Nel brano della vite e dei tralci c`è una rivelazione trinitaria

Nel brano della vite e dei tralci c’è una rivelazione
trinitaria
V Domenica di Pasqua (Anno B)
Vangelo: Gv 15,1-8
Riflessioni
Gesù nel Vangelo si identifica con la vite: “Io sono la vite vera” (v. 1). L’affermazione odierna va
collegata alla serie di definizioni che Gesù dà di se stesso, raccolte dall’evangelista Giovanni: Io
sono l’acqua fresca (Gv 4); “Io sono il Pane vivo” (Gv 6); “Io sono la luce del mondo” (Gv 9); “Io
sono il Buon Pastore” (Gv 10); “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11)… E oggi: “Io sono la
vite, voi i tralci” (v. 5). Sono affermazioni che ci riportano all’auto-definizione del Dio dell’Esodo:
“Io-Sono mi ha mandato a voi” (Es 3,14). Emerge in modo chiaro che le rivelazioni dell’identità di
Dio, e di Gesù, sono per sé stesse un Vangelo, una buona notizia, e contengono una missione, un
mandato da portare ad altri. Dopo l’ultima cena di Gesù con i discepoli, nel contesto di addio, già di
per sé carico di significato e di emozioni, si inserisce il passaggio odierno del Vangelo sulla ‘vite e i
tralci’, nel quale Gesù assume la ricca tematica biblica della vite, cantata dai profeti (Isaia, Geremia,
Ezechiele…) e nei salmi (80). Egli è la vite vera del nuovo Israele, che non deluderà l’attesa divina,
perché darà frutti.
Nel brano della vite e dei tralci c’è una rivelazione trinitaria: il Padre è l’agricoltore (v. 1), il Figlio
è la vite, lo Spirito Santo è la linfa vitale e amorosa nel seno della Trinità e nel cuore dei discepoli,
che sono i tralci. Dell’allegoria della vite e dei tralci è possibile, inoltre, fare una lettura ecclesiale
ed eucaristica: il primo “frutto della vite” è l’Eucaristia della nuova alleanza nel sangue di Gesù
(Mt 26,29). Gli altri frutti sono richiesti a coloro che Egli chiama a seguirlo: perché “portiate molto
frutto e diventiate miei discepoli” (v. 8). Questi frutti si trovano nel campo che è il mondo, dove “la
messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!” (Mt 9,37).
La condizione indispensabile per portare frutti sta nell’unione del tralcio con il ceppo. Su questo
punto l’esperienza della vita agricola non ammette alternative né eccezioni. Da qui l’insistenza di
Gesù: “Rimanete in me e io in voi” (v. 4). Per ben 7 volte, nel corto brano odierno, appare il verbo
“rimanere”. Non basta quindi una presenza qualunque, di passaggio, come un volo d’uccello di
pianta in pianta, o di farfalla da un fiore all’altro; ‘rimanere’ indica stabilità, dimora fissa, residenza.
Cioè amicizia, convivenza, identificazione, preghiera. (*) Un’amicizia che si rafforza nella
“potatura”, vissuta come necessario passaggio di purificazione e di fecondità, “perché porti più
frutto” (v. 2). Ce lo assicura anche Giobbe, che di potature se ne intendeva: felice l’uomo che è
corretto da Dio, le cui mani feriscono solo per risanare (Gb 5,17-18).
L’invito a fidarsi sempre di Dio –anche nei meandri del dolore- ci viene pure da Giovanni (II
lettura), perché “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (v. 20). Egli ci ha dato lo
Spirito Santo (v. 24), per aiutarci a non amare solo a parole, “ma con i fatti e nella verità” (v. 18).
Una testimonianza di siffatto amore la offre la storia di Paolo (I lettura): dopo aver perseguitato i
cristiani, scopre in essi la presenza di quel Signore che gli ha cambiato la vita. Sulla strada di
Damasco non è nato solo un cristiano, ma l’apostolo, il grande missionario, che -grazie alla
mediazione di Barnaba che lo ha presentato agli apostoli- predicava a Damasco e a Gerusalemme
con coraggio, apertamente, nel nome del Signore Gesù (v. 27-28). Va fortemente sottolineato il
ruolo di Barnaba come amico, accompagnatore, consigliere e socio di Paolo nella missione. Le
paure e i sospetti verso Paolo erano grandi, non solo perché era stato un persecutore, ma soprattutto
perché “Paolo manifestava una forza ed una ampiezza di visione che sorprendeva e intimoriva i
cristiani che già si erano assuefatti ad una vita senza il soffio missionario che dimostrava il
neoconvertito. Egli predicava con coraggio e non aveva paura di intavolare discussioni con Ebrei di
lingua greca. Il suo messaggio e la sua veemenza gli creavano problemi. Paolo prendeva sul serio
quello che tanto ci costa: amare il prossimo nella sua situazione concreta” (Gustavo Gutiérrez).
Invece di evadere nei suoi progetti personali e seguire la propria strada, Paolo, potato e fecondato
nella sofferenza, affronta incomprensioni e divergenze, accetta il confronto con gli altri apostoli,
non si isola, ma cerca e mantiene la comunione con il gruppo. Un esempio per coloro che, anche
oggi, si dedicano con passione alla causa missionaria del Vangelo e incontrano spesso
incomprensioni e contrasti anche all’interno della comunità ecclesiale. La tentazione di
abbandonare sembrerebbe la scappatoia più facile. Paolo invece è rimasto, ha resistito, ha rinnovato
la Chiesa dal di dentro. Cercando sempre la comunione. Con amore!
Parola del Papa
“Siamo chiamati a rimanere in Cristo –come ama ripetere l’evangelista Giovanni (cf Gv 1,35-39;
15,4-10)– e questo si realizza particolarmente nella preghiera. Il nostro ministero è totalmente
legato a questo rimanere che equivale a pregare, e deriva da esso la sua efficacia”.
Benedetto XVI ( Omelia nell’ordinazione presbiterale di 19 diaconi, Roma, 3.5.2009)