la scolastica - corso B liceo Urbani

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LA SCOLASTICA
La scolastica è per definizione la filosofia medioevale cristiana di indirizzo tomista. Lo scholasticus era il
docente di filosofia e teologia che teneva le proprie lezioni nei chiostri e nelle università. La scuola si
proponeva come nuovo metodo di studio distinto dalle accademie e dai licei dell'antichità, attraverso lo studio
sistematico dei testi sacri cristiani e l'uso della lectio e della disputatio, ovvero del commento e della
discussione del testo. Il periodo interessato dalla scolastica va dal IX° secolo fino al Rinascimento, si distingue
l'alta scolastica (dall'800 al 1200); il periodo d'oro, in auge per tutto il 1200 grazie anche al diffondersi della
teologia di San Tommaso; e una lenta e progressiva decadenza che durerà fino al Rinascimento (si veda anche
Guglielmo d'Ockham per capire il cambiamento di prospettiva). Carattere saliente della scolastica era
l'uso della ragione al servizio delle verità di fede. Il compito della scolastica era di contrastare le tesi
eretiche e convincere gli atei dell'esistenza di Dio per via razionale e non solo mistica (per cui si crede per il
solo atto di credere e di avere fede). Per fare ciò lo scolastico si avvaleva spesso di sistemi filosofici anteriori e
collaudati (come, ad esempio, l'aristotelismo), in modo da giustificare e dimostrare che le verità del dogma e
della fede non potevano essere in contrasto con quelle della ragione.
La filosofia scolastica aveva quindi come limite e ambito esclusivo dei suoi studi il dogma religioso cristiano e
la sottomissione alle auctoritas. Ogni affermazione era permessa, purché non uscisse dal recinto "scientifico"
imposto dalle Sacre Scritture (per cui Dio era il creatore dell'universo, della terra, della flora e della fauna,
nonché dell'uomo). Cosa erano le auctoritas? Erano i passi della Bibbia, le sentenze dei Padri della Chiesa, gli
editti dei Concili e tutte quelle fonti che rafforzassero comunque la tradizione e le tesi cristiane.
L'aucotritas rappresentava, in sostanza, la decisione di affidarsi ad una voce ufficiale e decisa dai
concili, per cui esisteva l'aucotritas in campo medico (Galeno), quella in campo metafisico (Aristotele) e
quella in campo astronomico (Tolomeo). Ad esempio, anche se durante una dissezione si scopriva che un
certo organo era in una posizione non prevista dai testi di Galeno, l'uomo veniva considerato deforme, niente
di più che un'eccezione.
Per l'abitudine di affidarsi a un sistema già collaudato per giustificare le proprie tesi, ogni filosofia, anche
moderna o contemporanea, che utilizzi e si appoggi su una teoria filosofica già esistente, viene definita
scolastica.
SAN TOMMASO1 d'Aquino (1221-1274)
1. L'alleanza tra fede e ragione
Scrupolo della teologia di San Tommaso è la ricerca di un'alleanza da stabilire tra fede e ragione.
L'intenzione di Tommaso è quella di provare per via razionale le verità di fede, ma per fare ciò ha bisogno
di accordare le conclusioni del discorso religioso con quelle offerte dalla logica. Com'è possibile conciliare le
esigenze della conoscenza scientifica (qui considerata ancora in senso aristotelico) con i dogmi che esprimono
il contenuto indiscutibile della fede? L'indagine del mondo naturale, infatti, può entrare in conflitto con le
verità di fede: qualora l'evidenza di un fenomeno contrasti con le Sacre Scritture, quali parti prendere?
Possibile che Dio abbia creato un mondo che entri talvolta in contrasto con le sue stesse leggi?
Tommaso ritiene che Dio non possa essere così malevolo da produrre il contrasto tra l'indagine naturale e la
verità di fede. Tra filosofia e teologia non vi è dunque opposizione, seppure quest'ultima sia superiore alla
prima perché portatrice di Verità annunciate agli uomini direttamente da Dio. Egli non ha creato l'uomo per
dotarlo di una logica ingannatrice e falsa, se una verità naturale appare talvolta in contrasto con le verità di
fede, questo contrasto non è ovviamente dovuto a un errore di Dio e delle sue leggi, ma piuttosto a un errore
umano che non le sa correttamente interpretare. In altri termini, la Creazione, opera di Dio, non può essere in
contrasto con se stessa, ogni evidente discrepanza tra le conclusioni della fede e quelle della scienza
filosofica è dovuta agli errori di interpretazione in cui incorrono gli uomini. L'indagine tomista vuole
dunque offrire la corretta interpretazione del Creato, chiarirne le meccaniche anche là dove l'evidenza appare
in contrasto con quanto stabilito dalle Sacre Scritture.
L'ambito della ragione si riduce dunque a una riflessione che rimane pur sempre entro i limiti che le sono dati
dalle Verità di fede, e solo entro questi limiti essa ha piena libertà di indagine, ma non oltre. Ciò significa che
la ragione è pur sempre sottomessa alle Verità indiscutibili dei dogmi, poiché porsi in contrasto con essi
significherebbe negare l'infallibilità divina. In particolare, per Tommaso, la ragione può e deve venire in aiuto
della fede in tre modi: dimostrando razionalmente le Verità dei dogmi; spiegando per immagini e
similitudini i misteri della fede; ribattendo alle obiezioni degli atei (apologetica).
1
Tommaso nacque nella famiglia dei conti d'Aquino (di nobiltà longobarda), a Roccasecca (nei pressi di Cassino), dalla madre Teodora e dal padre Landolfo. Da
giovane studiò presso i monaci benedettini di Montecassino, finché, nel 1239, in seguito alla decisione di Federico II di fare dell'abbazia una fortezza militare, si
iscrisse all'Università di Napoli, frequentando la facoltà delle arti fino al 1243.
Nel 1244, affascinato dall'ordine dei predicatori, decise di farsi domenicano, nonostante l'opposizione dei genitori. Nel 1245 si trasferì a Parigi dove studiò teologia
sotto la guida di Alberto Magno, che segui anche a Colonia. Tornato nuovamente a Parigi nel 1252, intraprese la carriera dell'insegnamento, dapprima come
baccelliere e poi come maestro reggente di teologia. Nel biennio 1272-1273 fu maestro di teologia presso l'università di Napoli. Nel 1274 partì per Lione per
partecipare alla commissione del Concilio Ecumenico, ma dopo alcuni giorni di viaggio morì presso l'abbazia di Fossanova. Opere principali: le Questioni disputate
(1259), il Trattato contro i Gentili (1269-1273) e il Trattato di teologia (o Somma teologica), lasciato incompiuto. Altre opere da ricordare sono il Commento alle
"sentenze", L'ente e l'essenza, L'unità dell'intelletto contro gli avveroisti, L'eternità del mondo contro i mormoranti. Da aggiungere a questi, vari commenti attorno alle
opere di Aristotele e ai passi della Bibbia.
2. Dio come vero fondamento
Il progetto di Tommaso di servirsi della logica aristotelica pone la necessità di utilizzare il sillogismo come
metodo di indagine. Come già visto in Aristotele, il sillogismo presenta però un problema fondamentale: la
veridicità delle premesse. Il sillogismo, infatti, necessita per sua natura di dimostrare le verità sulle quali fonda
la catena delle deduzioni, il sillogismo deve avere a monte una premessa vera e dimostrata per la sua semplice
evidenza.Come può Tommaso dare avvio a quella catena di deduzioni proprie del sillogismo fondandola su
premesse non evidenti quali l'esistenza di Dio e dei principi di fede?
Tommaso sostiene, nella Somma teologica, che la scienza rispecchia le verità teologiche, in quanto l'intera
Creazione di Dio è soggetta alle leggi della natura fondate da Egli stesso. La scienza è quindi la stessa legge
divina. "[...] poiché essa [la scienza] procede dai principi conosciuti con la luce di Dio e dei beati. Pertanto,
allo stesso modo che la musica accetta come buoni i principii che le sono trasmessi dalla matematica, così la
sacra dottrina accetta i principii che le sono rivelati da Dio" (Somma Teologica).
Per fondare comunque il sillogismo sulla verità del principio divino, Tommaso si affida alla tripartizione
neoplatonica della realtà: in principio vi è Dio, da Dio deriva la Creazione, terminata la Creazione, vi è la
possibilità di risalire alla conoscenza di Dio.
Ecco che allora "Poiché lo scopo principale di questa sacra dottrina è di comunicare la conoscenza di Dio, e
non solo per quel che Dio è in sé, ma anche in quanto è principio e fine della realtà, e specialmente della
creatura razionale, intendendo esporre questa dottrina tratteremo prima di Dio, in secondo luogo del
cammino a Dio della creatura razionale, in terzo luogo di Cristo, perché in quanto uomo, Cristo è per noi la
via che porta a Dio" (Somma teologica).
Tommaso pone dunque come fondamento della catena delle deduzioni la Verità di Dio, ma è un porre
dettato dall'impossibilità di negare quella superiore verità di fede che impone di dare per Dio come
certamente esistente. L'intero edificio tomista poggerà allora sull'indiscutibilità delle Verità rivelate, già date
per vere e dunque esentate dall'indagine critica, un porre che non riguarda tanto il discorso logico, quanto la
volontà di fondare la riflessione razionale e i suoi passaggi su qualcosa posto come certo, secondo la volontà di
fede.
3. Le cinque prove dell'esistenza di Dio
Nella Somma teologica, Tommaso indica cinque prove dell'esistenza di Dio, dimostrate per via razionale.
Il procedimento utilizzato da Tommaso si appoggia sull'impianto della filosofia aristotelica del motore
immobile e consta di una serie di argomenti "a posteriori", ossia che partono dai dati empirici dall'esperienza
per giungere alla definizione di un principio primo che ne giustifichi l'esistenza. Anche per Tommaso, come in
Aristotele, l'uomo è limitato nella sua conoscenza certa nella percezione delle sole cose materiali, ma alla
certezza di Dio si può comunque giungere grazie allo strumento dell'intelletto razionale.
1° prova: Il movimento (il motore immobile). "Omne quod movetur ab alio movetur" (come già in Aristotele).
Ogni cosa che muta, muta proprio in ragione di un qualcosa che la fa mutare. Tutte le cose passano dalla
potenza all'atto, vi è quindi un mosso (l'ente che muta) e un movente (un altro ente che rende possibile il
mutamento). Se ogni ente ha dunque alle spalle qualcosa che lo fa muovere da uno stato all'altro, non è
ugualmente possibile che la catena degli enti mossi e dei loro moventi non abbia a monte un primo motore, un
motore immobile che è motivo di ogni altro movimento. Per Tommaso, come in Aristotele, questo principio
che mette in moto la catena dei mossi e dei moventi è senza dubbio Dio.
2° prova: Il rapporto causa/effetto (la causa incausata). Allo stesso modo, ogni ente è il prodotto di una certa
causa che lo rende effettivamente ciò che è. In questa catena di cause legate ai relativi effetti, per Tommaso,
come per Aristotele, deve pur esistere una causa prima, una causa incausata (senza causa efficiente alle sue
spalle), perché, se così non fosse, il mondo si reggerebbe su una caduta infinita e a ritroso della cause.
Ammettere ciò significherebbe che il mondo si regge sul nulla, ecco perché Dio si identifica con questa causa
che genera ogni altro effetto e che non ha alcuna causa alle sue spalle, poiché è Dio l'unico creatore di tutte le
cose.
3° prova: La contingenza (l'essere necessario). Il mondo è fatto di cose possibili, ovvero di cose che nascono
e finiscono, che passano da uno stato di essere a non essere più (sono contingenti, ovvero "sono fintanto che
sono"). Ciò comporta la possibilità che tutto ciò che esiste possa essere stato un giorno un nulla (ex nihilo
nihil, ovvero "ciò che esce dal nulla, rimane un nulla"). Ecco allora la necessità di un essere assolutamente
necessario, ovvero qualcosa che non può non esistere, la sostanza stabile di tutte le cose, ovvero, Dio.
4° prova: I diversi gradi di perfezione (l'essere perfettissimo). Le cose del mondo hanno tutte diversi gradi di
perfezione, una cosa può essere più o meno bella, più o meno vera, più o meno giusta. Tutte hanno in sé la
possibilità di migliorare e comunque lasciano aperta la possibilità di un miglioramento. Se ogni cosa potesse
migliorarsi all'infinito, il concetto stesso di perfezione ne risulterebbe svuotato, poiché mai nulla si potrebbe
dire perfetto una volta per tutte. Ecco perché secondo Tommaso deve per forza di cosa esistere un essere
perfettissimo, che è già perfezione e contiene al massimo grado tutte le determinazioni finite degli enti finiti
(contenga quindi il bello, il vero, il giusto come concetti puri e assoluti). Questo essere perfettissimo è Dio.
5° prova: il fine (l'intelligenza ordinatrice). Tutti le cose naturali tendono a un fine, ogni cosa naturale ha un
ordine. Tuttavia tutte le cose naturali, organiche e inorganiche, non possiedono una coscienza del proprio fine,
non sono coscienti di ciò a cui tendono e dell'ordine entro il quale sono state create. Dunque è necessario che
dietro a questa loro mancanza di coscienza vi sia un'intelligenza cosciente e ordinatrice, che attribuisca a
ciascuna di loro il fine per cui è stata creata: questa intelligenza ordinatrice è Dio.
Le cinque dimostrazioni non vogliono sostituirsi alle Verità di fede, esse costituiscono piuttosto dei preamboli
alla conoscenza di Dio. Dio rimane essenzialmente inconoscibile concretamente, tuttavia, le cinque prove
dimostrano come la ragione (opera di Dio, come ogni cosa) possa ugualmente provare la necessità di un
principio divino che tutto produce e al quale ogni cosa tende. L'intero edificio della Creazione, comprensiva
della ragione, rispecchia la Volontà di Dio (non vi è dunque contrasto tra fede e ragione).
4. Essenza ed esistenza, forma e materia
La distinzione tra ente ed essenza riveste particolare importanza nell'ambito della teologia tomista e della
scolastica. Per "ente" si intende ogni cosa che è, che possiede la qualità di esistere. Le cose esistenti non
sono solo quelle che si manifestano nel mondo naturale e sensibile, esiste anche un oltremondo divino, quello
composto dagli angeli, dall'inferno, dal Paradiso, dal Purgatorio e da Dio stesso, le quali sono forme di
esistenza non manifeste nel modo in cui si manifestano gli oggetti naturali, tuttavia sono comunque esistenti
(questo ci dicono le Sacre Scritture). Per "essenza" delle cose si intende invece la determinazione che
rende un essere ciò che è e non un altra cosa. L'essenza può essere allora considerata la definizione dell'ente,
ovvero ciò che a ciascun ente permette di essere una certa cosa. Tommaso la chiama anche "quiddità"
(quidditas, dal latino quid="che cosa?"). L'essenza esprime la potenza dell'ente, l'essenza che si unisce
all'ente (alla pura esistenza) genera la sostanza determinata, in atto. Dio è colui il quale si incarica di
creare ogni ente in in ragione della sua essenza. Solo Dio è allo stesso tempo essenza ed esistenza, in quanto
essere puro, necessario e perfettissimo, ente supremo che ha in sé la sua stessa essenza, senza che le sia stata
attribuita da nessun'altro. Da questi concetti derivano anche quelli di forma e materia, sostanzialmente
ripresi da Aristotele. La forma è il principio per cui la materia assume un determinato aspetto e va a formare
una determinata sostanza. La sostanza delle cose è infatti un composto (un sinolo) di forma e materia. La
forma è quindi ciò che crea in atto una sostanza servendosi della materia, ovvero servendosi di un
sostrato di esistenza necessario alla forma per plasmarlo secondo una qualsiasi essenza (la materia
indeterminata accoglie la forma in potenza, ovvero avendo già in sé le qualità potenziali di diventare un ente
determinato). La forma è dunque l'essenza di ogni cosa secondo l'ordine e le qualità attribuite loro da Dio.
5. L'analogicità dell'essere
Nella teologia medievale, particolare importanza riveste il problema di comprendere se la sostanza divina sia o
meno la stessa di quella umana. Il problema è legato al fatto di dimostrare quale sia il reale rapporto tra
Creatore e Creazione, se il primo è assolutamente trascendente rispetto alla seconda o se le due dimensioni
condividono la stessa sostanza (tesi già del panteismo, già in Plotino, nei neoplatonici e in Spinoza, per fare
alcuni esempi).Tommaso sostiene che tra "essere" divino e "essere" umano sussiste un'analogia. L'essere
dell'uomo non è identico a quello di Dio, ma è solo simile (Dio, infatti, secondo le Sacre Scritture ha creato
l'uomo a sua "immagine e somiglianza", e la somiglianza suggerisce un rapporto di similitudine tra la sostanza
divina e quella umana). L'essere degli uomini e della natura creata costituisce una sostanza analoga a quella
divina, e dunque imperfetta, incompleta. L'essere degli uomini è infatti soggetto a corrompersi e a distruggersi,
mentre l'essere divino è eterno e immutabile. Tale distinzione permette anche di ribadire la supremazia della
teologia rispetto alla filosofia: la teologia studia infatti l'essere puro e assoluto, l'essere divino, mentre la
filosofia si interessa all'essere proprio della Creazione, analogo, ma comunque inferiore in qualità rispetto a
quello del Creatore. Ecco perché per l'uomo è impossibile conoscere in senso assoluto e definitivo la natura
divina, l'uomo è infatti immerso nella sua imperfezione limitante, proprio in ragione dal suo "essere"
qualitativamente inferiore.
Guglielmo di OCKHAM 2(1290?-1349)
1. La conoscenza intuitiva
Ockham prende avvio dalla distinzione (già in Duns Scoto) tra conoscenza intuitiva e conoscenza
astrattiva, interpretando quella intuitiva in senso strettamente empiristico, anticipando le tesi dell'empirismo
inglese. La conoscenza intuitiva è quel tipo di conoscenza che permette di considerare in tutta evidenza
la realtà degli enti in modo immediato. Discutendo sull'effettiva realtà delle cose e degli oggetti, Ockham
afferma che basta la loro conoscenza diretta e immediata a comprovarne l'esistenza reale, (la conoscenza
intuitiva può essere poi sia astrattiva, quindi riferita alla considerazione dei puri oggetti astratti, sia sensitiva,
cioè riferita al dato “sentito”, percepito, con i sensi).
2
Di Guglielmo di Ockham sappiamo che nacque intorno al 1290 ad Ockham, nella contea inglese del Surrey. Francescano e insegnante di teologia ad Oxford, prese
le mosse dal pensiero di Duns Scoto, e viene considerato l'ultimo pensatore della scolastica medievale, poiché, come vedremo, il suo pensiero filosofico ne costituisce
una lettura critica che la esaurisce, aprendo ai temi della modernità. Ebbe un contenzioso con la corte di Avignone, che indagò sui “Commenti alle sentenze”, tanto
che fuggi dalla città assieme a Michele di Cesena, generale dell'ordine dei francescani e sostenitore della tesi - allora considerata eretica - delle povertà di Cristo e
degli Apostoli, quindi trovarono protezione presso Ludovico il Bavaro. Guglielmo si stabilì dunque a Monaco di Baviera, dove morì verso il 1349, sepolto nella locale
chiesa francescana. Tra le opere più importanti: Commento alle sentenze; i sette libri di Quodlibeta; De sacramento altaris et de corpore Christi, Philosophia naturalis,
Expositio aurea super artem veterem, Summa tutios logicae; Breviloquium de potestate papae.
2. Il rasoio di Ockham
Da questa immediatezza della conoscenza, che si riferisce all'oggetto per come si da nella semplice esperienza,
deriva per Ochkam la confutazione degli enti intermedi, delle specie (sostenute invece da Dans Scoto). Chi
sostiene l'esistenza di specie intermedie di enti e di concetti tra conoscenza immediata dell'oggetto e la sua
realtà effettiva, aggiunge un “di più” inutile e contraddittorio.
Esempio: la statua di Ercole [specie intermedia], non condurrebbe mai alla conoscenza di Ercole in quanto tale [l'oggetto/soggetto reale], ne si
potrebbe giudicare della sua somiglianza con Ercole, se non si fosse precedentemente conosciuto Ercole [conoscenza intuitiva immediata]. (Storia
della filosofia, Nicola Abbagnano).
Ecco dunque applicato il famoso rasoio di Ockham, che consiste essenzialmente in una regola di economia
dei concetti, per cui Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora (si fa inutilmente con molto ciò che si
può fare con poco), e anche Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (gli enti non si moltiplicano
senza necessità).
3. Il nominalismo in Ockham
Nella disputa che vide contrapposti i sostenitori dell'esistenza reale dei concetti universali e i sostenitori
delle sole realtà individuate, Ockham non poteva che accordarsi con questi ultimi. Per Ockham la pretesa
esistenza reale dei concetti universali è equiparabile all'equivoco che vuole esistenti le specie intermedie dei
concetti. Il concetto universale non è altro che un segno che indica un gruppo di cose individuali, separate le
une dalle altre, ma accomunate da un aspetto che hanno in comune. Il segno rappresentato dal concetto
universale indica “lo stare al posto di” qualcosa, cioè indica convenzionalmente una realtà di fatto, ma non è
quella stessa realtà di fatto. Si parla dunque di nominalismo di Ockham, che si accorda con i nominalisti a lui
anteriori, i quali affermavano che il concetto universale non ha una sua esistenza ontologica reale e autonoma,
ma costituisce il nome con il quale si indica un oggetto ontologicamente reale. (Ockham indica questo far
riferimento, questo “stare al posto di”, con il termine suppositio).
La supposizione personale è quella per cui i termini stanno per le cose da loro significate (Storia della
filosofia, Nicola Abbagnano)
4. La fine della scolastica
Poiché per Ockham, come abbiamo visto, la via maestra per la conoscenza vera e immediata degli enti è la
loro intuizione eminentemente empirica, la pretesa della metafisica di costituire la scienza prima attraverso la
quale risalire alla causa certa delle cose decade irrimediabilmente. Ockham afferma radicalmente che ogni
conoscenza che trascende l'ambito empirico non può essere raggiunta per via naturale dagli esseri umani. Il
problema del principio primo metafisico, Dio stesso, rimane aldilà dell'esperienza, per cui non vi è possibilità
di fondare l'accordo tra fede e ragione (come è nelle intenzioni della scolastica), tra la fede (che fa riferimento
alla dimensione metafisica) e la ragione (che ha come riferimento immediato l'esperienza) non vi può che
essere distinzione radicale. Tra fede e dimostrazione reale dell'oggetto di fede vi è una incommensurabilità
incolmabile, la fede rimane nell'ambito del mistero (e sono aspetti che ben si accordano alla vocazione
francescana di Ockham).
Affermare che Dio è reale riguarda soltanto l'evidenza dell'affermazione in sé, risulta impossibile la pretesa di
conoscere Dio aldilà dei suoi tratti “empirici” (e nemmeno affermare l'immortalità dell'anima per via razionale
è qualcosa di praticabile, in quanto l'immortalità riguarda più che altro il pensiero dell'immortalità, ma nulla ci
è dato sapere razionalmente sull'argomento, vista la limitazione sensoriale e intellegibile che si riduce ai dati
dell'esperienza). Questo rifiuto radicale della metafisica porterà Ockham alla rivalutazione della fisica, ovvero
del funzionamento degli enti empirici, concentrandosi non tanto dunque sul “perché” delle cose (ambito che
riguarda il mistero della fede), quanto il loro semplice “come”, le meccaniche del loro semplice mostrarsi alla
conoscenza intuitiva (in accordo con quanto verrà proposto dal pensiero moderno).
5. Il pensiero etico e politico
In accordo con il suo ordine e con le conseguenze stesse del suo principio di economia dei concetti espresso nel rasoio, Ockham fu
un difensore della povertà evangelica e francescana, da contrapporre al potere del papato e alla sua pretesa di giustificarsi per
discendenza divina. In un mondo di cose e concetti individuali, distinti tra loro e dunque unici, ogni pretesa di fondare l'autorità su
principi che intendano uniformare gli uomini in nome di verità universali indiscutibili è destinato a decadere. Per Ockham esiste
certamente (e come dato immediato che giunge alla coscienza) la peculiarità umana della distinzione e dell'unicità di ogni essere
umano, e in questo senso interpreta la libertà donata da Dio agli uomini. La povertà è dunque quel concetto che si oppone alla
soffocante struttura etico-metafisica edificata dal papato, il quale pretende di governare sugli uomini a motivo del sua immediato e
privilegiato “collegamento” con Dio (ma come si è visto, ogni pretesa di metafisica, per Ockham, è impraticabile).
Ecco dunque che il pensiero di Ockham venne a trovarsi in contrasto con Avignone, che sosteneva che l'autorità imperiale si
originasse da Dio, e per questo attraverso l'autorità papale, la quale aveva potere sia temporale che spirituale. Ockham non può
accettare questa tesi, e afferma come l'autorità imperiale non sia discesa tanto da Dio, quanto dall'Impero Romano, che poi la trasferì
a Carlo Magno, e in seguito trasferito alla nazione tedesca come alle altre. Ogni pretesa di giurisdizione papale sull'impero è quindi
da escludere, ed sarebbe anzi auspicabile, secondo Ockham, che l'elezione papale sia in particolari congiunture politiche affidate
all'Impero e ai laici, poiché l'Impero è il legittimo custode delle cose temporali, mentre alla Chiesa dovrebbero spettare solo quelle
spirituali. (agli imperi basta una Dieta per giustificare il proprio potere, le questioni della politica temporale non dovrebbero
costituire motivo di interesse per la religione).
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