Intervento

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DOMENICO BERARDI
PROFESSORE ASSOCIATO DI PSICHIATRIA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
ISTITUTO DI PSICHIATRIA “P. OTTONELLO”
VIALE CARLO PEPOLI , 5 40123 BOLOGNA
TEL. 051 524100 FAX 051 521030 E-MAIL DBERARDI @ALMA.UNIBO.IT
La depressione per il Medico Generale del terzo millennio. Strumenti psicofarmacologici.
Gli strumenti psicofarmacologici attualmente disponibili rendono il trattamento della depressione più
efficace e sicuro rispetto a solo qualche anno fa. Gli SSRI sono attivi tanto quanto i tradizionali
antidepressivi triciclici, ma con un profilo di effetti collaterali più favorevole, che consente il loro impiego
anche in presenza delle condizioni internistiche che controindicavano il trattamento con triciclici. Gli SSRI,
inoltre, causano minore disagio soggettivo e sono meglio accettati dai pazienti, con conseguente
miglioramento della compliance. Gli SSRI, infine, sono pressoché privi di tossicità in sovradosaggio,
laddove gli antidepressivi triciclici potevano risultare letali con 10 o 15 dosi giornaliere. Numerosi altri
nuovi antidepressivi sono stati prodotti negli ultimi anni, dotati di meccanismi di azione diversi, e nel
complesso, ampliano le opzioni terapeutiche e facilitano il trattamento di pazienti non rispondenti o
intolleranti. Gli strumenti psicofarmacologici per il trattamento delle depressioni bipolari si sono egualmente
evoluti, come pure per le depressioni psicotiche ed altre forme particolari di depressione. Oltre al trattamento
farmacologico, anche il trattamento psicoterapico è andato incontro ad una significativa evoluzione.
Psicoterapie specifiche per la depressione sono state messe a punto, la cui efficacia è stata valutata attraverso
protocolli di ricerca (Hollon et al, 1992). Queste psicoterapie hanno come obiettivo la modificazione di
sintomi e comportamenti definiti, ed hanno una durata limitata, laddove in passato le psicoterapie potevano
protrarsi per tempi indefiniti. Le più recenti psicoterapie facilitano quindi il trattamento integrato della
depressione, consentendo al Medico Generale maggiori possibilità di intervento. Le considerazioni sulla
migliorata gestione delle patologie depressive non possono prescindere dagli aspetti sociali e culturali del
problema. Lo sviluppo della neurobiologia ha consentito infatti di indagare i correlati neuroanatomici e
neurochimici della depressione, e di qualificare questa condizione come una patologia che richiede specifici
trattamenti medici. L’impatto di queste nozioni sulla opinione pubblica è stato grande, comportando
maggiore consapevolezza e maggiore disponibilità al trattamento.
Tali modificazioni dello scenario coinvolgono la psichiatria e, in misura forse ancora maggiore, il Medico
Generale (Berardi et al, 1998). Vi sono indicazioni di una aumentata prevalenza dei disturbi depressivi nei
paesi occidentali e si stima che il 5%-10% circa della popolazione generale presenti un disturbo depressivo
acuto o cronico (Berardi et al, 1999). Le patologie depressive comportano limitazioni funzionali importanti
(Wells et , 1989; Ormel et al, 1994; Spitzer et al, 1995) e costi sociali significativi (Greenberg et al, 1993).
La maggior parte delle persone che ne soffrono si rivolge al proprio Medico Generale e solo una proporzione
di essi giunge alla psichiatria specialistica. La Medicina Generale acquista quindi un ruolo centrale nella
gestione di questo importante problema di salute pubblica, oggi riconosciuto dai governi e dalle
amministrazioni, che sempre più puntano a qualificare e sostenere la attività dei Medici Generali in questo
settore. La esperienza nella gestione dei disturbi depressivi in Medina Generale ha messo in evidenza alcune
problematiche sia nella diagnosi (Pini et a, 1997) che nella gestione, la cui analisi apre significative
opportunità di sviluppo clinico e scientifico.
Una delle problematiche più urgenti è quella concernente la separazione tra i casi che richiedono un
trattamento farmacologico specifico e quelli in cui sono invece sufficienti interventi più blandi. La ricerca ha
dimostrato che in Medicina Generale vi sono numerosi pazienti che presentano un certo numero di sintomi
depressivi, senza però raggiungere i requisiti per una diagnosi di episodio depressivo maggiore secondo i
criteri del DSM o del ICD (Ustun e Sartorius, 1995). Queste sindromi depressive minori, o sottosoglia,
presentano sì meno sintomi rispetto alla depressione maggiore, ma ne condividono molti aspetti, primo tra
tutti un elevato livello di disabilità, suggerendo quindi che, almeno in alcuni casi, un trattamento specifico
può essere indicato (Berardi et al, 1999). Il fenomeno delle depressioni sottosoglia ha messo in evidenza, tra
l’altro, un limite della nosografia psichiatrica che, organizzata per categorie e formulata sulla base delle
esperienze con pazienti specialistici, non coglie i quadri di passaggio, così comuni nella Medicina Generale.
Sistemi nosografici pensati specificamente per il setting specifico della Medicina Generale sono stati
recentemente approntati, ed il loro uso può avere risultati positivi (WHO, 1996; WHO, 1998). Tuttavia, la
individuazione di soglie per la prescrizione di trattamenti antidepressivi specifici rimane un problema
aperto, che richiede indagini appropriate.
Un'altra problematica di grande interesse, nel settore della Medicina Generale, è quella della integrazione di
trattamenti biomedici e psicosociali. Anche nei casi in cui il trattamento farmacologico non è in discussione,
una ‘gestione psicoterapica’ (APA, 1993) comporta sempre un andamento più soddisfacente del caso. Non
tutti i pazienti con depressione richiedono necessariamente una psicoterapia strutturata, di eventuale
competenza specialistica. E’ sempre però opportuno stabilire una relazione supportiva, che aiuta il paziente
ad accettare il ruolo di malato, ad analizzare gli eventuali fattori precipitanti, ad affrontare le cure ed a gestire
le difficoltà relazionali e di altro genere che inevitabilmente la depressione comporta. Queste considerazioni,
forse ovvie, rimandano al problema della eziologia e della natura della depressione. Certamente la
depressione è una malattia biologica, ma è una malattia che può essere influenzata dagli eventi di vita e dal
modo di essere del paziente. Molto spesso infatti sono proprio esperienze di perdita significativa o di
variazioni traumatiche di ruolo che scatenano la comparsa della depressione, sulla base di una
predisposizione che ha notevoli componenti genetiche. Le competenze psicoterapiche e relazionali del
Medico Generale possono essere migliorate utilizzando programmi di formazione ad hoc. Il training in
tecniche di comunicazione medica e del colloquio psichiatrico, messo a punto in Gran Bretagna, richiede un
apprendimento breve ed è efficace nel migliorare sia le abilità di colloquio che le performance diagnostiche.
Tale training è stato adattato alla nostra lingua ed alla nostra cultura e viene praticato da alcuni anni in Italia
con risultati positivi (Scardovi et al, 1995; 1996).
Il rapporto tra ansia e depressione è stato profondamente rivisto, sia sul piano psicopatologico che del
trattamento (Stahl, 1999). Negli anni ’60 e ’70 le depressioni maggiori erano nettamente separate dalle
sindromi ansiose; le prime venivano affrontate con gli antidepressivi allora disponibili, i triciclici e gli
IMAO, mentre le seconde venivano gestite con le benzodiazepine, i cui effetti negativi erano a quei tempi in
buona parte sconosciuti. Successivamente, i disturbi ansiosi sono stati scomposti in: ansia generalizzata,
ansia panica e disturbo ossessivo compulsivo, gli ultimi due affini sotto diversi aspetti alle sindromi
depressive e trattati con SSRI. Alcuni studi hanno poi dimostrato che anche nel trattamento dei disturbi di
ansia generalizzata gli SSRI sono preferibili alle benzodiazepine (Kahn et al, 1986; Kent et al, 1998), per le
quali rimangono indicazioni sempre più ristrette, e orientate ad evitare l’instaurarsi della dipendenza fisica e
delle sue conseguenze. Il Medico Generale si trova quindi a modificare abitudini terapeutiche acquisite in un
passato non lontano ed a prendere parte ad uno sforzo di ridefinizione nosografica delle sindromi ansiose e
depressive.
L’ultimo tema richiamato in questo scritto è quello della scelta dell’antidepressivo. Argomento non facile,
vista la fioritura di nuove molecole, la pressione del mercato, la carenza di sperimentazione nel setting della
Medicina Generale e la esigenza di integrare valutazioni cliniche e considerazioni economiche. I criteri che
orientano nella scelta del farmaco di primo impiego sono numerosi: efficacia clinica, spettro di azione,
profilo di tossicità, effetti sulle performance, tossicità in sovradosaggio, esperienza, costo. La CUF indica
come antidepressivi di prima scelta i triciclici, laddove molti clinici preferiscono gli SSRI. Il controllo e la
razionalizzazione della spesa richiedono ai clinici, alle società scientifiche ed alle istituzioni di definire
criteri per la valutazione del rapporto qualità-prezzo e di istituire linee guida o quanto meno prassi per un uso
efficace e costo/efficace dei farmaci prescritti. A questo proposito un’area di ricerca importante nella
Medicina Generale potrebbe essere quella della distinzione tra interventi sintomatici e trattamenti a mediolungo termine, con la istituzione di protocolli per la gestione di questi ultimi.
In conclusione, la Medicina Generale in questa fase affronta quesiti clinici e scientifici originali, originati da
complesse e rapide modificazioni della clinica, della organizzazione dei servizi, della società e dei suoi
bisogni sanitari. Tali quesiti inducono ad espandere l’attività clinica integrandola con procedure di ricerca
flessibili e compatibili con il setting della Medicina Generale.
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