Architettura e liturgia Nel 1994, in occasione del trentesimo anniversario della Sacrosanctum Concilium, le edizioni Qiqajon della Comunità di Bose ripubblicarono un piccolo, ma interessantissimo saggio di Louis Bouyer uscito per la prima volta negli Stati Uniti nel 1965, il cui titolo è Architettura e Liturgia. Il priore Enzo Bianchi motiva questa decisione con un riferimento ai risultati non entusiasmanti della architettura di chiese in Italia nel postconcilio e alla necessità di discutere su un tema apparentemente inattuale dal punto di vista pastorale: «Adesso infatti è venuta l’ora di parlare di molte cose riguardanti lo spazio della liturgia senza temere di rivedere decisioni che oggi possono risultare avventate o correggibili. Questo libro indica la necessità di un “oriente” […]; indica la necessità di uno spazio definito da un asse […]. La chiesa deve essere memoria dell’alterità, di ciò che è altrimenti, dunque profezia della trasfigurazione di questo mondo e manifestazione di ciò che appartiene agli eschata». Utilissima perciò a questo scopo è l’operazione di recupero di questo testo, pubblicato per la prima volta in lingua italiana, che ripercorre lo sviluppo dello spazio liturgico cristiano a partire dalla liturgia della sinagoga al fine di riflettere sui fondamenti teologici della celebrazione eucaristica e sulle possibili nuove soluzioni architettoniche che nel dibattito postconciliare possono favorire la realizzazione più vera della riforma liturgica. Louis Bouyer compie perciò una rapida, ma precisa descrizione dell’evoluzione dell’architettura sacra sia della chiesa occidentale che di quella orientale, illustrando la complessità e la vastità delle soluzioni adottate nel tempo per esplicitare il significato dei vari atti di culto. Il suo scopo è manifestato nell’introduzione e negli ultimi capitoli: non intende proporre un determinato modello come archetipo dello spazio sacro, ma studiare la tradizione per uno sviluppo ragionevole e armonioso nell’ambito delle riforme volute dal Concilio. Ovvero partire dai fondamenti teologici della liturgia e dall’esigenza di recuperare elementi perduti nel tempo, per giungere alla realizzazione di nuove chiese che riflettano in maniera sempre più efficace la lex orandi di tutto il Popolo di Dio. Come sottolineano le parole citate di Enzo Bianchi, la necessità di una direzione, di un punto su cui focalizzare la ritualità per esprimere la vigilante attesa del Popolo di Dio del suo Signore, è fortemente avvertita dall’Autore. La sua preoccupazione principale è evitare che la celebrazione dell’Eucaristia sia visibilmente percepita come un atto chiuso di una comunità che trova in se stessa la sua ragione di esistere. Ma è anche particolarmente attento al rischio di una ulteriore clericalizzazione del rito, proprio quello che le costituzioni Sacrosanctum Concilium e Lumen Gentium vorrebbero evitare. La riflessione di Bouyer giunge alla conclusione che l’orientamento liturgico, cioè il volgersi di tutta l’assemblea verso l’altare nell’atto di celebrare la liturgia eucaristica, oltre ad essere elemento proprio dei riti delle prime comunità dell’epoca apostolica è anche fondamentale oggi per sottolineare non solo il significato sacrificale dell’Eucaristia, ma anche quello conviviale. Certamente contro la celebrazione verso il popolo non si possono muovere critiche ideologiche o passatiste, né tantomeno svilirne l’importante ruolo pedagogico. Rappresentativo di tutta l’opera, perciò, è l’ultimo capitolo titolato Tradizione e Rinnovamento: «È chiaro, dunque, che il problema se celebrare davanti o dietro l’altare non deve essere considerato una questione di principio, ma solamente di convenienza. […] Ogniqualvolta l’altare rivolto al popolo significa semplicemente un altare con il prete da solo (o eventualmente con i suoi ministri) da un lato e il popolo dall’altro, il risultato sarà diametralmente opposto, e i fedeli lo avvertono sempre più. Anziché unire la comunità incentrata sull’altare, si aumenta, in questo caso, la separazione e la contrapposizione tra clero e laici: l’altare diventa una barriera tra due caste cristiane. […] È semplicemente necessario allora che ci sia meno separazione possibile tra il presbitero, i ministri e l’insieme dei presenti, ma essere sempre a poca distanza dalle prime file di fedeli. Ciò significa che l’altare non deve mai essere sperduto in un presbiterio inaccessibile, ma essere sempre a poca distanza dalle prime file dei fedeli. È bene anzi che per l’offerta e la comunione costoro possano raccogliersi a semicerchio dietro il celebrante». Concludendo emerge in tutto il libro il grande desiderio dell’Autore di rendere alcuni momenti realmente e fisicamente dinamici, addirittura si scaglia contro l’introduzione di sedie o panche nella navata: profondamente affascinato dalla liturgia orientale, Bouyer immaginava una Celebrazione in cui tutta l’assemblea, laici e clero, dovevano realizzare anche col corpo il cammino spirituale della Chiesa verso il Suo Signore per la vita eterna. E questo per rappresentare il doppio dinamismo della liturgia: la discesa di Dio tra il Suo Popolo nella Parola e nell’Eucaristia e la tensione del Popolo verso la Vita Eterna. Tuttavia le diverse soluzioni proposte e i consigli pratici, pur essendo ragionevoli e motivati, non costituiscono il cuore autentico del libro. Lo sottolinea l’autore della prefazione, l’autorevole liturgista Crispino Valenziano, in conclusione: «Quanto L’Autore ipotizzava operativamente circa cotesti punti fermi, per noi in parte è già sedimentato e in parte è già superato, in parte non è più ammissibile e in parte non è più discutibile. Ma l’interesse del volume, lo ripetiamo, non è suscitato dalle soluzioni proposte, esso tocca, invece, le motivazioni costruttive della ricerca-soglia a mille anni di tradizione occidentale». Marco Zane