Gnosi e misticismo nel pensiero di G. W. Leibniz

annuncio pubblicitario
Gnosi e misticismo nel pensiero di G. W. Leibniz
(Seconda parte)
Paolo Figara
… Come tali vengono trattate nel Von der wahren Theologia mystica, dove Leibniz sostiene
che “Dies Licht erfüllet das Gemüth mit Klarheit und Versicherung, nicht aber mit Einbildung
und toller Bewegung. Einige bilden sich in ihrem Hirn eine Lichtwelt ein, meinen, sie sehen
einen Glanz und Herrlichkeit, und seien mit viel tausend Lichteilen umgehen. Das ist aber
nicht das wahre Licht, sondern eine Erhitzung ihres Geblüts”24.
Ci sono buoni motivi, come si vede, per sostenere che Leibniz sia, “nel fondo del suo
carattere, l’intellettualista più puro, l’anti-mistico per eccellenza”; che ci sia “in lui lo spirito
del ricercatore scientifico applicato all’oggetto della teologia, ma gli manchi “ogni istinto,
ogni sensibilità, ogni aderenza all’irrazionale”. Colorni spiega tutto ciò con la considerazione,
non banale, secondo cui “Una filosofia può essere piena di elementi mistici, e la personalità
del filosofo essere intellettualista; e viceversa”25. Ma tale prospettiva, e più in generale tutte
quelle che sottolineano il razionalismo leibniziano, non tengono debitamente in conto i
risvolti pratici del suo intellettualismo, per il quale sentimento religioso e conoscenza
intellettuale s’identificano in modo assoluto, senza che una delle due componenti interpreti
l’altra. Per intendere cosa comporti questo per la considerazione leibniziana del misticismo, è
necessario comprendere che il sentimento religioso è concepito da Leibniz, nella sua massima
espressione, come deificazione o beatitudine, mentre la conoscenza intellettuale trova il suo
grado più alto nel rationis usus epurato da qualsiasi contenuto immaginativo. Da ciò si
capisce che il giudizio leibniziano viene espresso in base al peso dell’immaginazione
riscontrato nelle varie forme di deificazione perseguite dal misticismo. Del resto, questo è in
linea con il quadro gnoseologico ed epistemologico elaborato a cominciare dagli anni
parigini, in base al quale, le disfunzioni immaginative non si risolvono unicamente in
fenomeni psicotici, ma sono al centro di un cattivo uso della ragione anche in sede scientifica.
Come rileva Pasini, Leibniz attribuisce alla seduzione della rappresentazione immaginativa
l’illusione che la geometria possa spiegare completamente i fenomeni, quando è evidente la
necessità di ricorrere a formule algebriche per risolvere i problemi più complessi. Il
riferimento è diretto contro il cartesianesimo e lo spinozismo, ma vale in generale per “le
teorie che si basano su un fondamento puramente materiale e esteso”, come l’atomismo o la
teoria dello spazio newtoniana26. Principio cardine di questa prospettiva, sul quale si fonda
anche la combinatoria, è che soltanto la riflessione formale possa fondare la scienza, mentre
“l’immaginazione mostra piuttosto la capacità di foggiarsi immagini fittizie che sostituiscono,
o integrano, o mediano, la comprensione intellettuale nel suo rapporto con l’intuizione
sensibile”27. Essa denota un grado conoscitivo più basso della conoscenza riflessa, poiché
esprime in maniera più confusa le reali relazioni degli oggetti intenzionati. Per questo,
bisogna saper distinguere “les imaginations (sous lesquelles je comprends le visions et les
songes) d’avec les perceptions veritables”28. L’esperienza mistica rappresenta per questo un
caso limite del cattivo funzionamento dell’immaginazione29.
D’altro canto, la concezione del sentimento religioso come deificazione nel suo massimo
grado, spinge Leibniz a valutare con attenzione ciò che può essere d’apporto per
l’elaborazione del proprio programma teorico e pratico30. Del resto, la distinzione operata da
Leibniz tra vero e falso misticismo è fondata più sul piano epistemologico e metodologico che
su quello ontologico, entro il quale leibnizianesimo e misticismo visionario trovano modo di
conciliarsi: identificando Dio e ogni ente nel comune concetto di mens, poi in quello di
monade, Leibniz riduce la differenza tra Dio e le creature a una pura differenza di capacità
intellettuali, non ad una differenza di sostanza. Benché l’intelletto divino differisca da quello
umano come l’infinito dal finito, l’idea di un continuo infinitesimale permette di concepire
Dio come il grado sommo di ogni ente, verso cui estendere i confini dell’indagine razionale
attraverso l’epurazione dei procedimenti fondati su contenuti immaginativi31: stabilendo un
logocentrismo teologico assoluto, in virtù del quale viene ammessa “la realizzazione del
formalmente perfetto come unico movente […] per la volontà divina”32, Leibniz non esclude
la possibilità di ricostruire l’ordine logico che si cela dietro le problematiche di natura
teologica lasciate volontariamente in sospeso dagli altri filosofi. Per rendersi conto di questa
situazione, è sufficiente confrontare la Confessio Philosophi con i paragrafi 40 e 41 della
prima parte dei Principia Philosophiae: mentre Descartes, considerando la finitezza
dell’intelletto umano, afferma l’impossibilità di comprendere in modo distinto come il libero
arbitrio si accordi con la preordinazione divina33, lo scritto leibniziano è proteso a dimostrare
come ciò sia possibile, e s’identifichi con la graduale concentrazione dell’armonia universale
in se stessi. Dato che, come accenna Piro, le fonti del logocentrismo leibniziano sono
patristiche34, non sembra del tutto fuori luogo affermare, come fa Jean Guitton, che Leibniz è
uno “gnostico cristiano”, anzi, il più grande gnostico che sia vissuto dai tempi di Origene 35.
Contrariamente a quanto sostiene Heinekamp, che sottolinea la mancanza di riferimenti
storiografici in proposito36, risulta possibile accomunare la gnosi dei Padri alessandrini e la
filosofia leibniziana nell’idea per la quale “i dati della fede possono e devono essere
interamente tradotti nel linguaggio della ragione”, poiché, in quanto simboli di questa, essi
rappresentano un grado approssimato e oscuro nel progresso della conoscenza, dunque tali da
implicarne il superamento in vista di un grado conoscitivo più elevato37.
Quella dei gradi, appunto, è una tematica centrale nella filosofia leibniziana. Come si è
accennato, Dio s’identifica per Leibniz con il limite massimo delle proprietà delle sostanze:
Dio è concepito come il grado massimo di essenza, di forza, di sapienza, ecc … I gradi di tali
proprietà, che in Dio sono dette perfezioni, sono sincronici all’interno di un’unica sostanza,
cosicché al crescere o al diminuire di una crescono o diminuiscono anche tutte le altre, ma
sono complementari rispetto alle proprietà delle altre sostanze. Così ad esempio, più cresce la
forza o l’azione di una sostanza (actio, vis, énergie, force, kraft sono tutti sinonimi), tanto più
è libera ed elevata la sua essenza in relazione a tutte le altre: “Wie dann alles wesen in einer
gewissen kraftt bestehet, und ie grösser die krafft, ie höher und freyer ist das wesen” 38. Ma,
come è scritto chiaramente nel Discorso di Metafisica, il grado di forza o di perfezione di un
ente si misura in base al grado di distinzione con cui una sostanza esprime un mutamento
rispetto ai grado altrui:
On peut dire en peu de mots quant à l’esprit que nos volontés, et nos jugemens ou
raisonnemens sont des actions, mais que nos perceptions ou sntimens sont de passions; et
quant au corps, nous disons que le changement qui luy arrive est une action quand il est suite
d’un changement precedent, mais autrement c’est une passion. En general pour donner à nos
termes un sens qui concilie la Metaphysique à la pratique, lorsque plusieurs substances sont
affectées par une même changement (comme en effect tout changement les touche toutes) on
peut dire que celle qui par là immediatement passe à un plus grand degré de perfection ou
continue dans le même, agit, mais celle qui devient par là immediatement plus limitée, en
sorte que ses expressions deviennent plus confuses, patit39.
Sono considerate di grado elevato, e perciò stesso azioni in senso proprio, espressioni distinte
come volizioni, giudizi e ragionamenti, cioè tutti quei modi espressivi contrari all’espressività
del sentimento fantastico o più in generale dell’immaginazione. Ora, dato che l’epistemologia
leibniziana è volta proprio all’eliminazione dei processi di costruzione teorica basati sulla
facoltà immaginativa, in modo da sviluppare attraverso la purezza formale delle connessioni
logiche una capacità razionale sempre più elevata, e dato che tale processo è concepito come
un perfezionamento della sostanza medesima, si può dire, posto che la perfezione sia Dio, che
lo scopo precipuo della filosofia leibniziana sia trasporre l’uomo dai gradi ordinari
dell’espressione (inficiati dalla sensibiltà) a gradi sempre più elevati e più vicini al modo
espressivo della divinità.
Ciò che Leibniz intende per raisonnable, dunque, ha un senso molto più ampio dell’ambito
razionale circoscritto dai più grandi filosofi razionalisti della sua epoca, Descartes e Hobbes
in testa. Del resto, la purezza formale del metodo atto ad estenderne i confini, di cui non ci
occuperemo qui, è cosa completamente diversa dalla teoria e dalla pratica del misticismo. Ciò
produce l’ambivalenza della posizione leibniziana all’interno del panorama scientifico e
filosofico dell’epoca: Leibniz accoglie il tema della deificazione dell’uomo, contrariamente
agli uomini di scienza e ai filosofi razionalisti, ma elabora una metodologia del tutto
originaria e divergente sia in generale rispetto ai pensatori di tendenza neoplatonica, sia nello
specifico rispetto ai sostenitori dell’arte combinatoria. Divergenze metodologiche che non
impediscono a Leibniz di rilevare, nel misticismo böhemiano come nella tradizione
cabalistica e gnostica a lui note, un ambito di ragione che la filosofia moderna stava
irrimediabilmente perdendo, e che la filosofia antica e il misticismo moderno non riescono a
studiare con mezzi appropriati40.
24
G. W. Leibniz, Deutsche, 411.
E. Colorni, Leibniz, 70-71.
26
E. Pasini, Corpo, 151.
27
E. Pasini, Il reale e l’immaginario. La fondazione del calcolo infinitesimale nel pensiero di Leibniz, Sonda,
Torino 1993, 208.
28
G. W. Leibniz, Sämtliche, I, VII, 33.
29
Le esperienze mistiche paiono, dunque, del tutto funzionali al discorso leibniziano in sede epistemologica,
tanto da fornire dati significativi per lo sviluppo della teoria della conoscenza. Diviene così insostenibile il parere
di Colorni secondo cui Leibniz “ha letto sì molte opere mistiche; ma sempre col fare distratto e frettoloso
dell’erudito che vuol essere informato di tutto”(E. Colorni, Leibniz, 73).
30
Tutto ciò è ben dimostrato dall’ambigua valutazione del misticismo böhemiano. Come si è visto, la condanna
della dottrina böhemiana espressa nella lettera a Bourguet induce a pensare, contrariamente a quanto sostiene
Edel, che il Von der wahren Theologia mystica rappresenti più un attacco rivolto alla filosofia mistico-visionaria
che una sua traduzione in termini razionali, come dimostrano, del resto, le stesse affermazioni contenute nello
scritto ("Die einige Selbsterkenntniss ist: unser Selbstwesen von unserm Unwesen wohl unterscheiden (dadurch
Verhinderung, im Lichtweg aus dem Wege zu kommen. Aber man muss sich der sinnlichen Ergetzlichkeiten und
Beschauung der Schattenbilder nur als einer Nothdurft und eines Werkzeugs gebrauchen, und nicht darin ruhen)
[…] Die wesentliche Wahrheit ist allein im Geist. Obwohl unerfahrene Menschen, was geistlich, vor Traum, und
was greiflich, vor Wahrheit halten […] Der Glaube ohne Erkenntniss ist nicht vom Geist Gottes, sondern vom
todten Buchstab oder vom Schall": G. W. Leibniz, Deutsche, 411-13). A questo proposito, Edel cerca di
dimostrare uno scambio positivo tra la filosofia leibniziana e quella böhemiana basadosi sul comune riferimento
alla tradizione cabbalistica (vgl. S. Edel, Die individuelle, 122-151). D’altra parte, è da tenere in debita
considerazione il passo in cui Leibniz riconosce un sostanziale accordo tra la propria filosofia e ciò che la
dottrina di Böhme ha di ragionevole. In modo analogo, va rilevato come la denuncia di una “Pseudocabala” e di
una “Pseudognosi” apra implicitamente la possibilità che vi siano, oltre ad un “vero” misticismo, anche una
“vera” qabbalah e un “vero” gnosticismo (secondo la distinzione ribadita poco più tardi nella Réfutation inédite).
31
Per altri versi, la concezione infinitesimale dell’infinito esclude la possibilità di una completa deificazione
dell’uomo, o di un contatto diretto con la divinità. Ciò non impedisce, tuttavia, che leibnizianesimo e misticismo
condividano il proposito di beatificare l’uomo deificandolo.
32
F. Piro, Postfazione, in G. W. Leibniz, Confessio, 136.
33
“Sed quia jam Deum agnoscentes, tam immensam in eo potestatem esse percipimus, ut nefas esse putemus
existimare, aliquid unquam à nobis fieri posse, quod non antè ab ipso fuetir praeordinatum: facilè possumus nos
ipsos magnis difficultatibus intricare, si hanc Dei praeordinationem cum arbitrii nostri libertate conciliare, atque
utrmque simul comprehendere conemur. Illis verò nos expediemus, si recordemur mentem nostram esse finitam;
Dei autem potentiam, per quam non tantùm omnia, quae sunt aut esse possunt, ab aeterno praescivit, sed etiam
voluit ac praeordinavit, esse infinitam: ideòque hanc quidem à nobis fatis attingi, ut clarè et distinctè percipiamus
25
ipsam in Deo esse; non autem fatis comprehendi, ut videamus quo pacto liberas hominum actiones
indeterminatas relinquat; libertatis, autem et indifferentiae, quae in nobis est, nos ita conscios esse, ut nihil fit
quod evidentius et perfectius comprehendamus. Absurdum enim esset, propterea quòd non comprehendimus
unam rem, quam scimus ex naturâ suâ nobis esse debere incomprehensibilem, de aliâ dubitare, quam intimè
comprehendimus, atque apud nosmet ipsos experimur” (R. Descartes, Oeuvres, Vrin, Paris 1996, VIII, I, p. 20).
34
F. Piro, Postfazione, 136.
35
J. Guitton, Pascal et Leibniz, Montaigne, Paris 1951, 164.
36
A. Heinekamp, Leibniz, 184.
37
J. Guitton, Pascal, 163. A proposito di Origine, sottolineo come il logocentrismo monistico espresso nella
Confessio Philosophi in contrapposizione alla concezione duale della realtà riscontrata in Descartes, segnata
dall’opposizione bene/male e definita da Leibniz come “manichea”, oltre che a S. Agostino, rimandi alla dottrina
origeniana dell’apocatastasi nel punto in cui l’armonia universale è concepita come armonizzazione di bene e
male, sebbene in senso immanentistico e non temporale (sulla ripresa e il riutilizzo della filosofia agostiniana
nella Confessio Philosophi, cfr. F. Piro, Postfazione, 123-144).
38
G. W. Leibniz, Die philosophischen, VII, 87.
39
G. W. Leibniz, Sämtliche, VI, IV C, 1552; tr. It., G. W. Leibniz, Scritti filosofici, UTET, Torino 2000, I, p.
277: “Quanto allo spirito, si può dire in poche parole che le nostre volontà e i nostri giudizi o ragionamenti sono
delle azioni, mentre le nostre percezioni o sentimenti sono passioni; e quanto al corpo, diciamo che il mutamento
che gli sopraggiunge è un’azione se è la conseguenza di un mutamento precedente, altrimenti è una passione. In
generale, per dare alle nostre parole un senso che concili la metafisica con la pratica, quando numerose sostanze
sono affette da un medesimo mutamento (siccome in effetti ogni mutamento le tocca tutte), si può dire che
quella che perciò passa immediatamente a un maggiore grado di perfezione o permane nel medesimo grado di
perfezione, agisce, mentre quella che perciò diventa immediatamente più limitata, in maniera che le sue
espressioni diventano più confuse, patisce”.
40
Se l’epoca moderna è caratterizzata per Leibniz da una progressiva perdita di fede, motivata da
un’indebolimento della teologia razionale in favore di ambiti esperibili (si veda la lettera ad Arnauld del
novembre 1671, G. W. Leibniz, Sämtliche, II, I, p. 171), l’epoca antica non poteva disporre delle scoperte fatte
fino ad allora, in primo luogo dell’analisi in matematica. Si spiega in questo modo il recupero di concezioni
obsolete come la teoria delle forme sostanziali e la continua tensione verso l’innovazione in tutti gli ambiti del
sapere e della tecnica.
Scarica