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Isocrate e i sofisti
Il successo della scuola di Isocrate, ben più frequentata ed apprezzata dell'Accademia
di Platone, era il risultato di un metodo educativo del tutto diverso, centrato sulla
retorica dell'uomo medio acculturato da uno standard anzichè sulla ricerca di cosa è
davvero bene per l'uomo.
La carriera educativa di Isocrate, contrariamente a quanto si crede, non fu facile.
Per tutta la vita dovette battersi in concorrenza con altre scuole e, soprattutto con
altri indirizzi di pensiero filosofico-pedagogico, oltre che politico.
Oltre a Platone, vi erano i cosidetti socratici minori e le scuole dei sofisti.
Ogni maestro aveva i suoi metodi ed i suoi obbiettivi.
Ad Atene si era determinato un clima di pluralismo pedagogico ed era ovvio che ogni
scuola non si limitasse a parlare bene di sè, ma anche a criticare le scuole altrui.
Il suo manifesto programmatico fu lo scritto Contro i sofisti, composto all'inizio della
sua avventura pedagogica.
Per Isocrate i sofisti erano "falsi maestri" e così li descrisse: “affermano di cercare la
verità ma immediatamente all'inizio delle loro professioni tentano di ingannarci con
menzogne. Io credo infatti che sia manifesto a tutti che la preveggenza di eventi futuri
non è concessa alla nostra natura umana. (Contro i sofisti, 1-2).
Secondo G. Norlin, curatore delle opere di Isocrate, non c'è alcuna scienza, per
Isocrate, che possa insegnarci a fare in ogni circostanza le cose che possono
assicurare la nostra infelicità o il nostro insuccesso. La vita è troppo complicata per
questo, e nessuno può prevedere esattamente le conseguenze delle sue azioni.
Tutto quel che può fare l'educazione è sviluppare una corretta facoltà di giudizio
(opposta alla conoscenza) che si contrapporà alle contingenze della vita con le proprie
risorse e, nella maggior parte dei casi, con successo. Questa è la dottrina
fondalmentale della sua filosofia che egli enuncia e ripete più volte in opposizione ai
professori di una "scienza della virtù e della felicità". (Norlin, Van Hook, Londra 19281945).
Isocrate criticò anche i retori che insegnavano oratoria pratica, deliberativa e forense,
bollandoli come impostori. Essi sostenevano di poter fare di chiunque un buon
parlatore semplicemente insegnandogli i segreti della professione e le formule
meccaniche per comporre un'orazione.
Essi non si preoccupavano della verità, diceva Isocrate. Il massimo del loro sforzo era
diretto ad impiegare la loro abilità oratoria in discorsi artificiali aventi per oggetto
argomenti mitici e paradossali, privi di nesso con la verità e la vita.
Per fare un buon oratore, secondo Isocrate, occorrevano tre elementi indispensabili:
a) talento naturale
b) esperienza attraverso l'esercizio
c) istruzione appropriata
Credeva che il talento naturale fosse di gran lunga più importante.
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