LA VITE E I TRALCI Un vignaiolo, una vite, dei tralci e dei frutti: sono i protagonisti del brano evangelico di oggi. Fuori metafora: il Padre, Gesù, i discepoli, l’amore fraterno. “Io sono la vera vite”, dice Gesù e va inteso alla stregua delle altre analoghe affermazioni: io sono il pane, io sono la luce, io sono la via. Gesù è la vite vera. L’immagine della vigna è classica nella Bibbia come albero simbolico della gioia messianica, segno di Israele fedele e infedele; si legga, ad esempio, il grandioso “cantico della vigna” di Isaia (5,1-7) o il Salmo 80, o la parabola della vigna pronunciata da Gesù (Mc 12, 1-11). Uno degli ornamenti più vistosi del Tempio al tempo di Gesù era appunto una vite d’oro con grappoli alti come un uomo, mentre il profilo di una vite coi tralci era incisa sulle monete coniate dagli Ebrei. La vite e la vigna designano Israele in quanto popolo di Dio e ne sottolineano con forza l’appartenenza al Signore; da una parte c’è la cura di Dio, una cura assidua, amorevole e paziente, e dall’altra c’è una ostinata sterilità; Dio si aspetta buoni frutti e ne resta deluso, e così l’immagine passa dal tema dell’Alleanza a quello del giudizio. Gesù si muove nei solchi di questa tradizione biblica, ma connotandola con accenti molto originali. La vite non è più il popolo messianico, ma Cristo stesso; là “Dio possedeva una vigna”, qui Gesù stesso è la vite che finalmente dà i frutti sperati. “Rimanete nel mio amore”. Il principio fondamentale della vita cristiana è, quindi dimorare, rimanere innestati in questa vite spirituale che è il Cristo: se il discepolo rimane in Gesù attraverso la fede e l’amore, Gesù rimane in lui con il suo amore e la sua fecondità. La grazia divina è la radice delle nostre opere buone, ma non sostituisce la nostra libera decisione che resta sempre anch’essa alla radice della nostra salvezza. Se manca la nostra amorosa dedizione a Cristo la nostra vita si inaridisce, le azioni diventano meccaniche, le parole religiose vani suoni, la freddezza del cuore e la secchezza della coscienza ci distruggono. “Ogni albero che non produce frutti buoni, ammoniva già il Battista, viene tagliato e gettato nel fuoco frutto sarebbe incorruttibile. E il grande sant’Agostino ammoniva: Scegli: o la Vite o il fuoco!”. La fede è intimità, comunione. E’ rimanere in Cristo e questo verbo significa anche dimorare, avere una comune residenza ed esperienza di vita. Non per nulla la Bibbia ha usato come simbolo più alto per rappresentare il legame tra Dio e l’uomo quello dell’amore nuziale: “Sì, come un giovane sposa la sua ragazza, così ti sposerà il tuo Creatore; come lo sposo è pieno di gioia per la sua sposa, così il tuo Dio gioirà per te” (Is 62, 5). Il colloquio con Dio deve essere dolce come lo è tra due innamorati. Le effusioni, le delicatezze amorose, le parole di fuoco non possono mancare. La tiepidezza non si addice a Gesù che ritiene la tiepidezza offesa gravissima al suo amore di fuoco: “…siccome sei un tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, io sto per vomitati dalla mia bocca” (Ap. 3, 16). “Chi rimane in me porta molto frutto . Da questa comunione nascono meraviglie, è quel portare frutto che Gesù arriverà persino a descrivere così: “Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi…chiederete quel che volete e vi sarà dato”. Ma uscire da questa comunione significa solo morte. Il tralcio seccato è simile alla pula arida e impalpabile che si distacca dal grano ed è bruciata o portata via dal vento (Sal 1, 4). Gesù, però, presenta la vite anche a primavera, appena passato l’inverno. E’ solo un cenno, ma significativo: “Ogni tralcio che porta frutto il vignaiolo lo pota perché porti più frutto”. E’ chiaro cosa significhi: la potatura fa gemere la vite, è la purificazione, è un’opera d’amore e di premura, nonostante la sofferenza e il travaglio che genera. Infatti, poche settimane dopo, la vite ritorna in tutto il suo splendore. L’oscurità della sofferenza non è totale; all’interno di essa si apre uno spiraglio di speranza e di luce: “Le mani di Dio, scriveva il pastore protestante Bonhoeffer, sono mani ora di grazia ora di dolore, ma sono sempre mani d’amore”. Camilla Vitali, Missionaria del Cuore di Cristo