15. FAQ n. 15 Cosa può fare la decrescita al tempo della crisi permanente e sistemica (finanziaria, economica, ambientale)? Non bastano più i cerotti. É necessario riconsiderare e riorientare nel suo insieme il sistema economico e sociale, partendo da nuovi principi etici ed ecologici. L’Occidente, il “primo mondo”, le economie di più antica industrializzazione, il sistema neoliberale capitalistico – chiamiamolo come vogliamo – sono entrati in una crisi profonda, non congiunturale e non superabile somministrando ricette preconfezionate. Siamo in presenza di una crisi persistente, multifattoriale, strutturale: crisi finanziaria e di solvibilità del debito; crisi economica, insieme di redditività e di sovrapproduzione; crisi energetica e delle materie prime; crisi alimentare, in cui i prezzi sempre più elevati delle commodities rendono difficile l’accesso al cibo per centinaia di milioni di persone; crisi idrica, con la desertificazione, la salinizzazione dei fiumi, l’inquinamento diffuso, e con prelievi eccessivi che assetano intere regioni del pianeta; crisi climatica, con emissioni di gas serra che hanno innescato un surriscaldamento dell’atmosfera, portando ad aumenti insostenibili della temperatura del globo e alla modifica delle correnti marine e dei venti; perdita di biodiversità, con la diminuzione della numerosità delle specie viventi animali e vegetali, marine e terrestri. É evidente che tutte queste crisi sono correlate e producono un effetto moltiplicatore, così com’è evidente che l’imperativo della crescita economica a ogni costo stringe la morsa delle crisi ambientali e sociali. Dovremmo prendere atto che siamo già entrati in una economia post crescita, e abbandonare ogni illusoria nostalgia dell’irripetibile stagione della grande crescita del secondo dopoguerra. É ormai giunto alla conclusione un ciclo economico molto lungo, il che ci obbliga a riconsiderare il valore delle cose e il senso comune del benessere. Dovremmo imparare a vivere meglio con meno utilizzando ciò che si ha a disposizione, a prosperare senza sperperare, a usufruire senza dissipare, a soddisfare i nostri bisogni e i nostri desideri senza necessariamente cercarli negli scaffali dei supermercati. Insomma, un vero passaggio di fase storica che molti osservatori guardano come a un cambio di civiltà. Il nuovo modello di civilizzazione dovrà invece poggiare su altri principi etici e sociali. Di fronte alla crisi, se vogliamo evitare tanto le psicopatologie depressive da “fine del mondo”, quanto le pesantissime conseguenze materiali sui redditi e sull’occupazione, il dovere di noi tutti è trovare soluzioni all’altezza della gravità della situazione e capaci da subito di invertire il declino. Nostra convinzione è che la decrescita possa rappresentare un’alternativa alla recessione valida per il “99%” della popolazione del globo, capace di offrire soluzioni sia su grande che su piccola scala, sia nel lungo periodo che nel breve. La decrescita, infatti, indica una direzione e un metodo: è una “matrice” – come dice Latouche – generatrice di soluzioni applicabili ovunque, misurabili da un lato con il “metro” della diminuzione dell’impronta ecologica e del consumo di natura, dall’altro con l’“orologio” che segna la redistribuzione dei carichi di lavoro tra occupati e inoccupati, tra uomini e donne [vedi Faq n. 7], tra lavoro eteronomo e lavoro scelto, comunitario, conviviale, utile per sé e per gli altri. In una parola, usando indicatori della qualità della vita “indifferenti al PIL”. Decrescita come progressiva dissociazione e affrancamento dall’economia di mercato e affermazione di un progetto di autonomia e autogoverno. Nel concreto della crisi globale in atto, decrescita significa: a) intervenire con tutti gli strumenti necessari per sgonfiare le “bolle finanziarie” e azzerare gran parte del debito pubblico, fino a ridimensionare la sfera monetaria riportando la funzione stessa del denaro alle sue origini di mezzo tecnico ausiliario per gli scambi, ma non finalizzato all’accumulazione e alla moltiplicazione della ricchezza. b) avviare una conversione ecologica degli apparati energetici e produttivi per azzerare la dipendenza da fonti fossili; produrre beni che possano durare a lungo evitando ogni forma di inquinamento; coltivare in modi biologici e realizzare la maggiore autosufficienza 1 produttiva su basi locali, senza aver paura di porre in essere misure di protezionismo ecologico e sociale a scala bioregionale [vedi Faq n.2]; c) azzerare l’idea stessa dell’economia come scienza autonoma autoreferenziale, per ricondurla a mero strumento contabile al servizio dei bisogni sociali autentici delle popolazioni, che sono: l’impiego di tutta la disponibilità di lavoro, l’equità distributiva, il rispetto della dignità degli individui, la responsabilità sociale e ambientale delle imprese. Nel concreto, si tratta di favorire la diversificazione dei modi di produzione, allargando tutte le forme di economia non profittevole, “solidale”, “civile”, “sociale”, non dipendente dal debito [vedi Faq n.17]; d) per usare le parole di Guido Viale, «progettare e praticare un diverso modo di vivere, di produrre, di consumare, di amministrare», cambiando comportamenti: da individui automi eterodiretti dal marketing a produttori e consumatori consapevoli,con vincoli di solidarietà, capaci di essere utili a sé e agli altri; cittadini che si prendono cura della preservazione dei beni comuni [vedi Faq n. 18]; e) da subito è possibile pensare a un piano del lavoro straordinario per creare posti di lavoro senza crescita, volto alla conservazione e alla messa in sicurezza dei patrimoni naturali, storico artistici e infrastrutturali, finanziato – oltre che con le politiche fiscali tradizionali – “fuori dall’Euro”, creando nuovi circuiti monetari pubblici nazionalizzati paralleli e indipendenti (monete complementari). Con la creazione, cioè, di una quota di ricchezza nazionale deglobalizzata e al riparo dai tentacoli della speculazione finanziaria [vedi Faq n.6]. Letture essenziali Walden Bello, Deglobalizzazione. Idee per una nuova economia mondiale, Baldini Castoldi Dali, 2004. Franco Cassano, L’umiltà del male, Laterza, 2011. Tim Jeckson, Prosperità senza crescita, Edizioni Ambiente, 2011. Serge Latouche e Didier Harpagès, Il tempo della decrescita, Elèuthera, 2011. Serge Latouche, Manifesto del dopo sviluppo, Serge Latouche, intervista su Altrapagina, ottobre 2011. Henry Mayew, London Labour and the London Poor, 1850-53 Marino Ruzzenenti, L’autarchia verde, Jaca Book, 2011. Guido Viale, La conversione ecologica. NdA press, 2011. Wuppertal Institut, Futuro sostenibile. Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa, Edizioni Ambiente, 2011. www.rianeeisler.com 2