La globalizzazione

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Si sente parlare tanto di globalizzazione, ma cosa è?
Facciamo un passo indietro. La storia delle civiltà ha visto velocità differenti. Ogni paese,
ogni zona del mondo hanno percorso vie diverse. L’Europa ha espanso le forze produttive
in maniera vasta ed accelerata, sconvolgendo i propri assetti socioeconomici innanzitutto,
ma in subordine quelli di tutti gli altri continenti. Il passaggio dalla civiltà contadina a quella
industriale ha generato sia nuovi equilibri che squilibri diversi. In particolare
l’organizzazione mondiale degli scambi economici si è basata su rapporti di forza non
paritari, e col passare del tempo ha esacerbato la distanza tra povertà e ricchezza:
sempre più ricchi in pochi, sempre più poveri in tanti.
Gran parte delle teorie economiche si sono basate sulla teoria dei vantaggi comparati,
secondo la quale tutte le nazioni avrebbero guadagnato nello specializzarsi. Nella realtà
questa teoria si è avverata spesso soltanto in piccola parte: le nazioni si sono
specializzate, ma quelle ricche hanno comandato a loro vantaggio la specializzazione di
quelle più povere, aggravandone la miseria.
La globalizzazione è stata per certi versi la continuazione della medesima strada, per altri
è stata una novità assai più complessa. In sintesi:
- negli ultimi trenta anni si è assistito ad un vasto ed accelerato sviluppo degli scambi
commerciali internazionali;
- ciò ha comportato una maggiore dipendenza tra paesi, con un aumento delle
sperequazioni sociali ed economiche;
- uno dei tratti maggiormente decisivi del nuovo ordine mondiale è lo spostamento della
produzione industriale dai paesi cosiddetti del Nord del mondo (Europa, Stati Uniti
d’America, Giappone), dove l’alto tenore di vita e di consumi è possibile grazie al buon
livello dei salari, verso i paesi del Sud del mondo (Cina, India, Indonesia, Vietnam, Laos,
paesi dell’Europa orientale, Argentina, ecc.), dove vigono salari miserrimi;
- questo spostamento è stato gestito da imprese multinazionali, attratte dal costo
bassissimo della mano d’opera, imprese che sono riuscite ad imporre i propri marchi nella
vendita in tutto il mondo;
- un altro elemento cruciale è stato il boom della finanza e della speculazione in Borsa,
favorito dallo straordinario sviluppo della tecnologia informatica.
Il boom degli scambi commerciali, con la conseguente espansione degli investimenti
industriali delle multinazionali nei paesi del Sud del mondo, è stato incentivato dalla
creazione nel 1995 del World Trade Organisation (WTO: Organizzazione Mondiale del
Commercio).
Il WTO ha il potere di dirimere le controversie tra Stati, essendo dotato di un proprio
tribunale che può multare pesantemente le nazioni che, a suo giudizio, non rispettano gli
accordi. Lo spirito è quello del “libero commercio”. Nei fatti esso viene dal WTO declinato a
favore dei paesi ricchi e a danno di quelli più poveri. O meglio: a favore dei grandi gruppi
economici contro l’interesse di vasti strati della popolazione mondiale.
Ne sono testimonianza svariate “sentenze” del WTO all’interno di contenziosi commerciali.
Alcuni casi esemplari:
- Nel 1989 l’Unione Europea proibisce l’importazione di carne allevata con ormoni. I
paesi del Nord America ricorrono e vincono: il WTO impone la libera circolazione
della carne agli ormoni, sanzionando l’Unione Europea.
- Nel 1998 il WTO impone agli Stati Uniti di modificare la propria legislazione in
difesa di specie animali ed ambiente pur di non contraddire la libera circolazione
delle merci.
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Nel 1999 il WTO stabilisce che gli accordi tra Unione Europea e paesi di un
consorzio afroamericano per l’importazione di banane prodotte da piccoli produttori
locali, considerandoli discriminatori rispetto alla produzione centroamericana (che è
gestita da grandi multinazionali).
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