Guerre d`indipendenza italiane 1 INTRODUZIONE Guerre d

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Guerre d'indipendenza italiane
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INTRODUZIONE
Guerre d'indipendenza italiane Conflitti che opposero negli anni 1848-1849, 1859 e 1866 l'impero
asburgico al Regno di Sardegna (le prime due) e al Regno d'Italia (la terza). Le guerre ebbero
esiti diversi: la prima, che si svolse in due fasi, si concluse con la sconfitta dei piemontesi; la
seconda, combattuta da una forza militare franco-piemontese, fu decisiva per la formazione dello
stato unitario; la terza, nella quale l'Italia si unì alla Prussia in un'alleanza antiaustriaca, portò
all'acquisizione del Veneto, ottenuto in virtù delle vittorie prussiane.
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PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA (1848-1849)
La guerra contro l'Austria, intrapresa dal re sabaudo Carlo Alberto il 23 marzo 1848, fu il risultato
dell'ondata rivoluzionaria che travolse l'Europa nella primavera del 1848 (vedi Rivoluzioni del
1848) e fu sollecitata dall'esito vittorioso delle insurrezioni patriottiche di Milano (Cinque giornate,
18-22 marzo) e di Venezia.
2.1
Prima fase
2.1.1
Le vittorie piemontesi
Dopo molte esitazioni, Carlo Alberto si convinse a dichiarare guerra all'Austria sulla spinta degli
avvenimenti di Milano, sia per non rimanere estraneo al moto di indipendenza nazionale sia per
riprendere il tradizionale progetto espansionistico sabaudo, indirizzato alla conquista della
Lombardia. L'esercito piemontese oltrepassò il Ticino il 28 marzo 1848, mentre muovevano in suo
appoggio gruppi di volontari e corpi di spedizione inviati da quegli stati italiani (Stato della
Chiesa, Regno delle Due Sicilie e Granducato di Toscana), nei quali era entrata in vigore la
costituzione. Con le vittorie al ponte di Goito e a Pastrengo i piemontesi costrinsero l'esercito
austriaco, comandato dal maresciallo Radetzky, a ripiegare, abbandonando parte della
Lombardia, e a rifugiarsi nelle fortezze del Quadrilatero (Legnago, Mantova, Peschiera e Verona).
L'avanzata piemontese si arrestò nei pressi di Verona, a Santa Lucia. Intanto da Gorizia
sopraggiungevano i rinforzi austriaci, alla guida del generale Nugent, che sconfissero le truppe
pontificie a Cornuda sul Piave, per poi ricongiungersi agli uomini di Radetzky, così da determinare
una schiacciante superiorità numerica sull'esercito piemontese e sui contingenti italiani.
2.1.2
La controffensiva austriaca e l'armistizio Salasco
Il 29 maggio a Curtatone e Montanara truppe di volontari toscani e napoletani, in gran parte
studenti, si distinsero in una violenta battaglia con i soldati austriaci, ma furono sopraffatte.
Soltanto a Goito i piemontesi conseguirono un'importante vittoria (30 maggio), che tuttavia, per
una serie di errori strategici, non venne sfruttata. Ciò permise agli austriaci di riorganizzarsi
prima di lanciare una pesante controffensiva, conclusa a loro favore nella battaglia di Custoza (25
luglio). L'esercito piemontese in ritirata tentò un'ultima resistenza alle porte di Milano, prima che
Carlo Alberto offrisse a Radetzky la capitolazione. Il 9 agosto il generale Carlo Canera di Salasco
firmò un armistizio che consentiva alle truppe sarde di ritirarsi entro i confini, al di là del Ticino.
In questa prima fase della guerra si svolsero anche le operazioni militari condotte da Giuseppe
Garibaldi, alla testa di 1500 volontari, che portarono alla temporanea liberazione di Varese: fu un
atto estremo, cui seguì la fuga in Svizzera dei patrioti italiani.
2.2
Seconda fase
2.2.1
La sconfitta piemontese e l'armistizio di Vignale
Carlo Alberto, su pressione del parlamento subalpino e delle manifestazioni popolari, riprese
nuovamente il conflitto nel marzo del 1849, assegnando il comando delle truppe al generale
polacco Chrzanowski, le cui scarse doti di stratega militare avrebbero pesato sull'esito delle
operazioni. La nuova campagna di guerra si aprì il 20 marzo e si concluse in soli tre giorni.
Radetzky, che disponeva di una forza di artiglieria nettamente superiore, avanzò in Piemonte e,
dopo una serie di brevi scontri, affrontò vittoriosamente l'esercito piemontese a Novara (23
marzo). Travolto dalla sconfitta, Carlo Alberto abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II, che
a Vignale concordò l'armistizio firmato poi a Novara e seguito dalla pace di Milano (10 agosto). Le
clausole prevedevano che il Piemonte fosse soggetto a temporanea occupazione austriaca nelle
province orientali, che fossero sciolti i contingenti di volontari e che cessasse la mobilitazione
dell'esercito sabaudo.
3
SECONDA GUERRA D'INDIPENDENZA (1859)
Le premesse del secondo conflitto sono racchiuse nella politica che Cavour, primo ministro del
governo piemontese dal 1854, attuò per restituire allo stato sabaudo un ruolo di primo piano in
Italia, dopo che le sconfitte del 1848-1849 ne avevano minato la credibilità. Con la partecipazione
alla guerra di Crimea, il Regno di Sardegna poté tornare a inserirsi nelle relazioni internazionali,
condizione necessaria al rilancio del progetto di unificazione italiana.
3.1
Gli accordi di Plombières
Nella prospettiva di rafforzare il fronte antiaustriaco, Cavour con gli accordi di Plombières del
1858 strinse un'alleanza con l'imperatore francese Napoleone III, il quale si impegnò a
combattere a fianco dell'esercito piemontese, ma solo in caso di aggressione austriaca e in
cambio della cessione di Nizza e della Savoia. Il progetto prevedeva una sistemazione dell'Italia in
quattro stati (il Regno sardo, il Ducato di Parma con la Toscana, lo Stato Pontificio e il Regno delle
Due Sicilie), funzionale a impedire la nascita di una nuova grande potenza territoriale e a
garantire al papa e alla Francia il ruolo di garanti dei nuovi equilibri.
Portare la situazione al punto in cui potesse realizzarsi la premessa degli accordi francopiemontesi, ossia che fosse l'Austria a dichiarare guerra, fu operazione più complessa del
previsto. Infatti, un'intensa azione diplomatica svolta dalla Gran Bretagna tentò di scongiurare il
conflitto tra Austria e Francia, nel timore che questo innescasse una guerra di dimensioni ben più
ampie. All'opera di pacificazione svolta dagli inglesi si aggiunse l'iniziativa della Russia tendente a
risolvere la questione italiana in un congresso europeo, ma le difficoltà insorte principalmente per
l'opposizione di Cavour e del papa fecero tramontare la proposta.
3.2
L'ultimatum austriaco
Cavour infatti non accettò il veto posto dall'Austria alla presenza del Regno di Sardegna
all'ipotizzato congresso, mentre il papa Pio IX osteggiò un'interferenza da parte delle potenze
straniere negli affari interni del suo stato. Anche la proposta di un disarmo generale in Italia non
ebbe seguito, questa volta per l'opposizione dell'Austria, che il 23 aprile 1859 lanciò un ultimatum
al Piemonte, con il quale si intimava il disarmo immediato, pena la guerra. Cavour trasse pretesto
dall'ultimatum austriaco per intensificare i preparativi militari, ai quali erano partecipi anche
truppe di volontari agli ordini di Garibaldi, i Cacciatori delle Alpi.
3.3
Le operazioni di guerra
La risposta negativa data da Cavour all'ultimatum (26 aprile 1859) determinò lo scoppio della
guerra, dichiarata dall'imperatore Francesco Giuseppe il 28 aprile e iniziata con l'improvviso
ingresso in Piemonte delle truppe austriache al comando del generale Gyulai. L'esercito sardo
schierò 63.000 soldati, mentre i francesi inviarono un corpo di spedizione di 120.000 uomini, con
cannoni e sussistenza, che furono trasferiti rapidamente al fronte grazie alla rete ferroviaria e si
posizionarono nel Piemonte meridionale (30 aprile). Lo stesso Napoleone III assunse il comando
dei due eserciti.
3.3.1
Le vittorie franco-piemontesi
All'avanzata austriaca, che portò alla conquista di Biella e di Vercelli, rispose una manovra su tre
fronti, che aveva lo scopo di costringere le truppe di Gyulai a ripiegare a sud: Garibaldi con i
Cacciatori delle Alpi occupò Varese e Como; Napoleone III trasferì il grosso delle truppe a Novara,
mentre le forze piemontesi coprivano il centro dello scacchiere occupando Palestro, nei pressi di
Pavia (30-31 maggio). Il primo scontro a Montebello (20 maggio) vide respinta un'offensiva degli
austriaci, che vennero poco dopo attaccati a Palestro (30-31 maggio) in un'azione diversiva, atta
a favorire l'avanzata dell'esercito franco-piemontese verso Milano. La prima grande battaglia fu
combattuta il 4 giugno a Magenta: gli austriaci sconfitti ripiegarono verso le fortezze del
Quadrilatero, mentre Napoleone III e Vittorio Emanuele II facevano ingresso a Milano (8 giugno)
e Garibaldi con i suoi uomini liberava Como, Bergamo e Brescia.
Francesco Giuseppe, che aveva esonerato Gyulai e assunto il comando diretto dell'esercito
austriaco, coadiuvato dal generale Hess, si accinse a nuovi scontri sul campo. Le due ultime
sanguinose battaglie si combatterono il 24 giugno: a Solferino i piemontesi e a San Martino i
francesi ebbero la meglio sugli austriaci che ripiegarono al di là del Mincio, sulla linea di difesa
dell'Adige. Napoleone III giunse a cingere d'assedio Peschiera. Intanto nell'Adriatico una flotta
franco-piemontese si avvicinava a Venezia.
3.4
L'armistizio di Villafranca
La sera del 5 luglio, tuttavia, Napoleone III decise di ritirarsi dal conflitto, preoccupato sia per le
perdite subite, sia per le sollevazioni guidate da gruppi liberali e democratici in Toscana, nei
Ducati di Parma e Modena e nello Stato Pontificio (che facevano presagire un esito della guerra
ben diverso da quello previsto negli accordi di Plombières), sia infine per timore di una discesa in
guerra dell'esercito prussiano a fianco dell'Austria. Senza preavvertire Cavour, incaricò il suo
aiutante in campo, il generale Fleury, di aprire negoziati per un armistizio con Francesco
Giuseppe. I due imperatori si incontrarono a Villafranca, nel Veronese, tra l'8 e l'11 luglio,
accordandosi sui preliminari della pace, firmata a Zurigo il 10 novembre 1859. In base a questi
accordi la Lombardia veniva ceduta alla Francia, che successivamente l'avrebbe consegnata al
Piemonte; si prevedeva inoltre che si formasse una confederazione di stati italiani presieduta dal
papa e che a Parma e in Toscana tornassero i legittimi sovrani. Le ultime due clausole non ebbero
seguito, perché le popolazioni emiliane e toscane insorte chiesero l'annessione al Piemonte, che
Napoleone finì per accettare in cambio di Nizza e della Savoia.
Il progetto unitario venne poi rilanciato per iniziativa dei democratici e portato a compimento con
la spedizione dei Mille di Garibaldi, che nel 1860 avrebbe portato alla liberazione del Sud dalla
dominazione borbonica. I plebisciti per l'annessione al regno sabaudo e l'intervento di
quest'ultimo con l'occupazione di parte dello Stato Pontificio sfociarono nella costituzione del
Regno d'Italia, proclamato il 17 marzo 1861 dal parlamento unitario, eletto nel gennaio dello
stesso anno.
4
TERZA GUERRA D'INDIPENDENZA (1866)
4.1
L'alleanza con la Prussia
L'ultimo conflitto combattuto per l'unificazione italiana scaturì da una svolta nella politica
internazionale. Il Regno d'Italia, da poco formatosi, si alleò con la Prussia allo scopo di trarre
vantaggio dalla competizione austro-prussiana per la supremazia in Germania, dove parimenti
era in atto un processo di unificazione nazionale. Fu il cancelliere prussiano Bismarck a offrire al
governo italiano un'alleanza militare, tale che tenesse impegnata sul versante sud una parte
dell'esercito austriaco e lasciasse sguarnito il fronte tedesco. Prussia e Regno di Sardegna
sottoscrissero quindi un patto segreto (8 aprile 1866), con il quale l'Italia si impegnava a entrare
in guerra contro l'Austria non appena la Prussia avesse aperto le ostilità: il vantaggio sarebbe
consistito nell'acquisizione del Veneto e di altri territori di nazionalità italiana sotto dominio
austriaco.
4.2
Le sconfitte di Custoza e di Lissa
La guerra iniziò il 20 giugno. Il re Vittorio Emanuele II assunse il comando dell'esercito, mentre a
capo dello stato maggiore fu posto il generale La Marmora, appena dimessosi dalla carica di
presidente del Consiglio. Le operazioni militari furono condotte senza coordinamento tra i due
tronconi dell'esercito che operavano l'uno sul Mincio, al comando di La Marmora, l'altro sul basso
Po, agli ordini del generale Cialdini. Nonostante l'inferiorità numerica (70.000 uomini contro
200.000) l'esercito austriaco riuscì a sorprendere alcune divisioni italiane nei pressi di Custoza,
ingaggiando uno scontro imprevisto che, seppure di modeste proporzioni, allarmò a tal punto La
Marmora da convincerlo a ordinare una ritirata generale, oltre le linee del Mincio e dell'Oglio.
Discordanze di strategia tra i comandi e rivalità tra La Marmora e Cialdini sulla conduzione delle
operazioni impedirono di organizzare una controffensiva nel momento in cui gli austriaci
ritiravano numerose divisioni per spostarle sul fronte prussiano e una colonna guidata da
Garibaldi, dopo la vittoriosa battaglia di Bezzecca (21 giugno), marciava su Trento.
Il 20 luglio nei pressi dell'isola dalmata di Lissa la flotta italiana, al comando dell'ammiraglio
Persano, subì una clamorosa sconfitta da parte degli austriaci, comandati dall'ammiraglio Wilhelm
von Tegetthoff, che si concluse con l'affondamento della cannoniera Palestro (231 caduti) e della
nave ammiraglia Re d'Italia (318 morti).
4.3
Le paci di Praga e di Vienna
All'esito negativo della guerra fu posto rimedio grazie alla vittoria dei prussiani, che sbaragliarono
gli austriaci nella battaglia di Sadowa (vedi Guerra austro-prussiana), a cui seguì la pace di Praga
(23 agosto). L'armistizio tra Austria e Italia, sottoscritto a Cormons (12 agosto), fu seguito dalla
pace di Vienna (3 ottobre) che prevedeva la clausola, già sancita a Praga, della cessione all'Italia
del Veneto previa consegna a Napoleone III: l'imperatore francese in tal modo ripristinava il suo
ruolo di garante del regno italiano.
A guerra conclusa si accesero violente polemiche sulle responsabilità delle sconfitte di Custoza e
di Lissa. L'ammiraglio Persano fu portato davanti all'Alta corte di giustizia del Senato, che lo
ritenne colpevole di inettitudine, ma lo prosciolse dall'accusa di codardia. L'unificazione italiana
sarebbe giunta a compimento tra il 1870, con la presa di Roma (vedi Breccia di Porta Pia), e la
prima guerra mondiale, con l'acquisizione dei territori di Trento, Bolzano, Trieste e dell'Istria.
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