DOC. 6
Auguste Comte
Sull’evidente inferiorità
della donna
da Corso di filosofia positiva (1830-42),
Utet, Torino 1967, pp. 351-353
Tipologia
saggio filosofico
 Auguste Comte (Montpellier, 1798 - Parigi, 1857), filosofo francese, fu il massimo esponente del positivismo, dedicando gran parte
della sua attività allo studio delle società umane e alla definizione delle leggi che le regolano: in tal senso egli fu fondatore di una
originale sociologia che vedeva nell’epoca a lui contemporanea, caratterizzata da un connubio sempre più stretto fra scienza e
industria, lo stadio più alto dell’evoluzione umana, prodromico di una società di benessere e di perfezionamento spirituale.
 Dall’opera fondamentale di Comte, il Corso di filosofia positiva (1830-42), citiamo un passaggio in cui egli
constata, come se fosse una sorta di nozione scientifica, «l’evidente inferiorità relativa della donna» sul piano della razionalità e
dell’intelligenza. L’importanza di questo testo non consiste tanto nell’illustrare specificamente la filosofia di Comte, quanto nel
riassumere – con un tono di sentenziosa definitività – i principali pregiudizi di un’epoca sulle donne e le spiegazioni
pseudoscientifiche che una società profondamente maschilista inventava per giustificare l’oppressione femminile.
Considerando innanzitutto la relazione generale tra le facoltà intellettuali e le facoltà affettive, noi abbiamo infatti
riconosciuto che la preponderanza necessaria di queste, nell’insieme della nostra natura, è per altro meno pronunciata
nell’uomo che in qualsiasi altro animale; e che un certo grado spontaneo d’attività speculativa costituisce il principale
attributo cerebrale dell’umanità, come la prima sorgente del carattere profondamente marcato del nostro organismo
sociale. Ora, a questo riguardo, non si può che seriamente constatare oggi l’evidente inferiorità relativa della donna,
molto meno adatta dell’uomo all’indispensabile continuità come alla grande intensità del lavoro mentale, sia in virtù
della minor forza intrinseca della sua intelligenza, sia per la sua più viva suscettibilità morale e fisica, così contraria ad
ogni astrazione e applicazione veramente scientifica. La più decisiva esperienza ha sempre eminentemente confermato,
a parità di rango in ogni sesso, anche nelle arti e con il concorso delle circostanze più favorevoli, questa incontestabile
subalternità organica del genio femminile, malgrado il delicato carattere che distingue, di solito, le sue spirituali e
graziose composizioni. Quanto a qualsiasi funzione del governo, anche ove fosse ridotta allo stato più elementare, e
puramente relativa alla condotta generale della semplice famiglia, l’inattitudine radicale del sesso femminile vi è ancora
più evidente, esigendo la natura del lavoro soprattutto un’infaticabile attenzione ed un insieme di rapporti più
complesso, del quale nessuna parte dev’essere dimenticata, e nello stesso tempo una più imparziale indipendenza dello
spirito nei confronti delle passioni, in una parola, più raziocinio. Così, sotto questo primo aspetto, l’invariabile
economia effettiva della famiglia umana non potrebbe mai essere realmente invertita, a meno di supporre una chimerica
trasformazione del nostro organismo cerebrale. I soli risultati possibili d’una lotta insensata contro le leggi naturali, la
quale, da parte delle donne, fornirebbe nuove testimonianze involontarie della loro inferiorità, non potrebbero essere
che quelli di interdire loro, turbando gravemente la famiglia e la società, il solo genere di felicità compatibile per esse
con l’insieme di queste leggi.
In secondo luogo, noi abbiamo parimenti riconosciuto sopra che, nel sistema reale della nostra vita affettiva, gli istinti
personali dominano necessariamente quelli di simpatia o sociali, la cui influenza non può e non deve che modificare la
direzione essenzialmente impressa dalla preponderanza dei primi, senza potere né dover mai diventare i motori abituali
dell’esistenza effettiva. È con l’esame comparativo di questa grande relazione naturale, così importante sebbene
secondaria nei confronti della precedente, che si può soprattutto valutare direttamente il fortunato indirizzo sociale
eminentemente riservato al sesso femminile. È infatti incontestabile, sebbene questo sesso partecipi inevitabilmente, a
questo come all’altro riguardo, al tipo comune dell’umanità, che le donne sono in generale tanto superiori agli uomini
per un più grande slancio naturale della simpatia e della socievolezza, quanto sono ad essi inferiori per intelligenza e
ragione. Così, la loro funzione specifica ed essenziale, nell’economia fondamentale della famiglia e di conseguenza
della società, deve essere naturalmente di modificare incessantemente, con una più sensibile sollecitazione immediata
dell’istinto sociale, il cammino generale sempre primitivamente stabilito, necessariamente, dalla ragione troppo fredda o
troppo grossolana che caratterizza abitualmente il sesso preponderante. Si vede che, per questa valutazione sommaria
degli attributi sociali di ogni sesso, ho accantonato di proposito la considerazione comune delle differenze puramente
materiali sulle quali si fa irrazionalmente poggiare tale subordinazione fondamentale, che per le indicazioni precedenti,
deve essere, al contrario, essenzialmente ricollegata alle più nobili proprietà della nostra natura cerebrale. Dei due
attributi generali che separano l’umanità dall’animalità, il più essenziale e il più evidente dimostra incontestabilmente,
dal punto di vista sociale, la supremazia necessaria ed invariabile del sesso maschile, mentre l’altro caratterizza
direttamente l’indispensabile funzione moderatrice per sempre devoluta alla donna, anche indipendentemente dalle cure
materne, che costituiscono evidentemente il suo più importante e dolce compito particolare. Tuttavia su di esse si insiste
ordinariamente in una maniera troppo esclusiva che non fa abbastanza chiaramente comprendere la vocazione sociale
diretta e personale del sesso femminile.