LA SCOLASTICA La scolastica è per definizione la filosofia medioevale cristiana di indirizzo tomista. Lo scholasticus era il docente di filosofia e teologia che teneva le proprie lezioni nei chiostri e nelle università. La scuola si proponeva come nuovo metodo di studio distinto dalle accademie e dai licei dell'antichità, attraverso lo studio sistematico dei testi sacri cristiani e l'uso della lectio e della disputatio, ovvero del commento e della discussione del testo. Il periodo interessato dalla scolastica va dal IX° secolo fino al Rinascimento, si distingue l'alta scolastica (dall'800 al 1200); il periodo d'oro, in auge per tutto il 1200 grazie anche al diffondersi della teologia di San Tommaso; e una lenta e progressiva decadenza che durerà fino al Rinascimento (si veda anche Guglielmo d'Ockham per capire il cambiamento di prospettiva). Carattere saliente della scolastica era l'uso della ragione al servizio delle verità di fede. Il compito della scolastica era di contrastare le tesi eretiche e convincere gli atei dell'esistenza di Dio per via razionale e non solo mistica (per cui si crede per il solo atto di credere e di avere fede). Per fare ciò lo scolastico si avvaleva spesso di sistemi filosofici anteriori e collaudati (come, ad esempio, l'aristotelismo), in modo da giustificare e dimostrare che le verità del dogma e della fede non potevano essere in contrasto con quelle della ragione. La filosofia scolastica aveva quindi come limite e ambito esclusivo dei suoi studi il dogma religioso cristiano e la sottomissione alle auctoritas. Ogni affermazione era permessa, purché non uscisse dal recinto "scientifico" imposto dalle Sacre Scritture (per cui Dio era il creatore dell'universo, della terra, della flora e della fauna, nonché dell'uomo). Cosa erano le auctoritas? Erano i passi della Bibbia, le sentenze dei Padri della Chiesa, gli editti dei Concili e tutte quelle fonti che rafforzassero comunque la tradizione e le tesi cristiane. L'aucotritas rappresentava, in sostanza, la decisione di affidarsi ad una voce ufficiale e decisa dai concili, per cui esisteva l'aucotritas in campo medico (Galeno), quella in campo metafisico (Aristotele) e quella in campo astronomico (Tolomeo). Ad esempio, anche se durante una dissezione si scopriva che un certo organo era in una posizione non prevista dai testi di Galeno, l'uomo veniva considerato deforme, niente di più che un'eccezione. Per l'abitudine di affidarsi a un sistema già collaudato per giustificare le proprie tesi, ogni filosofia, anche moderna o contemporanea, che utilizzi e si appoggi su una teoria filosofica già esistente, viene definita scolastica. SAN TOMMASO1 d'Aquino (1221-1274) 1. L'alleanza tra fede e ragione Scrupolo della teologia di San Tommaso è la ricerca di un'alleanza da stabilire tra fede e ragione. L'intenzione di Tommaso è quella di provare per via razionale le verità di fede, ma per fare ciò ha bisogno di accordare le conclusioni del discorso religioso con quelle offerte dalla logica. Com'è possibile conciliare le esigenze della conoscenza scientifica (qui considerata ancora in senso aristotelico) con i dogmi che esprimono il contenuto indiscutibile della fede? L'indagine del mondo naturale, infatti, può entrare in conflitto con le verità di fede: qualora l'evidenza di un fenomeno contrasti con le Sacre Scritture, quali parti prendere? Possibile che Dio abbia creato un mondo che entri talvolta in contrasto con le sue stesse leggi? Tommaso ritiene che Dio non possa essere così malevolo da produrre il contrasto tra l'indagine naturale e la verità di fede. Tra filosofia e teologia non vi è dunque opposizione, seppure quest'ultima sia superiore alla prima perché portatrice di Verità annunciate agli uomini direttamente da Dio. Egli non ha creato l'uomo per dotarlo di una logica ingannatrice e falsa, se una verità naturale appare talvolta in contrasto con le verità di fede, questo contrasto non è ovviamente dovuto a un errore di Dio e delle sue leggi, ma piuttosto a un errore umano che non le sa correttamente interpretare. In altri termini, la Creazione, opera di Dio, non può essere in contrasto con se stessa, ogni evidente discrepanza tra le conclusioni della fede e quelle della scienza filosofica è dovuta agli errori di interpretazione in cui incorrono gli uomini. L'indagine tomista vuole dunque offrire la corretta interpretazione del Creato, chiarirne le meccaniche anche là dove l'evidenza appare in contrasto con quanto stabilito dalle Sacre Scritture. L'ambito della ragione si riduce dunque a una riflessione che rimane pur sempre entro i limiti che le sono dati dalle Verità di fede, e solo entro questi limiti essa ha piena libertà di indagine, ma non oltre. Ciò significa che la ragione è pur sempre sottomessa alle Verità indiscutibili dei dogmi, poiché porsi in contrasto con essi significherebbe negare l'infallibilità divina. In particolare, per Tommaso, la ragione può e deve venire in aiuto della fede in tre modi: dimostrando razionalmente le Verità dei dogmi; spiegando per immagini e similitudini i misteri della fede; ribattendo alle obiezioni degli atei (apologetica). 1 Tommaso nacque nella famiglia dei conti d'Aquino (di nobiltà longobarda), a Roccasecca (nei pressi di Cassino), dalla madre Teodora e dal padre Landolfo. Da giovane studiò presso i monaci benedettini di Montecassino, finché, nel 1239, in seguito alla decisione di Federico II di fare dell'abbazia una fortezza militare, si iscrisse all'Università di Napoli, frequentando la facoltà delle arti fino al 1243. Nel 1244, affascinato dall'ordine dei predicatori, decise di farsi domenicano, nonostante l'opposizione dei genitori. Nel 1245 si trasferì a Parigi dove studiò teologia sotto la guida di Alberto Magno, che segui anche a Colonia. Tornato nuovamente a Parigi nel 1252, intraprese la carriera dell'insegnamento, dapprima come baccelliere e poi come maestro reggente di teologia. Nel biennio 1272-1273 fu maestro di teologia presso l'università di Napoli. Nel 1274 partì per Lione per partecipare alla commissione del Concilio Ecumenico, ma dopo alcuni giorni di viaggio morì presso l'abbazia di Fossanova. Opere principali: le Questioni disputate (1259), il Trattato contro i Gentili (1269-1273) e il Trattato di teologia (o Somma teologica), lasciato incompiuto. Altre opere da ricordare sono il Commento alle "sentenze", L'ente e l'essenza, L'unità dell'intelletto contro gli avveroisti, L'eternità del mondo contro i mormoranti. Da aggiungere a questi, vari commenti attorno alle opere di Aristotele e ai passi della Bibbia. 2. Dio come vero fondamento Il progetto di Tommaso di servirsi della logica aristotelica pone la necessità di utilizzare il sillogismo come metodo di indagine. Come già visto in Aristotele, il sillogismo presenta però un problema fondamentale: la veridicità delle premesse. Il sillogismo, infatti, necessita per sua natura di dimostrare le verità sulle quali fonda la catena delle deduzioni, il sillogismo deve avere a monte una premessa vera e dimostrata per la sua semplice evidenza.Come può Tommaso dare avvio a quella catena di deduzioni proprie del sillogismo fondandola su premesse non evidenti quali l'esistenza di Dio e dei principi di fede? Tommaso sostiene, nella Somma teologica, che la scienza rispecchia le verità teologiche, in quanto l'intera Creazione di Dio è soggetta alle leggi della natura fondate da Egli stesso. La scienza è quindi la stessa legge divina. "[...] poiché essa [la scienza] procede dai principi conosciuti con la luce di Dio e dei beati. Pertanto, allo stesso modo che la musica accetta come buoni i principii che le sono trasmessi dalla matematica, così la sacra dottrina accetta i principii che le sono rivelati da Dio" (Somma Teologica). Per fondare comunque il sillogismo sulla verità del principio divino, Tommaso si affida alla tripartizione neoplatonica della realtà: in principio vi è Dio, da Dio deriva la Creazione, terminata la Creazione, vi è la possibilità di risalire alla conoscenza di Dio. Ecco che allora "Poiché lo scopo principale di questa sacra dottrina è di comunicare la conoscenza di Dio, e non solo per quel che Dio è in sé, ma anche in quanto è principio e fine della realtà, e specialmente della creatura razionale, intendendo esporre questa dottrina tratteremo prima di Dio, in secondo luogo del cammino a Dio della creatura razionale, in terzo luogo di Cristo, perché in quanto uomo, Cristo è per noi la via che porta a Dio" (Somma teologica). Tommaso pone dunque come fondamento della catena delle deduzioni la Verità di Dio, ma è un porre dettato dall'impossibilità di negare quella superiore verità di fede che impone di dare per Dio come certamente esistente. L'intero edificio tomista poggerà allora sull'indiscutibilità delle Verità rivelate, già date per vere e dunque esentate dall'indagine critica, un porre che non riguarda tanto il discorso logico, quanto la volontà di fondare la riflessione razionale e i suoi passaggi su qualcosa posto come certo, secondo la volontà di fede. 3. Le cinque prove dell'esistenza di Dio Nella Somma teologica, Tommaso indica cinque prove dell'esistenza di Dio, dimostrate per via razionale. Il procedimento utilizzato da Tommaso si appoggia sull'impianto della filosofia aristotelica del motore immobile e consta di una serie di argomenti "a posteriori", ossia che partono dai dati empirici dall'esperienza per giungere alla definizione di un principio primo che ne giustifichi l'esistenza. Anche per Tommaso, come in Aristotele, l'uomo è limitato nella sua conoscenza certa nella percezione delle sole cose materiali, ma alla certezza di Dio si può comunque giungere grazie allo strumento dell'intelletto razionale. 1° prova: Il movimento (il motore immobile). "Omne quod movetur ab alio movetur" (come già in Aristotele). Ogni cosa che muta, muta proprio in ragione di un qualcosa che la fa mutare. Tutte le cose passano dalla potenza all'atto, vi è quindi un mosso (l'ente che muta) e un movente (un altro ente che rende possibile il mutamento). Se ogni ente ha dunque alle spalle qualcosa che lo fa muovere da uno stato all'altro, non è ugualmente possibile che la catena degli enti mossi e dei loro moventi non abbia a monte un primo motore, un motore immobile che è motivo di ogni altro movimento. Per Tommaso, come in Aristotele, questo principio che mette in moto la catena dei mossi e dei moventi è senza dubbio Dio. 2° prova: Il rapporto causa/effetto (la causa incausata). Allo stesso modo, ogni ente è il prodotto di una certa causa che lo rende effettivamente ciò che è. In questa catena di cause legate ai relativi effetti, per Tommaso, come per Aristotele, deve pur esistere una causa prima, una causa incausata (senza causa efficiente alle sue spalle), perché, se così non fosse, il mondo si reggerebbe su una caduta infinita e a ritroso della cause. Ammettere ciò significherebbe che il mondo si regge sul nulla, ecco perché Dio si identifica con questa causa che genera ogni altro effetto e che non ha alcuna causa alle sue spalle, poiché è Dio l'unico creatore di tutte le cose. 3° prova: La contingenza (l'essere necessario). Il mondo è fatto di cose possibili, ovvero di cose che nascono e finiscono, che passano da uno stato di essere a non essere più (sono contingenti, ovvero "sono fintanto che sono"). Ciò comporta la possibilità che tutto ciò che esiste possa essere stato un giorno un nulla (ex nihilo nihil, ovvero "ciò che esce dal nulla, rimane un nulla"). Ecco allora la necessità di un essere assolutamente necessario, ovvero qualcosa che non può non esistere, la sostanza stabile di tutte le cose, ovvero, Dio. 4° prova: I diversi gradi di perfezione (l'essere perfettissimo). Le cose del mondo hanno tutte diversi gradi di perfezione, una cosa può essere più o meno bella, più o meno vera, più o meno giusta. Tutte hanno in sé la possibilità di migliorare e comunque lasciano aperta la possibilità di un miglioramento. Se ogni cosa potesse migliorarsi all'infinito, il concetto stesso di perfezione ne risulterebbe svuotato, poiché mai nulla si potrebbe dire perfetto una volta per tutte. Ecco perché secondo Tommaso deve per forza di cosa esistere un essere perfettissimo, che è già perfezione e contiene al massimo grado tutte le determinazioni finite degli enti finiti (contenga quindi il bello, il vero, il giusto come concetti puri e assoluti). Questo essere perfettissimo è Dio. 5° prova: il fine (l'intelligenza ordinatrice). Tutti le cose naturali tendono a un fine, ogni cosa naturale ha un ordine. Tuttavia tutte le cose naturali, organiche e inorganiche, non possiedono una coscienza del proprio fine, non sono coscienti di ciò a cui tendono e dell'ordine entro il quale sono state create. Dunque è necessario che dietro a questa loro mancanza di coscienza vi sia un'intelligenza cosciente e ordinatrice, che attribuisca a ciascuna di loro il fine per cui è stata creata: questa intelligenza ordinatrice è Dio. Le cinque dimostrazioni non vogliono sostituirsi alle Verità di fede, esse costituiscono piuttosto dei preamboli alla conoscenza di Dio. Dio rimane essenzialmente inconoscibile concretamente, tuttavia, le cinque prove dimostrano come la ragione (opera di Dio, come ogni cosa) possa ugualmente provare la necessità di un principio divino che tutto produce e al quale ogni cosa tende. L'intero edificio della Creazione, comprensiva della ragione, rispecchia la Volontà di Dio (non vi è dunque contrasto tra fede e ragione). 4. Essenza ed esistenza, forma e materia La distinzione tra ente ed essenza riveste particolare importanza nell'ambito della teologia tomista e della scolastica. Per "ente" si intende ogni cosa che è, che possiede la qualità di esistere. Le cose esistenti non sono solo quelle che si manifestano nel mondo naturale e sensibile, esiste anche un oltremondo divino, quello composto dagli angeli, dall'inferno, dal Paradiso, dal Purgatorio e da Dio stesso, le quali sono forme di esistenza non manifeste nel modo in cui si manifestano gli oggetti naturali, tuttavia sono comunque esistenti (questo ci dicono le Sacre Scritture). Per "essenza" delle cose si intende invece la determinazione che rende un essere ciò che è e non un altra cosa. L'essenza può essere allora considerata la definizione dell'ente, ovvero ciò che a ciascun ente permette di essere una certa cosa. Tommaso la chiama anche "quiddità" (quidditas, dal latino quid="che cosa?"). L'essenza esprime la potenza dell'ente, l'essenza che si unisce all'ente (alla pura esistenza) genera la sostanza determinata, in atto. Dio è colui il quale si incarica di creare ogni ente in in ragione della sua essenza. Solo Dio è allo stesso tempo essenza ed esistenza, in quanto essere puro, necessario e perfettissimo, ente supremo che ha in sé la sua stessa essenza, senza che le sia stata attribuita da nessun'altro. Da questi concetti derivano anche quelli di forma e materia, sostanzialmente ripresi da Aristotele. La forma è il principio per cui la materia assume un determinato aspetto e va a formare una determinata sostanza. La sostanza delle cose è infatti un composto (un sinolo) di forma e materia. La forma è quindi ciò che crea in atto una sostanza servendosi della materia, ovvero servendosi di un sostrato di esistenza necessario alla forma per plasmarlo secondo una qualsiasi essenza (la materia indeterminata accoglie la forma in potenza, ovvero avendo già in sé le qualità potenziali di diventare un ente determinato). La forma è dunque l'essenza di ogni cosa secondo l'ordine e le qualità attribuite loro da Dio. 5. L'analogicità dell'essere Nella teologia medievale, particolare importanza riveste il problema di comprendere se la sostanza divina sia o meno la stessa di quella umana. Il problema è legato al fatto di dimostrare quale sia il reale rapporto tra Creatore e Creazione, se il primo è assolutamente trascendente rispetto alla seconda o se le due dimensioni condividono la stessa sostanza (tesi già del panteismo, già in Plotino, nei neoplatonici e in Spinoza, per fare alcuni esempi).Tommaso sostiene che tra "essere" divino e "essere" umano sussiste un'analogia. L'essere dell'uomo non è identico a quello di Dio, ma è solo simile (Dio, infatti, secondo le Sacre Scritture ha creato l'uomo a sua "immagine e somiglianza", e la somiglianza suggerisce un rapporto di similitudine tra la sostanza divina e quella umana). L'essere degli uomini e della natura creata costituisce una sostanza analoga a quella divina, e dunque imperfetta, incompleta. L'essere degli uomini è infatti soggetto a corrompersi e a distruggersi, mentre l'essere divino è eterno e immutabile. Tale distinzione permette anche di ribadire la supremazia della teologia rispetto alla filosofia: la teologia studia infatti l'essere puro e assoluto, l'essere divino, mentre la filosofia si interessa all'essere proprio della Creazione, analogo, ma comunque inferiore in qualità rispetto a quello del Creatore. Ecco perché per l'uomo è impossibile conoscere in senso assoluto e definitivo la natura divina, l'uomo è infatti immerso nella sua imperfezione limitante, proprio in ragione dal suo "essere" qualitativamente inferiore. Guglielmo di OCKHAM 2(1290?-1349) 1. La conoscenza intuitiva Ockham prende avvio dalla distinzione (già in Duns Scoto) tra conoscenza intuitiva e conoscenza astrattiva, interpretando quella intuitiva in senso strettamente empiristico, anticipando le tesi dell'empirismo inglese. La conoscenza intuitiva è quel tipo di conoscenza che permette di considerare in tutta evidenza la realtà degli enti in modo immediato. Discutendo sull'effettiva realtà delle cose e degli oggetti, Ockham afferma che basta la loro conoscenza diretta e immediata a comprovarne l'esistenza reale, (la conoscenza intuitiva può essere poi sia astrattiva, quindi riferita alla considerazione dei puri oggetti astratti, sia sensitiva, cioè riferita al dato “sentito”, percepito, con i sensi). 2 Di Guglielmo di Ockham sappiamo che nacque intorno al 1290 ad Ockham, nella contea inglese del Surrey. Francescano e insegnante di teologia ad Oxford, prese le mosse dal pensiero di Duns Scoto, e viene considerato l'ultimo pensatore della scolastica medievale, poiché, come vedremo, il suo pensiero filosofico ne costituisce una lettura critica che la esaurisce, aprendo ai temi della modernità. Ebbe un contenzioso con la corte di Avignone, che indagò sui “Commenti alle sentenze”, tanto che fuggi dalla città assieme a Michele di Cesena, generale dell'ordine dei francescani e sostenitore della tesi - allora considerata eretica - delle povertà di Cristo e degli Apostoli, quindi trovarono protezione presso Ludovico il Bavaro. Guglielmo si stabilì dunque a Monaco di Baviera, dove morì verso il 1349, sepolto nella locale chiesa francescana. Tra le opere più importanti: Commento alle sentenze; i sette libri di Quodlibeta; De sacramento altaris et de corpore Christi, Philosophia naturalis, Expositio aurea super artem veterem, Summa tutios logicae; Breviloquium de potestate papae. 2. Il rasoio di Ockham Da questa immediatezza della conoscenza, che si riferisce all'oggetto per come si da nella semplice esperienza, deriva per Ochkam la confutazione degli enti intermedi, delle specie (sostenute invece da Dans Scoto). Chi sostiene l'esistenza di specie intermedie di enti e di concetti tra conoscenza immediata dell'oggetto e la sua realtà effettiva, aggiunge un “di più” inutile e contraddittorio. Esempio: la statua di Ercole [specie intermedia], non condurrebbe mai alla conoscenza di Ercole in quanto tale [l'oggetto/soggetto reale], ne si potrebbe giudicare della sua somiglianza con Ercole, se non si fosse precedentemente conosciuto Ercole [conoscenza intuitiva immediata]. (Storia della filosofia, Nicola Abbagnano). Ecco dunque applicato il famoso rasoio di Ockham, che consiste essenzialmente in una regola di economia dei concetti, per cui Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora (si fa inutilmente con molto ciò che si può fare con poco), e anche Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (gli enti non si moltiplicano senza necessità). 3. Il nominalismo in Ockham Nella disputa che vide contrapposti i sostenitori dell'esistenza reale dei concetti universali e i sostenitori delle sole realtà individuate, Ockham non poteva che accordarsi con questi ultimi. Per Ockham la pretesa esistenza reale dei concetti universali è equiparabile all'equivoco che vuole esistenti le specie intermedie dei concetti. Il concetto universale non è altro che un segno che indica un gruppo di cose individuali, separate le une dalle altre, ma accomunate da un aspetto che hanno in comune. Il segno rappresentato dal concetto universale indica “lo stare al posto di” qualcosa, cioè indica convenzionalmente una realtà di fatto, ma non è quella stessa realtà di fatto. Si parla dunque di nominalismo di Ockham, che si accorda con i nominalisti a lui anteriori, i quali affermavano che il concetto universale non ha una sua esistenza ontologica reale e autonoma, ma costituisce il nome con il quale si indica un oggetto ontologicamente reale. (Ockham indica questo far riferimento, questo “stare al posto di”, con il termine suppositio). La supposizione personale è quella per cui i termini stanno per le cose da loro significate (Storia della filosofia, Nicola Abbagnano) 4. La fine della scolastica Poiché per Ockham, come abbiamo visto, la via maestra per la conoscenza vera e immediata degli enti è la loro intuizione eminentemente empirica, la pretesa della metafisica di costituire la scienza prima attraverso la quale risalire alla causa certa delle cose decade irrimediabilmente. Ockham afferma radicalmente che ogni conoscenza che trascende l'ambito empirico non può essere raggiunta per via naturale dagli esseri umani. Il problema del principio primo metafisico, Dio stesso, rimane aldilà dell'esperienza, per cui non vi è possibilità di fondare l'accordo tra fede e ragione (come è nelle intenzioni della scolastica), tra la fede (che fa riferimento alla dimensione metafisica) e la ragione (che ha come riferimento immediato l'esperienza) non vi può che essere distinzione radicale. Tra fede e dimostrazione reale dell'oggetto di fede vi è una incommensurabilità incolmabile, la fede rimane nell'ambito del mistero (e sono aspetti che ben si accordano alla vocazione francescana di Ockham). Affermare che Dio è reale riguarda soltanto l'evidenza dell'affermazione in sé, risulta impossibile la pretesa di conoscere Dio aldilà dei suoi tratti “empirici” (e nemmeno affermare l'immortalità dell'anima per via razionale è qualcosa di praticabile, in quanto l'immortalità riguarda più che altro il pensiero dell'immortalità, ma nulla ci è dato sapere razionalmente sull'argomento, vista la limitazione sensoriale e intellegibile che si riduce ai dati dell'esperienza). Questo rifiuto radicale della metafisica porterà Ockham alla rivalutazione della fisica, ovvero del funzionamento degli enti empirici, concentrandosi non tanto dunque sul “perché” delle cose (ambito che riguarda il mistero della fede), quanto il loro semplice “come”, le meccaniche del loro semplice mostrarsi alla conoscenza intuitiva (in accordo con quanto verrà proposto dal pensiero moderno). 5. Il pensiero etico e politico In accordo con il suo ordine e con le conseguenze stesse del suo principio di economia dei concetti espresso nel rasoio, Ockham fu un difensore della povertà evangelica e francescana, da contrapporre al potere del papato e alla sua pretesa di giustificarsi per discendenza divina. In un mondo di cose e concetti individuali, distinti tra loro e dunque unici, ogni pretesa di fondare l'autorità su principi che intendano uniformare gli uomini in nome di verità universali indiscutibili è destinato a decadere. Per Ockham esiste certamente (e come dato immediato che giunge alla coscienza) la peculiarità umana della distinzione e dell'unicità di ogni essere umano, e in questo senso interpreta la libertà donata da Dio agli uomini. La povertà è dunque quel concetto che si oppone alla soffocante struttura etico-metafisica edificata dal papato, il quale pretende di governare sugli uomini a motivo del sua immediato e privilegiato “collegamento” con Dio (ma come si è visto, ogni pretesa di metafisica, per Ockham, è impraticabile). Ecco dunque che il pensiero di Ockham venne a trovarsi in contrasto con Avignone, che sosteneva che l'autorità imperiale si originasse da Dio, e per questo attraverso l'autorità papale, la quale aveva potere sia temporale che spirituale. Ockham non può accettare questa tesi, e afferma come l'autorità imperiale non sia discesa tanto da Dio, quanto dall'Impero Romano, che poi la trasferì a Carlo Magno, e in seguito trasferito alla nazione tedesca come alle altre. Ogni pretesa di giurisdizione papale sull'impero è quindi da escludere, ed sarebbe anzi auspicabile, secondo Ockham, che l'elezione papale sia in particolari congiunture politiche affidate all'Impero e ai laici, poiché l'Impero è il legittimo custode delle cose temporali, mentre alla Chiesa dovrebbero spettare solo quelle spirituali. (agli imperi basta una Dieta per giustificare il proprio potere, le questioni della politica temporale non dovrebbero costituire motivo di interesse per la religione).