1
Modulo 27: Primi modelli del prodotto nazionale
27. 1. I modelli keynesiani
Come per le analisi che fino a qui abbiamo condotto “a livello micro”, anche nel campo
dell’analisi macroeconomica gran parte della teoria si concentra sulla definizione e sullo
studio di modelli attraverso i quali osservare le fondamentali relazioni di equilibrio tra
variabili di interesse e verificare cosa accade nel momento in cui tali condizioni vengano in
qualche modo alterate. In questo contesto, si potrà osservare come gli schemi di riferimento
saranno gli stessi: laddove si ha che fare con un mercato, trattiamo dell’interazione tra una
domanda e un’offerta. Dato che l’economia nel suo insieme non è altro che una “collezione”
di molte famiglie e imprese (e altri soggetti) che interagiscono tra loro, microeconomia e
macroeconomia sono dunque strettamente connesse tra loro. È intuibile tuttavia comprendere
come ciò che le contraddistingue è che nel secondo caso trattiamo di variabili
macroeconomiche, ovvero aggregate. Dai moduli precedenti abbiamo capito come una delle
più importanti sia proprio il Pil. In effetti, dal livello del prodotto dipende il livello
dell’occupazione, dunque il livello di benessere che un paese può raggiungere. Proprio su
questa tematica fondamentale, ovvero sulla determinazione del livello del prodotto nazionale
gli studiosi hanno seguito approcci diversi. Quelli che in larga misura studieremo in questa
sezione di macroeconomia del corso sono i cosiddetti modelli keynesiani (dal nome
dell’iniziatore appunto) i quali sono accomunati da alcuni tratti fondamentali, che in estrema
sintesi possiamo descrivere attraverso le seguenti assunzioni:


Centralità della domanda aggregata. Un ruolo fondamentale per la determinazione
del livello di equilibrio del prodotto nazionale è svolto dalle condizioni che governano
la domanda aggregata;
Presenza di disoccupazione involontaria. I nostri modelli saranno incentrati
sull’individuazione del livello di equilibrio del prodotto. Un’altra osservazione che
abbiamo fatto è che dall’entità del prodotto dipendono molte variabili fondamentali
per il sistema tra cui l’occupazione. Tuttavia, nei modelli keynesiani, il livello di
equilibrio del prodotto nazionale non corrisponde necessariamente al livello di pieno
impiego della capacità produttiva. In altri termini questi modelli descrivono un sistema
economico caratterizzato da una inevitabile presenza di disoccupazione.
In questo ambito ci soffermeremo sui modelli di breve periodo, ovvero quegli schemi che
assumono come dato il livello della capacità produttiva.
2
27. 2. Il modello reddito-spesa base
Il modello che ci accingiamo a sviluppare è il più semplice dei modelli keynesiani, per questo
motivo sarà utile per introdurre le principali tematiche che contraddistinguono questa scuola
di pensiero. Le ipotesi di base del nostro modello di determinazione del livello del prodotto
nazionale sono sostanzialmente due:
1. I prezzi non variano. Questa caratteristica permette di focalizzare l’attenzione sulle
“quantità” che sono domandate e prodotte dei beni. In effetti gli economisti keynesiani
tendono a modellare la realtà economica attorno all’idea che gli squilibri tra domanda
e offerta aggregata siano aggiustati dalle variazioni delle quantità prodotte dalle
imprese. Un altro modo per porre questa condizione è fissare i prezzi pari a 1. Questo,
ricordando i passaggi sviluppati nel modulo precedente, comporta l’uguaglianza tra
variabili nominali e reali;1
2. Gli investimenti non dipendono dal livello del reddito. In generale, per tutte le
grandezze che presentano questa caratteristica diremo che sono variabili esogene o,
analogamente, autonome. Come sarà chiaro in seguito, il fatto che gli investimenti non
dipendono dal reddito non vuol dire che li consideriamo costanti, bensì che loro
variazioni non dipendono da fattori “interni” al modello, ovvero dal reddito.
Detto ciò, procediamo. Esistono molte formulazioni alternative del modello reddito-spesa.2
La “versione base” prende in considerazione solamente famiglie e imprese. Quindi il sistema
economico che questo modello cerca di descrivere è molto semplice: le imprese impiegando
lavoro e capitale realizzano il prodotto nazionale che viene venduto alle famiglie (consumi) e
alle imprese (investimenti).
Come abbiamo già accennato, i modelli keynesiani si specificano per la caratteristica che il
livello del prodotto nazionale è modulato sostanzialmente dalla domanda aggregata (o spesa
aggregata). In particolare, se la domanda è abbondante (alta congiuntura), le imprese
producono molto, mentre se è scarsa (bassa congiuntura) producono poco. Se indichiamo con
E la spesa aggregata, la condizione di equilibrio sarà espressa dall’uguaglianza Y  E . Fuori
da questa relazione, se le imprese hanno prodotto una quantità di prodotto insufficiente a
soddisfare l’intera domanda ( Y  E ), la loro reazione sarà di espandere la produzione, dato
che possono vendere di più ( Y  0 ). Viceversa, se la produzione è sovrabbondante rispetto
alla domanda ( Y  E ) la reazione sarà di ridurre la produzione per cercare di smaltire le
scorte invendute ( Y  0 ). Questo meccanismo che abbiamo descritto è molto importante e
prende il nome di principio della domanda effettiva.
1
2
Cfr. Modulo 26, pag. 3.
Cfr. Samuelson e Nordhaus (1996) e Rodano (2000).
3
Dalla relazione di equilibrio che abbiamo descritto e memori delle formule che abbiamo
derivato nel Modulo 25 possiamo esprimere formalmente la domanda aggregata (o spesa
aggregata) con relazione:
E  C  I  G  NX
Ma ricordiamo che nel nostro sistema economico, per il momento diamo spazio solo a
famiglie e imprese, per cui:
E CI
(27.1)
Dunque consideriamo la spesa aggregata come composta unicamente dai consumi e dagli
investimenti. Quest’ultima voce non rappresentano un problema, perché abbiamo detto che li
consideriamo esogeni, ovvero non dipendenti dal reddito. Per distinguere questo tipo di
variabili utilizzeremo una “barra”: I . Una considerazione più approfondita occorre per la
variabile C. In generale non è difficile intuire come le spese per consumi delle famiglie siano
in parte indipendenti e in parte dipendenti dal livello reddito. Per fare un esempio semplice, le
spese per i bisogni primari, come il consumo di beni alimentari sono per così dire “obbligate”,
ovvero possiamo assumere che corrispondano ad un certo ammontare, prescindendo dal fatto
che il nostro reddito possa aumentare o diminuire. Questo può essere determinante, al
contrario, per decidere se effettuare o meno delle spese per soddisfare bisogni secondari
(automobili, abbigliamento, ecc.). Riportando in forma analitica queste affermazioni
possiamo scrivere che:
C  C  cY ;
0  c 1
(27.2)
La (27.2) traduce esattamente quello che abbiamo descritto a parole: il consumo si compone
di una parte autonoma, che chiameremo appunto consumi autonomi ( C ), ovvero indipendente
dal livello del reddito, e un’altra che al contrario dipende dal livello del reddito. Il fattore c
prende il nome di propensione marginale al consumo (PMC) e misura la variazione del
consumo che si verifica a seguito di una variazione unitaria del reddito. L’assunzione posta
accanto alla formula, per cui i valori che c può assumere sono compresi tra zero e uno,
occorre per formalizzare un’altra evidenza sui comportamenti delle famiglie non difficile da
comprendere: se il reddito aumenta di 1€ questo aumento non verrà destinato tutto al consumo,
ma una parte sarà risparmiata. Sostituendo i valori corrispondenti, la spesa aggregata che
avevamo espresso in (27.1) può essere riscritta nella forma equivalente:
4
E  C  cY  I ;
(27.3)
In base alla quale, stabilendo la condizione di equilibrio possiamo infine scrivere la
“soluzione” del nostro modello reddito-spesa base.3
E Y

YE 
1
C  I
1 c

(27.4)
Cosa capiamo dalla (27.4)? Essa ci dice che, il valore di equilibrio di Y (ovvero il valore YE) è
uguale al prodotto di due termini:

C  I  : La parte “autonoma” della spesa aggregata, ovvero quella componente che
non dipende dal livello del reddito. Possiamo chiamare tutta questa parte spesa
autonoma (o domanda autonoma) e indicarla semplicemente con A ;

1
: Un numero che dipende dal valore della propensione marginale al consumo.
1 c
Chiameremo questo fattore moltiplicatore, indicandolo con m, poiché dalla formula è
possibile intuire come esso misuri l’effetto sul prodotto di equilibrio di una variazione
unitaria della spesa autonoma.
La (27.3) si riduce quindi a:
YE  m A
(27.5)
Il modello reddito-spesa che abbiamo fin qui descritto, può essere agevolmente
rappresentato in forma grafica, attraverso un riferimento cartesiano che abbia i valori di Y in
ascissa e quelli di E in ordinata (Figura 27.1/sinistra). Si osservi come la retta E  Y ,
inclinata a 45°, è il luogo dei punti di equilibrio, ovvero in cui il prodotto è uguale alla spesa
aggregata. 4 La retta più schiacciata verso l’asse delle ascisse non è altro che la
rappresentazione grafica della spesa aggregata, così come espressa nella funzione (27.3). Il
livello di equilibrio del prodotto nazionale (YE) è dato dall’incontro tra le due rette.5
3
Cfr. Rodano (2000), Cap.5.
Dal punto di vista geometrico è la bisettrice del quadrante, ovvero la retta inclinata di 45 gradi.
5
Lo schema rappresentato in Figura 27.1 in alcuni contesti è definito “croce keynesiana”. Cfr. Rodano (2000).
4
5
Figura 27.1: Rappresentazione grafica del modello reddito-spesa
E
E
E=Y
E=Y
A
E<Y
E
C
45°
YB YE YA
E
B
E>Y
E′
45°
Y
YE Y′E
Y
Il grafico permette anche di illustrare cosa accade se il sistema non si trova in equilibrio.
Ipotizziamo infatti che le imprese abbiano deciso di produrre YB. In questa situazione, la
distanza tra le rette E=Y ed E ci dice che abbiamo E  Y , dunque, come descritto in apertura,
le imprese tenderanno ad aumentare la quantità prodotta finché la spesa aggregata sarà
maggiore del prodotto, ossia fino a raggiungere YE. Un ragionamento esattamente simmetrico
spiega cosa accade se le imprese hanno prodotto YA: in questo caso la produzione tenderà a
diminuire fino a YE. Come più volte ci è capitato di osservare nelle nostre analisi micro,
riconosciamo nel livello YE la condizione di punto di equilibrio, proprio come espresso nella
formula (27.5).
La formula (27.5) indica il livello del prodotto di equilibrio del modello reddito-spesa su
cui è utile ragionare. Iniziamo dal moltiplicatore. Abbiamo detto che la PMC può assumere
valori compresi tra 0 e 1. Immaginiamo che sia 0,5, ovvero che per ogni euro di aumento del
reddito, 50 centesimi sono destinati al consumo. Osserviamo che per questo valore otteniamo
m=2. In generale avremo che m > 1, dunque l’aumento (diminuzione) di una qualsiasi
componente della spesa autonoma (ricordiamo: A ) provoca un aumento (diminuzione) del
prodotto di equilibrio che è maggiore (è un “multiplo”) della variazione di spesa che mette in
moto il processo. Facciamo un esercizio numerico. Ipotizziamo che la spesa autonoma,
attraverso l’aumento dei consumi autonomi, aumenti di 2 miliardi di euro. L’aumento che
subirà il prodotto di equilibrio, se prendiamo il valore del moltiplicatore che abbiamo fornito
in precedenza, sarà di 4 miliardi di euro. Ma qual è il meccanismo che, attivato da un aumento
della spesa autonoma conduce, attraverso il moltiplicatore, ad un aumento del prodotto di
equilibrio? Spiegarlo a parole è molto semplice ed è caratteristico dei modelli keynesiani. Il
processo inizia, poniamo, con un aumento della spesa autonoma così come abbiamo fatto
nell’esempio numerico, questo fa sì che:
6
1. Le imprese accrescano la loro produzione per soddisfare la variazione iniziale della
spesa autonoma;
2. Questo maggior prodotto viene distribuito alle famiglie come maggiore reddito;
3. Ciò alimenta una crescita della spesa per consumi (attraverso il PMC) e perciò una
nuova variazione della domanda, stavolta indotta dalla variazione del reddito.
Anche la dinamica appena descritta può essere rappresentata graficamente. Soffermandoci
sulla Figura 27.1/destra, ipotizziamo che la situazione di partenza sia contraddistinta dalla
retta E e dal livello di equilibrio del prodotto YE. Se una componente della spesa autonoma
aumenta, tutta la retta E si sposta. Ipotizziamo che lo spostamento sia rappresentato dalla retta
E′ e il nuovo equilibrio dal livello del prodotto Y′E. Che l’aumento di prodotto finale sia
maggiore dell’aumento della spesa autonoma che ha generato il processo è visibile
geometricamente. L’aumento della spesa autonoma è infatti pari al segmento A,B, che non è
altro che l’entità dello spostamento della retta da E a E′, mentre l’aumento del prodotto è
misurato dall’intero segmento A,C che è uguale proprio allo spostamento del prodotto di
equilibrio da YE a Y′E. Quello su cui è necessario porre l’accento è che questo meccanismo
moltiplicativo tra incremento della spesa autonoma e il prodotto di equilibrio è certamente
causato dal moltiplicatore, ma attraverso la PMC, che ne è parte fondamentale. Per capire
meglio questo aspetto si osservi di nuovo la formula del moltiplicatore e si rilegga il punto 3
nel meccanismo appena descritto. Ovviamente se la PMC è grande (cioè vicina a 1) l’aumento
dei consumi causato dall’aumento del reddito sarà grande e di questo ne giova l’aumento di
prodotto di equilibrio che avremo a fine processo. Infatti, dal punto di vista analitico,
maggiore è la PMC maggiore è il moltiplicatore.
Fino ad ora abbiamo valutato gli effetti sul reddito di cambiamenti che possono occorrere
alla spesa autonoma. Ovviamente possiamo prendere in considerazione l’ipotesi che anche la
propensione marginale al consumo cambi. Anzi, proprio questa ipotesi, ci permette di svelare
un aspetto interessante legato al modello reddito-spesa che è il cosiddetto paradosso della
parsimonia. Senza introdurre ulteriori formule, osserviamo che la crescita economica dipende
in modo sostanziale dal risparmio e dagli investimenti. Effettivamente è proprio in base a
questo aspetto che riconosciamo nella parsimonia un’importante virtù. Ma un risparmio
elevato, sarà necessariamente un beneficio per l’economia? Con un’argomentazione
sorprendente, Keynes fece notare che, quando i cittadini tentano di risparmiare di più il fatto
non si traduce necessariamente in maggiore risparmio per la nazione nel suo insieme.
Spiegare questo “apparente” paradosso è agevole attraverso i meccanismi del modello
reddito-spesa che abbiamo appena imparato. Ricordando quanto abbiamo scritto nella (26.3),
nel modulo precedente, osserviamo che il risparmio può essere aumentato se si riducono le
spese per consumi delle famiglie. In base alla (27.2) possiamo anche aggiungere che la
7
riduzione dei consumi può avvenire a seguito della riduzione della componente autonoma o a
seguito della riduzione della propensione marginale al consumo. Osserviamo tuttavia che,
seguendo i meccanismi di aggiustamento che abbiamo descritto, se diminuiscono i consumi, a
parità di investimenti, la domanda aggregata subisce una riduzione, per cui le imprese
ridurranno la produzione. Ma fino a che punto? La produzione diminuirà fino a che i cittadini
smetteranno di risparmiare più di quanto le imprese investono. In altri termini si avvia una
spirale per la quale: il risparmio elevato fa abbassare il prodotto e il reddito, effetto che a sua
volta si ripercuote necessariamente anche in minori investimenti, che contribuiscono a ridurre
ulteriormente il reddito e il prodotto. Possiamo osservare questa condizione anche da un punto
di vista analitico. Nel modulo precedente abbiamo derivato la relazione semplificata per cui il
risparmio (S) è uguale agli investimenti (I).6 Dato che gli investimenti sono un dato esogeno,
in equilibrio, per quanto si possano ridurre i consumi nel modo detto, il risparmio dovrà
essere sempre uguale agli investimenti e quindi sarà sempre uguale a I . Insomma, secondo il
nostro modello, nonostante le buone intenzioni delle famiglie di risparmiare di più, il
risparmio non può aumentare, per lo meno finché l’investimento rimane fisso a I . Il
risparmio aumenta invece, indipendentemente dalle decisioni delle famiglie, se le imprese,
autonomamente, decidono di aumentare le loro decisioni di investimento.
27. 3. Il modello reddito-spesa con lo Stato
In questo ultimo paragrafo forniamo “un’estensione” del modello descritto in questo modulo,
introducendo il ruolo dell’operatore pubblico, ovvero lo Stato. Questo è necessario per
introdurre il tema delle manovre di politica economica che abbiamo descritto nel modulo
introduttivo. Rispetto alla formulazione iniziale occorre precisare alcune modifiche.
Innanzitutto, introdurre lo Stato, significa considerare la spesa pubblica, che avevamo
identificato con G. Inoltre, prendere in considerazione tutte quelle azioni che hanno effetto sul
sistema economico: la presenza delle tasse, attraverso il quale, abbiamo visto in più di una
occasione, lo Stato finanzia le proprie spese, e i trasferimenti, ovvero quella serie di
erogazioni che lo Stato effettua sotto forma di pensioni, sussidi e altro. Rispetto alle
assunzioni che ci avevano condotto a derivare il modello reddito-spesa, osserviamo che con
l’introduzione dello Stato:

6
Escludiamo per semplicità la parte autonoma ( C ). I consumi dipendono quindi solo
dal reddito attraverso la PMC. Ma essendo presente lo Stato, le famiglie non possono
più disporre del reddito “intero” ma del reddito disponibile (chiamiamolo Yd), ovvero
Si riveda di nuova la formula (26.4); Modulo 26, pag. 6.
8
il reddito diminuito dal prelievo delle tasse (chiamiamole T) e aumentato dei
trasferimenti (chiamiamoli Tr).7 Analiticamente avremo dunque che:
C  c Yd
Yd  Y  T  Tr

Assumiamo che la sola tassazione a cui i cittadini sono soggetti è quella che deriva dal
reddito, secondo una proporzionalità definita da una certa aliquota fiscale
(chiamiamola t).
T  t Y;

0  t 1
Gli investimenti continuiamo a considerarli esogeni e così anche la spesa pubblica
( G ) e i trasferimenti ( Tr ).
Sostituendo tutti questi valori nella condizione di equilibrio otteniamo ora:
YE 

1
I  G  cTr
1  c (1  t )

(27.6)
Se cerchiamo di spiegare cosa contiene la (27.6) possiamo scoprire che formalmente non
svela qualcosa in più rispetto al caso semplificato. Anche qui abbiamo che il prodotto di
equilibrio è dato dal prodotto tra un moltiplicatore e una componente autonoma. Tuttavia,
data la presenza dello Stato, il moltiplicatore in questo caso dipenderà dalle decisioni di
consumo delle famiglie rispetto al loro reddito disponibile (c) e anche dalle decisioni dello
Stato in tema di tasse, in base all’aliquota applicata per il prelievo fiscale (t). Sempre per la
presenza dell’operatore pubblico ritroviamo nella spesa autonoma, la spesa in beni e servizi
effettuata dallo Stato e quella parte dei trasferimenti che le famiglie destinano alle spese per
consumi, ovvero cTr . Come prima possiamo esprimere la condizione di equilibrio in forma
più sintetica, ponendo:
YE  mg A
7
(27.7)
Avevamo già definito il reddito disponibile nel Modulo 5. In questo caso diamo una definizione più rigorosa
comprendendo le somme erogate dallo Stato a titolo di trasferimenti. A questo proposito si suggerisce anche di
rivedere quanto detto nel Modulo 26, pag. 4 a proposito della spesa pubblica.
9
Il pedice g nel moltiplicatore ci ricorda che, rispetto al modello precedente, stiamo
considerando anche lo Stato. Ma al di là di un semplice pedice, e di una apparente
somiglianza formale, vediamo cosa è cambiato veramente rispetto alla formulazione base:

Come abbiamo detto, il moltiplicatore serve a misurare l’effetto di una variazione
della spesa autonoma sul prodotto di equilibrio. Tuttavia mentre gli investimenti e la
spesa pubblica entrano “per intero” nella spesa autonoma, per i trasferimenti abbiamo
solo quella parte che è destinata ai consumi. È ipotizzabile dunque che un aumento
degli investimenti o della spesa pubblica determinino una variazione del reddito di
equilibrio maggiore di quanto possa determinarne un aumento dei trasferimenti. In
effetti questa intuizione corrisponde a verità. Senza necessità di dimostrarlo, dalla
(27.5) possiamo dedurre che i trasferimenti influenzano la spesa aggregata solo
indirettamente: i trasferimenti influenzano direttamente il reddito disponibile e per il
suo tramite influenzano il consumo; ma, appunto non tutto l’incremento di reddito

disponibile viene consumato;
Sempre sul moltiplicatore: ma questo è più grande o più piccolo del moltiplicatore che
abbiamo ottenuto tenendo lo Stato fuori dal modello? La risposta è alquanto
immediata: più piccolo. Questo è evidente se si osservano che valori possono
assumere c e t (entrambi parte del moltiplicatore mg), ma la spiegazione economica
(che a noi interessa molto di più) è molto chiara. Facciamo infatti un ragionamento
esattamente analogo a quanto abbiamo fatto per il modello reddito-spesa senza Stato e
ipotizziamo un aumento della spesa autonoma. Immaginiamo che questo sia generato
da un aumento della spesa pubblica G (ovvero una cosiddetta manovra di politica
fiscale espansiva):
1. Le imprese accrescano la loro produzione per soddisfare la variazione iniziale
della spesa autonoma (come prima);
2. Questo maggior prodotto viene distribuito alle famiglie come maggiore reddito
(come prima);
3. Parte di reddito è trattenuto dallo Stato sotto forma di tasse. Nelle mani delle
famiglie rimane il reddito disponibile che alimenta una crescita della spesa per
consumi (attraverso il PMC) e perciò una nuova variazione della domanda,
stavolta indotta dalla variazione del reddito (diverso da prima: prima tutto
l’aumento di reddito, tramite la PMC, alimentava ulteriormente la spesa per
consumi, ora no!).
10
Anche in questo caso un banale esempio numerico può essere di supporto. Ipotizziamo
come prima di avere un PMC pari a 0,5 e immaginiamo inoltre che l’aliquota fiscale
sia t=0,2. In base a questi dati otteniamo un valore del moltiplicatore mg=1,67.
Partendo da questo valore se proviamo a considerare una PMC più grande, ad esempio
0,6, otteniamo mg=1,92 mentre se facciamo lo stesso esperimento con l’aliquota
fiscale, ad esempio 0,3, otteniamo mg=1,54. Concludiamo dunque che, come per il
modello precedente, un aumento della PMC contribuisce ad aumentare il
moltiplicatore. Al contrario, un aumento dell’aliquota fiscale contribuisce ad una
riduzione del moltiplicatore.
Dato che abbiamo introdotto l’operatore Stato, chiudiamo modulo e lezione approfondendo
alcuni argomenti collegati all’azione pubblica all’interno del nostro modello macroeconomico.
Iniziamo con il dire che, in base alle variabili che abbiamo introdotto, possiamo definire il
saldo del bilancio dello Stato (D) come la differenza tra le spese ( G  Tr ) e le entrate (T):
D  G  Tr  T
Se D  0 , ovvero se banalmente le spese superano gli incassi, avremo un disavanzo di
bilancio, al contrario avremo un avanzo di bilancio se D  0 . Notiamo dalla formula, che
manovrando le variabili possono aversi diverse conseguenze sul livello del saldo di bilancio:
l’aumento della spesa pubblica tende ad aumentare il disavanzo, ma come abbiamo visto in
precedenza ha anche effetto sull’aumento del reddito, il quale a sua volta si traduce in un
aumento del prelievo fiscale che ha un effetto di contenimento del disavanzo. L’effetto
dunque sembra ambiguo. Tuttavia, a questo proposito, possiamo affidarci ad un teorema che
almeno fissa un punto fermo:
Definizione 27.1: Il cosiddetto teorema del bilancio in pareggio afferma che una simultanea
espansione della spesa pubblica e del prelievo fiscale tali da lasciare immutato il valore del
saldo di bilancio, provoca un effetto espansivo sul livello del prodotto nazionale pari alla
variazione della spesa pubblica.
Insistere sul legame tra prodotto e disavanzo è utile per cercare di discernere fenomeni di
carattere macroeconomico che riguardano da vicino la vita economica dei nostri paesi. In
effetti verificare la presenza di un elevato disavanzo, può significare che osserviamo il
risultato di una politica di bilancio espansiva o di una congiuntura economica depressa.
Ipotizziamo infatti che il nostro sistema economico sia in una situazione per la quale il livello
del reddito YE assicura che il saldo di bilancio sia in pareggio (D=0). Se interviene un crollo
11
della domanda autonoma, ad esempio dovuto ad una riduzione degli investimenti, questo
tenderà a ridurre il reddito di equilibrio e il bilancio tenderà a presentare un disavanzo, senza
tuttavia che sia intervenuta una politica fiscale espansiva da parte dello Stato. In questo caso
siamo in presenza di un disavanzo congiunturale, ovvero un disavanzo che dipende dal fatto
che il livello è depresso. Esso si riassorbirà da solo se il sistema tornerà nella condizione
iniziale. Immaginiamo ora che lo Stato voglia raggiungere il livello di produzione di pieno
impiego, ovvero quel livello di reddito, maggiore del nostro iniziale livello YE a cui possiamo
associare una piena utilizzazione della capacità produttiva.8 In questo caso lo Stato espanderà
la spesa pubblica segnando anche in questo caso un disavanzo. Riconosceremo in questo caso
la presenza di un disavanzo strutturale, ovvero un disavanzo che non si assorbirà da solo, ma
attraverso una adeguata manovra delle grandezze di riferimento: spesa pubblica, trasferimenti,
e prelievo fiscale.
8
Abbiamo detto in apertura che nei modelli keynesiani, il livello di reddito di equilibrio non assicura che vi sia
pieno impiego nel sistema economico.