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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
Sede di Roma, Sez. I^
composto dai signori magistrati:
Pasquale de Lise
Presidente
Antonino Savo Amodio
Componente
Silvia Martino
Componente rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi riuniti:
I
n. 5441/2003 proposto da Società Ente Tabacchi Italiani – ETI s.p.a., in persona
del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. ti Giuseppe
Scassellati Sforzolini, Laura De Sanctis e Angelo Clarizia, ed elettivamente
domiciliata in Roma presso lo studio Clarizia alla via Principessa Clotilde n. n.
2;
CONTRO
- Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti
- Associazione Il Difensore del Cittadino e del Malato, in persona del Presidente
p.t., n.c.;
con l’intervento ad opponendum di
- Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la Tutela dell’Ambiente e
per la Difesa dei Diritti degli Utenti e dei Consumatori), in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. ti Carlo Rienzi, Marco
Ramadori e Vincenzo Masullo ed elettivamente domiciliato in Roma presso la
sede del Codacons al v.le Mazzini n. 73;
per l’annullamento
- della delibera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato assunta
nell’adunanza del 13 marzo 2003, comunicata con nota prot. n. 16106/03 del
27.3.2003, e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale;
II
n. 5517/2003, proposto da British American Tobacco Italia s.p.a., in persona del
legale rappresentante p.t., e British American Tobacco Germany GmbH, in
persona del legale rappresentante p.t., entrambe rappresentate e difese dagli
avv.ti Mario Sanino e Silvia D’Alberti, ed elettivamente domiciliate in Roma
presso lo studio dell’avv. D’Alberti al Corso Vittorio Emanuele II n. 284;
CONTRO
- Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti
- Associazione Il Difensore del Cittadino e del Malato, in persona del Presidente
p.t., n.c.;
con l’intervento ad opponendum di
- Codacons, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso
dagli avv. ti Carlo Rienzi, Marco Ramadori e Vincenzo Masullo ed
elettivamente domiciliato in Roma presso la sede del Codacons al v.le Mazzini
n. 73;
per l’annullamento e/o la riforma
1) del provvedimento n. 11809 adottato dall’AGCM nella sua Adunanza del 13
marzo 2003, notificato alle società ricorrenti il successivo 28 marzo 2003 e
pubblicato sul bollettino dell’AGCM n. 11/2003, a conclusione del
procedimento istruttoria P13952 – Sigarette Lights – varie marche;
2) di ogni altro atto connesso, preordinato e/o collegato, tra cui in particolare: a)
la comunicazione dell’avvio del procedimento, inviata alle parti in data 11
ottobre 2002; b) la decisione dell’AGCM assunta in data 21 ottobre 2002, di
acquisire agli atti del procedimento i sondaggi relativi alla decodifica “Lights”
da parte dei consumatori, commissionati dall’Autorità nell’ambito del
procedimento P13741 – Malrboro Lights, alle società AC Nielsen CRA ed
Eurisko;
III
- n. 5713/2003 proposto da Soc. Philip Morris Holland BV, società di diritto
olandese, in persona del legale rappresentante p.t., Philip Morris GmbH, società
di diritto tedesco, in persona del legale rappresentante p.t., Philip Morris Product
Inc., società di diritto statunitense, in persona del legale rappresentante p.t., tutte
rappresentate e difese dagli avv.ti Mario Sanino, Gian Battista Origoni Della
Croce, Nino Di Bella e Daniele Vecchi, ed elettivamente domiciliate in Roma
presso lo studio Sanino al V.le Parioli n. 180;
CONTRO
- Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti
- Associazione Il Difensore del Cittadino e del Malato, in persona del Presidente
p.t., n.c.;
- Società Gallaher Italia, in persona del legale rappresentante p.t., n.c.;
con l’intervento ad opponendum di
- Codacons, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso
dagli avv. ti Carlo Rienzi, Marco Ramadori e Vincenzo Masullo ed
elettivamente domiciliato in Roma presso la sede del Codacons al v.le Mazzini
n. 73;
per l’annullamento
- del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del
13 marzo 2003, prot. PI/3952, comunicato in data 27 marzo 2003, avente ad
oggetto l’accertamento dell’ingannevolezza del messaggio pubblicitario
consistente nelle diciture apposte sulle confezioni di sigarette a marchio “Merit
Ultra Lights”, “Diana Leggere”, ed altre (come descritte al punto 2 del
provvedimento), nonché per l’annullamento di ogni atto presupposto, connesso e
conseguente a quello impugnato in via principale e, segnatamente, della
comunicazione di avvio del procedimento in data 11 ottobre 2002, per le
sigaratte a marchio “Merit Ultra Lights”, e in data 19 novembre 2002, per quelle
a marchio “Diana Leggere”;
IV
- n. 5761/2003 proposto da Soc. Seita s.a. e Soc. Altadis s.a.., in persona dei
rispettivi legali rappresentati p.t., entrambe rappresentate e difese dagli avv. ti
2
Luca Simonetti e Corrado Scivoletto ed elettivamente domiciliate in Roma
presso lo studio dei difensori, alla via Bertoloni n. 19;
CONTRO
- Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti
- Associazione Il Difensore del Cittadino e del Malato, in persona del Presidente
p.t., n.c.;
con l’intervento ad opponendum di
- Codacons, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso
dagli avv. ti Carlo Rienzi, Marco Ramadori e Vincenzo Masullo ed
elettivamente domiciliato in Roma presso la sede del Codacons al v.le Mazzini
n. 73;
per l’annullamento
del provvedimento dell’Autorità n. 11809 emesso in data 13.3.2003, comunicato
ai ricorrenti in data 28.3.2003, a conclusione del procedimento PI3952, avente
ad oggetto l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario rappresentato dalle
diciture apposte sulle confezioni di sigarette “Gauloises Blondes Ultra Light”,
nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente a quello impugnato in
via principale;
V
n. 5763/2003, proposto da Soc. Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH e Soc.
Reemtsma Distribution Company Italy s.r.l., ciascuna in persona del proprio
legale rappresentante p.t., entrambe rappresentate e difese dagli avv.ti Teodosio
Luciano Monaco e Andrea Trotta, e presso il loro studio in Roma, alla via
Bertoloni n. 19, elettivamente domiciliate;
CONTRO
- Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti
- Associazione Il Difensore del Cittadino e del Malato, in persona del Presidente
p.t., n.c.;
con l’intervento ad opponendum di
- Codacons, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso
dagli avv. ti Carlo Rienzi, Marco Ramadori e Vincenzo Masullo ed
elettivamente domiciliato in Roma presso la sede del Codacons al v.le Mazzini
n. 73;
per l’annullamento
- del provvedimento dell’Autorità n. 11809 emesso in data 13.3.2003,
comunicato ai ricorrenti in data 28.3.2003, a conclusione del procedimento
PI3952, avente ad oggetto l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario
rappresentato dalle diciture apposte sulle confezioni di sigarette “Davidoff
Lights”, nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente a quello
impugnato in via principale;
VI
n. 5833/2003 proposto da JT International S.A., in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabrizio Arossa,
Tommaso Salonico e Carolyn Frances Giordano, ed elettivamente domiciliata in
Roma presso lo studio dei difensori alla P.zza di Monte Citorio n. 115;
3
CONTRO
- Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, in persona del Presidente
p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti
- Associazione Il Difensore del Cittadino e del Malato, in persona del Presidente
p.t., n.c.;
con l’intervento ad opponendum di
- Codacons, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso
dagli avv. ti Carlo Rienzi, Marco Ramadori e Vincenzo Masullo ed
elettivamente domiciliato in Roma presso la sede del Codacons al v.le Mazzini
n. 73;
per l’annullamento
- del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n.
11809, adottato a chiusura del procedimento PI/3952 nell’adunanza del 13
marzo 2003, e comunicato alla società ricorrente in data 28 marzo 2003, avente
ad oggetto la dichiarazione di ingannevolezza, ai sensi del d.lgs. 74/92, di un
asserito messaggio pubblicitario rappresentato dalla dicitura “Super Lights”
riportata sulle confezioni delle sigarette “Camel Super Lights”; nonché, per
quanto occorrer possa, di ogni altro atto prodromico, presupposto, connesso o
conseguente a quello impugnato.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato e del Codacons;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti di causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 11 gennaio 2006 la relazione del dr.
Silvia Martino e uditi altresì gli avv.ti Clarizia, Sanino, Simonetti, Trotta,
Salonico, Giordano, Ramadori, nonchè gli avv.ti dello Stato Arena e Aiello per
le parti rispettivamente rappresentate;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1.
Con richiesta di intervento pervenuta in data 7 ottobre 2002
l’associazione “Il Difensore del Cittadino e del Malato”, in qualità di
associazione di consumatori, segnalava all’Autorità Garante della Concorrenza e
del mercato la presunta ingannevolezza, ai sensi del d.lgs. n. 74/92, delle
diciture “Lights”, “Ultra Lights”, “Ultra Slim Leggera” e “Superlights” riportate
sulle confezioni delle sigarette Merit Ultra Lights, Kim Ultra Slim Leggera,
Davidoff Lights, Gauloises Blondes Ultra Lights, MS Lights, e Camel Super
Lights, in quanto tali diciture indurrebbero, contrariamente al vero - di trovarsi
di fronte ad un prodotto meno pericoloso e nocivo per la salute delle normali
sigarette. In data 15 novembre 2002 perveniva una nuova segnalazione, della
medesima associazione e di un consumatore, con quale gli stessi rilievi venivano
svolti in relazione alla dicitura “Leggera”, riportata sulle confezioni delle
sigarette Diana Leggera. In data 11 ottobre 2002 l’Autorità comunicava alle
società Philip Morris GmbH, Philip Morris Holland BV, Philip Morris Product
Inc., ETI s.p.a., British American Tobacco Italia s.p.a., British American
Tobacco Germany GmbH, JT International S.A., JT International Italia s.r.l.,
Altadis Italia Srl, Altadis S.A., SEITA S.A., Reemtsma Distribution Company
Italy Srl e Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, in qualità di operatori
pubblicitari, e all'associazione segnalante, l'avvio del procedimento, ai sensi del
4
Decreto Legislativo n. 74/92, precisando che l'eventuale ingannevolezza del
messaggio sarebbe stata valutata ai sensi degli articoli 1, 2, 3 e 5 del citato
Decreto Legislativo, in relazione alle caratteristiche del prodotto e alla possibile
induzione in errore dei consumatori circa la pericolosità e nocività dello stesso
con riguardo alla dicitura “Lights/ Leggera/ Ultra Lights/ Super Lights/
Légères”. Contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento,
veniva richiesto agli operatori pubblicitari, ai sensi dell'articolo 6, comma 1,
lettera a), del D.P.R. n. 627/96, di fornire indicazioni in merito a:
- la composizione del prodotto con particolare riferimento all'effettivo tenore di
condensato
e
di
nicotina
contenuto
nello
stesso;
- indicazione dei metodi e dei protocolli sperimentali adottati per il compimento
di tale valutazione;
- studi in merito alle caratteristiche del prodotto in relazione alle differenze in
termini di minore pericolosità e danno alla salute rispetto ad altri tipi di sigarette
non “lights”;
- risultati di eventuali ricerche di mercato, che rivelino il profilo degli
utilizzatori delle sigarette "lights", nonché la valenza attribuita dai consumatori a
tale qualificazione e le caratteristiche da essi attribuite ai prodotti che rechino
tale qualifica.
Successivamente, in data 21 ottobre 2002, venivano acquisiti agli atti del
procedimento i sondaggi, relativi alla decodifica “lights” da parte dei
consumatori, commissionati dall'Autorità, nell'ambito del procedimento PI3741Marlboro Ligths, alle società AC Nielsen CRA ed Eurisko.
Le parti depositavano memorie, evidenziando l’inapplicabilità, sotto vari profili,
del d.lgs. n. 74/92. L’Autorità, tuttavia, ritenendo che i messaggi pubblicitari in
esame siano idonei ad indurre in errore i consumatori con riguardo alle
caratteristiche delle sigarette e che, conseguentemente, siano suscettibili di porre
in pericolo la salute dei consumatori inducendoli a trascurare le normali regole
di
prudenza
e
vigilanza;
deliberava che i messaggi segnalati costituiscono “una fattispecie di pubblicità
ingannevole ai sensi degli articoli 1, 2, 3, e 5 del Decreto Legislativo n. 74/92”.
Relativamente all'adeguamento delle confezioni, faceva invece espresso
riferimento alla direttiva 2001/37/CE la quale, intervenendo specificamente
sugli stessi profili oggetto del procedimento svoltosi innanzi all’Autorità, e
prendendo in considerazione le medesime esigenze di tutela del consumatore di
cui al Decreto Legislativo n. 74/92, prevedeva espressamente che, con effetto a
partire dal 30 settembre 2003, le diciture “lights” o equivalenti non avrebbero
più potuto essere usate sulle confezioni dei prodotti del tabacco.
Avverso siffatta deliberazione le ricorrenti hanno dedotto molteplici censure che
possono essere così sintetizzate:
a) la dicitura lights è parte di un marchio e non si traduce in un vanto idoneo ad
orientare le scelte dei consumatori. Un marchio utilizzato in funzione
meramente distintiva non è un messaggio pubblicitario costituendo, per contro,
modalità indispensabile e strettamente connessa alla liceità del commercio del
prodotto da fumo. L’utilizzo del marchio integra esclusivamente una modalità di
vendita, minima ed essenziale, riconosciuta anche dalla Corte di Cassazione (in
particolare, sentenza n. 10508/1995). Inoltre, ove la dicitura "lights" costituisse
un messaggio pubblicitario, ricadrebbe nel divieto di pubblicità dei prodotti da
fumo, la cui violazione va accertata dal Prefetto, ai sensi della legge n. 165/62;
b)
anche qualora integrassero un messaggio pubblicitario, i marchi in esame
e le confezioni di sigarette sulle quali sono apposti, sono stati assentiti
5
preventivamente dall'Ufficio Italiano Marchi e Brevetti e dall'Amministrazione
Autonoma dei Monopoli di Stato, anche in relazione ad eventuali profili di
ingannevolezza. Ricordano ad esempio il diniego all’iscrizione in tariffa opposto
da AAMS alla marca di sigarette denominata “Trussardi”, proprio a causa del
ritenuto effetto pubblicitario del nome del prodotto. Inoltre, l’esistenza di un
effetto compensativo, nelle abitudini dei fumatori di sigarette a più basso
contenuto di nicotina, è ben conosciuto e oggetto di dibattito scientifico da
decenni;
c)
la valenza della dicitura “lights” è oggetto della direttiva 2001/37/CE che
attribuisce agli Stati membri la competenza a vietarne eventualmente l'uso;
pertanto la questione dell'applicabilità dell'articolo 7 di detta direttiva da parte
dell'Autorità è assolutamente contestabile, anche alla luce dell'ordinanza del
Tribunale di Primo Grado delle Comunità Europee del 10 settembre 2002, causa
T-223/01 JTI c. Parlamento e Consiglio. L’intervento dell’Autorità ha in pratica
anticipato illegittimamente l’applicazione delle prescrizioni della direttiva i cui
divieti sarebbero entrati in vigore solo a far data dal 30 settembre 2003.
d)
il provvedimento si pone in vistosa contraddizione con le conclusioni
alla quali l’Autorità è pervenuta nel caso “Rothmans Leggere” in cui la dicitura
“leggere” non è stata ritenuta ingannevole in quanto riferita al minor contenuto
di condensato e nicotina e perché il potenziale aspetto fuorviante era
compensato dalle avvertenze sul pacchetto secondo cui il fumo nuoce
gravemente alla salute;
e)
rispetto a tale pronuncia non risulta che studi scientifici successivi
abbiano apportato nuove informazioni in merito alla pari o minor pericolosità
del fumo sulla base delle quali l'Autorità possa aver deliberato diversamente nel
caso “Marlboro Lights”;
f)
lo stesso dicasi in relazione all'adozione della direttiva comunitaria
2001/37/CE, una Proposta della quale era stata già pubblicata nella GUCE
precedentemente all'adozione del provvedimento “Rothmans Leggere”;
g)
la conclusione del provvedimento sul fatto che le sigarette “lights” non
sono meno dannose delle “full flavour”, è immotivata e priva di riscontri. La
stessa “Monograph 13”, redatta dall’U.S. National Cancer Institute, sulla quale
l’Autorità, nel caso Marlboro Lights, ha fondato le proprie conclusioni, analoghe
a quelle di cui si oggi si controverte, non ha raggiunto certezze definitive,
essendosi limitata a dimostrare che non vi è prova né della minore nocività delle
sigarette “Lights” né di un effettivo decremento del numero di malattie
conseguenti al consumo di sigarette, e non già che le stesse siano sicuramente
pericolose quanto le “full flavour”;
h)
dai sondaggi Nielsen ed Eurisko non può ricavarsi che i consumatori
siano effettivamente indotti in errore dalla dicitura “lights”. La circostanza per
cui nei sondaggi Nielsen ed Eurisko una parte dei consumatori associ la
decodifica di meno pericoloso al descrittore “light” non è dirimente, in quanto
non è sufficiente che tale decodifica sia effettuata da una piccola percentuale di
consumatori ma è necessario, secondo un principio di proporzionalità, prendere
in considerazione l'aspettativa presunta di un consumatore medio, normalmente
informato, ragionevolmente attento ed avveduto (così ad esempio si è espressa
la Corte di Giustizia CE, sentenza del 13 gennaio 2000, causa C-220/98 Estée
Lauder). Le percentuali rilevate dai sondaggi Nielsen ed Eurisko, divergono poi
sensibilmente da quelle scaturenti dai sondaggi commissionati dalla Japan
Tobacco, pur essi acquisiti nel corso del procedimento, dai quali si ricava che
solo il 6% dei fumatori, corrispondente al 2% della popolazione, fuma sigarette
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lights perché ritiene che le stesse possano essere meno dannose per la propria
salute. Le ricorrenti ritengono peraltro complessivamente non condivisibile la
metodologia dei sondaggi commissionati dall’Autorità in quanto le domande
poste agli intervistati vertevano sulle caratteristiche del prodotto anziché sulla
sola espressione “light”. L’Autorità, inoltre, avrebbe dovuto verificare quale
fosse la causa effettiva dell’opinione dei consumatori, posto che dagli stessi
sondaggi emerge come le principali associazioni fatte con il termine “light”,
attengano al gusto delle sigarette in questione e ad una minore presenza di
condensato e nicotina. E’ quindi possibile che tale opinione non dipenda affatto
dalla dicitura ma da fattori esterni quali le informazioni scientifiche, la
legislazione in materia di riduzione del tenore di condensato e nicotina presente
nelle sigarette e comunque le public policy mondiali che, fino a tempo recenti,
hanno sollecitato i consumatori non in grado di smettere di fumare, a passare
alle sigarette c.d. leggere. I pacchetti di sigarette in questione riportano
comunque chiaramente le avvertenze per cui il prodotto nuoce gravemente alla
salute e quindi un'eventuale decodifica di “lights” come meno dannose dovrebbe
essere evitata dalla presenza delle avvertenze sanitarie obbligatorie per legge.
L’Autorità non ha poi spiegato perché le avvertenze obbligatorie presenti sulle
confezioni di sigarette non sarebbero in grado di bilanciare la valenza
potenzialmente fuorviante della dicitura “lights”;
i)
non è possibile rintracciare nella stessa Direttiva 2001/37/CE un
riscontro probatorio sull’ingannevolezza delle diciture in questione. Infatti,
ammesso che, a fini di tutela della salute, e a fronte di dubbi sull’attendibilità di
un’ipotesi scientifica, il legislatore comunitario abbia optato per l’eliminazione
di tali diciture, diversa è invece la valutazione rimessa all’Autorità la quale non
può limitarsi a formulare opinioni astratte ma deve fondarsi su adeguare certezze
scientifiche;
l)
non vi è alcuna prova che le ricorrenti abbiano tenuto un comportamento
omissivo, tale da indurre i consumatori a violare le regole di ordinaria diligenza
e prudenza.
m) la dicitura “lights” non può essere ritenuta ingannevole ai sensi dell'articolo
5 del Decreto Legislativo n. 74/92, in quanto l'Autorità ha sempre interpretato
tale norma nel senso che la stessa non vada applicata nei casi in cui la
pericolosità, anche potenziale, sia una caratteristica intrinseca del prodotto o di
comune esperienza o immediatamente percepibile da parte del consumatore.
BAT Italia, in particolare, ha poi dedotto di essere stata erroneamente
annoverata dall’Autorità quale “operatore pubblicitario” e, pertanto, non
essendo produttore né distributore delle sigarette “Kim Ultra Slim Leggera”
avrebbe dovuto essere esclusa dall’istruttoria. Ha stigmatizzato, inoltre, il
carattere atipico del provvedimento impugnato, in quanto privo di un puntuale
contenuto precettivo.
Philip Morris ha ricordato che le sigarette a basso tenore di condensato e di
nicotina sono state poste sul mercato non solo per venire incontro ad un
mutamento di gusto del pubblico ma anche su richiesta della comunità
scientifica internazionale a partire dagli anni ‘50. Inoltre, sin dal 1998, sul
proprio sito web, la società chiarisce che il fumatore non deve presupporre che
le sigarette siano innocue o più innocue rispetto ad altre sigarette. Ha
sottolineato l’effetto distorsivo e destabilizzante del mercato, derivante dal
provvedimento, ancorché meramente dichiarativo, emesso nei confronti di
alcuni soltanto dei produttori di sigarette lights, nei confronti dei quali il
procedimento avrebbe dovuto parimenti essere avviato. Contesta ancora la
7
decisione dell’Autorità di acquisire al procedimento i sondaggi acquisiti nel caso
Marlboro Lights e la conseguente violazione del diritto al contraddittorio e di
difesa dei produttori che non erano parte in quel procedimento.
Le società Altadis, Seita e Reemtsma hanno evidenziato, tra l’altro, che
l’argomento del fumo compensativo è di dubbia pregnanza giacché esso si
applica solo ai fumatori che passano dalle sigarette normali a quelle “lights”, ma
non anche ai neo – fumatori. I produttori di sigarette, inoltre, non possono
liberamente determinare il contenuto dei messaggi di avvertenza sanitaria, che è
stabilito per legge, sia per le sigarette “lights” che per quelle “full flavour”, e,
quindi, non hanno alcuna possibilità di circostanziare e/o bilanciare il
messaggio. Non esistono poi regole di prudenza o vigilanza (secondo la
formulazione dell’art. 5, d.lgs. n. 74/92) capaci di proteggere dai rischi alla
salute il consumatore che abbia già deciso di fumare. L’Autorità avrebbe
implicitamente avallato ipotesi di responsabilità oggettiva dei produttori, in
contrasto con quanto stabilito dalla stessa direttiva 2001/37/CE, relativamente
alla liceità, sino al 30 settembre 2003, delle commercializzazione delle sigarette
recanti le diciture in esame.
Japan Tobacco International, in particolare, ha invocato il proprio difetto di
legittimazione passiva nel procedimento condotto dall’Autorità in quanto società
di diritto svizzero che non ha in Italia sedi o stabilimenti, né ivi svolge attività di
produzione e/o distribuzione delle sigarette “Camel Superlights”. Ha pur essa
contestato la decisione di acquisire al procedimento i sondaggi effettuati nel
caso Marlboro Lights, e quindi di una perizia già “confezionata”, alla cui stesura
e preparazione il consulente di parte non ha potuto assistere, così come invece
disposto dall’art. 9, comma 3, del D.M. n. 627 del 1996. Ha chiesto infine, ove
ritenuto necessario, che venga rinviata in via pregiudiziale alla Corte di
Giustizia la questione relativa alla corretta interpretazione della Direttiva
84/450/CEE in rapporto alla nozione di “consumatore medio, normalmente
informato, e ragionevolmente attento ed avveduto”, sovente utilizzata nelle
decisioni comunitarie in materia di pubblicità ingannevole.
Si è costituita per resistere l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
depositando ampie e articolate difese.
E’ quindi intervenuto ad opponendum il Codacons, il quale, in rappresentanza
degli interessi collettivi dei consumatori, ha sostenuto le ragioni dell’Autorità,
insistendo per il rigetto del ricorso.
Con le memorie conclusive, le ricorrenti hanno richiamato l’attenzione sul
sopravvenuto d.lgs. 24 giugno 2003, n. 184, il cui art. 8 ha espressamente
stabilito che a decorrere dal 30 settembre 2003, è vietato l'uso sulle confezioni
dei prodotti del tabacco di diciture quali «basso tenore di catrame», «light»,
«ultra light», «mild», nonché di denominazioni, marchi, immagini ed altri
elementi figurativi o simboli comunque suscettibili di suggerire che un
particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri.
Tale disposizione comproverebbe, a loro dire, che all’epoca del provvedimento
impugnato la norma comunitaria invocata dall’Autorità non era ancora in vigore
e quindi non poteva fungere da parametro di riscontro della decettività di un
presunto messaggio pubblicitario.
Hanno anche precisato che permane intatto il loro interesse alla decisione dei
ricorsi, in quanto il provvedimento impugnato continua ad essere
impropriamente strumentalizzato nell’ambito di giudizi risarcitori civili esperiti
da singoli consumatori che assumono di essere stati lesi nei loro diritti personali
e patrimoniali dall’utilizzo della dicitura “Lights”.
8
Hanno infine fatto riferimento alla nota, recente sentenza della Corte Suprema
dell’Illinois la quale escluso che Philip Morris abbia usato della fiducia dei
consumatori, nell’utilizzo delle diciture “lights”, in quanto queste ultime
risultavano precedentemente autorizzate dalla Federal Trade Commissione.
Il ricorso è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 11 gennaio 2006
DIRITTO
1.
E’ impugnato il provvedimento n. 11809, assunto nell’adunanza del 13
marzo 2003, con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha
deliberato che i messaggi diffusi dalle ricorrenti, consistenti nelle diciture
apposte sulla confezioni delle sigarette Merit Ultra Lights, Kim Ultra Slim
Leggera, Davidoff Lights, Gauloises Blondes Ultra Lights, MS Lights, Camel
Super Lights e Diana Leggera, costituiscono una fattispecie di pubblicità
ingannevole ai sensi degli articoli 1, 2 3, e 5 del Decreto Legislativo n. 74/92.
2.
In via preliminare, ai sensi dell’art. 52 r.d. n. 642/1907, data l’evidente
connessione oggettiva e (parzialmente) soggettiva dei ricorsi, se ne dispone la
riunione al fine di un’unica decisione.
2.a
Vanno in primo luogo respinti i motivi con cui BAT Italia e JT
International hanno affermato che l’Autorità avrebbe dovuto escluderle
dall’istruttoria, in quanto non producono né distribuiscono in Italia i prodotti
oggetto della segnalazione. Entrambe le società non si sono infatti limitate a
dedurre il proprio difetto di legittimazione passiva, ma hanno contestato il
merito del provvedimento, palesando così il loro chiaro interesse sostanziale
alla diffusione dei messaggi nella forma ritenuta ingannevole dell’Autorità.
Ad ogni buon conto la circostanza, allegata in particolare da JT International
s.a., secondo la quale essa non svolge direttamente attività commerciale in Italia,
è di per sé irrilevante in quanto la società avrebbe dovuto concretamente
dimostrare di non essere neppure il committente del messaggio (ai sensi dell’art.
2, lett. c, del d.lgs. n. 74/92), e cioè il soggetto nel cui interesse il messaggio
pubblicitario - peraltro nella fattispecie incorporato nello stesso marchio - è
concepito e diffuso (cfr. AGCM, 25 agosto 1999, n. 7498).
Anche l’omologa eccezione sollevata da BAT Italia è rimasta del tutto
indeterminata. La società, inoltre, successivamente ai fatti per cui è causa, ha
acquisito il pacchetto azionario di E.T.I., s.p.a. di talché deve ritenersi venuto
meno anche l’interesse a coltivare il mezzo, formale, in esame.
3.
Nel merito, le ricorrenti hanno in primo luogo posto in dubbio la natura
pubblicitaria delle diciture “lights”, e simili, apposte sui pacchetti di sigarette, in
quanto parte integrante dei marchi con cui i prodotti vengono commercializzati.
3.a
Il motivo non può essere condiviso.
Ai sensi dell’art. 2, lett. a), del d.gls.n. 74/92 (oggi trasfuso nell’art. 20, lett. a,
del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), per pubblicità deve intendersi “qualsiasi
forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di
un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di
promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il
trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di
servizi”.
L’art. 7, comma 7, del cit.d.lgs. (oggi art. 26, comma 8, d.lgs. n. 206/2005)
considera poi espressamente quali messaggi pubblicitari le indicazioni inserite
sulla confezione dei prodotti, prevedendo in tal caso l’assegnazione di un
termine per l’esecuzione dei provvedimenti sospensivi o inibitori adottati
dall’Autorità “che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l'adeguamento”.
La definizione accolta dal legislatore (in armonia con l’art. 2 della direttiva
9
84/450/CEE) non prevede forme tipiche di pubblicità in quanto, come noto, il
mondo della comunicazione commerciale è variegato e multiforme. Spetta
pertanto alla stessa Autorità l’apprezzamento dell’effettiva valenza
promozionale di un messaggio, indipendentemente dalla forma e dalle modalità
attraverso le quali venga diffuso. In particolare, l’insieme delle indicazioni
riportate nella confezione di un prodotto, e nella sua etichettatura,
contribuiscono alla definizione dell’identità del prodotto, costituendo pertanto
un importante strumento concorrenziale, capace di influenzare in maniera
determinante i consumatori, al pari della tradizionale reclame.
Merita perciò piena condivisione il canone interpretativo, elaborato dall’Autorità
anche sulla scorta dell’elaborazione giurisprudenziale, in base al quale, nelle
ipotesi in cui i segni distintivi dell’impresa ssumano, in funzione del contesto in
cui sono inseriti, del rilievo grafico, o del collegamento con i vanti prestazionali
in esso contenuti, una vera e propria centralità nel messaggio, l’Autorità è
chiamata a valutarne l’eventuale ingannevolezza.
Sono poi le stesse ricorrenti a ricordare l’orientamento della Corte di
Cassazione, la quale, pur escludendo che, di per sé, l’uso del marchio di un
prodotto da fumo possa integrare la violazione del divieto di pubblicità di cui
alla l.n. 165/62 - in quanto non costituente propaganda in senso tecnico -ne ha
tuttavia espressamente riconosciuto la potenziale valenza promozionale (cfr., da
ultimo, Cass., 14.9.2004, n. 18431).
Del resto, il controllo affidato all’Autorità riguarda ogni forma di pubblicità e
quindi anche quella posta in essere mediante l'omissione di elementi informativi
idonei a porre il consumatore nella condizione per potersi liberamente
determinare nel proprio comportamento economico (cfr. sul punto T.a.r. Lazio,
sez.I, 17 settembre 1999, n. 2077).
Così, anche nella fattispecie, l’Autorità non è stata chiamata a verificare la
violazione del divieto di cui alla n. 165 del 1962, bensì a valutare la completezza
dell’informazione codificata nella presentazione del marchio.
In particolare, relativamente alla natura pubblicitaria del messaggio, ha
osservato che il collegamento tra la dicitura “light” e l’indicazione del tenore di
condensato e di nicotina prevista dalla legge, si traduce in “un preciso vanto in
ordine ad una caratteristica del prodotto, apparendo pertanto volta a
promuoverne l’acquisto”. La dicitura in questione, ancorché parte integrante del
marchio, comunica con immediatezza al consumatore una caratteristica
qualitativa del prodotto che, diversamente, potrebbe essere desunta solo
dall’attenta e analitica disamina delle indicazioni tecniche relative al tenore di
condensato e di nicotina. Si tratta perciò non già di un’espressione neutra o
meramente ripetitiva di tali indicazioni, bensì di una forma di comunicazione
commerciale, volta a facilitare e orientare le scelte d’acquisto del consumatore.
In definitiva, correttamente l’Autorità considera messaggi pubblicitari tutte le
indicazioni comunque riferite ai contenuti e ai caratteri dei prodotti offerti
dall'impresa (cfr., sul punto, Cons. St., Sez. I, parere n. 132 del 17.3.2004).
4.
Con un ulteriore ordine di censure le ricorrenti hanno evidenziato che,
anche qualora integrassero un messaggio pubblicitario, i marchi in esame e le
confezioni di sigarette sulle quali sono apposti sono stati assentiti
preventivamente dall'Ufficio Italiano Marchi e Brevetti e dall'Amministrazione
Autonoma dei Monopoli di Stato, anche in relazione ad eventuali profili di
ingannevolezza. In particolare, gli accertamenti in materia di validità dei marchi,
anche in relazione al divieto dell’utilizzo decettivo stabilito dall’art. 11 del r.d.
n. 928/42, sono riservati all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 56 dello stesso
10
r.d..
4.a
Giova in primo luogo ricordare che questo stesso T.a.r. ha da tempo
chiarito che non vi è inconciliabilità bensì convergenza tra la disciplina
regolante l’uso dei marchi e quella relativa al contrasto della pubblicità
ingannevole, convergenza dimostrata proprio dall'introduzione nel testo del r.d.
n. 929 del 1942 - modificato in data successiva (d.lgs. n. 480 del 4 dicembre
1992) a quella di emanazione delle norme poste a tutela della pubblicità
ingannevole d.lgs. n. 74 del 25 gennaio 1992) - di specifiche prescrizioni volte a
tutelare specificamente “il pubblico” da un'utilizzazione ingannevole del
marchio di impresa (cfr. T.a.r. Lazio, n. 2077/99, cit.).
La piena compatibilità tra le due discipline deriva peraltro dalla stessa
formulazione della direttiva n. 84/450/CEE (così come modificata dalla direttiva
97/55/CE), in materia di pubblicità ingannevole, e della direttiva n. 89/104/CEE
del 21 dicembre 1988, in tema di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di marchi d’impresa, dalle quali si ricava che le rispettive
disposizioni non sono alternative, bensì concorrenti nella complessiva tutela
degli interessi competitivi delle imprese e nella protezione dei consumatori sotto
ogni possibile aspetto. Il 6° considerando della direttiva n. 89/104 afferma infatti
che “la presente direttiva non esclude che siano applicate ai marchi di impresa
norme del diritto degli Stati membri diverse dalle norme del diritto dei marchi
di impresa, come le disposizioni sulla concorrenza sleale, la responsabilità
civile o la tutela dei consumatori”, mentre l’ultimo considerando, della direttiva
n. 84/450/CEE, stabilisce che “la presente direttiva non deve opporsi al
mantenimento o all'adozione da parte degli Stati membri di disposizioni che
abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela dei consumatori, delle
persone che esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o
professionale, nonché del pubblico in generale”.
Nella normativa interna in materia di contrasto della pubblicità ingannevole,
l’unica preclusione all’esercizio del controllo affidato ad AGCM si verifica
nell’ipotesi in cui la legge preveda un controllo obbligatorio da parte di un’altra
autorità amministrativa, da esercitarsi prima della diffusione di un messaggio
pubblicitario, che sia preordinato anche alla verifica del carattere non
ingannevole della stessa. Tale è ad esempio il controllo delle pubblicità
concernenti presidi medico–chirurgici effettuato in via esclusiva dal Ministero
della Salute il quale rilascia all’uopo apposita autorizzazione (cfr. T.a.r. Lazio,
Sez.I, 23.6.2003, n. 5519).
Il controllo dell’Autorità riguarda poi non già il marchio in quanto tale, bensì il
contesto comunicativo in cui si inserisce e, in particolare, l’intera confezione del
prodotto che, nella fattispecie, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrenti, è
stata puntualmente analizzata e descritta dall’Autorità sia al paragrafo II (“I
Messaggi”) nella parte conclusiva del provvedimento (paragrafo V.4), in cui
viene apprezzata la valenza informativa dei c.d. “health warnings” e cioè delle
avvertenze sanitarie che, in quanto obbligatorie per legge, figurano sia sulle
confezioni delle sigarette “lights” che su quelle c.d. “full flavour”.
In definitiva, la circostanza che l’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti verifichi
anche, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. e) del r.d. n. 929/42, che il segno
distintivo di cui si chiede la registrazione non sia idoneo “ad ingannare il
pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla
qualità dei prodotti o servizi”, che ne sia vietato l’uso decettivo (art. 11 del cit.
r.d.), e che comunque sia prescritta la “decadenza” del marchio che sia divenuto
idoneo ad ingannare il pubblico (art. 41, lett.b del ripetuto r.d. n. 929/1942), non
11
esclude la specifica competenza dell’Autorità, intesa all'applicazione della
disciplina generale in materia di pubblicità ingannevole.
Analoghe considerazioni valgono per i controlli effettuati dall’
l’Amministrazione dei Monopoli di Stato. Infatti, anche l’accertamento
effettuato da AAMS, al momento dell’iscrizione in tariffa, in ordine alla
rispondenza della confezione e dell’etichettatura alla normativa comunitaria e
nazionale, comporta unicamente una verifica di tipo settoriale, non essendo tale
Amministrazione specificamente e istituzionalmente preposta ad esercitare le
competenze previste dall’art. 4 della direttiva 84/450/CEE.
Va ancora chiarito che il controllo dell’Autorità ha carattere permanente, ben
potendo accadere che una comunicazione commerciale, originariamente priva di
valenza ingannevole, assuma tale carattere in un momento successivo a quello
dell’immissione in commercio del prodotto cui si riferisce. A tale riguardo,
peraltro, le ricorrenti ritengono sufficiente la disposizione dell’art. 41 della legge
marchi, secondo la quale il marchio d’impresa decade, tra l’altro, ove divenga
“idoneo a indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità
o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene
utilizzato dal titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è
registrato”.
Tuttavia, in disparte la già rilevata compatibilità delle due normative, la norma
sulla decadenza del marchio non prevede alcuna mediazione da parte di
un’autorità amministrativa di settore e comunque l’accertamento giudiziale in
questione rimane solo eventuale in quanto affidato all’impugnativa di chi abbia
un concreto interesse ad agire, da intendersi nel significato, strettamente
processuale, della “necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione
attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica”
(così Cass. 15 aprile 2002, n. 5420). Invece, il controllo affidato all’Autorità è
espressione di una potestà amministrativa, volta in via istituzionale e
permanente alla protezione del consumatore e degli interessi concorrenziali delle
imprese.
5.
Quanto al rapporto tra il divieto di propaganda dei prodotti da fumo (l.
n. 165/62, nel testo sostituito dall'art. 8 del D.L. 10 gennaio 1983, n. 4,
convertito nella legge 22 febbraio 1983, n. 52) e la disciplina di tutela contro la
pubblicità ingannevole, la Cassazione ha chiarito (a partire dalla pronuncia delle
Sezioni Unite n. 10508/1995) che si tratta di sistemi sanzionatori autonomi in
quanto, in materia di tutela della salute pubblica contro la propaganda
pubblicitaria dei prodotti da fumo, occorre verificare non già se un determinato
prodotto possa ingenerare confusione nel consumatore e trarlo in errore
inducendolo all'acquisto con pregiudizio per il prodotto concorrenziale, ma solo
se un messaggio pubblicitario abbia una tale portata da integrare gli estremi
della propaganda pubblicitaria vietata dei prodotti da fumo. Il divieto di
propaganda dei prodotti da fumo colpisce peraltro anche le forme occulte di
pubblicità, le quali costituiscono effettivamente una sottospecie della pubblicità
ingannevole. Tale possibile qualificazione non esclude però la competenza
dell’Autorità, la quale è chiamata a valutare unicamente detta ingannevolezza,
sul piano obiettivo, e non anche la sussistenza di un illecito per infrazione del
divieto di propaganda dei prodotti da fumo.
6.
Le ricorrenti hanno poi contestato all’Autorità di essersi sostituita al
legislatore e di avere sostanzialmente anticipato l’attuazione della direttiva
2001/37/CE (sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e
12
alla vendita dei prodotti del tabacco), la quale spettava invece, ai sensi dell’art.
1, l. 1 marzo 2002, n. 39 (Legge comunitaria 2001) alla valutazione
discrezionale del Legislatore delegato.
Come noto tale direttiva, all’art. 7, prescrive che “Con effetto a partire dal 30
settembre 2003 e fatto salvo l'articolo 5, paragrafo 1, le diciture,
denominazioni, marchi, immagini e altri elementi figurativi o altri simboli che
suggeriscono che un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri non
sono usati sulle confezioni dei prodotti del tabacco”.
Nel considerando n. 27 è precisato che “L'uso sulle confezioni dei prodotti del
tabacco di diciture quali "basso tenore di catrame", "ultra-light", "light",
"mild", di nomi, immagini ed elementi figurativi o altri segni può trarre in
inganno il consumatore dando la falsa impressione che i suddetti prodotti siano
meno nocivi, e portare ad un aumento dei consumi. Le abitudini di fumo e la
dipendenza, e non solo il contenuto di talune sostanze nel prodotto prima del
consumo, determinano il livello delle sostanze inalate. Di tale fatto non si tiene
conto nell'uso di tali termini e può minare il sistema di requisiti per
l'etichettatura stabilito nella presente direttiva. Per assicurare il corretto
funzionamento del mercato interno, e dato lo sviluppo delle norme
internazionali proposte, il divieto di tale utilizzazione dovrebbe avvenire a
livello comunitario concedendo tempo sufficiente per introdurre tale norma”.
Successivamente è entrato in vigore il d.lgs. 24 giugno 2003, n. 184, recante
“Attuazione della direttiva 2001/37/CE in materia di lavorazione, presentazione
e vendita dei prodotti del tabacco”, il cui art. 8 dispone “A decorrere dal 30
settembre 2003, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 6, comma 1, è vietato
l'uso sulle confezioni dei prodotti del tabacco di diciture quali: «basso tenore di
catrame», «light», «ultra light», «mild», nonché di denominazioni, marchi,
immagini ed altri elementi figurativi o simboli comunque suscettibili di
suggerire che un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri.”.
Le ricorrenti, nelle memorie conclusive, hanno sottolineato come le disposizioni
sopravvenute rafforzino quanto ab origine sostenuto circa la l’indebita
sostituzione dell’Autorità al legislatore.
Si sono soprattutto richiamate all’ordinanza del Tribunale di I Grado (10
settembre 2002, in causa - 223/01, JTI c. Parlamento e Consiglio), il quale, nel
pronunciarsi sull’inammissibilità dell’impugnativa della direttiva 2001/37/CE
proposta da due società del gruppo Japan Tobacco (tra cui l’odierna ricorrente
JT International), evidenziava che l’art. 7 non avrebbe comportato alcuna
modificazione della situazione giuridica delle ricorrenti fino alla sua
trasposizione nell’ordinamento nazionale di almeno uno Stato membro, o fino
alla scadenza del termine previsto per la sua trasposizione, fissato al 30
settembre 2003. In particolare, secondo il TPG, la decisione di includere, o non
includere, nel diritto nazionale, sia a titolo di esempio che in relazione ad un
divieto specifico, termini o segni come quelli riportati al ventisettesimo
considerando, rientrava, conformemente all’art. 249 del Trattato, nella
competenza degli Stati membri “quanto alle forme e ai mezzi”. Tale pronuncia,
secondo le ricorrenti, conferma il valore meramente esemplificativo delle
diciture elencate dalla direttiva, e quindi l’inesistenza di un preciso vincolo per
gli Stati membri di darvi attuazione nel senso di proibire specificamente la
dicitura “Lights”. L’Autorità avrebbe inoltre frainteso il Tribunale di I grado –
nella parte in cui affermava che non si potesse escludere che uno Stato membro
decidesse di attuare l’art. 7, recependone direttamente il testo, e quindi affidando
“ai giudizi nazionali competenti o alle altre autorità incaricate di far rispettare
13
la normativa di cui trattasi, il compito di decidere caso per caso se i termini
figuranti su una particolare confezione rientrino nel campo di applicazione del
divieto” – là dove ha ritenuto di potere ricavare da tale espressione la sussistenza
della propria competenza in ordine all’accertamento dell’ingannevolezza di tale
forma di pubblicità indipendentemente dall’attuazione della direttiva (paragrafo
V.4, pag. 20).
In definitiva, non era assolutamente scontato che il Legislatore, al quale
l’Autorità si è indebitamente sostituita, decidesse di vietare direttamente le
diciture in esame.
6.a
Il Collegio osserva che le censure appena sintetizzate si fondano su un
travisamento dello sviluppo logico dell’argomentazioni dell’Autorità, la quale
ha preliminarmente chiarito (paragrafo V. 2, in fine) che il proprio giudizio è
incentrato sull’applicazione del d.lgs. n. 74/92 e non mira a dare attuazione al
disposto della direttiva in questione, i cui contenuti vengono richiamati
unicamente quale “parametro interpretativo”.
Il riferimento alla decisione del Tribunale di I Grado è contenuto in un passo
successivo del ragionamento che riguarda invece la valenza del termine del 30
settembre 2003, a decorrere dal quale non avrebbero più potuto essere
commercializzate confezioni di sigarette recanti “diciture, denominazioni,
marchi, immagini e altri elementi figurativi o altri simboli che suggeriscono che
un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri”. Come già ricordato,
l’ordinanza del Tribunale di I Grado, fra le possibili ipotesi di trasposizione,
indicava anche quella del recepimento, sic et simpliciter, del cit. art. 7 della
direttiva. In questo caso, la vigilanza sull’applicazione del divieto non avrebbe
potuto che essere affidata direttamente alla decisione di una autorità
amministrativa e/o giurisdizionale, chiamata a stabilire caso per caso se un certo
termine o segno rientrasse nel campo di applicazione del divieto. Poichè tuttavia
un simile giudizio coincide con quello di ingannevolezza, l’espressione
utilizzata nel provvedimento impugnato in questa sede (“tale decisione, nel
presente caso, viene qui assunta dall’Autorità”) rimanda, ancora una volta, alle
attuali competenze di quest’ultima in materia di pubblicità ingannevole e non
comporta una indebita anticipazione di decisioni riservate al legislatore
nazionale. E’ poi facile rilevare che, sebbene, la decorrenza del divieto di
utilizzo di diciture ingannevoli, nel senso precisato dalla direttiva, sia stato
fissato da quest’ultima al 30 settembre 2003, al fine di consentire a tutti i
produttori di procedere in maniera uniforme all’adeguamento delle confezioni e
conseguentemente per evitare effetti distorsivi all’interno del mercato
comunitario, al momento in cui AGCM ha emesso il provvedimento impugnato
era però già scaduto il termine del 30 settembre 2002, stabilito dall’art. 14 della
direttiva per l’adozione da parte degli Stati membri delle “disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie” per conformarsi alla
direttiva. Poiché dunque quest’ultima aveva ormai acquistato forza obbligatoria
per tutti i soggetti dell’ordinamento (comunitario), legittimamente l’Autorità
l’ha considerata parte integrante del diritto comune, assumendola a parametro
applicativo e interpretativo nell’esercizio delle proprie attribuzioni in materia di
contrasto alla pubblicità ingannevole. E’ poi evidente che AGCM ha fatto
riferimento non già semplicemente al solo divieto di cui all’art. 7, bensì
all’impianto complessivo della direttiva quale espressione della policy
comunitaria in materia, fondata sull’ “l'obbligo della Comunità di garantire un
elevato livello di protezione della salute umana” (considerando n. 23). Tale
obbligo, inoltre, non è stato definito in astratto, bensì sulla base degli “sviluppi
14
fondati su riscontri scientifici” (così il considerando n. 4), i quali hanno
dimostrato che “Le abitudini di fumo e la dipendenza, e non solo il contenuto di
talune sostanze nel prodotto prima del consumo, determinano il livello delle
sostanze inalate”(così ancora il cit. considerando n. 27).
7.
Le ricorrenti si sono poi soffermate sulla contraddizione esistente tra la
presente decisione e le conclusioni (di non ingannevolezza), alla quali l’Autorità
era pervenuta nel caso “Rothmans Leggere”.
L’Autorità ammette che tale provvedimento - incentrato peraltro soprattutto
sulle caratteristiche del prodotto, ai sensi dell’art. 3 e sulla verifica dell’effettiva
presenza di un minore tenore di condensato e di nicotina in tale tipo di sigarette
rispetto alle sigarette normali - possa avere ingenerato
l’affidamento degli operatori di settore in merito alla legittimità
dell’utilizzazione del descrittore “lights”. Nel presente caso essa si è tuttavia
basata sui nuovi elementi di fatto e di diritto emersi nell’istruttoria che ha
condotto all’adozione del provvedimento “Marlboro Lights”. I nuovi elementi
sono innanzitutto rappresentati dal fatto che gli ultimi studi e il relativo dibattito
scientifico “hanno messo maggiormente in luce che non sono minori i danni alla
salute provocati dal fumo di sigarette leggere rispetto a quelli prodotti da
sigarette normali”. Inoltre “si sono meglio evidenziate la sussistenza e la
rilevanza dei comportamenti c.d. compensativi assunti dai fumatori di sigarette
“lighs”, in quanto risulta che il minor contenuto di condensato e di nicotina non
comporta automaticamente come conseguenza che i fumatori non ne inalino i
medesimi quantitativi che trarrebbero da una sigaretta normale”. L’accresciuta
consapevolezza in merito alla non minore nocività delle sigarette “lights” è stata
fatta propria dal Legislatore comunitario e “trova compiuta espressione nei
contenuti della direttiva 2001/37/CE, adottata dal Parlamento Europeo e dal
Consiglio il 5 giugno 2001 e recepita a livello nazionale nella legge
comunitaria 2001 (l. 1 marzo 2002, n. 39)”.
Le ricorrenti hanno contestato che, successivamente al caso “Rothmans
Leggere”, vi siano stati studi scientifici successivi veramente innovativi, e che
tali possano considerarsi quelli esaminati nel caso “Marlboro Lights”. Lo stesso
è a dirsi in relazione all'adozione della direttiva comunitaria 2001/37/CE, una
proposta della quale era stata già pubblicata nella GUCE precedentemente
all'adozione del provvedimento “Rothmans Leggere”.
In particolare, hanno sottolineato che l’esistenza di un effetto compensativo
nella abitudini dei fumatori di sigarette leggere, ed in generale la loro
pericolosità, sono oggetto di dibattito scientifico da decenni. Inoltre, se è
ammissibile che il Legislatore comunitario, al fine di tutelare la salute, a fronte
di dubbi in merito alla condivisibilità di un’ipotesi scientifica (come quella
relativa alla non minore pericolosità delle sigarette light), adotti specifiche
misure legislative, l’Autorità deve invece basare le proprie determinazioni su
adeguate evidenze scientifiche.
7.a
Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.
La circostanza che i c.d. effetti compensativi riscontrati nelle abitudini dei
fumatori delle sigarette formino oggetto di studi risalenti nel tempo o che, in
passato, le politiche sanitarie di molti paesi abbiano puntato, ovviamente in
un’ottica di “second best”, sullo sviluppo di sigarette aventi un ridotto contenuto
di condensato e di nicotina, non ha alcun rapporto con il giudizio di
ingannevolezza formulato dall’Autorità, la quale, come tutti gli organi
amministrativi, è tenuta a determinarsi sulla base del quadro, normativo e
fattuale, del momento in cui provvede.
15
Inoltre, anche sul piano empirico, è ben nota l’importanza del “fattore tempo”
richiesto dal metodo scientifico per il controllo e la sperimentazione. Pertanto,
il fatto che l’ipotesi inizialmente formulata da una parte della comunità
scientifica circa la minore pericolosità delle sigarette leggere (pur nella piena
consapevolezza dell’esistenza di “effetti compensativi”) non sia stata nel tempo
convalidata da sicure evidenze sperimentali, ha introdotto un forte elemento di
criticità in tale opinione, efficacemente sintetizzata nelle conclusioni dello
studio condotto dall’U.S. National Cancer Institute sul quale l’Autorità si è
basata nel caso “Marlboro Lights” e la cui autorevolezza è riconosciuta dalle
stesse ricorrenti.
Del resto l’Autorità, nel provvedimento impugnato, fa espresso riferimento all’
“accresciuta consapevolezza” e non già ad una consapevolezza acquisita solo di
recente, circa la non minore nocività delle sigarette lights (Sez. V., 2, pag. 16),
nonché ad una maggiore e migliore “evidenziazione” in ordine ai comportamenti
c.d. compensativi assunti dai fumatori di sigarette lights.
Va ancora soggiunto che, in materia pubblicità ingannevole, ciò che rileva non è
tanto la consapevolezza di un fenomeno da parte della comunità scientifica, ma
la ben diversa percezione che ne possano avere i consumatori, a prescindere dal
rispettivo grado di informazione e vigilanza.
Ai fini del giudizio di ingannevolezza è poi irrilevante stabilire quale sia
l’effettiva causa della valenza positiva del messaggio connesso al descrittore
“lights”, e cioè se tale effetto sia dovuto al termine in sé, o ad eventuali fattori
esterni, quali ad esempio le pregresse politiche sanitarie pubbliche o le
informazioni scientifiche disponibili. E’ infatti noto che il comportamento del
consumatore è determinato da una molteplicità di fattori socio – culturali, e che i
messaggi pubblicitari tanto più sono efficaci quanto più sono in grado di evocare
e di convogliare sul prodotto o il servizio da promuovere connotazioni positive.
Nemmeno è condivisibile l’affermazione delle ricorrenti secondo cui alcun
rilievo avrebbe dovuto essere attribuito alla direttiva 2001/37/CE, in quanto
fondata su una scelta discrezionale del legislatore comunitario dettata dal
principio di precauzione, là dove invece l’Autorità è tenuta a determinarsi
esclusivamente sulla base di solide evidenze scientifiche, allo stato non ancora
raggiunte, circa la possibilità che le sigarette “leggere” producano danni minori
di quelle normali.
Gli standard in materia di protezione della salute non rappresentano infatti
soltanto un obiettivo programmatico ma contribuiscono a definire il contenuto
dei diritti soggettivi individuali riconosciuti al singolo dall’ordinamento
comunitario, ivi compreso quello all’informazione, trasparente e completa, alla
quale i consumatori debbono poter accedere in condizioni di parità con le
imprese (cfr. art. 153 ex art. 129 A del Trattato). Del pari irrilevante è la
circostanza che la proposta di Direttiva fosse già nota all’epoca del caso
“Rothmans Leggere” e che tuttavia non abbia influito su tale decisione.
L’adozione della direttiva segna infatti il passaggio dalla fase di elaborazione
politico – istituzionale a quella della vera e propria innovazione ordinamentale,
con i conseguenti effetti obbligatori sia in senso “verticale” che “orizzontale”
(questi ultimi operanti alla scadenza del termine prescritto per il recepimento).
8.
Le ricorrenti hanno poi stigmatizzato la decisione dell’Autorità di
acquisire al procedimento le ricerche di mercato commissionate alle società
Nielsen ed Eurisko nell’ambito del procedimento “Marlboro Lights”, e hanno
sostenuto che, comunque, i dati emergenti dai predetti sondaggi, non siano stati
correttamente interpretati. In particolare imputano all’Autorità di non avere
16
spiegato il motivo per cui, anche a volere ritenere attendibile i risultati di tali
sondaggi - secondo i quali una percentuale di poco superiore al 10% dei soggetti
consultati decodifica la dicitura “lights” nel senso che le sigarette leggere
sarebbero meno nocive di quelle normali -, reputi idonea una simile percentuale
a sorreggere un giudizio di ingannevolezza, là dove, a livello comunitario, la
Corte di giustizia impone invece di prendere in considerazione le aspettative di
un “consumatore medio, normalmente informato, e ragionevolmente attento ed
avveduto”. Inoltre, nel terzo sondaggio preso in esame dall’Autorità (quello
commissionato dalla Japan Tobacco), è risultato che solo il 6% dei fumatori
(corrispondente al 2% della popolazione), fuma sigarette “lights” perché ritiene
che le stesse possano essere meno dannoso per la propria salute.
8.a
Sul piano procedimentale, reputa il Collegio che non vi sia stata alcuna
violazione delle garanzie del contraddittorio in quanto le ricorrenti sono state
previamente informate della decisione dell’Autorità di acquisire i test già
utilizzati nel caso Marlboro e hanno quindi avuto ampio modo di svolgere le
proprie difese. Tale circostanza è in particolare dimostrata dal fatto che una delle
ricorrenti, Japan Tobacco, ha non soltanto commissionato un’ulteriore indagine
di
mercato
ad
un
proprio
perito
(la
società
statunitense
Research/Strategy/Management), ma ha anche rielaborato criticamente gli stessi
dati emergenti dai sondaggi Eurisko e Nielsen.
8.b
Circa l’attendibilità dei risultati dei tre sondaggi esaminati, il Collegio
rileva che l’Autorità non ne ha prescelto uno in particolare, ma, piuttosto,
ritenendoli compatibili tra loro, ne ha dato una valutazione complessiva,
giungendo alla conclusione che tutti confermino l’esistenza di una fascia di
consumatori che interpreta la dicitura “lights” come indice di una minore
dannosità del prodotto rispetto alle sigarette normali.
E’ pertanto irrilevante, in questa sede, analizzare quale sia la metodologia più
corretta d’indagine e quale l’esatta percentuale dei consumatori indotti in errore
dalla dicitura “lights”.
Per completezza, il Collegio osserva che non appare contestabile il metodo
utilizzato nei sondaggi commissionati nell’ambito del procedimento Marlboro
Lights, incentrato sulle caratteristiche del prodotto e non già sul solo
“descriptor”, in quanto l’Autorità è chiamata, come più volte chiarito, a valutare
il complessivo contesto comunicativo nel quale un messaggio venga utilizzato.
Per lo stesso motivo, non occorreva anche verificare se il convincimento dei
consumatori circa la minore pericolosità delle sigarette lights derivi dal termine
in sé, dal collegamento con le altre diciture presenti sul pacchetto, ovvero dal
dibattito scientifico e dal quadro normativo in materia. Il valore evocativo del
termine è infatti probabilmente determinato da tutti questi fattori messi insieme,
nonché da altri ancora, individuabili (come sottolineato dal Codacons, che cita il
caso dei cibi c.d. “light”) nella stessa naturale propensione dell’uomoconsumatore medio a dare connotazione positiva al “descriptor” in esame e,
conseguentemente, ai prodotti ai quali venga associato.
Circa la pretesa necessità di individuare una soglia “critica” di consumatori
indotti in errore, il Collegio osserva quanto segue.
Va premesso che, da un punto di vista meramente empirico, nemmeno la società
JT ha sostenuto che le percentuali rilevate da RSM, sebbene più modeste di
quelle risultanti dalle ricerche Nielsen ed Eurisko, non siano statisticamente
significative.
Orbene, le ricorrenti mettono in rapporto tale percentuale critica con il modello
del “consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed
17
avveduto” al quale si richiamano numerose sentenze della Corte di giustizia in
materia di pubblicità ingannevole (le ricorrenti citano in particolare la sentenza
del 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder). Ma tra i due parametri, a
parere del Collegio, vi è non già un rapporto di convergenza bensì, semmai, di
alternatività. Infatti, mentre il “consumatore medio” corrisponde ad un modello
giuridico astratto, il secondo è un metodo di indagine empirica al quale, secondo
la stessa Corte di giustizia, in mancanza di specifiche e uniformi disposizioni
comunitarie, i giudici nazionali possono ricorrere al fine di stabilire se una
determinata percentuale, ancorché esigua, di consumatori indotti in errore da
una determinata dicitura pubblicitaria, rilevi o meno ai fini del giudizio di
ingannevolezza (così ancora la Corte di Giustizia nella sentenza resa nel caso
Estée Lauder). E’ dunque evidente che, a livello comunitario, non vi è una
decisa e chiara opzione in ordine al profilo del soggetto degno di essere protetto
dagli effetti ingannevoli della pubblicità. Il modello astratto del consumatore
medio appare poi idoneo, ai fini del giudizio di ingannevolezza, soprattutto nelle
ipotesi in cui è sufficiente operare un bilanciamento, secondo il principio di
proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e il diritto del
consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale, ma
non già in quelle in cui la repressione della pubblicità ingannevole è funzionale
alla protezione di più rilevante bene giuridico, quale, in particolare, il diritto alla
salute, la cui tutela deve essere ovviamente assicurata anche ai consumatori più
sprovveduti o non particolarmente vigili.
La giurisprudenza di questo Tribunale ha poi costantemente osservato che con il
decreto legislativo n. 74/1992 il legislatore ha voluto garantire la libertà del
destinatario di un messaggio pubblicitario di autodeterminarsi al riparo da ogni
possibile influenza, anche indiretta, che possa anche solo teoricamente incidere
sulle sue scelte economiche. In coerenza con questa premessa, poiché la
normativa in materia non ha la mera funzione di assicurare una reazione alle
lesioni arrecate dalla pubblicità ingannevole agli interessi del consumatore, ma
si colloca su di un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa ad evitare
effetti dannosi anche soltanto ipotetici, è stata esclusa la necessità sia che
rispetto ad un dato comunicato venga accertata la condizione soggettiva media
di intelligenza del consumatore, sia che risulti un pregiudizio economico
derivante dalla pubblicità ingannevole. La violazione, nell'informazione
pubblicitaria, del dovere di rispettare i parametri di correttezza fissati dalla
normativa vigente sussiste, pertanto, anche quando la carenza di uno dei
requisiti voluti dalla legge sia solo potenzialmente idonea a ledere la libertà di
autodeterminazione del consumatore (così T.a.r. Lazio, sez. I, 18 giugno 2003,
n. 5424 ed i precedenti ivi richiamati).
La scelta della fascia di collettività sulla quale appuntare la tutela (perché
considerata particolarmente vulnerabile) costituisce perciò determinazione di
merito insindacabilmente devoluta all'Autorità (cfr. T.a.r. Lazio, sez. I, 13
ottobre 2003, n. 8321). Questa, nella fattispecie, ha ragionevolmente individuato
nei fumatori lights la categoria che costituisce “la più immediata destinataria
del messaggio” (Sezione V.4, pag. 19) e rispetto alla quale la percentuale di
consumatori che associano alla dicitura “lights” un significato positivo aumenta
sensibilmente.
Parimenti corretto, infine, è il richiamo agli elevati standard comunitari di
protezione della salute, ispirati dal principio di precauzione e logicamente
prescelti dall’Autorità quale parametro dell’obbligo di informazione sancito a
carico dei degli operatori pubblicitari (cfr. il più volte cit. art. 5 del d.lgs. n.
18
74/92).
9.
Quanto al bilanciamento del potenziale carattere fuorviante della dicitura
“lights”, che, secondo le ricorrenti, dovrebbe riconoscersi alle avvertenze
sanitarie obbligatoriamente presenti su tutte le confezioni di sigarette (“il fumo
uccide”) e che l’Autorità avrebbe trascurato di valutare, una
diretta
confutazione di tale assunto è rinvenibile proprio nei risultati dei sondaggi
analizzati dal provvedimento. L’esistenza di una fascia di consumatori che
ritiene le sigarette lights meno nocive di quelle normali, rappresenta infatti un
indizio concreto del fatto che la valenza informativa degli “health warnings” può
essere vanificata da quella, positiva, del “descriptor” in esame. Sono poi le
stesse ricorrenti a ricordare che l’Autorità ha sempre interpretato la disposizione
di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74/92 nel senso che la stessa non vada applicata nei
casi in cui la pericolosità, anche potenziale, sia una caratteristica intrinseca del
prodotto o di comune esperienza o immediatamente percepibile da parte del
consumatore. Tale immediata percepibilità, nella fattispecie, è però
evidentemente ostacolata dai messaggi segnalati, i quali depotenziano o,
quantomeno, rendono ambigua l’informazione codificata nelle avvertenze
sanitarie obbligatorie.
Le ricorrenti hanno ancora fatto osservare di non avere (o di non avere avuto) la
possibilità di differenziare o puntualizzare i propri messaggi in quanto il
contenuto delle avvertenze obbligatorie è stabilito per legge.
Tuttavia, il fatto che le avvertenze sanitarie non possano essere modificate, o
comunque modulate in modo tale da richiamare l’attenzione dei consumatori
sulla non minore pericolosità delle sigarette lights, è irrilevante ai fini del
giudizio di ingannevolezza, potendo semmai influire sulla valutazione della
sussistenza e/o della misura della responsabilità delle ricorrenti nella diffusione
del messaggio.
10.
E’ stato ancora sostenuto che l’Autorità non avrebbe dato alcuna prova
che le ricorrenti abbiano colpevolmente tenuto un comportamento omissivo, tale
da indurre i consumatori a violare le regole di ordinaria diligenza e prudenza.
In proposito va però ricordato che la tutela del consumatore, nei confronti della
pubblicità che non sia palese, veritiera e corretta, ha riguardo non tanto
all'elemento soggettivo dell'autore del messaggio, ma all’idoneità obiettiva di
quest'ultimo a pregiudicare la libera scelta del consumatore stesso (cfr. sul
punto, Cons. St., sez. VI, 6 marzo 2001, n. 1254).
Così, anche nella fattispecie, la dicitura light, in quanto contraddistingue una
prodotto che ha un minor contenuto di nicotina e catrame rispetto alle sigarette
normali, è di per sé veritiera, oltre ad essere rispondente all’iniziale
convincimento della comunità scientifica circa la minore pericolosità di questo
tipo di prodotto. La dicitura è invece divenuta potenzialmente fuorviante nel
momento in cui l’informazione nella stessa codificata non ha più trovato piena
rispondenza nelle evidenze scientifiche e nelle politiche delle autorità sanitarie
internazionali, divenendo pertanto ingannevole, almeno per i consumatori più
sprovveduti o disattenti.
Occorre anche precisare, circa le preoccupazioni manifestate dalle ricorrenti in
ordine alla possibile strumentalizzazione del provvedimento dell’Autorità, che le
valutazioni di quest’ultima operano sul piano specifico che è loro proprio, senza
pertanto esplicare, di per sé, alcun effetto diretto in ordine all’accertamento della
responsabilità civile per i danni personali e patrimoniali asseritamente subiti da
singoli consumatori.
11.
Non può condividersi, infine, l’assunto secondo il quale l’Autorità
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avrebbe dovuto attentamente considerare che l’avvio del procedimento nei
confronti di alcuni soltanto dei produttori di sigarette lights avrebbe potuto
avere effetti destabilizzanti sul mercato di tale prodotto.
In primo luogo, da un punto di vista procedimentale, l’art. 7, comma 2, del d.lgs.
n. 74/92 (oggi art. 26, comma 2, d.lgs. n. 206/2005), stabilisce che condizione di
procedibilità per l’avvio di un procedimento in materia di pubblicità
ingannevole, è esclusivamente la segnalazione ad opera dei soggetti
specificamente indicati da tale norma e cioè i “concorrenti, i consumatori, le
loro associazioni ed organizzazioni, il Ministro delle attività produttive, nonché
ogni altra pubblica amministrazione che ne abbia interesse in relazione ai
propri compiti istituzionali, anche su denuncia del pubblico” i quali “possono
chiedere all'autorità garante che siano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole o
di pubblicità comparativa ritenuta illecita ai sensi della presente sezione, la
loro continuazione e che ne siano eliminati gli effetti”.
Nella fattispecie, l’Autorità ha avviato il procedimento nei confronti di tutti gli
operatori pubblicitari riconducibili ai messaggi indicati nella segnalazione del 7
ottobre 2002. Inoltre, il potenziale effetto distorsivo lamentato dalle ricorrenti
avrebbe semmai potuto derivare da un provvedimento inibitorio con effetti
anticipati rispetto alla data stabilita in sede comunitaria per l’adeguamento delle
confezioni, data alla quale però l’Autorità si è pienamente conformata.
12.
Circa, infine, la richiesta di JTI, di sollecitare, mediante una richiesta di
rinvio pregiudiziale, l’interpretazione della Corte di Giustizia in ordine alla
definizione di “consumatore medio”, reputa il Collegio che, dal momento che il
criterio “empirico”, nella fattispecie utilizzato dall’Autorità ai fini della
formulazione del giudizio di ingannevolezza, è stato pure esso ritenuto valido
dalla Corte di giustizia, non vi sia alcuna effettiva necessità di promuovere
un’ulteriore interpretazione delle norme comunitarie in materia.
13.
Per tutto quanto sopra argomentato, i ricorsi debbono essere respinti.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
PQM
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^,
definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti di cui in premessa, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11 gennaio 2006.
Pasquale de Lise
Presidente
Silvia Martino
Estensore
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