni sforzo, a quella
provvedendo con sí larga prodigalità, mediante la smisurata sovrabbondanza
dei germi e la gran forza della fecondità. Invece l'individuo non ha per lei
valore alcuno, perché tempo infinito, infinito spazio, e , in tempo e spazio,
infinito numero di possibili individui, sono il regno della natura; quindi ella è
ognor pronta a lasciar cadere l'individuo, il quale non solo in mille modi, per
i più piccoli accidenti, è esposto alla rovina, ma alla rovina è fin da principio
destinato e dalla natura stessa condotto, a partir dall'istante, in cui esso è
servito alla conservazione della specie. Venendo l'uomo a mancare
degli oggetti del desiderio, quando questo è tolto via da un troppo facile
appagamento, tremendo vuoto e noia l'opprimono: cioè la sua natura e il
suo essere medesimo gli diventano intollerabile peso. La sua vita oscilla
quindi come un pendolo, di qua e di là, tra il dolore e la noia, che sono in
realtà i suoi veri elementi costitutivi”.10
10
Schopenhauer, cit.
3)Natura e volontà
La natura è cieca per Leopardi, e questo corrisponde alla cieca volontà di vivere di
Schopenhauer, il quale afferma che l’intero mondo animale ci mostra come: «[...] ottenuto
dall’individuo quanto desiderava, la natura rimanga glacialmente indifferente di fronte alla
possibile distruzione dell’individuo».
Ancora, per S., l’immagine che l’individuo ha di se stesso è una rappresentazione
fenomenica di quella volontà irrazionale che, come cieca pulsione, opera attraverso la
sessualità a vantaggio della specie, ingannando l’individuo con la seduzione del piacere.
L’Io appartiene dunque al sesso e non il sesso all’io come ingenuamente si crede.
Freud e Schopenhauer11
L’impianto filosofico freudiano
è profondamente debitore alla filosofia
schopenhaueriana, non nel senso del primato della sessualità, che Schopenhauer
definisce “ultimo scopo di quasi ogni sforzo umano”, ma in riferimento al dualismo
coscienza/inconscio, dove la psicoanalisi di Freud sembra ricalcare alla lettera la
filosofia della natura di Schopenhauer.
In effetti Freud, parlando dell’apparato psichico, ritiene che esso sia
rappresentabile secondo un topica, ossia un modello spaziale immaginativo, che prevede
l’esistenza di tre istanze: Es, Io e Super Io, di cui il primo, l’Es, è totalmente inconscio.
Esso esprime fondamentalmente le pulsioni di vita e di morte che caratterizzano ogni
individuo. Tali pulsioni, totalmente inconsce, spingono letteralmente l’individuo, secondo il
Principio del piacere, ad assumere comportamenti ed atteggiamenti utili alla
soddifazione di quelle pulsioni. Ma tale spinta ad agire, per soddisfare immediatamente
ed interamente quelle pulsioni, contrasta inevitabilemte con le leggi e le norme morali
della società di appartenenza. Da tale contrasto o conflitto emerge la necessità di una
mediazione: l’attività propria dell’IO. Da tale lettura, emerge quindi prepotentemente la
tematica dell’inconscio freudiano, con tutta la carica pulsionale che esprime. In questo
senso, l’“inconscio” freudiano, come la “volontà irrazionale” di S.:
,:
o è fuori dallo spazio e dal tempo (in quanto non ha a che fare con una
spazio fisico determinato nè con un tempo determinato);
o non rispetta il principio di non contraddizione (in quanto a livello
inconscio una cosa è se stessa ed anche il suo contrario e quindi è il
rego dell’illogico)
11
U. Galimberti., La casa di psiche: Psiche e Techne,
o
si sottrae alla storia .
Schopenhauer guarda dunque, da un lato, all’Io come a un effetto secondario
della propria
forza pulsionale inconscia, come a un risultato biologicamente
determinato nello sviluppo della storia naturale; dall’altro, se lo sguardo è promosso
dall’Io (L’Io kantiano della rappresentazione e dell’Io penso, in Schopenhauer,
consiste nella rappresentazione promossa dall’individuo), questi (l’Io) si descrive
come istanza suprema della razionalità discorsiva di tipo illuministico, in grado di
oggettivare, sul piano della conoscenza, il carattere della natura da cui emerge.
Parimenti, Freud, alla ricerca del fodamento ultimo, ossia di quegli elementi
irriducibili dell’apparato psichico, trova le Pulsioni. Scrive Freud:
“In base ad ampie considerazioni sui processi che danno luogo alla vita ed
alla morte, è probabile che si debba riconoscere l’esistenza di due tipi di pulsioni,
corrispondenti ai processi di strutturazione e destrutturazione dell’organismo. Il
tipo di pulsioni che lavorerebbero fondamentalmente in modo silenzioso e che
perseguirebbereo il loro scopo di condurre l’essere vivente alla morte hanno
perciò il nome di pulsioni di morte. Esse sarebbero rivolte verso l’esterno grazie
all’azione congiunta
di
numerosi organismi elementari unicellulari e si
estrinsecherebbero sotto forma di tendenze distruttive o aggressive.
Le altre sarebbero le pulsioni libidiche , ossia le pulsioni di vita, che
potremmo compendiare sotto il nome di Eros. Il loro intento sarebbe quello di
plasmare la sostanza vitale in unità sempre magiori, per garantire in questo modo
la continuazione della vita verso più ampi sviluppi.”
Ora, ascoltando il brano letto, emerge prepotentemente l’interesse della
Psicoanalisi per la continuazione della Specie, o meglio della vita della specie, una vita
di tipo biologico fondata sul senso delle Pulsioni come spinte ad agire.
Schopenhauer e Freud: il sogno12
Secondo Schopenhauer:
“I pazzi non si ingannano nella conoscenza di ciò che è immediatamente
presente; le loro divagazioni si riferiscono sempre a ciò che è assente o passato, e
soltanto in tal modo alla loro relazione col presente. Il che mi fa credere che la loro
malattia tocchi specialmente la memoria: non certo in modo tale da sopprimerla
completamente, perché molti pazzi sanno parecchie cose a memoria, e riconoscono
talvolta persone non più viste da gran tempo; ma il filo della memoria viene
spezzato, la continuità della sua concatenazione soppressa, e ogni richiamo
regolare e coerente del passato è reso impossibile. Il pazzo può evocare delle scene
12
Cfr. Galimberti, La casa di Psiche.
isolate del passato e dar loro tutta la vivacità di una scena isolata del presente: ma
in un simile ricordo sono presenti non poche lacune, che egli non sa far altro che
riempire con finzioni”13.
Per altro verso, sempre secondo Freud,: “il sogno è una psicosi, con tutte le
assurdità, le formazioni deliranti, le illusioni sensoriali proprie delle psicosi”.
Secondo quanto recitato nei passi citati, in riferimento alla follia ed al sogno, è
possibile pensare che :
o da un lato, come disgregazione della memoria intorno a cui si organizza la
rappresentazione, “il sogno è simile alla follia”;
o dall’altro, come irruzione della volontà nella sfera della
rappresentazione, esso diventa “lo strumento di cui si serve la nostra
onniscienza sognante, per far giungere possibilmente qualcosa
all’ignoranza della nostra veglia”.
In una battuta, senpre secondo Freud: “il sogno è una psicosi perché “il
materiale inconscio, irrompendo nell’Io, porta con sé il suo modo di lavorare”, e
prima di tutto la sospensione del regno della logica, essendo “l’inconscio il
regno dell’illogico”.
D’altro canto, “la memoria onirica è assai più estesa di quella dello stato
vigile”, perché affonda le sue radici nelle dimensioni arcaiche dell’esperienza individuale
e collettiva, al punto da costituire “una fonte non disprezzabile per la conoscenza della
storia umana”, aspetto questo,a cui si rifà successivamente Yung.
“a mo’ di trovadori,
Danziano tra santi e
prostitute, tra Dio e
mondo, la danza.
F. Nietzsche
Fenomeno e noumeno
. Condividendo il modello kantiano dell’inconoscibilità del noumeno (sebbene
Schopenhauer parli del noumeno come volontà), Freud e Schopenhauer ritengono che
la cieca pulsione si manifesti solo nelle sue “oggettivazioni” (ossia conosco la volontà
13
Supplementi a Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari 1930, vol. II, p. 650.
indirettamente tramite le sue oggettivazioni) o, nel linguaggio freudiano, nei suoi
“investimenti”, che si rendono visibili, in Freud, sul piano dell’apparenza fenomenica:
comportamenti, atti mancati, sogni, sogni ad occhi aperti, etc..
ll mondo schopenhaueriano14 della rappresentazione diventa così in Freud la
narrazione che la coscienza scrive, del suo carattere apparente, mentre il mondo della
volontà di S. , che tende alla soddisfazione dei bisogni, ha il suo corrispondente nel
freudiano principio del piacere che regola l’istanza dell’Es (aspetto totalmente
inconscio delle triade Es, Io, Super-Io) ed espressione delle pulsioni di vita e di
morte). Quest’ultimo, regolando l’oscuro Es, sempre teso al soddisfacimento e quindi
all’estinzione delle pulsioni, ripristina, alla maniera di Schopenhauer, quell’unità
indifferenziata con la natura in cui si celebrano la non-identità e la morte come “sentimento
oceanico del Nirvana”.
Infatti, scrive Freud: Nell’Es, dove lottano le forze primordiali dell’Eros e della
pulsione di morte potremmo rappresentarci la situazione come se l’Es stesse sotto
il dominio delle mute ma possenti pulsioni di morte, le quali cercano la pace e si
sforzano di ridurre al silenzio, secondo l’indicazione del principio di piacere, l’Eros
turbolento.
La teoria psicoanalitica di Freud è dunque profondamente schopenhaueriana. Nella
separazione tra coscienza e inconscio e nella loro descrizione risuona potente il mondo
come volontà e rappresentazione, con una differenza, però: mentre Schopenhauer invita
con la noluntas a rinunciare al gioco della volontà e a togliere la maschera alla sua
rappresentazione, Freud, come del resto Nietzsche, sta dalla parte della
rappresentazione, che legge, a differenza di Nietzsche, non come liberazione delle
pulsioni, ma come dominio sulle pulsioni.15
Per esprimerci in termini nietzscheani, potremmo dire che l’intenzione di Freud
non è la liberazione del dionisiaco, ma la liberazione dal dionisiaco, quindi “ascesi” e
“rinuncia” schopenhaueriana.
Scrive infatti Freud:
“In ogni tempo si è assegnato all’etica il massimo valore come se tutti se ne
aspettassero importanti conseguenze. Ed è vero che la morale, come è facile
riconoscere, tocca il punto più vulnerabile di ogni civiltà. Perciò essa va intesa
come un esperimento terapeutico, come uno sforzo per raggiungere, attraverso un
imperativo del SuperIo, ciò che finora non fu raggiunto attraverso nessun’altra
opera di civiltà.”
A parere di Freud l’opera di civiltà passa attraverso il prosciugamento dello
Zuiderzee, il mare interno bonificato lungo le coste olandesi. L’intenzione degli sforzi
terapeutici della psicoanalisi è in definitiva di rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente
dal Super-io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione,
così che possa annettersi nuove zone dell’Es.
Scrive ancora Freud in uno dei suoi passi più noti:
14
15
Cfr. Galimberti, Psiche e techne, cit. Pag. 222 e sgg.
Cfr. Galimberti, Psiche e Techne.
Dove era l’Es, deve subentrare l’Io.
Volontà e Volontà di potenza: Schopenhauer e Nietzsche
La cosa in sè
Scrive Nietzsche nella Volontà di potenza16: “ Una cosa in sè è tanto assurda
quanto un senso in sè, un significato in sè. Non esistono stati di cose in sè: perchè ci sia
uno stato di fatto deve essere prima introdotto un senso. Il “cos’è questo “ è una
posizione di senso, se vista da una diversa angolazione. L’”essenza”, l’”essenzialità” è
qualcosa di prospettico, e presuppone già una molteplicità. Allla base c’è sempre un
“cos’è questo per me”.
Una cosa sarebbe definita solamente quando tutti gli esseri avessero chiesto al
suo proposito “cos’è questo?’” e avessero dato la loro risposta. Posto che mancasse di
farlo anche un solo essere, con le sue relazioni e prospettive su tutte le cose, la cosa
rimarrebbe non definita.(...) La cosa in sè è un controsenso. “17
La cosa in sè è un controsenso. Se immagino di abolire, tutte le relazioni, le
proprietà, le singole attività di una cosa, la cosa non rimane: infatti la cosalità è una nostra
finzione, è aggiunta da noi per bisogni logici. “
16
17
Nietzsche. La Volontà di potenza, Bompiani, Milano 2016. pag. 308 e sgg.
Ibidem.
Idealismo e Pessimismo
Secondo Nietzsche, nella sua fase più matura, anche Schopenhauer erra: in effetti
idealismo hegeliano e pessimismo schopenhaueriano sono due facce della stessa
medaglia. Se Hegel nega, con la sua concezione metafisica che va oltre il mondo
fenomenico (appunto metà tà .......) il mondo dei fenomeni considerato come nulla, anche
Schopenhauer ne nega il valore: se infatti la critica di Schopenhauer nega il valore
dell’Idea del sistema hegeliano, il senso negativo del mondo resta comunque in quanto
fenomeno ed illusione. Il mondo resta segnato quindi dalla primitiva negazione18. Il mondo
è quindi una assoluta nullità, a questo punto senza Dio e senza Idea.19
Ora, se per Schopenhauer attraverso l’ascesi è possibile il riscatto, la risalita dalla
decadenza mondana, dal vuoto soffrire, per Nietzsche non è necessaria alcuna
ricomposizione, alcuna risalita: l’essenza della vita è tragica ed il dolore va attraversato, il
dolore è infatti espressione di vita. Concepire il dolore come altro dalla vita, significa non
comprendere la vita, che va attraversata. Attraversata nella sua molteplicità di significati
sempre cangianti, nel dolore come nella gioia senza rimandi alcuni ad una dimensione
altra, alta ed ideale. Secondo Nietzsche infatti, la vita è un positività assoluta ed
originaria che non ammette giustificazioni: nello specifico la volontà di vivere è la
dimensione entro cui si risolve l’opposizione tra l’individuazione come apparenza, ossia il
fenomeno, e la vita come processo.
In buona sostanza, Nietzsche vede nel tragico, nell’essenza del tragico, una
nuova possibilità che consente di superare il pessimismo tragico di Schopenhauer. In
effetti il tragico greco non è una semplice forma di pessimismo romantico, piuttosto è il
sentimento della inesauribile potenza dell’originario.
Ora, in questa prospettiva, l’originario così inteso va accolto in tutto il suo produrre,
in tutte le sue forme e quindi in tutto il suo produrre, fenomeno o meno, distruzione o
meno, vita o morte che sia.20Ancora, la vita stessa non è distruggibile, semmai le sue
forme, per cui la distruzione come tale è solo apparenza.21
Nietzsche: la lotta dell’esistenza ed il puro accadere
Vediamo: secondo Nietzsche, pessimismo ed idealismo si conciliano, si
identificano, in una forma nichilistica intesa come volontà del nulla. Se per Hegel, come
già accennato, il mondo va superato nella metafisica dello Spirito, il mondo va dunque
negato per esser compreso in una superiore sintesi di ordine superiore. Questo mondo è
allora il “meno” che deve essere superato nel di più dello Spirito: successivamente il
mondo si ribella e scopre la falsità dell’Idea, dell’ Assoluto, e nega l’Assoluto per
ripiombare nel nulla del mondo (pura apparenza) come essenza pessimistica della vita
(Schopenhaueur). Ma in questo modo il mondo è sempre nulla. In Nietzsche,
diversamente, il mondo va inteso o meglio vissuto per quello che è: un campo di forze in
opposizione, in lotta, dove è la lotta a dare il senso dell’esistenza. Se è così, non si
18
Ibidem.
Ibidem.
20
Ibidem.
21
Ibidem.
19
può chiedere quale sia il senso della lotta:22 come dire che si è posti all’interno dell’eterno
gioco della lotta senza poterne uscire: si è giocati, non si può non giocare.
Certo, all’interno del gioco nulla è necessario ed il singolo può decidere e
scegliere, ma il senso del gioco non è dimostrabile, non siamo all’interno di una armonia
prestabilita leibniziana.23 Più determinatamente, ciò che accade, l’accadimento in sè, il
fatto, semplicemente accade, ed accade in quanto espressione del gioco dell’accadere,
del gioco del divenire, del perenne fluire delle cose o meglio degli stati di cose. In questo
senso, il gioco del divenire non può non esprimersi nei singoli divenienti. Questo aspetto
del gioco del divenire è necessario, ossia il gioco come eterna lotta dei divenienti non
può non essere.
Diversamente, ogni singolo accadere può non essere. Ogni singolo evento accade
ma poteva non accadere. Ecco che allora il singolo ha margine di scelta per le proprie
decisioni; ciò che non è possibile decidere però è il partecipare o meno al gioco: in una
battuta si è giocati.
Vediamo meglio: l’unico destino, secondo Nietzsche, consiste nel non potersi
sottrarre al gioco o meglio alla necessità del gioco24. In questo senso, se non è possibile
sfuggire alla necessità del gioco è però vero che ogni gioco è giocabile. Se quanto detto è
vero ne consegue che nel gioco dell’accadere, ogni evento è nuovo, non si ripete, non si
ri-presenta, non è agganciato con un sottile filo logico al precedente, manifestandone, del
primo, un ulteriore senso. Piuttosto, in Nietzsche, il singolo accadimento è un nuovo
accadimento che non ri-capitola, come in Hegel,il senso del precedente accadimento.
Nuovo accadimento significa che non
sussiste particolare legame con i
precedenti accadimenti, che nel gioco dell’accadere i legami soco scissi e separati, senza
un sottile filo rosso che li lega nella superiore sintesi dello Spirito che sin dall’inizio è già
l’Assoluto, è già Idea sebbene solo dopo, nel tempo cronologico ma non nella logica, il
sapere dell’assoluto, ossia il singolo, comprende che l’Assoluto è tale. In una battuta allora
per N., è eterno solo il gioco mai gli elementi del gioco. Eterna la lotta, mortali i lottatori.
Lotta ed esistente
Nella considerazione dell’ente finito, nel pensare al significato dell’ente in quanto
ente, N. lo ritiene semplicemente una positività, un essere che è senza alcuna negatività .
L’ente è: semplicemente. In questo senso, se la negatività caratterizza l’ente finito, tale
negatività è data da qualcosa che la nega concretamente, fattivamente, limitandola. La
negazione di cui è affetta la cosa è quindi esito di una determinazione sull’altra come
limite. Più specificatamente,ogni determinazione esprime la sua potenza come lotta verso
l’altro: tale potenza è volontà di potenza, volontà che sfugge però ad ogni pessimismo e
vitalismo.
22
Bidem.
Ibidem.
24
Cfr. Natoli. Cit. Pag. 60 e sgg.
23
Volontà ed interpretazione
La Volontà di potenza è da ass25umere in due significati:
-
-
il primo, in un senso spazio temporale finito, nel senso dell’unità dell’accadere o
meglio dell’esperienza dell’accadere. Più determinatamente la volontà di
potenza è esperienza dell’autosussistenza dell’accadere;
il secondo, in un senso di interpretazione di senso degli eventi del mondo: la
Volontà di potenza è quindi interpretazione.
Secondo Deleuze allora la Volontà di potenza si è oramai emancipata dal
semplice concetto di volontà di vivere, essa è di più della semplice tensione ad
esistere, essa esprime fondamentalmente il senso del gioco di forze che si istituisce nel
mondo dell’accadere. Essa esprime quella fondamentale possibilità, di qualsiasi senso del
mondo, che le cose assumono (del senso delle cose) secondo l’interpretazione via via
cangiante sulle cose del mondo. In sintesi, il mondo è volontà di potenza: tale
affermazione metafisica , anch’essa come le cose del mondo, come ogni accadimento
del mondo, è un’affermazione vera in quanto ogni verità esprimibile, ogni evento, è
potenza26.
Cercando di essere più espliciti, in analogia al discorso filosofico sull’identità del
diverso dei primi pensatori greci, la volontà di potenza è quel proprium et commune di
ogni essere che, manifestandosi in ogni ente, determina l’accadere dell’ente. Tale
volontà, è la stessa volontà in ogni ente. Ora, in ogni ente determinato, in ogni singola
determinazione, la volontà di potenza è potenza , forza di esistere, che confligge con altre
forze in un gioco di conflitti di forze. In sè, la potenza come potenza, la volontà di potenza,
non può superare se stessa: se nel singolo ente determinato la volontà si esprime come
potenza,come potere e forza su altre forze superando così altri singoli enti determinati,
essa non può però superarsi. In questo senso, la volontà di potenza, intesa come potere
ed incremento di forza, ossia intesa in senso determinato, è sempre suscettibile di
incremento, viversa in sè come potenza, essa non è superabile, non va intesa quindi
come proiezione infinita e lineare. Non è possibile allora un incremento ulteriore di forza
e d’essere.
In questo senso, la volontà di potenza non può che ritornare su se stessa, sul
suo essere potenza, non si può incrementare semmai si ripete: essa producendo il
mondo ri-produce se stessa e quindi ritorna.27 Ossia ritorna su di sè e così facendo
produce il mondo, quel mondo di fatti e stati di cose o meglio di singole volontà che
confliggono tra loro per la reciproca padronanza del mondo.
Va però fatta una specificazione:
1) la Volontà di Nietzsche non è qualcosa di meramente vitalistico28; ossia
estetizzante o semplicemente pulsionale; la volontà è piuttosto espressione del
gioco dell’accadere senza senso e senza scopo in cui si esprime l’eterno ritorno
dell’uguale (La volontà);
25
Ibidem.
Ibidem pag. 87.
27
Ibidem.
28
Ibidem pag. 91 e sgg.
26
2) gli Assoluti che si susseguono nella storia della filosofia (Assoluto
hegeliano, l’Io penso kantiano, Io fichtiano) non sono altro che
espressione della volontà di Potenza in quanto strumenti necessari alla
vita ma illusori.
3) Ora tali strumenti, tali determinazioni finite, devono essere superate. Non
superate e conservate come in Hegel: superate. Abbattute, negate da un
altro evento semplicemente.