FAQ n.5
L’ATTUALE CRISI SIGNIFICA CHE LA DECRESCITA È GIÀ
COMINCIATA E CHE QUINDI POSSIAMO CONSIDERARE CON
FAVORE UN FUTURO DI DEPRESSIONE ECONOMICA?
No. La recessione in atto non va confusa con la decrescita scelta e selettiva che
auspichiamo e che è la via per fuoriuscire dal diktat economico “ crescita o
morte”.
La fase oggi attraversata da moltissimi paesi di più antica industrializzazione è il
risultato della sovrapposizione di più crisi diverse: economica, finanziaria,
ambientale. I processi di decrescita che noi auspichiamo non vanno confusi con le
politiche di “austerità” messe in atto dai governi e che sono un modo per adattarsi
arrendevolmente alla crisi. Non vanno neppure scambiati con le politiche
neokeynesiane di sostegno pubblico all’economia di mercato, che servono solo ad
attutire e dilazionare le conseguenze della crisi senza affrontare le sue ragioni
profonde e strutturali.
La decrescita invece comporta un autentico cambiamento di modello, un nuovo
paradigma, un formidabile salto storico nelle relazioni e nelle logiche sociali, per un
motivo molto semplice: le analisi formulate sullo “sviluppo” hanno suggerito ai
teorici della decrescita che è l’intero sistema capitalistico a dover essere sostituito,
poiché i danni arrecati al pianeta e alle popolazioni più deboli non possono essere
modificati dall’attuale sistema economico e sociale. Il modello attuale ha superato i
limiti di sopravvivenza della biosfera, ha trasformato il clima, sta alterando le
condizioni di sopravvivenza delle specie viventi (non solo di quella umana).
Oggi crisi e depressione economica sono associate all’impoverimento e per questo
preoccupano coloro che hanno a cuore le vite delle persone più esposte ai
condizionamenti del mercato e senza alternative di reddito. Questa condizione
sembra corroborare le equazioni ripetute fino alla noia dai media e dai politici di ogni
schieramento: crescita = maggiore ricchezza e benessere; crisi = diminuzione della
ricchezza e del benessere.
In realtà, non è sempre e necessariamente così, e in molti casi è vero il contrario: per
esempio la crescita del PIL spesso è accompagnata da un peggioramento del
benessere, perché può avvenire in conseguenza di guerre (spese militari e per la
ricostruzione), di catastrofi ambientali (come è avvenuto in Giappone l’anno
successivo al terremoto), di malattie (più farmaci, più prestazioni sanitarie), di
inquinamento (occorre bonificare) e così via. Più in generale, la contabilità
economica ufficiale non considera in modo adeguato i costi effettivi della crescita,
che di norma vengono esternalizzati e proiettati il più possibile nel futuro. La
separazione spazio-temporale tra i benefici immediati e i costi reali occultati o
rinviati rinsalda la fede semplicistica nella bontà della crescita e del consumismo,
generando l’illusione di un maggior benessere, anche quando in realtà stiamo
diventando più poveri, indipendentemente dalla crisi.
Pertanto misurare l’andamento economico attraverso il PIL non può fornire
indicazioni attendibili sul benessere reale o sull’impoverimento di un paese: questa
tesi, che una volta sembrava sovversiva o bizzarra, è oggi accolta anche presso
ambienti istituzionali importanti, Commissione Europea in primis, che nello studio
L’economia degli ecosistemi e della biodiversità considera apertamente la vecchia
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bussola del PIL come superata, ponendo il problema di individuare indicatori
alternativi da proporre agli stati europei.
Proviamo ora a esplorare le occasioni che offre una recessione protratta nel tempo di
sottrarsi prima possibile all’influenza nefasta del sistema e del pensiero liberista.
Un primo livello di impegno “decrescente” riguarda i comportamenti economici
quotidiani, personali e familiari: cosa acquistare, dove e a che prezzo, cosa
consumare, a quali caratteristiche dei prodotti fare attenzione [vedi Faq n.3]. Un
secondo livello risiede nella possibilità di dedicare più tempo a se stessi e alle proprie
esigenze, troppo spesso trascurate. Una terza linea di preparazione al futuro consiste
nell’immaginare il ruolo che ciascuno vorrebbe avere nella società, che sarà il
risultato di una costruzione comune. Infine, è evidente che un inserimento attivo in
esperienze come il commercio equo e solidale, i gruppi di acquisto solidali,
l’alimentazione biologica, o in esperienze di vita rurale e comunitaria è sicuramente
un fattore importante di coinvolgimento e di scambio [vedi Faq n.17].
Per valutare in modo adeguato e non unilaterale l’andamento del benessere reale, sia
in tempi di crescita che di recessione, servirebbe una scienza economica diversa da
quella oggi dominante, incentrata su parametri funzionali al business ma incapace di
descrivere e conteggiare in modo equilibrato gli aspetti positivi e negativi dello
sviluppo economico. Un tentativo in questa direzione è quello portato avanti dalla
corrente nota come “Economia ecologica”, i cui esponenti forniscono studi e dati
utili a orientare una strategia di decrescita. Tra questi, Herman Daly ha mostrato che
ormai nei paesi avanzati ogni incremento di crescita ci rende più poveri e non più
ricchi, perché i vantaggi dovuti a tali incrementi sono pareggiati, se non superati, dai
costi complessivi necessari per ravvivare la crescita.
L’alternativa tra crescita e recessione è quindi priva di importanza strategica e di
significato: ciò che più importa è il fatto che, in entrambi i casi, il sistema sviluppista
non è in grado di assicurare il benessere dei suoi membri, ma solo, eventualmente, il
profitto per alcune minoranze affaristiche a danno della società e della natura.
Crescita e recessione appartengono entrambe al paradigma economico dominante, da
cui la decrescita prende le distanze aprendo a una prospettiva del tutto diversa, che è
quella della “prosperità senza crescita” (Tim Jackson) e della società di decrescita
fondata sull’abbondanza frugale (Serge Latouche).
Letture essenziali
Piero Bevilacqua, Miseria dello sviluppo, Laterza, Bari-Roma, 2008.
Ruth Cullen, 99 idee per salvare la Terra. Manuale pratico di pronto soccorso
ecologico, Astraea, Bologna, 2008.
Herman Daly e John Cobb, Un’economia per il bene comune, Red, 1994.
Francesco Gesualdi, Sobrietà felice. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti,
Feltrinelli, Milano, 2005.
Serge Latouche, Abbondanza frugale, Bollati Boringhieri, Torino, 2012.
Marina Martorana, Low Cost, vivere alla grande spendendo poco, Vallardi, Milano,
2008.
Carolyn Merchant, La morte della natura. Donne, ecosfera e rivoluzione scientifica.
Dalla natura come organismo alla natura come macchina. Garzanti, Milano, 1988.
Tim Jackson, Prosperità senza crescita, Edizioni Ambiente, Milano, 2011.
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Sandro Pignatti e Bruno Trezza, Assalto al pianeta, Bollati Boringhieri, Torino,
2000.
Andrea Poggio, Vivi con stile, 150 consigli pratici per una vita a basso impatto
ambientale, Terre di Mezzo, Milano, 2007.
Wolfgang Sachs (a cura di), Dizionario dello sviluppo, Ed. Gruppo Abele, Torino,
1998.
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