Omelia SMessa Pro Pontifice 18.04

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A RCIDIOCESI DI F ERRARA - C OMACCHIO
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BASILICA CATTEDRALE
Omelia di S . E . M ons. P AOLO R ABITTI
III Domenica di Pasqua, Giornata Diocesana di preghiera per il Papa
Letture della Messa: Atti 5,27-32.40-41; Apocalisse 5,11-14; Giovanni 21,1-19
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Il protagonista della liturgia della Parola di questa terza domenica dopo Pasqua è
Simone, figlio di Giovanni, chiamato da Gesù ad essere la pietra su cui è fondata la
Chiesa: PIETRO.
Cambiato il nome; innestata su di lui una missione da vertigine; fortificato dal Risorto;
perdonato dei suoi tradimenti; trasformato in "pastore delle pecore madri e degli
agnelli", cioè di tutto il popolo di Dio: Vescovi-Presbiteri-Laici.
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E ci troviamo dinanzi ad un Pietro intrepido: forte di una forza sovrumana. Egli "non
cessa di insegnare e portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo" (Atti 5,42).
Un Pietro che – superata ogni paura e liberato da ogni interesse terreno o ambizione
personale – si dichiara testimone, addirittura in tandem con lo Spirito Santo, capace di
portare alla verità coloro che obbediscono alla parola di Dio (Cfr. Atti 5,32).
Un Pietro che, unico al mondo,:
1) ha ricevuto la rivelazione di Dio per individuare, dal proprio intimo, il Figlio di
Dio presente nel mondo, impersonato da Gesù di Nazaret;
2) ha ascoltato sul Monte la stessa voce del Padre, nel proprio dialetto aramaico;
3) ha visto il volto divino – luminoso come il sole – trasfigurante il volto umano
del Messia;
4) ha toccato le piaghe del Risorto, che si era fatto suo commensale sul mare di
Tiberiade.
Dunque un Pietro "rapito" da tali eventi, e condotto a porre le basi della Chiesa di Gesù,
unendo la propria croce e il proprio sangue alla croce e al sangue del Figlio di Dio.
"Ubi Petrus ibi ecclesia"! (Ambrogio PL 14,1032A).
Così la Chiesa di Cristo è un grande gregge guidato da un solo pastore; ed è "unus
populus sub uno capite". In rapporto all'unità, la Chiesa è UNA. In rapporto alle
comunità nelle quali si realizza, la Chiesa è molteplice: "Propter unitatem, una
Ecclesia; propter congregationes fraternas per locos, multae sunt Ecclesiae (S.
Agostino, PL 37, 1837).
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Anche oggi, e sempre, la Chiesa ha e avrà il suo PIETRO; la indefettibilità della Chiesa
comporta la perduranza e la inalienabilità di Pietro. È questa una delle condizioni e delle
garanzie per le quali Gesù "è con noi fino alla fine del mondo" (Matteo 28,20).
Pietro, cioè il Papa, non è, e non può essere, un propugnatore di quelle idee che, via via,
godono di "alto indice di gradimento"; né può, né deve attenersi alle proiezioni dei dati in
base ai quali scegliere ciò che va detto e ciò che va taciuto. Tanto meno, il Papa non può
modulare il suo magistero secondo il vento delle dottrine in voga e delle opinioni correnti.
Il Papa sa bene che "bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (Atti 5,29); e
che "il Vangelo da trasmettere, insieme ai vescovi, è il principio di tutta la vita della
Chiesa – e perciò del mondo – in ogni tempo" (Lumen Gentium 23).
Allorché il Papa "sancisce, con un proprio atto solenne e definitivo, una dottrina
riguardante la fede da credere e la morale da praticare" (Lumen gentium 25), tale
definizione, come ha detto Gesù, è infallibile, cioè vera in cielo e in terra (Cfr. Matteo
16,19).
Ma, anche quando non interviene una così solenne definizione, ciò che il Papa propone
nel suo quotidiano insegnamento – avendo la preoccupazione di illuminare di Vangelo,
le questioni che, via via, insorgono nell'umanità e nella Chiesa – è sempre Pietro che
orienta la Chiesa, ed è sempre Gesù che, a mezzo di Pietro, "tiene deste le esortazioni"
per mantenere il popolo di Dio nella salvezza e nella verità.
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Già il primo Pietro sapeva; ma ancora più hanno sperimentato i "Pietro" succedutisi
nei vari secoli, che vi sono nel mondo "favole artificiosamente inventate" (2 Pietro
1,16) e che, spesso, "non si sopporta più la sana dottrina, e gli uomini si circondano di
maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità, per perdersi
dietro alle favole" (2 Timoteo 4,4).
E ogni "Pietro" ha spesso, come aperitivo, il "fiele" che si propina a lui da chi lo vuole
controbattere con "l'infallibilità del momento", salvo poi contestarlo, in seguito, di non
aver proclamato a sufficienza "l'infallibilità del Vangelo"! E tutti noi abbiamo
constatato che, se il Papa esprime un parere, subito s'innalzano "dispareri".
Affidando la Chiesa alla "rettoria" di Pietro ("divino dignatione praepositus" [S.
Cipriano Ep 58,1; 63,1]), Gesù non ha inteso premiare Pietro per la sua impeccabilità,
né gli ha garantito la impeccabilità futura.
Anzi! Pietro ha avvertito, forse come nessuno, la sua miseria di peccatore, se è arrivato
a dire "Signore, allontanati da me perché sono un peccatore" (Luca 5,8).
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È Gesù stesso lo preavvisò che "Satana avrebbe cercato di setacciarlo come il grano"
(Luca 22,34).
Non dunque un Pietro sovrumano e incontaminato, ma "scelto per gli uomini, così da
essere in grado di sperimentare ciò che avviene in coloro che sono nell'ignoranza e
nell'errore" (Ebrei 5,2).
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E, tuttavia, a questo Pietro "debole" è stato affidato il Regno di Dio; non solo per
conservare immune della Chiesa nel mondo la parola di Dio "ridestando
continuamente il giusto modo di pensare" (2 Pietro 3,1) e per "far conoscere alle
Nazioni – per bocca di Pietro stesso – il Vangelo e così a portare alla fede" (Atti 15,7),
ma anche per "prendere le decisioni" (in greco: dògmata tà kekrimèna = i decreti,
quelli stabiliti) e per "farle osservare" (Atti 16,4).
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Possiamo dunque valutare la fatica del Pietro del nostro tempo, Benedetto XVI:
- "non può tacere" (Atti 4,20). S. Pietro stesso dirà una volta per tutte: "Iddio... ci
ha ordinato di annunciare al popolo che Gesù è il giudice dei vivi e dei morti,
costituito da Dio" (Atti 10,42).
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Non può transigere su ciò che, nella Chiesa, contraddice e si oppone a ciò che
Gesù ha stabilito;
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ma deve disporre provvedimenti (1 Corinti 7,17; in greco: diatàsso) direttive,
proibizioni, rimedi.
E possiamo immaginare a quale sofferenza il Papa sia sottoposto, allorché avviene che,
non solo in mezzo i non credenti avvengono immoralità di condotta e travisamenti di
verità (verso i quali il Papa non può far altro che alzare il suo monito); ma, ancor più,
quando succede che, pure all'interno dei Sacerdoti, dei fedeli, figli della Chiesa – quali i
Religiosi e i Laici – emergono – proprio come scrisse il primo Pietro – fatti "scandalosi e
vergognosi, desideri disonesti e insaziabili, adescamenti di persone deboli e si scopre che
alcuni camminano secondo la carne, con bramosia di turpitudini" (2 Pietro 2,14.10).
Avviene come in una famiglia, quando il padre o qualche figlio maggiore si copre di
delittuosità, e la madre – che esige e insegna ai figli minori la buona condotta – si sente
come azzerata nella sua autorevolezza educativa, soprattutto quando non le è più possibile
sottrarre alla debole psicologia o alla labilità e impressionabilità di tali figli minori il male
che avviene nella casa stessa, dove si stava costruendo la loro formazione.
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È esattamente ciò che il Papa ha provato in questo difficile momento del mondo e
della Chiesa: egli non cessa di dire al mondo: "quando si promuove o si insegna, o
addirittura si impone, forme di ateismo pratico, si sottrae ai cittadini la forza morale e
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spirituale indispensabile allo sviluppo umano integrale...". Benedetto XVI poi
aggiunge: "pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare
ingiustizie inaudite. Senza Dio, l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a
comprendere chi egli sia. La chiusura ideologica a Dio e l'ateismo dell’indifferenza,
rischiano di dimenticare i valori umani". " Le nuove forme di schiavitù della droga e la
disperazione, in cui cadono tante persone, trovano una spiegazione nel vuoto
spirituale" (Caritas in veritate NN. 29; 75; 78; 76).
Ma l'umanità cammina per la propria strada; e si tende a zittire o a vanificare – se non
ridicolizzare e boicottare – questo lucido e allarmato Magistero.
Il Papa, poi, – volgendosi alla Chiesa e prendendo progressiva conoscenza che la
"sporcizia" praticata in tanti cosiddetti "paradisi sessuali"; o portata in casa da siti
inverecondi; e, perfino celebrata, come "ars liberatoria" da inibizioni bigotte – [il
Papa, dico] – pur soffrendo come la madre di cui sopra – ha detto: BASTA!
Basta reticenze; sia pure a fin di bene;
basta tolleranza senza espiazione;
basta sacerdozio coesistente con reati scellerati;
basta infangare i tanti sacerdoti, fedeli ai loro impegni e limpidi nella loro missione,
per colpa di un'esigua anche se esiziale minoranza di chi ha "mente, coscienza (e
azioni) corrotte" (Tito 1,15);
basta incriminare la Chiesa intera, ma rientrare tutti in "penitenza" (2 Pietro 3,9).
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Ebbene! – nonostante la limpidissima eco del Vangelo di Cristo che troviamo sulla
bocca, nella penna e nella persona di Benedetto XVI; nonostante l'identica limpidezza
e fortezza di lui nel mettere allo scoperto, per quanto dipende da lui, ieri-oggi, queste
sofferenze e questi mali della Chiesa, al fine di stopparli, se possibile – il Papa viene
ora come scarnificato da chi non coglie il suo "agire di piena rettitudine" (Atti 23,1) –
fissando lo sguardo sereno e amorevole del Papa, si vede bene chi "ha il cuore retto
davanti a Dio" (Atti 8,21): se è Pietro, oppure se sono quegli "affabulatori, a cui
prestano attenzione piccoli e grandi" (Atti 8,10) e che hanno nel cuore "fiele amaro"
(Atti 8,23).
Noi, da qui, vogliamo dire, e abbiamo già detto, al Papa, la stessa parola del primo
Pietro: "se uno soffre come cristiano non ne arrossisca" (1 Pietro 4,16).
Coraggio! Santo Padre, siamo tutti con Te!
E da qui – nella Chiesa di Ferrara-Comacchio – così preghiamo:
"Benedetto sii tu, Signore, per averci donato Benedetto XVI".
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