SCHIZOFRENIA E LINGUAGGIO
di
Giacomo Di Valerio
INDICE
1. Panoramica sulla schizofrenia
2. Schizofrenia e linguaggio
2.1 Schizofrenia, Fodor, e il ruolo della pragmatica nel discorso
2.2 La microstruttura di Kintsch e Van Dijk
2.3 Altre anomalie del linguaggio schizofrenico
3. Metarappresentazione e coscienza
4. Mente e cervello
(Testo di riferimento: ”Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia”, C. Frith)
1. Panoramica sulla schizofrenia
La schizofrenia è una patologia che raccoglie al suo interno un’ampia casistica: le
manifestazioni della malattia possono essere molto diverse tra di loro, al punto che ci si è
anche domandati se essa costituisca una singola entità.
Questo rende di gran lunga difficile identificare un paziente come “schizofrenico”, anche se
sono stati elaborati degli schemi di classificazione decisamente attendibili. Questo tipo di
classificazione, ovviamente, non permette di diagnosticare.
La diagnosi implica nel suo concetto il riconoscimento della causa responsabile della
malattia. In questo campo gli studiosi riscontrano i maggiori problemi, dato che ancora non è
stata identificata una causa certa della schizofrenia.
I sintomi della malattia vengono generalmente suddivisi in “positivi” e “negativi”: i primi,
così chiamati perché risultano anomali per la loro presenza, si manifestano principalmente
sotto la forma di allucinazioni, ossia false percezioni, di deliri, cioè false convinzioni, e di
incoerenza del linguaggio; i secondi, invece, considerati anomali per la loro assenza,
comportano una povertà di azione che può essere ravvisata anche nel linguaggio. Questi
ultimi sono, più propriamente, delle anomalie comportamentali, per cui vengono definiti più
come “segni” osservabili, che come “sintomi”.
Secondo alcune teorie essi risponderebbero ad una strategia adottata dai malati per sopperire
alle anomalie cognitive che danno origine ai sintomi positivi. Tuttavia questa interpretazione
sembra essere fallace in quanto i segni negativi possono essere riscontrati fin dai primi stadi
della malattia o anche precedentemente all’insorgenza dei sintomi positivi.
Studiando i problemi legati alla povertà d’azione, ci si può facilmente accorgere come questi
siano legati alle azioni che devono essere auto-generate, e non a quelle che consistono in una
semplice risposta ad uno stimolo ambientale. Cercando la compromissione cognitiva sottesa a
questo comportamento, ci si accorge che questa consiste nella capacità di generare risposte
spontanee che diano informazioni ulteriori rispetto allo stimolo, e più in generale
nell’elaborazione di risposte intenzionali. Quest’anomalia può condurre inoltre ad un
comportamento stereotipato, in quanto la presenza di poche idee guida il soggetto verso la
perseveranza su certi comportamenti e quindi anche in risposte con il rischio preminente di
risultare inappropriati al contesto.
2. Schizofrenia e linguaggio
Il metodo d’indagine seguito per i problemi di povertà d’azione può essere utilizzato anche
per lo studio della problematica del linguaggio. Si procederà mettendo a fuoco i probabili
deficit cognitivi sottesi alle anomalie del linguaggio. Successivamente si cercherà di
comprendere se essi riflettano una compromissione più generale, opportunamente
localizzabile nel sistema cerebrale. L’attenzione che gli studiosi della patologia in questione
riservano al linguaggio, è data dalla convinzione che se si riuscisse a comprendere quello che
i pazienti dicono, probabilmente si avrebbe una chiave di accesso importante per capire la
schizofrenia stessa. Ma, soprattutto, l’analisi delle anomalie del discorso in pazienti patologici
è qui finalizzato allo studio del linguaggio in generale, ai modelli di discorso da ritenere
plausibili e quelli da rigettare.
Un esempio di discorso di un paziente schizofrenico può essere il seguente (Bleuler, 1913):
Dunque, mi è sempre piaciuta la geografia. Il mio ultimo insegnante di questa materia era il professor August
A. Era un uomo con gli occhi neri. Mi piacciono gli occhi neri. Ci sono anche occhi blu o grigie anche di altro
tipo. Ho sentito dire che i serpenti hanno gli occhi verdi. Tutte le persone hanno gli occhi. Ce ne sono anche
alcune che sono cieche. Queste persone cieche sono accompagnate da un ragazzo. Deve essere terribile non
poter vedere. Ci sono delle persone che non possono vedere e che inoltre non possono udire. Io conosco
qualcuno che ode troppo. Ci sono molte persone malate a Burgholzli; sono chiamati pazienti. 1
Il linguaggio osservato nei pazienti schizofrenici viene abitualmente denominato “disturbo
del pensiero”, secondo la credenza che ciò che i malati asseriscono sia la conseguenza di
pensieri particolari. Più precisamente, il disturbo del pensiero si dirama in “disturbi di
contenuto del pensiero” e “disturbi della forma del pensiero”. Nel primo caso il linguaggio di
esposizione è assolutamente normale al contrario del contenuto confuso dei pensieri; nel
secondo caso, la forma con cui i pensieri vengono espressi può essere compromessa, mentre
non lo è il contenuto dei pensieri.
Quello che dunque emerge, in maniera primaria dallo studio della schizofrenia, è che il
linguaggio può essere considerato come separato dal pensiero, e non come una semplice
finestra su di esso che diventa più precisamente “l’espressione dei pensieri con il preciso
scopo di comunicare questi pensieri agli altri”.2
2.1 Schizofrenia, Fodor, e il ruolo della pragmatica nel discorso
Tre autorevoli studiosi, Andreasen, Hoffman e Grove, hanno posto l’attenzione su tre aspetti
fondamentali del linguaggio, ovvero la sintassi, la semantica e il discorso. Le conclusioni a
cui essi sono arrivati, vertono sull’indicare compromissioni specifiche nei pazienti
schizofrenici a livello della costruzione del discorso, ossia un deficit nell’utilizzo “delle
regole che guidano il modo in cui le frasi possono essere combinate per costruire un’idea
precisa o una storia”.3 Di contro, questi hanno mantenuto intatta la componente sintattica.
Questi studi sono riconducibili alla distinzione, nello studio delle proprietà di un testo, tra
microanalisi, ovvero l’analisi della relazione degli elementi in una frase (elaboratore sintattico
di Chomsky) e macroanalisi, l’analisi delle relazione delle frasi tra di loro ed intorno ad un
nucleo centrale. Ci si rende facilmente conto di come, facendo ricorso semplicemente alla
1
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.99
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.101
3
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.101
2
microanalisi non si riesca a spiegare in maniera adeguata l’intera costruzione del discorso.
Nonostante questo, un modello, quello computazionale classico, si fonda sulla microanalisi,
dando priorità all’enunciato rispetto al discorso, incorrendo però in ostacoli ineludibili.
Vediamo i limiti di un modello fondato esclusivamente sulla microanalisi.
Per comprendere meglio, possiamo riferirci ad un noto filosofo e scienziato statunitense,
Jerry Fodor, ascrivibile a questo modello, il quale fonda la sua teoria sull’idea che il
linguaggio sia un sistema di elaborazione autonomo ed autosufficiente, che necessita solo ed
esclusivamente di un parser sintattico che converta il suono in significato comprensibile agli
uomini, sfruttando la mediazione della forma logica. In questo modello del linguaggio,
l’elaboratore sintattico lavora esclusivamente sulla forma dei simboli, mentre il significato è
ridotto a quello letterale delle parole, completamente indipendente dalle intenzioni con cui il
parlante ha proferito quell’enunciato. Fondamentale secondo Fodor, infatti, è solo la
comprensione e produzione degli enunciati effettivamente pronunciati dai parlanti, a
prescindere dalle informazioni legate al contesto. Le situazioni diventano dunque totalmente
decontestualizzate e la pragmatica finisce per non svolgere più alcun ruolo in questo modello.
Primo scacco che si può portare a questa teoria riguarda il fatto che alcuni studiosi, Sperber
e Wilson su tutti, hanno distinto tra decodifica e inferenza come modalità di comunicazione.
A livello di decodifica, un’espressione viene mentalmente letta a livello di sintassi e dei
significati delle parole, arrivando così alla comprensione del significato letterale
dell’enunciato, senza però capire veramente quale è l’intenzione del soggetto parlante. Le
parole significano cose differenti a seconda dei contesti, per cui è necessaria la conoscenza
delle convinzioni ed intenzioni della persona che sta parlando. Altri due autorevoli studiosi,
Cutting e Murphy, hanno scoperto come i pazienti schizofrenici, avendo difficoltà
nell’inferenza, avevano realmente problemi nel comprendere i significati metaforici ed
ironici, legati quindi al contesto, celati dietro frasi e parole.
Per comprendere meglio le motivazioni che spingono a rigettare questo modello
computazionale è utile addentrarsi maggiormente nella comprensione delle anomalie del
linguaggio di questi soggetti patologici.
I problemi emergono più sugli aspetti espressivi che su quelli ricettivi del linguaggio. È stato
rilevato, infatti, che i soggetti schizofrenici non avevano molte difficoltà nell’utilizzare
descrizioni proferite da soggetti non patologici, mentre nei casi contrari, la comunicazione
falliva costantemente. Di conseguenza, l’altro problema da mettere in evidenza, è la difficoltà
di comprensione di un ascoltatore che interloquisce con un paziente schizofrenico.
Infatti, è stato notato come i soggetti patologici falliscano spesso lì dove per una
comunicazione efficace sempre coerente ad uno scopo, c’è da tener conto della conoscenza e
delle intenzioni del parlante-ascoltatore.
“Coloro che parlano dicono a coloro che ascoltano cose nuove sulla base di quelle che
suppongono essere cose già conosciute da chi ascolta”.4 Di notevole suggestione sono stati
degli studi che hanno mostrato come il parlante patologico si renda conto che l’ascoltatore ha
bisogno di maggiori informazioni per comprendere il proprio discorso, ma risulta ugualmente
incapace di comprendere quali informazioni vadano fornite. Quindi il locutore schizofrenico
non ha la capacità di assumere socialmente il ruolo dell’altro e, inoltre, di leggere le intenzioni
altrui: sarebbe sprovvisto di quelle che vengono definite “le norme sociali convenzionali”,
ulteriore scacco alla teoria di Fodor che non tiene conto di questi fattori extralinguistici nella
produzione/comprensione del linguaggio.
Per concludere, Frith, sempre nel suo libro sopra citato, afferma:”molti studiosi hanno
evidenziato questi problemi del linguaggio schizofrenico, che sono legati alla sfera della
pragmatica. Ciò implica che i pazienti schizofrenici abbiano difficoltà nel dedurre la
4
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.103
conoscenza e le intenzioni dei loro ascoltatori e nell’usare queste deduzioni per guidare i
propri progetti del discorso.”5 Tutto questo per sottolineare l’importanza, nella
produzione/comprensione del discorso, della consonanza e coerenza alla situazione in
rapporto alla conoscenza e alle intenzioni della persona con cui si sta parlando.
Dunque, la prospettiva di discorso che emerge dalla teoria di Fodor è assolutamente poco
soddisfacente, e riflette un modello definito del “cadavere eccellente” che non permette di
distinguere un testo da un non testo: non c’è nessuna attenzione alle relazioni fondamentali
delle frasi tra loro e rispetto ad un scopo centrale (vedi esempio di discorso schizofrenico
riportato sopra).
2.2 La microstruttura di Kintsch e Van Dijk
Rimanendo nel solco della prospettiva classica, due studiosi, Kintsch e Van Dijk, hanno
tentato di parlare del discorso in termini di macroanalisi. Questa è stata ulteriormente divisa in
microstruttura, che tiene conto della correlazione lineare delle frasi tra di loro, e
macrostruttura, ovvero il modo in cui le frasi sono correlate ad un tema centrale mostrando il
senso del discorso. Il problema è solamente spostato, e lontano dall’essere risolto.
Questo modello continua a sottolineare il fatto che la mente lavori esclusivamente sulla
forma dei simboli applicando delle regole formali appunto, rimanendo però sulla superficie
del discorso. Quello che queste regole permettono di acquisire è la coesione del discorso, ma
non certo il suo senso e la sua coerenza. Si ha bisogno, per raggiungere questo obiettivo, di
tutta una serie di conoscenze extralinguistiche fondamentali nella strutturazione del discorso,
alcune delle quali già trattate nel paragrafo precedente. Ciò che questo modello e quello
computazionale classico in generale non riescono a spiegare, è il fenomeno del deragliamento
ravvisabile nel 56% dei pazienti schizofrenici, per cui le frasi sono linearmente ben collegate
tra di loro, ma manca una connessione corretta tra di esse tale da fornire senso e coerenza al
discorso.
Alcuni studi infatti hanno dimostrato che i pazienti schizofrenici non sono in grado di
fornire una descrizione calzante e coerente, senza dilungarsi in frasi ininfluenti e inadeguate,
malamente concatenate tra di loro. Quel che è stato notato, è che questo accade perché i
soggetti, rendendosi conto di fornire descrizioni inadeguate, proseguono nel loro sforzo, nel
tentativo di porre rimedio alla mancanza.
Secondo Frith, quest’incapacità dimostrata dai soggetti patologici riflette un deficit
dell’autocontrollo delle proprie intenzioni, dispositivo che quindi sembra essere fondamentale
per la coerenza del discorso, per il semplice fatto che quando esso non funziona normalmente
il paziente non è in grado di controllare le proprie risposte, se non dopo averle pronunciate. È
stato, inoltre, osservato che il discorso dei pazienti schizofrenici mostra un difetto di
progettazione, in quanto molte delle frasi incluse nel discorso non si adattano al nucleo
centrale con cui esso è stato elaborato. Un altro rischio associato a questo deficit è infatti la
perdita dello scopo che rende il soggetto incapace di seguire la logica concatenazione del
discorso verso la sua coerente conclusione.
5
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.6, pag.112
2.3 Altre anomalie del linguaggio schizofrenico
Le molteplici difficoltà espresse dai pazienti schizofrenici sono l’espressione dei deficit
cognitivi sottesi. Come per altri disturbi della schizofrenia (quelli dell’azione intenzionale
sopra discussi – povertà, perseverazione ed inappropriatezza), anche per alcune
compromissioni del linguaggio possono essere individuati gli stessi deficit cognitivi.
Innanzitutto, la povertà del linguaggio riflette un’incapacità di generare azioni spontanee,
nonostante le conoscenze a disposizione di un paziente schizofrenico non siano magari
inferiore a quelle di qualsiasi altro soggetto. Dunque i problemi sarebbero sempre a livello
dell’azione intenzionale. La stessa povertà di contenuto può essere generata sia perché
vengono usate poche parole, sia perché il paziente persevera, in maniera poco consona, con le
stesse parole o idee. Inoltre, è stato studiato come spesso i soggetti patologici utilizzino parole
inappropriate al discorso, inusuali e devianti, facciano associazioni di parole con il significato
più improbabile, o addirittura possano creare neologismi.
Ma i problemi legati al linguaggio non si risolvono esclusivamente in questi aspetti.
Di nuovo riguardo il controllo del linguaggio, questo può essere studiato chiedendo alle
persone, dopo un periodo di tempo, di ricordare se hanno detto qualcosa oppure no. In
generale, i pazienti psicotici riuscivano peggio dei normali volontari, ma vi fu qualche
evidenza ulteriore nell’incapacità di svolgere questo compito nei soggetti con allucinazioni.
Studi simili hanno invece mostrato che ad avere maggiori problemi nel ricordare le frasi
generate da loro stessi, fossero i pazienti con deficit riguardo l’incoerenza del linguaggio,
mostrando quindi l’importanza della memoria per il linguaggio stesso.
Le stesse emozioni possono giocare un ruolo fondamentale nel linguaggio in quanto il loro
mancato riconoscimento nei pazienti schizofrenici può rendere più difficile la comunicazione.
Il paziente può non riconoscere nell’espressione del volto di un altro soggetto le intenzioni
con cui questo si è approcciato alla comunicazione, rischiando di compromettere, come
abbiamo visto, la coerenza del discorso. Ma non solo. Studi hanno evidenziato come i pazienti
con problemi di povertà e incoerenza del discorso non fossero in grado di riconoscere e
descrivere le espressioni e gli stati mentali di persone presentate in alcune immagini.
Appare dunque chiaro ancor più nitidamente come il modello proposto da coloro che
ripongono la priorità nell’enunciato e nello studio della microanalisi o anche della
microstruttura sia totalmente insufficiente per spiegare il discorso. Come messo in evidenza
dai deficit cognitivi dei pazienti schizofrenici, per dar conto di come viene strutturato e
compreso il discorso non è possibile fare affidamento solo ed esclusivamente ad un parser
sintattico indipendente ed autosufficiente. È il riferimento alla pragmatica, ai disturbi legati al
controllo delle proprie azioni intenzionali, elemento cognitivo fondamentale non solo per il
linguaggio ma anche per altri disturbi della schizofrenia, al dispositivo cognitivo della
memoria, e addirittura alle emozioni che si può avere una teoria accettabile sul discorso.
3. Metarappresentazione e coscienza
Frith, una volta individuati questi deficit cognitivi – azione intenzionale, mancanza di
autocontrollo e incapacità di comprendere le intenzioni altrui – dimostra come questi siano
solamente manifestazioni di un processo cognitivo più generale e unificante. Questo tipo di
sistema cognitivo viene individuato in quello che il neuropsicologo definisce
metarappresentazione. Questo dispositivo è fondamentale per la coscienza di sé. Difatti, data
una rappresentazione, ad esempio un libro, grazie alla metarappresentazione, il soggetto
diventa consapevole di quella parte di sé che guarda il libro. “La coscienza di sé non può
avvenire senza metarappresentazione”.6
Ne consegue, quindi, che persone con un deficit di questo genere, hanno un’alterata
percezione di sé e dei propri stati interni.
Ogni metarappresentazione, o conoscenza delle rappresentazioni, è costituita da due
componenti: la forma della rappresentazione e i suoi contenuti. Quello che nei pazienti
schizofrenici farebbe difetto, non sarebbe il meccanismo della consapevolezza del contenuto
della proposizione, ma quello della forma. Questo l’esempio riportato da Frith:
“Poi, io (Chris) potrei dedurre che la preposizione <<Eva crede che Chris beva troppo>> sia
della mia amica Eva. Se il mio meccanismo di meta rappresentazione non funziona, poi,
pensando ad Eva, la nozione libera che emerge - <<Chris beve troppo>> - potrebbe entrare
nella mia coscienza. Se io descrivessi questa esperienza, potrebbe essere definita
un’allucinazione in terza persona”.7
Seguendo questo schema di riferimento è facile rendersi conto che avendo dei difetti nel
meccanismo che porta alla consapevolezza, un soggetto patologico può avere benissimo
un’informazione su un obiettivo ma non avere la consapevolezza di questo obiettivo, che
potrebbe manifestarsi in una povertà di volontà e in conseguenti anomalie del
comportamento. Oppure, non essere consapevoli delle proprie intenzioni potrebbe causare una
mancanza di autocontrollo a livello superiore generando le anomalie comportamentali e del
linguaggio discusse in questo scritto; infine non essere consapevoli delle intenzioni degli altri
può indurre altri seri problemi nel campo della comunicazione, come sopra dimostrato. La
metarappresentazione è dunque un meccanismo cognitivo che ci permette di essere
consapevoli dei nostri obiettivi, delle nostre intenzioni e delle intenzioni degli altri.
Soprattutto riguardo le proprie intenzioni, un caso interessante da prendere in considerazione
è anche quello delle allucinazioni. Secondo la teoria dell’output, esse derivano dal fatto che il
soggetto schizofrenico parla a se stesso ma percepisce queste frasi come se provenissero da un
altro luogo. Il problema dipende dal fatto che il paziente non ha coscienza delle proprie
intenzioni, non capisce che quelle in realtà sono azioni autogenerate e, quindi, non avendo
controllo sulla fonte dell’azione, le avverte come estranee.
Risulta, quindi, che la coscienza non può qualificarsi come un prodotto culturale, un punto
di vista che emerge dal discorso in funzione del linguaggio ma, semmai, sono proprio questi
fenomeni di coscienza, a livello cognitivo, a garantire la coerenza e l’appropriatezza al
contesto del discorso. Difatti, fino alla manifestazione dei sintomi positivi (le allucinazioni) il
paziente ha la piena coscienza di sé, delle proprie intenzioni e dei propri obiettivi. È, appunto,
un deficit a livello cognitivo della metarappresentazione, sistema che governa le
rappresentazioni di eventi astratti nella coscienza, ad alterare la consapevolezza del soggetto.
6
7
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.7, pag.120
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.7, pag.131
4. Mente e cervello
Nell’opera Neuropsicologia della schizofrenia, punto di riferimento per queste riflessioni
circa il linguaggio, Frith afferma esplicitamente:”dato che la schizofrenia è associata a
un’anomalia del cervello, ciò che qui ci interessa maggiormente è considerare come i vari
segni e sintomi della schizofrenia siano correlati all’alterazione di particolari sistemi
cerebrali.”8 La preoccupazione rimane costante in tutta l’opera, rivelando un approccio
diametralmente opposto ai sostenitori di una mente astratta che va studiata solo per le funzioni
che essa realizza, indipendentemente dal sostrato fisico, pur ammettendo che esso esista. Con
la maggior parte delle neuropatologie conosciute, l’approccio vincente è stato sempre quello
di considerare il comportamento anomalo alla luce di disfunzioni cerebrali. Per l’Alzheimer
ad esempio, i marker biologici scoperti definirono precisamente il tipo di malattia che ora
porta questo nome.
Per quanto riguarda la schizofrenia, invece, i risultati biologici non sono ancora pervenuti in
maniera incontrovertibile. Mai sono state confermate anomalie specifiche che potessero
assurgere al ruolo di marker biologici di questa patologia. Nonostante i risultati poco
confortanti in merito, molti neuropsicologi studiano la schizofrenia considerandola una
malattia del cervello. Però, nel tentativo di considerare i sintomi e segni della schizofrenia
correlati a particolari disfunzioni cerebrali, bisogna tenere bene a mente che creare semplici
associazioni tra il comportamento oggettivo o l’esperienza mentale e le disfunzioni cerebrali
spesso può portare a commettere degli errori. Il cammino seguito in questo scritto è stato,
infatti, quello di leggere i comportamenti della schizofrenia (nel caso specifico il linguaggio),
non in termini oggettivi, ma secondo deficit cognitivi sottostanti. Difatti, lo stesso
comportamento anomalo può essere il risultato di più deficit cognitivi differentemente
localizzati nel cervello.
Il passo successivo è quello di localizzare i segni e sintomi della schizofrenia così compresi
(deficit cognitivo rispondente alla metarappresentazione), nel cervello. Nulla di certo è stato
ancora ottenuto in questo ambito, anche se si è propensi a credere che la metarappresentazione
coinvolga un sistema cerebrale esteso: c’è la parte del cervello che rappresenta il contenuto e
un’altra parte, riguardante la proposizione totale, che dovranno interagire tra loro.
Non avendo a disposizione studi specifici sulla metarappresentazione, l’attenzione è stata
posta su altri fenomeni che richiedono l’uso di questo processo cognitivo, ad esempio quello
della “cognizione sociale”, definita come “un’accurata percezione delle disposizioni e delle
intenzioni degli altri individui”9. Le aree cerebrali individuate per questa abilità sono
essenzialmente tre: l’amigdala che conserva informazioni su sottili sfumature di emozioni
importanti nelle diverse situazioni sociali; il solco temporale superiore fondamentale per la
percezione dei volti della stessa specie; la corteccia orbito frontale un cui deficit può
comportare l’incapacità di assumere un comportamento consono in situazioni sociali, non
essendo più in grado di trarre conclusioni corrette sulle motivazioni delle persone intorno a
noi. Questi risultati dimostrano quindi che per la metarappresentazione i sistemi cerebrali
dovrebbero essere connessi tra di loro in questo modo: l’amigdala e il solco temporale sono
cruciali per il contenuto della proposizione, mentre per la proposizione completa tali strutture
dovrebbero interagire con la corteccia frontale (le anomalie del linguaggio mostrate da
pazienti con lesioni al lobo frontale hanno una notevole somiglianza con quelle manifestate
dai pazienti schizofrenici).
8
9
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.2, pag.28
Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia, C. Frith; cap.7, pag.132
In conclusione, risulta ora evidente che per dar conto del discorso, della sua coerenza e della
sua appropriatezza al contesto, non basti far riferimento solo ad un parser sintattico che faccia
capo ad un sistema di elaborazione linguistica autonomo ed autosufficiente. Come emerge,
infatti, dallo studio dei pazienti schizofrenici, per l’elaborazione di un discorso coerente è
necessario far ricorso anche ad altre componenti cognitive, prima fra tutte quella della
metarappresentazione (o coscienza di sé).