Settimana, 8 dic 2013/n. 44
Baby prostitute
Recenti fatti di cronaca hanno richiamato l’attenzione su un fenomeno che ha
“scandalizzato” molti. Ma è l’intera società che deve fare un sincero esame di
coscienza.
Di fronte al fenomeno delle baby prostitute giustamente l’Italia grida, sconcertata, all’emergenza
educativa.
Tutti ci scandalizziamo e ci chiediamo come questo possa essere successo e come possa continuare
a succedere. Ma, a ben vedere, il “problema” vero non sono le ragazzine, ma siamo
fondamentalmente noi adulti: incapaci di educarle e di responsabilizzarle nel prevenire ogni forma di
banalizzazione della sessualità e nell’evidenziare gli stretti legami che intercorrono tra la dimensione
sessuale della persona e i suoi valori etici. A volte, poi, sembra emergere la tendenza a
colpevolizzarle, facendo passare quasi per vittime i maschi che le hanno usate. Pochi, nella
circostanza, ritengono di riflettere seriamente su due dati incontrovertibili: la mercificazione del corpo
della donna e la domanda di sesso mercenario. Dati sui quali si fatica ad interrogarsi perché ritenuti
fuorvianti o considerati come facenti parte di una realtà immodificabile.
Mercificazione della donna.
Che le donne siano esposte ad un martellamento mediatico denigrante e mercificante sta sotto gli
occhi di tutti. La televisione e i cartelloni pubblicitari mostrano spesso il corpo femminile seminudo
come oggetto di seduzione, allo scopo di pubblicizzare qualsiasi prodotto.
L’effetto è quello di promuovere l’idea del corpo perfetto, creando nelle donne comuni complessi
d’inferiorità, anche perché i modelli estetici proposti dai media sono praticamente irraggiungibili.
In un simile contesto le bambine, fin da piccole, apprendono che l’avvenenza sessuale è la cosa più
importante richiesta alla donna. In Italia, negli ultimi decenni, la qualità dei programmi televisivi si è
talmente abbassata da ridursi quasi esclusivamente a spettacoli scadenti, volgari, sgradevoli. Da anni
ci siamo abituati all’esistenza di trasmissioni in cui sono presenti una o più figure femminili che si
offrono alla vista, ma non possiedono alcun ruolo, né competenze professionali.
Sebbene sia compito dei genitori evitare che i figli cadano vittime di questa mentalità perversa,
sembra che ciò non venga svolto correttamente. Con la conseguenza che molte ragazzine pensano
allo spettacolo e all’utilizzo del proprio corpo come unica soluzione per sopravvivere in una società
che non premia la meritocrazia, ma l’ignoranza, la corruzione e l’irresponsabilità.
Probabilmente, in tutto ciòrisiede anche la ragione per la qua-le può accadere che ragazze
anchemolto giovani scelgano la via dellaprostituzione: non è la strada piùfacile, ma sono talmente
abituatead essere trattate come oggetti daaver assimilato la convinzione diesserlo realmente.
Pubblicità lesiva della dignità della donna.
Bisogna direbasta all’immagine della donna oggetto, alla pubblicità lesiva della dignità della donna,
alla reificazionedelle donne, all’idea della donnacome oggetto per il piacere dell’uomo, alla
rappresentazione delcorpo femminile come pura merce, che finisce col rafforzare fuorvianti
atteggiamenti possessivi neiconfronti della donna. Solo la complicità subalterna alla rappresentazione
pubblica delladonna come mero oggetto di consumo spiega perché continua a la-titare un movimento
sociale di fer-ma, estesa e determinata rivoltacontro l’abitudine di considerarel’altra metà della
popolazione allastregua di corpi plastificati, di bambole virtuali, di ragazze-immagineche non
sembrano contare perquello che fanno o sanno fare, perle loro competenze professionali,per la loro
preparazione o per la loro storia (dolorosa, a volte; difficile,in molti casi), ma per come appaiono e per
ciò che non esprimono.Le ragazzine sono sempre più corpi e volti ritoccati per sottomettersi ad
un’unica ingiunzione: “sii bella e seducimi”.
La riduzione dell’immagine femminile alle sue caratteristiche e attrattive sessuali influisce sia sull’autopercezione delle donne stesse, sia su quella che,delle donne, maturano gli uomini,in particolar modo i
minori.
“Cliente” o “prostitutore”?
Relativamente, poi, alla domanda di sesso mercenario, è fondamentale riuscire quanto meno ascalfire
la cultura del silenzio checaratterizza la figura del cosiddetto“cliente”, introducendo elementicapaci di
provocare nei suoi confronti biasimo e non acritica o ca-meratesca comprensione. Affib-biare l’epiteto
di “puttana” a unadonna costituisce sempre un reato:il reato di ingiuria. Principio affer-mato ancora
recentemente dallaCorte di Cassazione. Si preferisce,allora, usare termini apparente-mente meno
indisponenti comesquillo, escort o sex worker. Nella mentalità comune, invece,dare del “cliente” ad un
maschioabituato a considerare una donna alla stregua di un qualsiasi oggetto sul quale esercitare gli
attributi del diritto di proprietà è quasi quasi fargli un complimento. Se si vuole davvero disattendere lo
stereotipo che considera la prostituzione come una fatalità, come un male minore o addirittura come
un’opportunità economica accettabile da assoggettare a imposizione fiscale, è necessario scalfire la
cultura della clemenza nei confronti dell’utilizzatore delle donne-oggetto. Un modo per farlo, potrebbe
essere quello di chiamarlo non eufemisticamente “cliente”, ma “prostitutore”, introducendo nel
dizionario un neologismo piuttosto forte.
Voce flebile e magistero ricco.
Perché, in presenza di questa grave emergenza sociale, la voce delle comunità cristiane è per lo più
inspiegabilmente flebile, se non inesistente? Eppure, sul tema della prostituzione, della dignità della
donna, delle nuove forme di schiavitù è rinvenibile un ricco e istruttivo magistero che, se utilizzato
nelle sedi opportune, potrebbe certamente contribuire ad accendere e alimentare una “rivolta morale”.
Sorge il dubbio che in qualche ambito ecclesiale si sia ancora succubi della convinzione di Agostino
d’Ippona, il quale nel De Ordine (II, c. 4,12) afferma: Aufer meretrices de rebus humanis, turbaveris
omnia libidinibus (Togli le prostitute dalla società e ogni cosa verrà sconvolta dalla libidine).
Convinzione in stridente contrasto, ad esempio, con la Lettera alle donne del 29 giugno 1995 di
Giovanni Paolo II, nella quale troviamo un pressante invito ad interrogarsi sulla lunga, umiliante e
spesso sotterranea «storia di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità»,
dal momento che, alle soglie del terzo millennio, non è tollerabile l’impassibilità e la rassegnazione di
fronte a questo fenomeno da condannare con vigore, unitamente alla denuncia della «diffusa cultura
edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità, inducendo anche
ragazze in giovanissima età a cadere nei circuiti della corruzione e a prestarsi alla mercificazione del
loro corpo».
O con un interessante documento dell’episcopato francese del 4 dicembre 2000, dal titolo La schiavitù
della prostituzione, nel quale si afferma che la prostituzione è un attentato alla dignità delle persone in
quanto dimostra il disprezzo del corpo e abbassa la relazione sessuale al livello di una compravendita
e si ricorda il grande compito che attende oggi ogni comunità cristiana: affrontare la situazione
allarmante del fenomeno della prostituzione, impegnarsi a fianco di tutti coloro che rifiutano ogni sua
banalizzazione, difendere il rispetto di ogni persona in quanto creatura amata da Dio e salvata da
Cristo. O con quanto affermato il 21 marzo 2007 da Benedetto XVI ai rappresentanti dell’ECPAT (End
Child Prostitution Pornography And Trafficking) in tema di «impegno ad eliminare il flagello mondiale e
l’orrendo crimine della prostituzione infantile e a difendere coloro che ne sono vittime», che deve
vedere accomunati cristiani e non cristiani.
O con quanto dichiarava il 7 marzo 2013 l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio
delle Nazioni Unite a Ginevra, l’arcivescovo Silvano M. Tomasi, intervenendo alla 22ª Sessione
ordinaria del Consiglio dei diritti dell’uomo sulla tratta delle persone umane: la prevenzione del
fenomeno della tratta dei minori a scopo di sfruttamento sessuale deve indirizzarsi anche alla cultura
consumistica, che stimola e promuove i desideri sessuali insani e immaturi che spingono i
“consumatori” verso questo mercato.
Andrea Lebra