CAPITOLO 2 Le guerre di indipendenza e l’unità d’Italia Dopo i moti del ’48 in tutti gli stati italiani prevalse ancora una volta la più dura reazione da parte dei governi contro gli insorti. In Piemonte a differenza degli altri stati il re Carlo Alberto mantenne la costituzione e divenne il punto di riferimento dei liberali. Nel marzo del ’48 dichiarò guerra all’Austria dando inizio alla prima guerra d’indipendenza a cui aderirono anche il regno delle due Sicilie, la toscana e lo stato pontificio, che fornirono eserciti di volontari per affiancare l’esercito piemontese. La prima fase della guerra (29 marzo – 9 Agosto) fu favorevole al Piemonte. Dopo una serie di vittorie a Curtatone e Montanara e Goito, la Lombardia, Parma e Modena furono annesse al Piemonte e Carlo Alberto venne proclamato re d’Italia. In seguito le operazioni cominciarono ad andare a rilento e a quel punto gli altri stati ritirarono le truppe lasciando soli i piemontesi che persero a Custoza. Carlo Alberto fu costretto a siglare l’armistizio di Salasco (9 agosto), in base al quale la Lombardia tornò all’Austria. Nel frattempo però la scintilla indipendentista era scoccata e in altre parti d’Italia si tentò di proseguire la lotta. L’8 agosto Bologna insorse e respinse gli austriaci che intendevano invadere la città; la Sicilia si proclamò indipendente dichiarando decaduta la monarchia borbonica e offrì la corona al secondogenito di Carlo Alberto. A Roma un moto insurrezionale mise in fuga il papa e dette vita alla repubblica romana il cui governo provvisorio venne affidato ad un triumvirato (Mazzini, Armellini e Saffi). Anche il Toscana venne cacciato il Granduca e creato il governo provvisorio. Nella seconda fase della guerra (12 – 24 marzo del 1849) Carlo Alberto decise di riprendere le armi contro l’Austria ma fu sconfitto a Novara; a quel punto abdicò in favore di Vittorio Emanuele II il quale firmò l’armistizio di Vignale in base al quale manteneva i propri confini ma doveva pagare una pente indennità di guerra. Nel frattempo il papa aveva chiesto alle potenze cattoliche di essere aiutato a ristabilire il potere temporale a Roma. Intervennero la Spagna, l’Austria, il regno delle due Sicilie e la Francia il cui presidente Luigi Napoleone cercava l’appoggio dei cattolici nonostante la strenua difesa di un gruppo di volontari capeggiati da Garibaldi nel luglio del 49 la repubblica romana si arrese e i francesi entrarono a Roma ristabilendo il potere pontificio. Il 22 agosto anche Venezia che aveva sostenuto una coraggiosa rivolta contro l’Austria durata 4 mesi, si arrese e tornò sotto il dominio asburgico. L’insuccesso della prima guerra d’indipendenza fece riprendere vigore alla propaganda mazziniana per reprimere la quale l’Austria adotto una linea ferrea. Per diffondere il programma repubblicano Mazzini fondò a Ginevra il partito d’azione. Le costituzioni vennero ovunque abolite fuorché nel regno di Sardegna in cui Vittorio Emanuele II cercò l’appoggio della borghesia moderata per impedire l’affermazione dei repubblicani. La presidenza del consiglio del regno di Sardegna venne affidata a Massimo d’Azeglio che si adoperò per eliminare i privilegi medievali ancora riconosciuti dalla chiesa (legge Sicardi del ’50). Nel frattempo entrava a far parte del governo il moderato di destra Camillo Benso conte di Cavour il quale strinse un’alleanza con Urbano Rattazzi esponente della sinistra al fine di creare una solida maggioranza parlamentare. Nel 1852 Cavour divenne primo ministro e si impegnò a modernizzare il Piemonte. In politica estera Cavour si adoperò per dare maggior prestigio al Piemonte in ambito internazionale, con lo scopo, tra l’altro di risolvere la questione dell’unità di Italia a livello diplomatico. Fu in questa prospettiva che egli stabilì un patto di alleanza con la Francia. Dopo il colpo di Stato del 1851 Luigi Napoleone, presidente della seconda repubblica francese si era fatto proclamare imperatore con il nome di Napoleone III. Egli introdusse importanti riforme in campo sociale. Inoltre si atteggiò a paladino del liberalismo e delle nazionalità negate e per questo appoggiò l’Italia nel progetto dell’unificazione. L’evento che favorì il patto franco-piemontese fu la guerra di Crimea (1853-1856) combattuta tra Francia e Inghilterra contro la Russia che aveva mire espansionistiche nei Balcani. Cavour si impegnò a inviare truppe piemontesi a sostegno delle truppe anglo-francesi chiedendo di entrare nell’alleanza alla pari. L’arrivo del contingente sabaudo piemontese contribuì alla caduta della fortezza di Sebastopoli e alla sconfitta della Russia. Al congresso di pace di Parigi poté così partecipare anche Cavour in rappresentanza del Piemonte che usciva in tal modo dall’isolamento e sedeva tra le potenze internazionali. A fronte del succedo di Cavour si faceva più palese il fallimento delle iniziative Mazziniane. La spedizione di Pisacane nel regno di Napoli con lo scopo di dar vita ad una rivolta contro i Borboni si risolse con un disastro. Si faceva sempre più consistente l’ipotesi monarchica, che assegnava al regno sabaudo il ruolo guida nel processo di unificazione. Nel ’58 l’attentato a Napoleone III da parte del mazziniano Orsini procurò tensione tra Parigi e Torino. Tuttavia l’incontro di Plombieres tra Napoleone e Cavour portò alla firma di un trattato con cui la Francia si impegnava ad intervenire a fianco del Piemonte, se l’Austria lo avesse attaccato. Non restava quindi che indurre l’Austria a dichiarare guerra. © Federico Ferranti S.T.A. www.quintof.com A Giuseppe Garibaldi fu assegnato il compito di provocare scontri al confine con il suo corpo di volontari, i cacciatori delle Alpi. Per questo l’Austria inviò un ultimatum a Vittorio Emanuele II che lo ignorò dando inizio alla seconda guerra d’indipendenza. Gli austriaci furono battuti dai franco-piemontesi a Montebello e Magenta. Dopo la liberazione della Lombardia, Firenze, Parma, Modena, Bologna e Ferrara insorsero, cacciando i rispettivi regnanti e formando governi provvisori. Le vittorie di Solferino e San Martino sembrarono aprire la strada per il Veneto; a quel punto Napoleone firmò l’armistizio di Villafranca con l’Austria che prevedeva la cessione della Lombardia alla Francia, il quale avrebbe ceduta al Piemonte (luglio 1859). Questo ordine di cessare delle ostilità suscitò l’indignazione generale, Cavour si dimise ma fu richiamato al governo per condurre le trattative con la Francia alla quale vennero cedute Nizza e Savoia in cambio di Emilia, Toscana, Liguria e Lombardia. Con il plebiscito del 12/03/1860 fu approva l’annessione. Di fronte alla delusione del comportamento di Napoleone III si tornò a puntare sul programma insurrezionale. Nel frattempo alcuni profughi siciliani di fede Mazziniana sollecitarono all’azione Garibaldi. Con il consenso del governo sabaudo nella notte tra il 5 e il 6 maggio del 1860 Garibaldi e i mille si imbarcarono a Quarto per raggiungere la Sicilia. Dopo lo sbarco a Marsala, Garibaldi a Salemi lanciò un proclama in cui dichiarava di assumere la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II e iniziò la conquista dell’isola. Garibaldi vinse a Calatafini e conquistò Palermo. Dopo un’altra vittoria a Milazzo il generale marciò su Napoli mentre il re Francesco II re di Napoli si rifugiava a Gaeta. A quel punto Cavour temendo che nel meridione potesse venirsi a creare un regime repubblicano, decise di inviare il proprio esercito che sconfisse a Castelfidardo le truppe pontificie che intendevano ostacolarne il passaggio. L’esercito si diresse verso sud e a Teano incontrò Garibaldi che consegnò al re sabaudo il territorio conquistato (26/10/1860). Nel novembre anche l’Umbria e le Marche furono annesse al regno e il 18/02/1861 si riunì il primo parlamento italiano e fu proclamato il regno d’Italia. I vari ministri di destra e sinistra che si avvicendarono l governo dovettero affrontare il problema di completare l’unità del paese. Dopo il breve ministero Ricasoli, caratterizzato da un accentuato centralismo e da una feroce repressione del brigantaggio il governo passo a Rattazi vicino al partito d’azione il quale pensò di accelerare l’annessione di Roma incoraggiando Garibaldi a organizzare una spedizione contro lo stato pontificio. Contrario all’impresa era Napoleone III che fermò l’esercito garibaldino a nella battaglia dell’Aspromonte. Rattazzi si dimise e Sali al governo Minghetti che siglò un accordo con Napoleone III in base al quale la Francia ritirava le sue truppe da Roma a patto che il governo italiano non invadesse lo stato pontificio (convenzione di settembre). L’accordo prevedeva che la capitale venisse trasferita a Firenze per attenuare il predominio del Piemonte sulle altre regioni. L’obiettivo dell’Italia era solo quello di allontanare i francesi da Roma. Nel frattempo cresceva la speranza di risolvere il problema del veneto grazie alla firma di un trattato italo prussiano voluto da Bismarck per attaccare l’Austria su due fronti. In caso di vittoria il trattato prevedeva la cessione del Veneto all’Italia. dopo 4 gironi dall’entrata in guerra della Prussia anche l’Italia entrò in guerra e iniziò la terza guerra d’indipendenza. Dopo le sconfitte subite dall’Italia a Custoza e dalla flotta a Lissa (1866) intervenne Garibaldi che vinse gli Austriaci a Bezzecca e invase il trentino. Il 26 luglio però Bismarck firmò una armistizio con l’Austria che costrinse l’Italia a cessare i combattimenti. La guerra si concluse con la pace di Praga in cui l’Austria dovette accettare la formazione della confederazione germanica sotto la guida della Prussia e a riconoscere l’indipendenza del regno di Ungheria di cui però continua a mantenere la corona. Si formò cosi l’impero austro ungarico con la pace di Vienna l’Austria cedette il Veneto a Napoleone III che lo cedette a l’Italia. Nel 1867 alcuni garibaldini erano entrati nello stato pontifico con l’intento di congiungersi ad una rivolta popolare; il moto fu represso e i garibaldini vennero dispersi. Nel frattempo Garibaldi entro con i volontari nel Lazio e sconfisse i papalini a Monte rotondo ma venne sconfitto a Mentana dai francesi. La questione romana si riapri nel 1870 quando il conflitto franco-prussiano e il conseguente ritiro delle truppe francesi da Roma permisero all’Italia di invadere lo stato pontificio. Il 20 settembre del 1870 le truppe italiane entrarono a Roma attraverso la breccia di Porta Pia. Il 2 ottobre l’annessione dello stato pontificio venne regolata da un plebiscito che dichiarò Roma capitale e pose fine al potere temporale dei papi. I rapporti tra lo stato e la chiesa vennero regolati dalle leggi delle guarentigie che riconoscevano al papa diritto sovrani e il pieno e assoluto possesso dei palazzi del Vaticano del Laterano e del Castel Gandolfo. Alla chiesa è concessa piena libertà di azione, di propaganda e di organizzazione su tutto il territorio nazionale un appannaggio annuo per il mantenimento della corte papale. La reazione del papato alla legge delle guarentigie fu molto dura. Il papa scomunicò i Savoia e si ritenne prigioniero in vaticano. Tre anni dopo con il non expedit il papa vietò ai cattolici di prendere parte alle elezioni politiche del 1874. Nel 1876 alla caduta del governo di Minghetti divenne primo ministro l’esponente della sinistra Agostino de Pretis. Il governo della destra finiva dopo 15 anni: esso riuscì a riordinare le finanze pubbliche e completare e consolidare l’unificazione del regno. Purtroppo dimostrò scarsa attenzione verso le condizione di vita delle classi più deboli. © Federico Ferranti S.T.A. www.quintof.com