Messacrismale

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IL PRETE, LA LITURGIA, LA VITA
Omilia nella Messa crismale
Novara, Cattedrale, 8 aprile 2004
Dico subito che in questo momento di silenzio e di meditazione vorrei
soffermarmi su ciò che anche adesso stiamo vivendo: la celebrazione liturgica.
Ma prima voglio salutare tutti cordialmente. Saluto voi Sacerdoti, ricordando
anche i Sacerdoti anziani o malati e, insieme con loro, tutti i nostri missionari.
Saluto i diaconi, che partecipano strettamente al ministero del Vescovo e dei
presbiteri. Un saluto speciale lo rivolgo ai ragazzi che sono stati invitati a venire
oggi in Cattedrale e per i quali chiedo al Signore che questo sia un grande
momento di grazia per la scoperta e l’accoglienza della vocazione che il
Signore intende far loro sentire.
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Voglio con voi meditare sul mistero liturgico, stimolato da quanto, mesi fa, e
anche oggi, ci viene esplicitamente suggerito da Giovanni Paolo II. Nella lettera
inviata a noi per questo Giovedì Santo, scrive: “Siamo nati dall’Eucaristia.
Quanto afferma della Chiesa, che cioè ‘de Eucharistia vivit’, possiamo ben dirlo
del sacerdozio ministeriale: esso trae origine, vive, opera e porta frutto ‘de
Eucharistia’. Non esiste Eucaristia senza Sacerdozio, come non esiste
Sacerdozio senza Eucaristia”. Nel Giovedì Santo 2003 ci aveva offerto
l’Enciclica “Ecclesia de Eucharistia”; questo anno torna di nuovo sull’Eucaristia
e ha chiesto che il prossimo Sinodo dei Vescovi abbia come tema
precisamente l’Eucaristia. Segno evidente della centralità che egli attribuisce,
con tutta la tradizione cattolica, all’Eucaristia.
Peraltro, pochi mesi fa Giovanni Paolo II ha scritto una Lettera Apostolica
dal titolo “Spiritus et sponsa”, in occasione del 40° della Costituzione conciliare
sulla liturgia. L’invito che ci viene rivolto è quello di rileggere il testo conciliare,
di vedere se e quanto sia stato recepito e quali attenzioni dovremo avere per il
futuro. Mentre siamo a poche ore dall’inizio del Triduo pasquale, e cioè dei
giorni centrali dell’anno liturgico, mi sembra giusto che, come preti, ci
chiediamo in quale modo portare oggi la nostra responsabilità di presiedere la
liturgia, e in particolare l’Eucaristia.
Per ben interpretare e assolvere alla nostra responsabilità dobbiamo
comprendere sempre meglio in quale contesto leggere la celebrazione liturgica,
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così che venga vissuta con verità e frutto. Due sono le indicazioni che vorrei
raccogliere dalle parole del Papa.
1. IL COMPITO MISTAGOGICO DEI SACERDOTI
La prima indicazione viene espressa, nella Lett. Ap. “Spiritus et sponsa”,
ricordando che “la liturgia viene collocata dai padri conciliari nell’orizzonte della
storia della salvezza, il cui fine è la redenzione umana e la perfetta
glorificazione di Dio” (n. 2). La storia della salvezza ha avuto un suo preludio
nell’A.T.; è stata portata a compimento dal Signore Gesù Cristo, specialmente
nei misteri della sua passione, morte e risurrezione; viene attualizzata dallo
Spirito Santo nella celebrazione liturgica, che Cristo presiede oggi come capo
del suo corpo mistico, che è la Chiesa.
Siamo dunque invitati a guardare in alto, verso Cristo. Di lui ci parla la
pagina dell’Apocalisse letta poco fa: egli è “il testimone fedele”, “colui che ci ha
liberati dai peccati con il suo sangue”. In lui siamo diventati “un regno di
sacerdoti per il suo Dio e Padre”. Egli è “l’alfa e l’omega”, “Colui che è, che era
e che viene” (Ap 2, 5-8). Siamo invitati a riscoprire il senso più profondo e alto
della liturgia: è veramente “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e,
insieme, la fonte da cui promana tutta la sua vita” (SC, 10).
La nostra responsabilità di pastori è quella dei “mistagoghi”: a noi tocca fare
in modo che “il senso del mistero penetri nelle coscienze” (“Spiritus et Sponsa”,
12). Ciò comporta “promuovere celebrazioni degne, prestando la dovuta
attenzione alle diverse categorie delle persone: bambini, giovani, adulti,
anziani, disabili. Tutti devono sentirsi accolti all’interno delle nostre assemblee,
così da poter respirare l’atmosfera della prima comunità cristiana” (id).
La “mistagogia” è il contrario della superficialità; non la si mette in atto là
dove non vi è costante riferimento, anche nelle celebrazioni preparate
soprattutto per i ragazzi e i giovani, al senso profondo e alla bellezza grande di
ciò che avviene, per grazia di Dio, nei nostri cuori. La “mistagogia” è possibile là
dove il Sacerdote, per primo e in modo esemplare, è immerso in ciò che fa e, in
qualche misura, lo comprende. Non casualmente durante l’ordinazione
presbiterale il Vescovo consegna il pane e il vino dicendo: “Renditi conto di ciò
che farai, vivi il mistero che è posto nelle tue mani”. A questo compito
mistagogico il Sacerdote è chiamato nella celebrazione di tutti i Sacramenti,
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senza trascurarne nessuno. In particolare lo deve vivere celebrando
l’Eucaristia.
2. LITURGIA E SPERANZA PER L’UOMO
Vi è una seconda indicazione di contesto da tenere presente. La Lett. Ap.
“Spiritus et sponsa” ricorda l’affermazione del Concilio secondo la quale la
celebrazione liturgica “si apre sull’orizzonte dell’intera umanità (n. 3) e “non si
limita quindi all’ambito intraecclesiale”. Si aggiunge che la liturgia riconosce in
Cristo come “la pienezza del tempo”, colui nel quale tutte le promesse di Dio
vengono mantenute, così che nulla, della vita dell’umanità, va dimenticato o
perduto: Cristo ne è la perenne memoria dinanzi al Padre in nome dell’uomo.
Siamo dunque chiamati anche a guardarci attorno e in basso, all’intera
umanità. La liturgia della Messa crismale dà moltissimo spazio a questa
urgenza. Lo fa proponendoci il capitolo 61° del profeta Isaia e poi il capitolo 4°
del Vangelo secondo Luca. Il testo evangelico ci conduce nella sinagoga di
Nazaret, dove Gesù ha iniziato la sua vita pubblica. E l’ha fatto precisamente
leggendo il rotolo del profeta Isaia. E così il “preludio” dell’A.T. diventa
“compimento” in Gesù.
La verità della celebrazione liturgica ci chiede uno sguardo alla storia (e
anche alla cronaca presente). Le circostanze nelle quali viviamo rendono tutto
questo estremamente urgente. La liturgia ci chiede che lo sguardo, il cuore, le
parole, le scelte di Gesù divengano le nostre. E certo, esse non sono conformi
alla logica mondana. Sono invece “segno di contraddizione”, tanto è vero che
già in quel primo giorno della sua vita pubblica si cerca di uccidere Gesù
gettandolo dalla rupe del monte vicino a Nazaret.
L’Es. Ap. “Ecclesia in Europa” parla a lungo di questo sguardo sull’umanità.
Vi dedica un capitolo intero, chiedendo a tutte le nostre Chiese di “servire il
Vangelo della speranza”. Ne indica anche alcuni capitoli concreti: il servizio
della carità nella comunione e la solidarietà, nel prestare attenzione ai poveri
perché per loro vi sia speranza, nel costruire una città degna dell’uomo, nel
testimoniare e proporre una cultura di accoglienza (cfr nn. 83-105).
A questo proposito sono molte le urgenze e non sono rare le sordità. Sono
tante le testimonianze, talvolta meravigliose, e non mancano però le
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controtestimonianze. Nella Es. Ap. “Pastores gregis” viene detto al Vescovo
che “forte del radicalismo evangelico, ha il dovere di smascherare le false
antropologie, di riscattare i valori schiacciati dai processi ideologici e di
discernere la verità (n. 66): parole impegnative anche per me e che porto nella
preghiera di oggi chiedendo grazia, per me e per voi, di trovare nella
celebrazione liturgica, e anzitutto in quella del “corpo dato per voi” e del
“sangue versato per voi”, l’ispirazione e la determinazione ad amare con il
cuore di Cristo l’intera umanità.
Come segno di gratitudine per tutti coloro che danno la vita per l’uomo di
ogni colore, razza, cultura e religione, mi sembra bello ricordare, in questo
momento che vede raccolti molti Sacerdoti, un missionario ucciso a fine marzo
in Uganda: p. Luciano Fulvi, 75 anni, con oltre 20 anni d’Africa alle spalle. “Ha
vissuto come educatore dei giovani ugandesi, vittime di indicibili vessazioni” (G.
Albanesi). Questo missionario - di ritorno da una visita a un campo di
riabilitazione destinato a far tornare alla vita ragazzi e ragazze del popolo
Acholi, sopravvissuti al rapimento da parte dei ribelli del Nord Uganda - pur
profondamente colpito, non cede al disfattismo. Ha scritto infatti, nel luglio
scorso, sul settimanale della sua Diocesi (Pescia, provincia di Pistoia): “Il
programma di riabilitazione comincia a portare i suoi frutti. Guardiamo al futuro
con occhi pieni di gioia. La pace verrà”.
CONCLUSIONE
E’ a questo duplice orizzonte che siamo chiamati a educare le nostre
comunità: al contatto profondo con Cristo e alla testimonianza cristiana nella
storia. Vi siamo chiamati anzitutto dalla liturgia per quello che essa significa a
livello profondo. Essa è dunque veramente la grande scuola della vita cristiana.
E lo è anche oggi perché è esperienza dell’attenzione a Dio e, nel medesimo
tempo, dell’attenzione all’uomo.
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Tra pochi istanti rivolgerò, su invito della liturgia, alcune domande. L’ultima
dice: “Volete essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio per mezzo della Santa
Eucaristia e delle altre azioni liturgiche, e adempiere il ministero della parola
della salvezza sull’esempio di Cristo, capo e pastore, lasciandovi guidare non
da interessi umani, ma dall’amore per i vostri fratelli?”. La risposta, detta a viva
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voce, sarà: “Lo voglio”. Sia per tutti così; per me e per voi. Nulla potrà tanto
giovare alle nostre comunità.
Questo stesso amore per le nostre comunità e per tutti quanti vivono sul
nostro territorio diventi preghiera perché sorgano, nella nostra Diocesi,
numerose e valide vocazioni sacerdotali. “Dal Cenacolo – scrive il Papa per
questo Giovedì Santo – Cristo non si stanca di cercare e di chiamare”. Non
stanchiamoci nemmeno noi. Lo possano ben avvertire gli adolescenti e i
giovani, ai quali abbiamo dedicato questo biennio, e i ragazzi, cui presteremo
particolare attenzione nel prossimo anno e ai quali il Papa fa un riferimento
ampio, raccomandando anche la cura dei ‘ministranti’, vista come un ‘vivaio’ di
futuri preti.
Una cosa è certa: il manifestarsi di nuove vocazioni sarà uno dei segni certi
che, nelle nostre famiglie e comunità, la fede è ancora viva. Dio ce la conservi
e la accresca. Ce la ottenga anche l’intercessione di don Silvio Gallotti,
consacrato prete esattamente cento anni fa, il 29 giugno 1904.
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