Omelie per un anno - vol. 2 16ª Domenica del Tempo Ordinario Gn 18,1-10a - Signore, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Dal Salmo 14 - Rit.: I puri di cuore abiteranno nella casa del Signore. Col 1,24-28 - Il mistero nascosto da secoli, ora è manifestato ai santi. Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. La tua Parola, Signore, è verità: consacraci nel tuo amore. Oppure: Beati coloro che custodiscono la parola di Dio in un cuore buono e sincero, e portano frutto con perseveranza. Alleluia. Lc 10,38-42 - Marta lo accolse nella sua casa. Maria ha scelto la parte migliore. Agire, ascoltare, soffrire “Tutta presa dai molti servizi” Chi oserebbe condannare la premura di Marta che accoglie in casa Gesù e si dà un gran da fare per trattare l’ospite come si conviene? E se le parole di Gesù suonano come rimprovero, dal contesto non appare che egli abbia rifiutato i suoi servizi, mentre tutto fa pensare che abbia gradito il pasto preparato dalla solerte massaia. Se poi riflettiamo sulla 1ª lettura, non è solo s. Giovanni Crisostomo, commentando questo episodio, a lodare la pronta e generosa ospitalità con cui Abramo e Sara accolgono i viandanti, ma il modo con cui il fatto è narrato nella Bibbia mostra abbondantemente come lo scrittore sacro intenda approvare ed elogiare il comportamento dei due vecchi coniugi così solleciti nell’accogliere i tre viandanti che non avevano mai visto. L’ospitalità è stata sempre considerata come un dovere dagli antichi e talvolta lo è ancora oggi, specialmente fra i popoli che si considerano meno progrediti nella civiltà. Gesù la elenca fra quelle che chiamiamo “opere di misericordia”, dichiarando che chi accoglie l’ospite accoglie lui stesso, chi lo respinge respinge lui stesso (cf Mt 25,35.43). Paolo vuole che i cristiani siano “premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,13). S. Benedetto prescrive: “Tutti gli ospiti che sopraggiungono siano ricevuti come Cristo, perché egli dirà: “Ero forestiero e mi avete ospitato” (Mt 25,35)”; e più innanzi: “I poveri e i pellegrini siano accolti con particolari cure ed attenzioni, 16ª Domenica del Tempo Ordinario “C” - Elledici, Leumann 2003 1 Omelie per un anno - vol. 2 perché specialmente in loro si riceve Cristo; mentre ai ricchi si è portati a rendere onore per la stessa soggezione che incutono”. S. Massimo cita questo racconto della Genesi per esortare a dare pronta e generosa ospitalità. Si potrà osservare che il dovere dell’ospitalità era più urgente in un ambiente sociale che ignorava la ricca attrezzatura alberghiera dei nostri tempi e paesi. Ma possono presentarsi anche oggi casi di persone che hanno bisogno di ospitalità non potendo provvedervi con mezzi propri. Non solo i profughi, ma ogni fratello che viene da altri paesi e cerca comprensione e amicizia. “Ho diciotto anni”, dichiarava Claudio in un incontro di giovani; “sono arrivato alcuni mesi fa in città. I primi tempi sono stati molto duri. Non conoscevo nessuno; tutti mi schivavano; non facevo che piangere pensando alla famiglia e agli amici che ho lasciato al mio paese. Ma poi ho incontrato Massimo (e lo additava), mi ha voluto bene, mi ha fatto venire all’oratorio; ora mi sento felice”. Ecco un modo concreto di praticare l’ospitalità, accogliere fraternamente chi viene da altre regioni o dal terzo mondo; adoperarsi per i connazionali obbligati a cercare lavoro all’estero. “La parte migliore” Marta aspettava da Gesù un richiamo alla sorella che vedendola così affaccendata la lasciava sola a servire. Ma la risposta del Maestro la delude. Nella sua densa brevità cogliamo un duplice insegnamento: il rimprovero a Marta, non perché si mostra premurosa nel servirlo, ma perché si preoccupa e si agita per molte cose, e un elogio per Maria, che “ha scelto la parte migliore”. Un’antica e lunga tradizione esegetica e spirituale – ricordiamo soltanto tre nomi: Origene, Ambrogio, Agostino – ha visto raffigurata in Marta l’azione e in Maria la contemplazione. Questa, che consiste nell’ascoltare la parola di Gesù e meditarla come faceva Maria, Madre del Signore, che “serbava nel suo cuore” tutto ciò che vedeva e udiva (Lc 2,19.51), guardare a lui, amarlo, conversare con lui, è in sé “la parte migliore”, perché riconosce nella maniera più esplicita il primato di Dio. La Chiesa avrà sempre bisogno di vocazioni contemplative, dice il Concilio: “Gli istituti dediti interamente alla contemplazione, tanto che i loro membri si occupano solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, nella continua preghiera e nella gioiosa penitenza, pur nell’urgente necessità di apostolato attivo conservano sempre un posto eminente nel corpo mistico di Cristo” (Perfectae caritatis, 7). Non è un modo sano di sentire, non è conforme alla Parola di Dio e al costante insegnamento della Chiesa considerare la contemplazione 16ª Domenica del Tempo Ordinario “C” - Elledici, Leumann 2003 2 Omelie per un anno - vol. 2 una perdita di tempo, la vita contemplativa inutile nel mondo d’oggi che ha urgente bisogno di cristiani impegnati nell’azione. S. Ambrogio ricorda, proprio commentando questa pagina del Vangelo, che nell’unico corpo, la Chiesa, vi sono membra diverse, tutte nobili e necessarie. A parte le vocazioni particolari, Gesù ci ammonisce che anche chi è chiamato a spendersi nella Chiesa con l’azione deve trovare il tempo per ascoltare il Maestro che parla e parlare con lui nella preghiera. Del resto, i tre che ho nominato – e l’elenco potrebbe facilmente allungarsi – mostrano con il loro esempio come si possa e si debba essere uomini di contemplazione e di azione. Contemplare i patimenti di Cristo Paolo c’insegna che c’è qualche altra cosa da fare oltre la preghiera e l’azione: sopportare le sofferenze per i fratelli, completando nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa”. Parole difficili da comprendere, forse più della risposta data da Gesù a Marta. Eppure sono parole ispirate da Dio. Del resto, Paolo non fa che riecheggiare l’insegnamento del Maestro, che a tutti diceva: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23); “Voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Gv 16,20). Parole dure: ma come le capì Paolo, così le capirono e le capiscono molti, anche oggi. E Gesù ci ricorda che dobbiamo accettare di soffrire con lui, ci promette – l’abbiamo udito – che dopo il dolore verrà la gioia e ci esorta alla fiducia: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). 16ª Domenica del Tempo Ordinario “C” - Elledici, Leumann 2003 3