L' UNITA' D' ITALIA RIVOLTE E REPRESSIONI IN UN' ITALIA CON TANTI STATI Al congresso di Vienna si fissarono i confini tra gli stati italiani, tenendo conto esclusivamente degli interessi delle grandi potenze. L'Italia si trovò perciò ancora divisa in tanti stati tra i quali erano realmente indipendenti solo il Regno di Sardegna, il Regno delle Due Sicilie e lo Stato della Chiesa. Il Lombardo - Veneto era invece sotto il dominio austriaco ed anche i piccoli stati dell'Italia centro settentrionale (ducati di Parma, di Modena e Toscana) erano legati all'Austria. La divisione in tanti Stati, il dominio austriaco su alcune regioni più ricche e popolate, l'esclusione dal potere creavano molto malcontento tra le popolazioni ed in particolare tra la borghesia italiana. L'Italia conobbe quindi un processo di graduale riscoperta e sempre più netta rivendicazione della propria identità nazionale. Questo processo, noto come Risorgimento, portò alla formazione dello Stato unitario Italiano, ovvero fece della penisola un organismo politico e indipendente a base nazionale. L’Italia fu perciò uno dei paesi europei in cui le idee nazionalistiche e liberali si diffusero rapidamente. Nel 1820-21 nel Piemonte scoppiarono insurrezioni che fallirono per l'intervento degli eserciti delle potenze europee (repressione). Tra i patrioti si svilupparono idee diverse: i moderati (tra cui Vincenzo Gioberti) sosteneva che Re e principi d'Italia avrebbero dovuto riunirsi sotto una confederazione con a capo il Papa. Altri moderati ritenevano che l'Italia avrebbe dovuto formare uno stato unitario muovendo con l'esercito piemontese guerra contro l'Austria. I democratici pensavano che solo una rivoluzione popolare avrebbe portato all'unità ed alla formazione di uno stato democratico e repubblicano. Tra costoro vi fu Giuseppe Mazzini: egli fondò un'associazione, la Giovine Italia (1831), il cui programma era pubblico e non segreto; essa diffuse le idee democratiche e repubblicane e cerco di preparare insurrezioni, senza ottenere successi. LA PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA Alla notizia della dell'insurrezione di Vienna (poi placata dopo 3 giorni) il Lombardo Veneto si ribellò al dominio austriaco: a Venezia ( 17 marzo), dove si proclamò una repubblica provvisoria e a Milano ( 18-22 marzo, cinque giornate sanguinose con a capo Casati) la popolazione costrinse gli austriaci ad andarsene. Carlo Alberto, re di Sardegna, decise allora di entrare in guerra contro l'Austria per liberare L'Italia settentrionale dal dominio austriaco. L'esercito piemontese avanzò in Lombardia senza incontrare resistenza, in quanto le truppe austriache si erano ritirate verso il Quadrilatero, un'ampia zona fortificata tra Mantova, Verona, Legnano e Peschiera del Garda. Qui si ebbe la prima vittoria piemontese, a Pastrengo (30 aprile). In seguito gli austriaci cercarono di effettuare una manovra di aggiramento, per sorprendere i Piemontesi; la manovra però non riuscì per l'intervento dei volontari toscani che bloccarono l'esercito austriaco a Curtatone e Montanara: il loro sacrificio permise a Carlo Alberto di prepararsi ad affrontare l'esercito austriaco e di batterlo a Goito (30 maggio 1848) e a Peschiera. Nel luglio del 1848 però gli austriaci ripresero l'iniziativa e sconfissero i piemontesi a Custoza (2527 luglio), costringendo Carlo Alberto a ritirarsi alle porte di Milano e ad richiedere l'armistizio (Salasco, 9 agosto). Il fallimento dell'offensiva di Carlo Alberto non segnò la fine del movimento rivoluzionario italiano. Nel febbraio del 1849 scoppiarono insurrezioni in altre città: a Roma ed a Firenze i governi rivoluzionari proclamarono la repubblica, costringendo alla fuga i rispettivi sovrani, mentre Venezia continuava a resistere agli austriaci. In sostegno della Repubblica (capeggiata da Mazzini, Armellini e Saffi) giunsero molti volontari tra cui Giuseppe Garibaldi. La seconda fase della guerra si svolse in Piemonte, perchè quando Carlo Alberto dichiarò nullo l'armistizio (12 marzo 1849), gli austriaci attraversarono il Ticino e sconfissero in soli quattro giorni l'esercito piemontese a Novara (23 marzo) dove abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Gli austriaci rioccuparono le città lombarde insorte, tra cui Brescia, che resistette per dieci giorni e per questo gli fu dato il meritato titolo di "Leonessa d'Italia", scesero poi ad occupare la Toscana ,mentre la Sicilia fu riconquistata dai Borboni. Roma e Venezia furono le ultime due città italiane ad essere rioccupate. In tutta Italia fu attuata una feroce repressione contro coloro che avevano partecipato alle insurrezioni. DOPO LA SCONFITTA DEL 1848, L'ITALIA SUI TAVOLI DELLE POTENZE EUROPEE. Dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848 la situazione italiana tornò ad essere identica a quella del 1815. I sovrani ritirarono le Costituzioni liberali, a parte quello di Sardegna. La sconfitta del Regno di Sardegna nella guerra contro l'Austria aveva reso evidente quanto fosse debole il piccolo regno piemontese rispetto al grande impero austriaco. Per affrontare l'Austria senza essere sconfitto il Piemonte doveva trovare degli alleati a livello internazionali, e sviluppare l'economia del Regno; questi furono i due principali obbiettivi del Regno di Sardegna e in particolare del Conte Camillo Benso di Cavour che nel 1852 prese la guida del governo. Cavour favorì lo sviluppo economico creando condizioni favorevoli agli investimenti stranieri: in Piemonte infatti non esistevano capitali necessari per lo sviluppo. Grazie ai capitali stranieri furono costruite ferrovie, industrie e porti (importante quello di Genova). L'esercito fu riorganizzato e dotato di un'equipaggiamento più moderno, ma non sarebbe stato in grado di affrontare l'esercito austriaco, perciò Cavour cercò di assicurarsi l'appoggio delle potenze europee, tra cui Inghilterra e Francia; per fare questo mandò una spedizione in Crimea dove stava avvenendo la guerra tra le due potenze contro la Russia, così il Regno di Sardegna ebbe il diritto di partecipare alle trattative di pace a Parigi dove accuso l'Austria di provocare l'Italia con le sue repressioni. Così attirò la attenzione degli stati europei, e convinse Napoleone III ad appoggiarlo in eventuali azioni militari del Regno di Sardegna contro l'Austria, inviando 200.000 uomini (accordo di Plombières, dove il Regno di Sardegna promise di cedere alla Francia la Savoia e Nizza). Cavour intanto provocava l'Austria, costruendo fortificazioni e inviando l'esercito sui confini, che richiese un ultimatum con la minaccia di disarmare con la forza l'esercito piemontese: era l'occasione che Cavour stava aspettando. L'ultimatum fu respinto e l'Austria mosse guerra, allora la Francia scese in guerra a fianco del Regno di Sardegna: cominciò così la seconda guerra d'indipendenza. LA SECONDA GUERRA D'INDIPENDENZA L'esercito austriaco condotto dal fedelmaresciallo Giulay passò il Ticino con l'intento di sbaragliare i Piemontesi prima dell'arrivo dei francesi. Ma l'avanzata dei francesi fu resa difficile e lenta dall'allargamento delle risaie del Vercellese, predisposto dai Piemontesi. I Francesi, intanto, operavano indisturbati il congiungimento con le truppe ancora intatte di Vittorio Emanuele II. I primi scontri a Montebello (20 maggio 1859) e a Palestro (30-31 maggio), si conclusero con la sconfitta austriaca. Intanto Napoleone III aveva portato le truppe francesi a Novara e i Cacciatori delle Alpi (capitanati da Garibaldi, erano circa 3.000 uomini volontari) erano passati in Lombardia. Anche l'esercito franco - piemontese passò il Ticino, riuscendo a sconfiggere nuovamente le truppe austriache a Magenta (4 giugno), mentre i Cacciatori delle Alpi vincevano a Como contro gli austriaci. Allora gli austriaci si ritirarono nel quadrilatero così gli alleati raggiunsero Milano (8 giugno). Ma l'Austria preparò una formidabile riscossa. Lo stesso imperatore Francesco Giuseppe assunse personalmente il comando dell'esercito e passò il Mincio per battere i Franco - piemontesi e riconquistare Milano. Gli alleati gli contesero il passo sulle alture a sud del Garda, ingaggiando una delle più furiose battaglie della storia. Dopo una lotta prolungata e micidiale, i francesi occuparono Solferino e i Piemontesi conquistarono San Martino (24 giugno) , costringendo gli austriaci a rientrare nel quadrilatero. Ma l'esultanza degli italiani per le vittorie alleate e l'imminente liberazione del Veneto si convertì in dolore all'improvvisa e ferale notizia che Napoleone III, senza consultare il governo sardo, aveva stipulato con Francesco Giuseppe l'armistizio di Villafranca (11 luglio 1859). Mentre l'esercito franco - piemontese iniziava la II guerra d'indipendenza, scoppiavano nell'Italia centrale alcuni moti rivoluzionari. Le popolazioni di Toscana, dei Ducati di Parma e di Modena e delle Romagne insorgevano contro i rispettivi sovrani e si annettevano al Regno di Sardegna. LA SPEDIZIONE DEI MILLE Quando si diffuse in Italia la notizia delle prime vittorie franco - piemontesi, moriva a Napoli il re Ferdinando II. La corona del Regno delle Due Sicilie passò al ventitreenne figliolo Francesco II. Il debole e insignificante sovrano respinse le proposte di alleanza di Vittorio Emanuele II e rimase fedele alla monarchia borbonica. Ma i tempi stavano mutando e un vivo fermento agitava i sudditi di tutto il Regno, specialmente in Sicilia, convertita dalle aspirazioni separatistiche agli ideali dell'unità nazionale. Questi patrioti insorsero nell'isola senza però ottenere successi. La notizia dell'insurrezione siciliana raggiunse Garibaldi a Genova, dove l'eroe stava raccogliendo gli uomini e i mezzi necessari all'impresa.La spedizione formata da 1.000 uomini circa partì da Quarto, vicino a Genova il 5 maggio 1860, su due battelli a vapore e, dopo una tappa a Talamone per recuperare armi, viveri e carbone, si diresse verso al Sicilia. I Mille sbarcarono a Marsala l'11 maggio, sconfiggendo le truppe borboniche a Calatafimi (15 maggio) ed entrarono a Palermo il 27 maggio conquistando la città dopo tre lunghi giorni di accaniti combattimenti. Dopo la presa di Palermo, tutta la Sicilia insorse e nuove schiere di volontari si unirono alle camicie rosse. Poi l'avanzata delle camicie rosse riprese: dopo al vittoria di Milazzo (20 luglio), sbarcarono in Calabria (20 agosto)ed avanzarono, senza incontrare nessuna resistenza significativa, fino a raggiungere Napoli (7 settembre). L'ultima grande battaglia tra i Garibaldini e l'esercito borbonico avvenne sul Volturno (1 ottobre). Garibaldi avrebbe voluto proseguire su Roma, ma il governo piemontese, al fine di evitare un intervento francese a sostegno della Chiesa e forse la nascita di uno stato repubblicano nell'Italia meridionale. Inviò l'esercito, che conquistò le Marche e l'Umbria sconfiggendo le truppe pontificie a Castelfidardo (18 settembre). Nell'incontro a di Teano (26 ottobre) Garibaldi consegna a Vittorio Emanuele II tutta l'Italia meridionale e nel febbraio del 1861 fu proclamato il nuovo Regno d'Italia (formato dal Regno di Sardegna, la Lombardia, la Toscana, l'Emilia, le Marche, l'Umbria e tutta l'Italia meridionale) con capitale Torino (1861-1865) e dopo Firenze (1865-1871). Lo Statuto Albertino divenne la legge di tutti gli italiani. LA TERZA GUERRA D'INDIPENDENZA Il re di Prussia Guglielmo ambiva da tempo stringere in salda unità nazionale tutti i popoli tedeschi sotto l'egemonia prussiana. Ma l'ambizioso disegno era ostacolato dall'Austria che conservava la presidenza della Confederazione Germanica. Principale artefice della rinascita prussiana era stato il cancelliere Ottone di Bismarck , geniale ed energico primo ministro di Guglielmo I, il quale propose al La Marmora un'alleanza offensiva contro l'Austria, promettendogli il Veneto. L'Italia accettò ed ebbe così inizio la terza guerra d'Indipendenza, che impegnò l'Austria su un duplice fronte e fruttò all'Italia la liberazione del Veneto. Ma sul fronte italiano si ebbe una serie penosa di umilianti rovesci militari. Il nostro esercito, sotto l'alto comando di Vittorio Emanuele II, comprendeva tre corpi: il primo doveva operare sul Mincio, agli ordini del generale La Marmora, il secondo sul Po, agli ordini del generale Cialdini e il terzo nel Trentino sotto la guida di Garibaldi. Mancanza di coordinamento e rivalità tra Cialdini e La Marmora consentirono all'Austria d'infliggere agli italiani la rovinosa disfatta di Custoza (24 giugno 1866). Alla sconfitta terrestre seguì un grave disastro navale. L'ammiraglio Persano, comandante della flotta italiana, venuto a battaglia con la flotta austriaca restò sopraffatto nelle acque di Lissa (20 luglio1866). Solo Garibaldi tenne alto l'onore delle armi italiani sconfiggendo gli austriaci a Bezzecca (21 luglio 1866). I nostri alleati sbaragliarono gli austriaci nella decisiva battaglia di Sadowa. Indi la Prussia senza consultare il governo italiano stipulò con l'Austria un armistizio costringendo l'Italia a fare lo stesso e la sospensione delle ostilità fermo l'avanzata verso Trento di Garibaldi che rispose a Vittorio Emanuele II il famoso "obbedisco". Con la pace di Vienna (3 ottobre 1866) l'Italia ottenne dall'Austria la Venezia Euganea. La questione veneta era perciò solo parzialmente risolta, poiché il Trentino e la Venezia Giulia restavano in potere dell'Austria, alimentando nel cuore di molti patrioti scontenti il desiderio di rivendicare presto all'Italia quelle terre ancora irredente. LA PRESA DI ROMA La questione romana, rimasta assopita durante lo svolgimento della terza guerra d'indipendenza, riprese a dominare la vita politica italiana. Specialmente interessò Garibaldi, che senza tenere conto delle truppe francesi penetrava nello Stato Pontificio, a Roma intanto si stava preparando una sommossa e Garibaldi incaricò Enrico e Giovanni Cairoli di accorrere in aiuto degli insorti introducendo armi e munizioni nella città, ma l'insurrezione fallì. Garibaldi però non si fermò e sbaragliò le truppe francesi e pontificie a Monterotondo (26 ottobre 1867), ma i Garibaldini furono battuti una settimana dopo a Mentone dai francesi e costretti a ritirarsi. L'occasione di occupare Roma fu offerta dal crollo improvviso dell'impero francese che venne battuto in guerra dalla Prussia (19 luglio 1870), abilmente provocata da Bismarck mediante un incidente diplomatico. Il governo Italiano, approfittando della caduta di Napoleone decise di occupare Roma, abbandonata dalle truppe francesi. Vittorio Emanuele II fallito ogni tentativo di pacifico accordo con Pio IX, inviò alla conquista di Roma il generale Cadorna con un esercito di 50mila uomini. Le truppe italiane assediarono Roma dove dopo un breve cannoneggiamento entrarono con la Breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), tra l'esultanza di tutta la popolazione. Ma il papa non riconobbe il fatto e si chiuse in Vaticano. Poco dopo il Lazio dichiarò la propria annessione al Regno d'Italia con un grandioso plebiscito e il Parlamento approvò il trasferimento della capitale a Roma (21 gennaio 1871). CONCLUSIONI FINALI L'unificazione d'Italia era avvenuta ma essa non aveva certamente risolto i numerosi problemi esistenti: le differenze politiche, economiche sociali, culturali tra le diverse regioni avrebbero creato nuove tensioni e solo molto lentamente l'Italia sarebbe diventata uno stato realmente unitario, infatti al momento dell'unità, l'Italia era uno stato povero, come tutti gli stati dell'Europa meridionale e orientale. L'industrializzazione era agli inizi. La rete ferroviaria era poco sviluppata. L'agricoltura rendeva poco perché era per lo più praticata in modo estensivo, con scarso investimento di capitali e strumenti e tecniche poco efficaci. Vaste distese di terra erano lasciate incolte e destinate esclusivamente al pascolo. Inoltre l'Italia era povera di materie prime, come il carbone e il ferro, che erano indispensabili per lo sviluppo industriale, e anche i capitali erano insufficienti a contribuire allo sviluppo economico. L'Italia era tuttavia contraddistinta al suo interno, da differenze molto profonde, che dipendevano dalla storia dei diversi stati italiani nei secoli precedenti: il Nord era in via di sviluppo, aveva alcune industrie, e aveva migliori condizioni di vita, mentre il Sud non aveva industrie, l'agricoltura era molto arretrata e aveva condizioni di vita pietose. Queste condizioni di vita spinsero molti italiani ad emigrare verso soprattutto gli Stati Uniti, paese che offriva lavoro e migliori condizioni di vita di un'Italia ancora in via di sviluppo.