ISOCRATE La scuola Intorno al 390, a circa quarantasei anni, egli fondò la propria scuola, in cui i giovani apprendevano, oltre che nozioni di cultura generale, anche lo studio della retorica e dell’eloquenza. Isocrate, come i Sofisti, compose, per i suoi alunni, alcune orazioni che essi dovevano studiare. Ma, proprio al contrario delle scuole sofistiche, egli cercò di fornire ai propri allievi non solo la parola come strumento di persuasione, ma come mezzo per esprimere concetti etici e morali, condannando una retorica che avesse come unico scopo quello pratico. Isocrate credette forse di essere un filosofo, anche se non lo fu mai: non scoprì nuovi principi, ma elaborò e diffuse quelli della morale comune. Fu di certo un teorico della politica: ciò che egli sempre propose fu l’unità di Greci nella libertà e nella lotta contro la Persia. Un programma, questo, cui egli fu fedele per tutta la vita e che modificò solo vedendo alla guida dei Greci dapprima Atene o un principe spartano, poi il re macedone Filippo. Il modello di oratore Il nuovo modello di oratore era, dunque, l’uomo capace di adattarsi alla realtà e che sapesse proporsi come modello agli altri nella vita politica e che sapesse prendere le scelte giuste circa gli affari privati. Come poi avrebbe affermato Catone, il valente oratore era un vir bonus dicendi peritus. Le opere Dei sessanta discorsi conosciuti dagli studiosi alessandrini, ne erano stati condannati come spuri almeno trentadue. A noi ne sono pervenuti ventuno, di cui sei di argomento giudiziario (Contro Eutinoo, Contro Callimaco, Con, tro Lochite, Sulla pariglia, Trapezitico ed Eginetico). Il giudizio su Isocrate si basa su quattordici orazioni epidittiche che egli non pronunciò mai e che diffuse solo tra il pubblico colto. Isocrate era timidissimo e, mentre gli altri pubblicavano le loro orazioni dopo averle pronunciate, egli rinunciò al pubblico delle assemblee, destinando la sua opera alla sola lettura. In questo modo potè affinare i propri discorsi in modo più dotto ed elaborato. Contro i Sofisti: qui egli spiega i principi cui tende il proprio insegnamento. Secondo lui il Encomio di Elena: è un’esercitazione sofistica composta come esempio per la scuola. Il tema Busiride: riprende un elogio composto da Policrate ed è, come quello, un elogio paradossale. dono dell’oratoria è innato e la scuola può solo affinarlo. era già stato trattato da Gorgia, a cui Isocrate rimprovera di aver solo difeso Elena. Egli ne vuole però elogiare la bellezza, che è un dono naturale capace di suscitare l’eros. Busiride era un re egiziano efferato e crudele: Isocrate rovesciò la tradizione e ne fece un re saggio che aveva ben organizzato l’Egitto. Si trattava di uno scherzo per punzecchiare Policrate e superarlo. Panegirico: del 380, fu il suo primo discorso politico, composto e rielaborato in dieci anni e indirizzato fittiziamente ai Greci. Non fu mai pronunciato. Col suo Panegirico Isocrate voleva spingere i Greci ad unirsi contro i Persiani, polemizzando con Sparta e proponendo come città egemonica Atene, di cui esalta il primato culturale, politico, civile e morale. Tra le affermazioni ideologicamente rilevanti, due sono quelle che spiccano: • i Greci sono abituati a difendere la loro libertà, mentre i barbari, appunto perché non liberi, sono militarmente inferiori. • non è Greco che è etnicamente un Greco, ma chi lo è culturalmente. Isocrate non spronava a salvare i Greci, ma a difendere la cultura greca. Dunque non solo chi era Greco era chiamato a tale scopo, ma tutti quelli che condividevano tale cultura (secondo Isocrate, del resto, Filippo difendeva il primato della cultura greca). Plataico: nel 373 i Tebani distruggevano Platea, una città beotica al confine con l’Attica. Il discorso viene presentato come quello di un Plateese davanti all’assemblea di Atene, per chiedere aiuto contro Tebe; viene elogiata Atene e auspicata un’intesa con Sparta. Il Plataico non fu mai pronunciato e neanche esso raggiunse gli obiettivi prefissi. Intanto appariva sempre più evidente che Atene non era in grado di esercitare alcuna egemonia, né da sola né con Sparta. Isocrate avvertiva ora il problema della leadership dei Greci e forse per questo cominciò a studiare gli aspetti del regime monarchico, che forse avrebbe potuto realizzare l’unità dei Greci. Appartengono a questo periodo quattro operette: A Nicocle: questi era il giovane re di Salamina di Cipro, a cui vengono dati consigli morali. Tre temi vengono trattati: • la solitudine del principe; • il suo doveroso impegno per la felicità dei suoi sudditi; • lo stretto rapporto tra le virtù del principe e quelle dei sudditi. Nicocle: è un discorso fittizio di Nicocle ai sudditi sui loro doveri. Evagora: è un elogio funebre del re Evagora, padre di Nicocle. Archidamo: si tratta di un discorso fittizio del figlio del re spartano Agesilao II. È una requisitoria contro Tebe e la sua alleata Messene. Sulla pace: la guerra sociale sviluppatasi nel 357 portò Isocrate a colpire il dispotismo ateniese e a contrapporre la pochezza dei contemporanei all’acclamata saggezza degli antenati. È una delle tante idealizzazioni del passato e di un confronto neppure troppo obiettivo tra il presente e ciò che era stato. Areopagitico: qui Isocrate consiglia addirittura di dare all’Areopago, ridotto un secolo prima a un tribunale per i delitti capitali, l’antica funzione di controllo politico. Antidosi: nel 354 capitò a Isocrate, che aveva ottantadue anni, che un certo Megacleide, a cui lo Stato aveva imposto di armare a sue spese una trireme, dichiarasse che tale compito spettava a lui, perché più ricco. Egli poteva negare di esserlo, ma poteva anche essere condotto in tribunale e punito, per la menzogna, con lo scambio dei patrimoni. Per Isocrate erra difficile nascondere la propria ricchezza e così Megacleide lo costrinse a un processo, che l’oratore perse. Isocrate dovette armare a proprie spese la trireme, ma volle comunque scrivere la sua difesa, fingendo di rispondere alle accuse di un certo Lisimaco, facndo un’apologia di tutta la sua vita. L’Antidosi non fu mai pronunciata ed un’opera biografica. Filippo: intanto da qualche anno era apparso all’orizzonte politico Filippo II, che stava conquistando tutti i territori circostanti ad Atene. La politica di Filippo aveva diviso gli ateniesi: da un lato, il partito di Demostene, che voleva combatterlo; dall’altro, un secondo partito che cercava un accordo. Isocrate voleva che gli Ateniesi si alleassero con Filippo per muovere guerra alla Persia e nel 346 pubblicò il Filippo, nel quale il re era celebrato come un politico e un condottiero eccezionale per ingegno e vigore, capace di unire i Greci. Panatenaico: Isocrate si rese presto conto del fatto che il suo progetto fosse utopistico, ma ancora non era vinto: a novantasette anni pubblicò il suo ultimo discorso, il Panatenaico, in cui finge di rivolgersi agli Ateniesi e tessendo le lodi della città, cancellando l’impressione destata dal Filippo che egli fosse antiateniese. La lode di Atene è basata sul confronto con Sparta. Lo stile di Isocrate Isocrate fu maestro di stile. Pur utilizzando tutte le potenzialità offertegli dalla parola, egli ripudia le esagerazioni dello stile gorgiano, dando un forte equilibrio al proprio scrivere (del resto, in epoca romana, suo maggiore imitatore sarà Cicerone). È da sottolineare che la cura meticolosa nella composizione del periodo è da collegare anche al fatto che i suoi discorsi fossero per lo più destinati alla lettura e non all’esposizione in assemblea. Questa perfezione formale è anche però, a giudizio dei critici moderni, il più grave limite dello stile isocrateo: i periodi, essendo costruiti sullo stesso schema, vanno infine a produrre sul lettore un effetto di monotonia. Del resto i suoi periodi sono lenti e armoniosi, tanto da dare l’impressione di immobilità: egli non vuole emozionare e scuotere, ma convincere. L’influsso gorgiano si sente molto (basti vedere l’inizio del Nicocle, ma, differenza di Gorgia, egli non usa periodi brevi e non affolla di figure le sue frasi. Usa il chiasmo, l’antitesi e la rima e l’effetto complessivo è di fermo controllo dei pensieri e delle emozioni. Isocrate pensatore politico Per Isocrate lo stile era importante tanto quanto il contenuto e forse anche di più. Basti pensare, ad esempio, ai dieci anni che impiegò a “limare” il Panegirico. Ecco perché una parte della critica ha ritenuto che Isocrate fosse innanzitutto un retore, perché, proprio per la lunghezza dei suoi tempi di composizione, come pensatore politico egli fallì nei suoi obiettivi.