SCHIZOFRENIA E LINGUAGGIO di Giacomo Di Valerio INDICE 1. Panoramica sulla schizofrenia 2. Schizofrenia e linguaggio 2.1 Schizofrenia, Fodor, e il ruolo della pragmatica nel discorso 2.2 La microstruttura di Kintsch e Van Dijk 2.3 Altre anomalie del linguaggio schizofrenico 3. Metarappresentazione e coscienza 4. Mente e cervello (Testo di riferimento: ”Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia”, C. Frith) 1. Panoramica sulla schizofrenia La schizofrenia è una patologia che raccoglie al suo interno un’ampia casistica: le manifestazioni della malattia possono essere molto diverse tra di loro, al punto che ci si è anche domandati se essa costituisca una singola entità. Questo rende di gran lunga difficile identificare un paziente come “schizofrenico”, anche se sono stati elaborati degli schemi di classificazione decisamente attendibili. Questo tipo di classificazione, ovviamente, non permette di diagnosticare. La diagnosi implica nel suo concetto il riconoscimento della causa responsabile della malattia. In questo campo gli studiosi riscontrano i maggiori problemi, dato che ancora non è stata identificata una causa certa della schizofrenia. I sintomi della malattia vengono generalmente suddivisi in “positivi” e “negativi”: i primi, così chiamati perché risultano anomali per la loro presenza, si manifestano principalmente sotto la forma di allucinazioni, ossia false percezioni, di deliri, cioè false convinzioni, e di incoerenza del linguaggio; i secondi, invece, considerati anomali per la loro assenza, comportano una povertà di azione che può essere ravvisata anche nel linguaggio. Questi ultimi sono, più propriamente, delle anomalie comportamentali, per cui vengono definiti più come “segni” osservabili, che come “sintomi”. Secondo alcune teorie essi risponderebbero ad una strategia adottata dai malati per sopperire alle anomalie cognitive che danno origine ai sintomi positivi. Tuttavia questa interpretazione sembra essere fallace in quanto i segni negativi possono essere riscontrati fin dai primi stadi della malattia o anche precedentemente all’insorgenza dei sintomi positivi. Studiando i problemi legati alla povertà d’azione, ci si può facilmente accorgere come questi siano legati alle azioni che devono essere auto-generate, e non a quelle che consistono in una semplice risposta ad uno stimolo ambientale. Cercando la compromissione cognitiva sottesa a questo comportamento, ci si accorge che questa consiste nella capacità di generare risposte spontanee che diano informazioni ulteriori rispetto allo stimolo, e più in generale nell’elaborazione di risposte intenzionali. Quest’anomalia può condurre inoltre ad un comportamento stereotipato, in quanto la presenza di poche idee guida il soggetto verso la perseveranza su certi comportamenti e quindi anche in risposte con il rischio preminente di risultare inappropriati al contesto. 2. Schizofrenia e linguaggio Il metodo d’indagine seguito per i problemi di povertà d’azione può essere utilizzato anche per lo studio della problematica del linguaggio. Si procederà mettendo a fuoco i probabili deficit cognitivi sottesi alle anomalie del linguaggio. Successivamente si cercherà di comprendere se essi riflettano una compromissione più generale, opportunamente localizzabile nel sistema cerebrale. L’attenzione che gli studiosi della patologia in questione riservano al linguaggio, è data dalla convinzione che se si riuscisse a comprendere quello che i pazienti dicono, probabilmente si avrebbe una chiave di accesso importante per capire la schizofrenia stessa. Ma, soprattutto, l’analisi delle anomalie del discorso in pazienti patologici è qui finalizzato allo studio del linguaggio in generale, ai modelli di discorso da ritenere plausibili e quelli da rigettare. Un esempio di discorso di un paziente schizofrenico può essere il seguente (Bleuler, 1913): Dunque, mi è sempre piaciuta la geografia. Il mio ultimo insegnante di questa materia era il professor August A. Era un uomo con gli occhi neri. Mi piacciono gli occhi neri. Ci sono anche occhi blu o grigie anche di altro tipo. Ho sentito dire che i serpenti hanno gli occhi verdi. Tutte le persone hanno gli occhi. Ce ne sono anche alcune che sono cieche. Queste persone cieche sono accompagnate da un ragazzo. Deve essere terribile non poter vedere. Ci sono delle persone che non possono vedere e che inoltre non possono udire. Io conosco qualcuno che ode troppo. Ci sono molte persone malate a Burgholzli; sono chiamati pazienti. 1 Il linguaggio osservato nei pazienti schizofrenici viene abitualmente denominato “disturbo del pensiero”, secondo la credenza che ciò che i malati asseriscono sia la conseguenza di pensieri particolari. Più precisamente, il disturbo del pensiero si dirama in “disturbi di contenuto del pensiero” e “disturbi della forma del pensiero”. Nel primo caso il linguaggio di esposizione è assolutamente normale al contrario del contenuto confuso dei pensieri; nel secondo caso, la forma con cui i pensieri vengono espressi può essere compromessa, mentre non lo è il contenuto dei pensieri. Quello che dunque emerge, in maniera primaria dallo studio della schizofrenia, è che il linguaggio può essere considerato come separato dal pensiero, e non come una semplice finestra su di esso che diventa più precisamente “l’espressione dei pensieri con il preciso scopo di comunicare questi pensieri agli altri”.2 2.1 Schizofrenia, Fodor, e il ruolo della pragmatica nel discorso Tre autorevoli studiosi, Andreasen, Hoffman e Grove, hanno posto l’attenzione su tre aspetti fondamentali del linguaggio, ovvero la sintassi, la semantica e il discorso. Le conclusioni a cui essi sono arrivati, vertono sull’indicare compromissioni specifiche nei pazienti schizofrenici a livello della costruzione del discorso, ossia un deficit nell’utilizzo “delle regole che guidano il modo in cui le frasi possono essere combinate per costruire un’idea precisa o una storia”.3 Di contro, questi hanno mantenuto intatta la componente sintattica. Questi studi sono riconducibili alla distinzione, nello studio delle proprietà di un testo, tra microanalisi, ovvero l’analisi della relazione degli elementi in una frase (elaboratore sintattico di Chomsky) e macroanalisi, l’analisi delle relazione delle frasi tra di loro ed intorno ad un nucleo centrale. Ci si rende facilmente conto di come, facendo ricorso semplicemente alla 1 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.99 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.101 3 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.101 2 microanalisi non si riesca a spiegare in maniera adeguata l’intera costruzione del discorso. Nonostante questo, un modello, quello computazionale classico, si fonda sulla microanalisi, dando priorità all’enunciato rispetto al discorso, incorrendo però in ostacoli ineludibili. Vediamo i limiti di un modello fondato esclusivamente sulla microanalisi. Per comprendere meglio, possiamo riferirci ad un noto filosofo e scienziato statunitense, Jerry Fodor, ascrivibile a questo modello, il quale fonda la sua teoria sull’idea che il linguaggio sia un sistema di elaborazione autonomo ed autosufficiente, che necessita solo ed esclusivamente di un parser sintattico che converta il suono in significato comprensibile agli uomini, sfruttando la mediazione della forma logica. In questo modello del linguaggio, l’elaboratore sintattico lavora esclusivamente sulla forma dei simboli, mentre il significato è ridotto a quello letterale delle parole, completamente indipendente dalle intenzioni con cui il parlante ha proferito quell’enunciato. Fondamentale secondo Fodor, infatti, è solo la comprensione e produzione degli enunciati effettivamente pronunciati dai parlanti, a prescindere dalle informazioni legate al contesto. Le situazioni diventano dunque totalmente decontestualizzate e la pragmatica finisce per non svolgere più alcun ruolo in questo modello. Primo scacco che si può portare a questa teoria riguarda il fatto che alcuni studiosi, Sperber e Wilson su tutti, hanno distinto tra decodifica e inferenza come modalità di comunicazione. A livello di decodifica, un’espressione viene mentalmente letta a livello di sintassi e dei significati delle parole, arrivando così alla comprensione del significato letterale dell’enunciato, senza però capire veramente quale è l’intenzione del soggetto parlante. Le parole significano cose differenti a seconda dei contesti, per cui è necessaria la conoscenza delle convinzioni ed intenzioni della persona che sta parlando. Altri due autorevoli studiosi, Cutting e Murphy, hanno scoperto come i pazienti schizofrenici, avendo difficoltà nell’inferenza, avevano realmente problemi nel comprendere i significati metaforici ed ironici, legati quindi al contesto, celati dietro frasi e parole. Per comprendere meglio le motivazioni che spingono a rigettare questo modello computazionale è utile addentrarsi maggiormente nella comprensione delle anomalie del linguaggio di questi soggetti patologici. I problemi emergono più sugli aspetti espressivi che su quelli ricettivi del linguaggio. È stato rilevato, infatti, che i soggetti schizofrenici non avevano molte difficoltà nell’utilizzare descrizioni proferite da soggetti non patologici, mentre nei casi contrari, la comunicazione falliva costantemente. Di conseguenza, l’altro problema da mettere in evidenza, è la difficoltà di comprensione di un ascoltatore che interloquisce con un paziente schizofrenico. Infatti, è stato notato come i soggetti patologici falliscano spesso lì dove per una comunicazione efficace sempre coerente ad uno scopo, c’è da tener conto della conoscenza e delle intenzioni del parlante-ascoltatore. “Coloro che parlano dicono a coloro che ascoltano cose nuove sulla base di quelle che suppongono essere cose già conosciute da chi ascolta”.4 Di notevole suggestione sono stati degli studi che hanno mostrato come il parlante patologico si renda conto che l’ascoltatore ha bisogno di maggiori informazioni per comprendere il proprio discorso, ma risulta ugualmente incapace di comprendere quali informazioni vadano fornite. Quindi il locutore schizofrenico non ha la capacità di assumere socialmente il ruolo dell’altro e, inoltre, di leggere le intenzioni altrui: sarebbe sprovvisto di quelle che vengono definite “le norme sociali convenzionali”, ulteriore scacco alla teoria di Fodor che non tiene conto di questi fattori extralinguistici nella produzione/comprensione del linguaggio. Per concludere, Frith, sempre nel suo libro sopra citato, afferma:”molti studiosi hanno evidenziato questi problemi del linguaggio schizofrenico, che sono legati alla sfera della pragmatica. Ciò implica che i pazienti schizofrenici abbiano difficoltà nel dedurre la 4 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.103 conoscenza e le intenzioni dei loro ascoltatori e nell’usare queste deduzioni per guidare i propri progetti del discorso.”5 Tutto questo per sottolineare l’importanza, nella produzione/comprensione del discorso, della consonanza e coerenza alla situazione in rapporto alla conoscenza e alle intenzioni della persona con cui si sta parlando. Dunque, la prospettiva di discorso che emerge dalla teoria di Fodor è assolutamente poco soddisfacente, e riflette un modello definito del “cadavere eccellente” che non permette di distinguere un testo da un non testo: non c’è nessuna attenzione alle relazioni fondamentali delle frasi tra loro e rispetto ad un scopo centrale (vedi esempio di discorso schizofrenico riportato sopra). 2.2 La microstruttura di Kintsch e Van Dijk Rimanendo nel solco della prospettiva classica, due studiosi, Kintsch e Van Dijk, hanno tentato di parlare del discorso in termini di macroanalisi. Questa è stata ulteriormente divisa in microstruttura, che tiene conto della correlazione lineare delle frasi tra di loro, e macrostruttura, ovvero il modo in cui le frasi sono correlate ad un tema centrale mostrando il senso del discorso. Il problema è solamente spostato, e lontano dall’essere risolto. Questo modello continua a sottolineare il fatto che la mente lavori esclusivamente sulla forma dei simboli applicando delle regole formali appunto, rimanendo però sulla superficie del discorso. Quello che queste regole permettono di acquisire è la coesione del discorso, ma non certo il suo senso e la sua coerenza. Si ha bisogno, per raggiungere questo obiettivo, di tutta una serie di conoscenze extralinguistiche fondamentali nella strutturazione del discorso, alcune delle quali già trattate nel paragrafo precedente. Ciò che questo modello e quello computazionale classico in generale non riescono a spiegare, è il fenomeno del deragliamento ravvisabile nel 56% dei pazienti schizofrenici, per cui le frasi sono linearmente ben collegate tra di loro, ma manca una connessione corretta tra di esse tale da fornire senso e coerenza al discorso. Alcuni studi infatti hanno dimostrato che i pazienti schizofrenici non sono in grado di fornire una descrizione calzante e coerente, senza dilungarsi in frasi ininfluenti e inadeguate, malamente concatenate tra di loro. Quel che è stato notato, è che questo accade perché i soggetti, rendendosi conto di fornire descrizioni inadeguate, proseguono nel loro sforzo, nel tentativo di porre rimedio alla mancanza. Secondo Frith, quest’incapacità dimostrata dai soggetti patologici riflette un deficit dell’autocontrollo delle proprie intenzioni, dispositivo che quindi sembra essere fondamentale per la coerenza del discorso, per il semplice fatto che quando esso non funziona normalmente il paziente non è in grado di controllare le proprie risposte, se non dopo averle pronunciate. È stato, inoltre, osservato che il discorso dei pazienti schizofrenici mostra un difetto di progettazione, in quanto molte delle frasi incluse nel discorso non si adattano al nucleo centrale con cui esso è stato elaborato. Un altro rischio associato a questo deficit è infatti la perdita dello scopo che rende il soggetto incapace di seguire la logica concatenazione del discorso verso la sua coerente conclusione. 5 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.112 2.3 Altre anomalie del linguaggio schizofrenico Le molteplici difficoltà espresse dai pazienti schizofrenici sono l’espressione dei deficit cognitivi sottesi. Come per altri disturbi della schizofrenia (quelli dell’azione intenzionale sopra discussi – povertà, perseverazione ed inappropriatezza), anche per alcune compromissioni del linguaggio possono essere individuati gli stessi deficit cognitivi. Innanzitutto, la povertà del linguaggio riflette un’incapacità di generare azioni spontanee, nonostante le conoscenze a disposizione di un paziente schizofrenico non siano magari inferiore a quelle di qualsiasi altro soggetto. Dunque i problemi sarebbero sempre a livello dell’azione intenzionale. La stessa povertà di contenuto può essere generata sia perché vengono usate poche parole, sia perché il paziente persevera, in maniera poco consona, con le stesse parole o idee. Inoltre, è stato studiato come spesso i soggetti patologici utilizzino parole inappropriate al discorso, inusuali e devianti, facciano associazioni di parole con il significato più improbabile, o addirittura possano creare neologismi. Ma i problemi legati al linguaggio non si risolvono esclusivamente in questi aspetti. Di nuovo riguardo il controllo del linguaggio, questo può essere studiato chiedendo alle persone, dopo un periodo di tempo, di ricordare se hanno detto qualcosa oppure no. In generale, i pazienti psicotici riuscivano peggio dei normali volontari, ma vi fu qualche evidenza ulteriore nell’incapacità di svolgere questo compito nei soggetti con allucinazioni. Studi simili hanno invece mostrato che ad avere maggiori problemi nel ricordare le frasi generate da loro stessi, fossero i pazienti con deficit riguardo l’incoerenza del linguaggio, mostrando quindi l’importanza della memoria per il linguaggio stesso. Le stesse emozioni possono giocare un ruolo fondamentale nel linguaggio in quanto il loro mancato riconoscimento nei pazienti schizofrenici può rendere più difficile la comunicazione. Il paziente può non riconoscere nell’espressione del volto di un altro soggetto le intenzioni con cui questo si è approcciato alla comunicazione, rischiando di compromettere, come abbiamo visto, la coerenza del discorso. Ma non solo. Studi hanno evidenziato come i pazienti con problemi di povertà e incoerenza del discorso non fossero in grado di riconoscere e descrivere le espressioni e gli stati mentali di persone presentate in alcune immagini. Appare dunque chiaro ancor più nitidamente come il modello proposto da coloro che ripongono la priorità nell’enunciato e nello studio della microanalisi o anche della microstruttura sia totalmente insufficiente per spiegare il discorso. Come messo in evidenza dai deficit cognitivi dei pazienti schizofrenici, per dar conto di come viene strutturato e compreso il discorso non è possibile fare affidamento solo ed esclusivamente ad un parser sintattico indipendente ed autosufficiente. È il riferimento alla pragmatica, ai disturbi legati al controllo delle proprie azioni intenzionali, elemento cognitivo fondamentale non solo per il linguaggio ma anche per altri disturbi della schizofrenia, al dispositivo cognitivo della memoria, e addirittura alle emozioni che si può avere una teoria accettabile sul discorso. 3. Metarappresentazione e coscienza Frith, una volta individuati questi deficit cognitivi – azione intenzionale, mancanza di autocontrollo e incapacità di comprendere le intenzioni altrui – dimostra come questi siano solamente manifestazioni di un processo cognitivo più generale e unificante. Questo tipo di sistema cognitivo viene individuato in quello che il neuropsicologo definisce metarappresentazione. Questo dispositivo è fondamentale per la coscienza di sé. Difatti, data una rappresentazione, ad esempio un libro, grazie alla metarappresentazione, il soggetto diventa consapevole di quella parte di sé che guarda il libro. “La coscienza di sé non può avvenire senza metarappresentazione”.6 Ne consegue, quindi, che persone con un deficit di questo genere, hanno un’alterata percezione di sé e dei propri stati interni. Ogni metarappresentazione, o conoscenza delle rappresentazioni, è costituita da due componenti: la forma della rappresentazione e i suoi contenuti. Quello che nei pazienti schizofrenici farebbe difetto, non sarebbe il meccanismo della consapevolezza del contenuto della proposizione, ma quello della forma. Questo l’esempio riportato da Frith: “Poi, io (Chris) potrei dedurre che la preposizione <<Eva crede che Chris beva troppo>> sia della mia amica Eva. Se il mio meccanismo di meta rappresentazione non funziona, poi, pensando ad Eva, la nozione libera che emerge - <<Chris beve troppo>> - potrebbe entrare nella mia coscienza. Se io descrivessi questa esperienza, potrebbe essere definita un’allucinazione in terza persona”.7 Seguendo questo schema di riferimento è facile rendersi conto che avendo dei difetti nel meccanismo che porta alla consapevolezza, un soggetto patologico può avere benissimo un’informazione su un obiettivo ma non avere la consapevolezza di questo obiettivo, che potrebbe manifestarsi in una povertà di volontà e in conseguenti anomalie del comportamento. Oppure, non essere consapevoli delle proprie intenzioni potrebbe causare una mancanza di autocontrollo a livello superiore generando le anomalie comportamentali e del linguaggio discusse in questo scritto; infine non essere consapevoli delle intenzioni degli altri può indurre altri seri problemi nel campo della comunicazione, come sopra dimostrato. La metarappresentazione è dunque un meccanismo cognitivo che ci permette di essere consapevoli dei nostri obiettivi, delle nostre intenzioni e delle intenzioni degli altri. Soprattutto riguardo le proprie intenzioni, un caso interessante da prendere in considerazione è anche quello delle allucinazioni. Secondo la teoria dell’output, esse derivano dal fatto che il soggetto schizofrenico parla a se stesso ma percepisce queste frasi come se provenissero da un altro luogo. Il problema dipende dal fatto che il paziente non ha coscienza delle proprie intenzioni, non capisce che quelle in realtà sono azioni autogenerate e, quindi, non avendo controllo sulla fonte dell’azione, le avverte come estranee. Risulta, quindi, che la coscienza non può qualificarsi come un prodotto culturale, un punto di vista che emerge dal discorso in funzione del linguaggio ma, semmai, sono proprio questi fenomeni di coscienza, a livello cognitivo, a garantire la coerenza e l’appropriatezza al contesto del discorso. Difatti, fino alla manifestazione dei sintomi positivi (le allucinazioni) il paziente ha la piena coscienza di sé, delle proprie intenzioni e dei propri obiettivi. È, appunto, un deficit a livello cognitivo della metarappresentazione, sistema che governa le rappresentazioni di eventi astratti nella coscienza, ad alterare la consapevolezza del soggetto. 6 7 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.7, pag.120 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.7, pag.131 4. Mente e cervello Nell’opera Neuropsicologia della schizofrenia, punto di riferimento per queste riflessioni circa il linguaggio, Frith afferma esplicitamente:”dato che la schizofrenia è associata a un’anomalia del cervello, ciò che qui ci interessa maggiormente è considerare come i vari segni e sintomi della schizofrenia siano correlati all’alterazione di particolari sistemi cerebrali.”8 La preoccupazione rimane costante in tutta l’opera, rivelando un approccio diametralmente opposto ai sostenitori di una mente astratta che va studiata solo per le funzioni che essa realizza, indipendentemente dal sostrato fisico, pur ammettendo che esso esista. Con la maggior parte delle neuropatologie conosciute, l’approccio vincente è stato sempre quello di considerare il comportamento anomalo alla luce di disfunzioni cerebrali. Per l’Alzheimer ad esempio, i marker biologici scoperti definirono precisamente il tipo di malattia che ora porta questo nome. Per quanto riguarda la schizofrenia, invece, i risultati biologici non sono ancora pervenuti in maniera incontrovertibile. Mai sono state confermate anomalie specifiche che potessero assurgere al ruolo di marker biologici di questa patologia. Nonostante i risultati poco confortanti in merito, molti neuropsicologi studiano la schizofrenia considerandola una malattia del cervello. Però, nel tentativo di considerare i sintomi e segni della schizofrenia correlati a particolari disfunzioni cerebrali, bisogna tenere bene a mente che creare semplici associazioni tra il comportamento oggettivo o l’esperienza mentale e le disfunzioni cerebrali spesso può portare a commettere degli errori. Il cammino seguito in questo scritto è stato, infatti, quello di leggere i comportamenti della schizofrenia (nel caso specifico il linguaggio), non in termini oggettivi, ma secondo deficit cognitivi sottostanti. Difatti, lo stesso comportamento anomalo può essere il risultato di più deficit cognitivi differentemente localizzati nel cervello. Il passo successivo è quello di localizzare i segni e sintomi della schizofrenia così compresi (deficit cognitivo rispondente alla metarappresentazione), nel cervello. Nulla di certo è stato ancora ottenuto in questo ambito, anche se si è propensi a credere che la metarappresentazione coinvolga un sistema cerebrale esteso: c’è la parte del cervello che rappresenta il contenuto e un’altra parte, riguardante la proposizione totale, che dovranno interagire tra loro. Non avendo a disposizione studi specifici sulla metarappresentazione, l’attenzione è stata posta su altri fenomeni che richiedono l’uso di questo processo cognitivo, ad esempio quello della “cognizione sociale”, definita come “un’accurata percezione delle disposizioni e delle intenzioni degli altri individui”9. Le aree cerebrali individuate per questa abilità sono essenzialmente tre: l’amigdala che conserva informazioni su sottili sfumature di emozioni importanti nelle diverse situazioni sociali; il solco temporale superiore fondamentale per la percezione dei volti della stessa specie; la corteccia orbito frontale un cui deficit può comportare l’incapacità di assumere un comportamento consono in situazioni sociali, non essendo più in grado di trarre conclusioni corrette sulle motivazioni delle persone intorno a noi. Questi risultati dimostrano quindi che per la metarappresentazione i sistemi cerebrali dovrebbero essere connessi tra di loro in questo modo: l’amigdala e il solco temporale sono cruciali per il contenuto della proposizione, mentre per la proposizione completa tali strutture dovrebbero interagire con la corteccia frontale (le anomalie del linguaggio mostrate da pazienti con lesioni al lobo frontale hanno una notevole somiglianza con quelle manifestate dai pazienti schizofrenici). 8 9 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.2, pag.28 Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.7, pag.132 In conclusione, risulta ora evidente che per dar conto del discorso, della sua coerenza e della sua appropriatezza al contesto, non basti far riferimento solo ad un parser sintattico che faccia capo ad un sistema di elaborazione linguistica autonomo ed autosufficiente. Come emerge, infatti, dallo studio dei pazienti schizofrenici, per l’elaborazione di un discorso coerente è necessario far ricorso anche ad altre componenti cognitive, prima fra tutte quella della metarappresentazione (o coscienza di sé).