LICEO CLASSICO “PICCOLOMINI” SIENA CLASSE I C 2009-2010 MODULO DIDATTICO LETTURA CLASSICI Voci della “rivoluzione romana” La lettura dei classici latini per la classe I C dell’anno scolastico 2009-2010, è inquadrata nello studio della cosiddetta “rivoluzione romana” ovvero il trapasso dalla repubblica all’impero, di cui gli autori in programma sono stati protagonisti (Cesare, Cicerone) o testimoni (Sallustio, Virgilio). Il termine Ronald Syme, “The Roman Revolution” ( 1939 ) Si può parlare di “rivoluzione”? Le obiezioni della storiografia marxista ( non c’è cambiamento del sistema economico: modo di produzione schiavistico ); la “rivoluzione” come serie di “colpi di stato” che culmina nell’affermazione di un regime personale di tipo nuovo ( restaurazione repubblicana o diarchia o monarchia “camuffata”? ) con profondo rinnovamento della classe dirigente romana ( massiccio inserimento di esponenti del ceto equestre e dell’ elemento italico nei ranghi del senato ). La cronologia Dall’età dei Gracchi ( 133-121 a.C. ) fino all’instaurazione del principato ( 27-23 a.C.), con progressiva accelerazione nel periodo che va dal primo al secondo triumvirato ( 60-43 a.C. ). La morte di Tiberio Gracco ( 133 a.C. ) fu l’inizio di un secolo di lotte fratricide, alle quali pose fine l’instaurazione di un dispotismo militare detto convenzionalmente “impero” ( A.Ziolkowski ). I fatti: dai Gracchi a Silla Il progetto riformatore di Tiberio ( lex agraria ) viene ripreso e ampliato dal fratello Gaio( lex frumentaria; leges iudiciariae; proposta di concessione della cittadinanza agli Italici ) vittima anch’egli della violenta reazione dell’oligarchia senatoria ( 121 a.C. ). La scomparsa dei due fratelli tribuni segna la fine della concordia politica ( unanime consenso sulle regole fondamentali della convivenza civile e collaborazione tra istituzioni politiche formalmente inconciliabili ) e del “contratto sociale” repubblicano ( partecipazione di tutti i cittadini ai profitti derivanti dalla conquista mediante distribuzione di terra ). Si apre la frattura tra eredi e seguaci dei Gracchi ( populares ) e oligarchia al potere ( optimates o boni ). La corruzione dilagante e l’incerta condotta nella guerra contro Giugurta, minano la credibilità della classe dirigente e fanno sorgere l’astro di Caio Mario, homo novus beniamino delle legioni ( riforma militare ) e della plebe. La folgorante ascesa di Mario ( console nel 107 e ininterrottamente dal 104 al 100 a.C. ) coincide con il successo dell’elemento popolare antisenatorio in cui tendono a prevalere le spinte radicali che Mario, come console, è costretto a reprimere perdendo credibilità e consenso. L’eclisse politica di Mario facilita il ritorno al potere degli ottimati che contrastano ogni tentativo riformista come quello “interclassista” del tribuno Livio Druso che cercava di restaurare la pace sociale con concessioni a tutte le parti in causa ma si scontra con l’opposizione della società romana al riconoscimento della cittadinanza agli Italici. La morte di Druso scatena la guerra sociale ( 91-88 a.C. ) in cui si impone la figura di Silla, console per l’88 a.C., che si afferma come leader degli ottimati, entra in conflitto con Mario, marcia su Roma e la conquista, fa strage di mariani e restaura l’autorità del senato, depotenziando tribuni e comizi, prima di partire, ad inizio 87 per l’Oriente ( guerra contro Mitridate, 88-85 a.C. ). In sua assenza, a Roma, si riprendono i mariani con Cinna che richiama Mario dall’esilio, annulla le leggi sillane e perseguita gli ottimati ( fine 87 a.C. ) ma la morte di Mario ( 86 a.C ) e Cinna ( 84 a.C. ) lascia i popolari senza guida. Al ritorno di Silla dall’Oriente ( 83 a.C. ) scoppia la guerra civile che si conclude con il trionfo dei sillani ( Porta Collina, 1 novembre 82 a.C. ) e la rappresaglia contro i nemici (eccidi, proscrizioni e confische ): Silla, dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae, attua riforma costituzionale ( 82-81 a.C. ) che consegna tutto il potere al senato. Nel 79 Silla depone la dittatura e si ritira a Pozzuoli dove muore l’anno dopo. Su questi argomenti puoi vedere il manuale di letteratura alle pagg. 329-341 del primo tomo. I fatti: da Silla a Cesare Tra la morte di Silla ( 78 a.C. ) e l’uccisione di Cesare ( 44 a.C. ) si compie la dissoluzione dell’ordinamento repubblicano: il potere personale di Silla (monocrazia, favore dell’esercito ) era in contraddizione con la sua stessa costituzione perché, con l’intenzione di restaurare l’oligarchia, apre la strada al successo dei “signori della guerra”; perciò, subito dopo la morte di Silla, si assiste alla rovina della costituzione sillana sotto i colpi di generali come Gneo Pompeo ( doma la ribellione spagnola di Sertorio, 77-72 a.C. ) e M. Licinio Crasso ( reprime la rivolta servile di Spartaco, 73-71 a.C. ). I due dinasti, consoli nel 70 a.C., demoliscono l’edificio politico sillano, ripristinando il potere di tribuni e comizi e restituendo le prerogative giudiziarie ai cavalieri. Nel 67 a.C., su proposta del tribuno Aulo Gabinio e nonostante l’opposizione del senato, viene attribuito a Pompeo un comando straordinario triennale per la guerra contro i pirati ( 67 a.C. ) e contro Mitridate ( 75-66 a.C.) che estende il dominio romano sul bacino del Mediterraneo orientale dove Pompeo istituisce nuove province Creta, Bitinia ( con Ponto ) e Siria ( con Palestina ). Nella primavera del 62, Pompeo torna in Italia, licenzia l’esercito ed entra da trionfatore a Roma ma si scontra con il rifiuto del senato di riconoscere il suo assetto dell’Oriente e si allea con Crasso e il nuovo protagonista della scena politica romana. Cesare. Su questi argomenti puoi vedere il manuale di letteratura alle pagg. 9-15 del secondo tomo. I gruppi e le classi Analisi del lessico politico usato dalle fonti per definire i caratteri della lotta politica a Roma: nobilitas ( da nosco ) : indica la classe dirigente formata dalle famiglie patrizie e plebee che vantavano antenati consoli; gruppo esclusivo di ricchi latifondisti che detenevano le massime cariche politiche in regime di semimonopolio ma non una casta per innesto di homines novi, homo novus: colui che per primo nella sua famiglia ottiene il consolato, figura non molto frequente: dal 200 al 146 solo 4 homines novi al consolato ( 130 a.C. M.Peperna, 107 C. Mario ); i termini nobilis/nobilitas hanno significato più sociale che politico perché ci sono nobiles conservatori come Catone Uticense e “progressisti” come i patrizi Cinna, Cesare, Catilina e i plebei Antoni, perciò è meglio indicare i gruppi conservatori al potere come “oligarchia” ( Sallustio li chiama pauci e potentiores ) o, come li chiama Cicerone, optimates: gruppi conservatori della nobilitas, paladini dell’ordine costituito e del potere del senato, difensori degli interessi dei ceti abbienti moderati detti boni: il termine ha triplice senso a) morale: i bravi cittadini ( contr.: ignavi ) onesti, operosi e ligi alle leggi; b) economico: ceti benestanti, produttivi; c) sociale e politico: i galantuomini moderati, la gente perbene, i benpensanti, una sorta di ceto medio moderato tra optimates, che li rappresentano, e plebs o populus dalla cui parte stanno i populares: quei politici, anche nobili, che, per reale convinzione democratica o per carriera, difendono gli interessi del popolo contro lo strapotere del senato. I gruppi degli optimates e dei populares sono definiti con termini come factio : gruppo di potere con mire oligarchiche ( L.Ross Taylor ), con un capo riconosciuto entro una classe; per Sallustio, termine negativo che si identifica con nobilitas e indica cricca di persone in combutta per fini personali come una lobby o una mafia; partes: generalmente al plurale, indica una coalizione di persone con stessi interessi e finalità come la factio ma, per alcuni studiosi, va riferito ai populares ( come factio ai nobiles ), per altri invece indica strati sociali più ampi, meno solidali di factio dove prevalgono stretti rapporti personali di parentela o di clientela: istituto risalente a Romolo, rapporto di protezione economica e giuridica tra una persona potente e autorevole e una più debole, in base a reciproca obbligazione morale per cui il patronus si impegnava a difendere il cliens che assicurava in cambio sostegno politico ed elettorale; il rapporto poi da privato diventa pubblico come protezione di intere città o popoli sottomessi. I rapporti politici, come la clientela, si fondano su un sistema di valori etici quali la fides : il complesso di obblighi reciproci di mutua assistenza, solidarietà in momenti di bisogno o pericolo, protezione e devozione che lega patrono e cliente ( o, su scala più larga, Roma e i socii ) e quindi i doveri di serietà, onestà, lealtà, fedeltà alla parola data e rispetto di patti e promesse, che non si basavano su codici scritti ma su precisi impegni morali e consentivano al politico romano di ispirare fiducia ( fides ) e di ottenere consenso e voti. Ma il politico romano è anche al centro di una rete di relazioni familiari e personali con pari grado legati a lui da un rapporto di amicitia : alleanza che si basa sui favori reciproci; gli amici appartengono alla classe superiore dirigente, i clientes a quelle inferiori ( L. Pizzolato ). Altri concetti astratti che rappresentavano slogan della lotta politica sono : libertas : il “manifesto” del pensiero politico repubblicano, non indica le libertà odierne ( pensiero, parola, associazione ecc. ) ma il complesso dei diritti dei cittadini e per i “popolari” la libera espressione delle loro volontà senza condizionamento del senato da cui lo slogan vindicare in libertatem di Catilina e Cesare e la dichiarazione di Augusto rempublicam a dominatione factionis oppressam in libertatem vindivavi ( Res Gestae, I ); concordia: equivale a pace civile, ritrovata armonia tra i cittadini ed anche accordo tra le classi sociali in conflitto; è leitmotiv del pensiero politico di chi è vissuto in tempi di guerre civili. La critica storica: i “partiti” e le “idee” Nell’Ottocento si pensava che la lotta politica d’età tardo repubblicana fosse basata sullo scontro tra due grandi “partiti”: ”aristocratico” o senatoriale ( conservatore ) e “democratico” o popolare ( progressista ) a imitazione degli schieramenti di destra e sinistra dei parlamenti dell’epoca. Oggi si ritiene che non si tratti di “partiti” con assetto stabile e organizzato ma di coalizioni di gruppi politico-economici che hanno come leaders gli esponenti più in vista di qualcuna delle grandi famiglie della nobilitas e sono formati da politici di secondo piano, membri di famiglie minori legati alla prima da vincoli di amicitia e dai loro clienti di vario grado e livello. Nella prima metà del Novecento, proprio studiando gruppi e individui della classe dirigente, la cosiddetta scuola “prosopografica “ che ricostruisce i ritratti delle singole personalità della storia romana, impone l’idea che la politica a Roma consistesse solo nella lotta per il potere, con lo scontro tra clan familiari per portare i propri membri alle cariche più alte dello Stato sfruttando i legami di parentela ( anche con matrimoni e divorzi ), le amicizie e le clientele. Come scrive Syme: “La vita politica della repubblica romana era contraddistinta e dominata … dalla lotta per il potere, la ricchezza e la gloria. Chi contendeva erano i nobiles; fra di loro, individualmente o a gruppi, apertamente nelle elezioni e nelle aule dei tribunali, o segretamente nei meandri dell’intrigo. … La storia della repubblica fu fatta da famiglie nobili, che diedero il proprio nome alle varie epoche: ci fu un’età degli Scipioni ed anche una dei Metelli”. Gli studiosi della scuola prosopografica hanno individuato tre gruppi nobiliari principali: quello fabiano; quello emiliano-scipionico e quello fulvio-claudiano detto “di centro” non per le sue posizioni politiche ma perché vicino ora all’uno ora all’altro dei primi due. Si trattava di una lotta deideologizzata, solo per accaparrarsi consolati, comandi militari e governi provinciali con il prestigio e i vantaggi connessi a questi incarichi. Gli studi più recenti, soffermandosi sul ruolo delle clientele come gruppi omogenei al loro interno ed economicamente differenziati tra loro, hanno dimostrato che il contrasto tra le grandi famiglie della nobilitas fosse anche ideologico e programmatico perché le clientele a cui si appoggiavano erano portatrici di interessi economici e istanze sociali diverse, che implicavano una diversa visione della gestione dello Stato e potevano determinare scelte e programmi politici diversi. “… per fare un esempio, una famiglia nobiliare sostenuta da una clientela di contadini era necessariamente portata a difendere linee di politica interna ed estera favorevoli agli interessi dei contadini stessi; nobiles con una larga percentuale di artigiani e commercianti o di abitanti e notabili di città marittime nella loro clientela potevano essere spinti a sostenere una politica estera mediterranea”. ( R.F.Rossi) Infatti tra IV e III secolo a.C., in politica estera, si assiste allo scontro tra i gruppi politici sostenuti dalla plebe rurale di piccoli e medi proprietari terrieri favorevoli all’espansione nelle regioni dell’Italia centrale e settentrionale per trovare nuova terra coltivabile e i gruppi sostenuti dalla plebe urbana e dai ceti mercantili e imprenditoriali fautori dell’espansione nella Magna Grecia, in Sicilia e nel Mediterraneo. L’eco di questi contrasti si avverte alla vigilia della seconda guerra punica, quando Annibale conquista Sagunto mentre il Senato romano discute sul da farsi: evidentemente perché si equivalevano le forze dei bellicisti e dei pacifisti, i primi favorevoli alla lotta contro la rivale sui mercati mediterranei, i secondi sostenitori invece dell’espansione nella Gallia cisalpina. In politica interna i contrasti non sono altrettanto netti e soprattutto non è possibile abbinare sempre una certa linea di politica interna ad una di politica estera così da definire una contrapposizione bipartitica precisa anche se, sul piano culturale, i gruppi “continentali”, legati alla terra, appaiono tradizionalisti e quelli “mediterranei”, mercantili e marittimi, sono favorevoli all’ellenizzazione e alla modernizzazione ( ma i primi sostengono una politica di distribuzione della terra tendenzialmente egualitaria, i secondi approvano la corsa all’arricchimento e alla differenziazione economica ). Gli studiosi che seguono questa impostazione hanno individuato, per il IV-III sec. a.C., l’esistenza di due gruppi principali: quello dei Fabii ed Emili ( espansione territoriale ) e quello dei Claudii e Cornelii Scipioni ( espansione mediterranea ). L’eredità di Annibale A.Toynbee, Hannibal’s Legacy.The Hannibalic War’s Effects on Roman Life (1965) Dalla fine della seconda guerra punica le cose cambiano; la vittoria innesca una serie di effetti che portano alla rottura dell’ordine economico e della coesione sociale tradizionale: 1) genesi dell’imperialismo; 2) crisi agraria: rovina della piccola proprietà e diffusione del latifondo, l’azienda familiare a multicultura per autoconsumo non regge la concorrenza dell’azienda a conduzione servile specializzata nelle colture destinate a mercati non locali; 3) urbanizzazione e proletarizzazione dei piccoli proprietari: abbandono della terra e inurbamento dei contadini rovinati dalla lunghezza del servizio militare o allettati dal modello di vita cittadino; 4) crisi sociale: nascita del ceto equestre, aumento delle disuguaglianze e della disparità economica tra le classi 5) peggioramento dei rapporti con gli Italici. Le riforme dei Gracchi cercano di: a) restaurare un ceto di piccoli proprietari capaci di resistere alla tentazione della città e alla concorrenza del latifondo; b) aumentare il numero di cittadini obbligati a prestare servizio militare ( nelle legioni servivano solo i possidenti); c) combattere il disagio dei ceti poveri con la vendita mensile di frumento a prezzi di favore, con lavori pubblici e deduzioni di colonie; d) inserire i cavalieri nell’amministrazione dello stato negli appalti per la riscossione delle imposte e nei tribunali, e) regolare la posizione degli Italici con la concessione della cittadinanza. Il fallimento dei tentativi riformisti graccani apre la strada alla lotta contro il predominio ottimate che porterà alla fine della repubblica: gli avversari dell’oligarchia senatoria seguono la via popularis che consiste nella difesa della libertas, il principio per cui la volontà del popolo, espressa nell’assemblea regolarmente convocata, era sovrana. Inoltre i popolari erano favorevoli a leggi agrarie, frumentarie e coloniarie e, nei casi più radicali, all’abolizione dei debiti ( tabulae novae ); gli ottimati si opponeva a questi programmi in nome della salus rei publicae, il mantenimento del potere corporativo della propria élite, paralizzando la volontà popolare con cavalli politici e religiosi o eliminando potenziali minacce con il linciaggio e la pseudolegale usurpazione del senatusconsultum ultimum, a cui gli avversari reagivano con altrettanta violenza: un metodo di lotta politica che anticipò il bagno di sangue delle guerre civili. Bibliografia reperibile nella biblioteca d’Istituto Adam Ziolkowski, Storia di Roma, Milano, 2000; Ruggero F. Rossi, Dai Gracchi a Silla ( Storia di Roma, IV ), Bologna, 1980; Ronald Syme, La rivoluzione romana, Torino, 1962.