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Il primo decennio di Unità italiana
1. La politica fiscale italiana durante la Destra Storica
Lo sviluppo economico durante i primi anni di unità del nostro Paese fu piuttosto
limitato. E’ vero che alcuni settori agricoli (come quelli legati alla seta o all’olio)
conobbero un certo sviluppo. Ma va registrato una situazione stagnante per il settore
industriale, che si sarebbe sviluppato solo successivamente. La limitata espansione
dell'agricoltura degli anni '60 e '70 consentì un'accumulazione di capitali che rese a
sua volta possibile un nuovo potenziamento delle infrastrutture (strade, ferrovie),
indispensabile per il futuro sviluppo industriale. Ma, nel complesso, dopo un
ventennio di vita unitaria l'Italia aveva perso terreno nei confronti dei paesi più
progrediti e il tenore di vita della maggioranza dei suoi abitanti non era migliorato.
Responsabile principale di questa situazione fu la durissima politica fiscale, dettata
dalla necessità di coprire i costi dell'unificazione. La costruzione del nuovo Stato
aveva infatti comportato spese ingentissime, sia nel campo delle comunicazioni sia in
quelli dell'amministrazione pubblica, dell'istruzione e dell'esercito. Per far fronte a
queste spese, i governi della Destra dovettero ricorrere a una serie di inasprimenti
fiscali, che colpivano sia i redditi e i patrimoni sia i consumi (tasse su sali e tabacchi,
dazi locali sui generi alimentari). Con una serie di leggi vennero soppressi molti enti
religiosi e i loro beni vennero incamerati dallo Stato, che li mise in vendita. Le
necessità dell’erario indussero a vendere questi beni a prezzi svantaggiosi per lo
Stato, che li suddivise in piccoli lotti per favorire la piccola proprietà contadina. In
realtà questi lotti erano troppo piccoli per essere autonomi, e queste terre finirono
entro breve tempo ai medi e grossi proprietari. I nuovi proprietari si rivelarono più
esigenti degli enti ecclesiastici e le condizioni dei contadini peggiorarono, soprattutto
al Sud. La situazione si aggravò ulteriormente dopo il 1866, in conseguenza di una
crisi internazionale che spinse alla sospensione della convertibilità aurea della lira
(corso forzoso), e a causa delle spese sostenute per la guerra contro l'Austria (v.
dopo).
I governi succedutisi fra il '66 e il '69 furono costretti ad appesantire le imposte già
esistenti e, nell’estate del 1868, a vararne una nuova: quella nota come tassa sul
macinato. Si trattava di una tassa indiretta che colpiva duramente le classi più
povere, dato che era legata al grano e al mais al momento in cui erano macinati.
L'introduzione di questa tassa accrebbe l'impopolarità della classe
dirigente e provocò, all'inizio del 1869, le prime serie agitazioni nazionali
della storia dell'Italia unita. Scoppiati senza alcun coordinamento, i moti
furono molto acuti soprattutto nelle campagne padane. Vennero
duramente repressi.
Alla fine la politica di rigore finanziario ottenne gli effetti sperati. Le
condizioni dei bilancio statale migliorarono rapidamente fino a
raggiungere, nel 1875, l'obiettivo del pareggio. Ma intanto il fronte degli
scontenti si allargava: accanto ai ceti popolari, al malcontento del
Mezzogiorno, si aggiunsero le pressioni di industriali e gruppi bancari e
speculativi in favore di una politica economica meno rigida e restrittiva.
Garibaldi ferito
Questi interessi saranno decisivi per provocare la caduta della Destra.
2. Il completamento dell’unità
Fra i molti difficili compiti che i governi della Destra storica furono chiamati ad
assolvere c'era anche quello di completare l'unità, di riunire cioè alla madrepatria quei
territori abitati da popolazioni italiane che erano rimasti fuori dai confini politici del
Regno: il Veneto, il Trentino e soprattutto Roma e il Lazio. Sulla necessità di
portare a compimento l'unificazione del paese erano d'accordo tutti, moderati e
democratici: in particolare, la rivendicazione di Roma capitale era stata
solennemente proclamata da Cavour in una delle prime sedute del Parlamento. Ma,
mentre i leader della Destra, preoccupati di inserire gradualmente l'Italia nel concerto
delle potenze europee, si affidavano ai tempi lunghi delle vie diplomatiche, la Sinistra
restava fedele all'idea della guerra popolare e vedeva nella lotta per la liberazione di
Roma l'occasione per un rilancio dell'iniziativa democratica.
In realtà era proprio la presenza del papa a Roma a costituire il problema più spinoso.
E non solo per via dei rapporti con la Francia, che manteneva un suo corpo di
occupazione a Roma e costituiva pur sempre per l'Italia l'alleato più sicuro e il
principale partner economico. In Italia i cattolici rappresentavano ampiamente la
maggioranza della popolazione e il clero era in molte zone rurali l'unico punto di
riferimento culturale.
Anche in questo caso, i primi governi dell'Italia unita cercarono di procedere sulla
strada indicata da Cavour. Questi, in coerenza con le sue convinzioni - espresse nella
celebre formula «libera Chiesa in libero Stato» - già nelle settimane precedenti la
proclamazione del Regno d'Italia, aveva avviato trattative informali col Vaticano in
vista di una soluzione che assicurasse al papa e al clero piena libertà di esercitare il
proprio magistero spirituale, in cambio della rinuncia al potere temporale e del
riconoscimento del nuovo Stato. Pio IX si mostrò però intransigente e ormai in rotta
definitiva non solo col movimento nazionale italiano ma con la civiltà liberale.
Difficoltà analoghe ebbe il successore di Cavour, il toscano Bettino Ricasoli.
Il fallimento di questi tentativi aveva finito col ridare spazio all'iniziativa dei
democratici. Nel giugno del 1862, Garibaldi tornò in Sicilia, dove era sempre molto
popolare, e rilanciò pubblicamente il progetto di una spedizione contro lo Stato della
Chiesa, senza che le autorità (a cominciare dal re) facessero nulla per sconfessarlo o
per impedire l'afflusso dei volontari che accorrevano da ogni parte d'Italia. Ma non fu
possibile ripetere il gioco del 1860 mettendo le potenze di fronte al fatto
compiuto. Quando Napoleone III fece capire di essere deciso a impedire un
attacco contro Roma, Vittorio Emanuele II fu costretto a sconfessare l'impresa
garibaldina e decretò lo stato d'assedio in Sicilia e in tutto il Sud. In agosto i
garibaldini, intercettati sulle montagne calabresi dell'Aspromonte, si
scontrarono con l'esercito regolare e lo stesso Garibaldi fu ferito e arrestato.
Dopo questo episodio, i governanti italiani riannodarono le trattative con
Napoleone III e conclusero, nel settembre del 1864, un accordo - la cosiddetta
Convenzione di settembre - in base al quale si impegnavano a garantire il
rispetto dei confini dello Stato della Chiesa, ottenendo in cambio il ritiro delle
truppe francesi dal Lazio. A garanzia del suo impegno, il governo - allora
presieduto da Marco Minghetti - decideva di trasferire la
L'occasione per la conquista di Roma sarebbe però stata offerta, di lì a
capitale da Torino a Firenze: un passo che poteva essere
poco, dalla guerra franco-prussiana e dalla caduta del Secondo Impero
visto come una distensione, ma anche come un
di Napoleone III. Nel settembre 1870, subito dopo la cruciale battaglia
avvicinamento a Roma.
di Sedan (dove Napoleone fu sconfitto), il governo italiano, non
Poco dopo, inaspettatamente, si presentò l'occasione di
sentendosi più vincolato ai patti sottoscritti con l'imperatore, decise di
raggiungere l'altro obiettivo fondamentale in vista del
mandare un corpo di spedizione nel Lazio e di avviare
compimento dell’unità: la presa del Veneto. L'occasione fu
contemporaneamente un negoziato col papa per giungere a una
offerta, nel 1866, da una proposta di alleanza militare rivolta
soluzione concordata. Benché fosse completamente isolato in Europa,
al governo italiano dalla Prussia, che si apprestava allora ad
Pio IX rifiutò ogni accordo, deciso a mostrare al mondo intero di
affrontare la guerra con l'Impero asburgico. La
essere stato costretto a cedere alla violenza. Il 20 settembre 1870 le
partecipazione italiana fu decisiva per l'esito del conflitto, in
truppe italiane, dopo aver aperto con l'artiglieria una breccia nella
quanto impegnò una parte dell'esercito austriaco e rese
cinta muraria che allora circondava Roma e dopo aver sostenuto un
quindi possibile la vittoria prussiana. Ma, per le forze armate
breve combattimento con i reparti pontifici, entravano nella città
nazionali chiamate alla loro prima prova impegnativa, la
presso Porta Pia, accolte festosamente dalla popolazione. Pochi giorni
guerra si risolse in un clamoroso insuccesso: gli italiani,
dopo, un plebiscito sanzionava a schiacciante maggioranza
Movimenti nella Terza guerra d’Indipendenza
infatti, furono sconfitti sia per terra (a Custoza, il 24 giugno)
l'annessione di Roma e del Lazio.
sia per mare (presso l'isola di Lissa in Dalmazia, 20 luglio), nonostante le forze
Il trasferimento della capitale da Firenze a Roma fu effettuato nell'estate del 1871,
austriache fossero inferiori di numero. In entrambi i casi gli alti comandi diedero
dopo che lo Stato italiano ebbe regolato con una legge il complesso problema dei
cattiva prova di sé: furono i loro errori di valutazione a trasformare in sconfitte quelli
rapporti con la Santa Sede. Questa legge, approvata il 13 maggio 1871, fu detta “delle
che in realtà erano stati brevi scontri con perdite limitate. Unica significativa vittoria
guarentigie”, cioè delle garanzie, in quanto con essa il Regno d'Italia si impegnava –
fu quella di Garibaldi, a Bezzecca, in Trentino. Intanto la Prussia, raggiunti i suoi
unilateralmente – a garantire al pontefice le condizioni per il libero svolgimento del
obiettivi, aveva avviato le trattative per l'armistizio. Dalla pace di Vienna del 3
suo magistero spirituale, secondo le linee del progetto cavouriano. Al papa venivano
ottobre 1866 l'Italia ottenne solo il Veneto, attraverso la mediazione francese.
riconosciute prerogative simili a quelle di un capo di Stato: onori sovrani, facoltà di
La terza guerra d’indipendenza si concludeva così con un bilancio deludente:
tenere un corpo di guardie armate, diritto di rappresentanza diplomatica, extraterrimanevano sotto l'Austria la Venezia Giulia e il Trentino. Ciò avrebbe costituito,
ritorialità per i palazzi del Vaticano e del Laterano, libertà di comunicazioni postali e
ancora per decenni, un ricorrente motivo di agitazione patriottica. La guerra aveva poi
telegrafiche col resto del mondo. Nel complesso la legge delle guarentigie attuava
lasciato pesanti strascichi sul piano finanziario e, cosa ancora più grave, aveva
largamente il principio della libertà della Chiesa, la quale, liberatasi dal peso del
suscitato nell’opinione pubblica una vera e propria crisi morale: quasi che
potere temporale, finì col guadagnarne in dinamismo e in capacità di influenza.
l’andamento delle operazioni belliche fosse la prova di una non ancora raggiunta
Non per questo si attenuò l'intransigenza di Pio IX nei confronti del Regno d'Italia.
coesione nazionale, di una sostanziale inadeguatezza del nuovo Stato.
Anzi, l'invito ad astenersi da ogni partecipazione alla vita politica dello Stato, già
Questa situazione diede nuovo slancio all'attività dei gruppi democratici
rivolto dal clero ai cittadini italiani all'indomani dell'unità, si trasformò, nel 1874, in
d'opposizione. Mazzini intensificò la propaganda per una rifondazione
un esplicito divieto riassunto nella formula del non expedit («non
repubblicana dello Stato, mentre Garibaldi ricominciò a progettare una
giova», «non è opportuno» che i cattolici partecipino alle elezioni
spedizione a Roma. L'azione dei volontari avrebbe dovuto appoggiarsi su
politiche). L'acquisto di Roma, nel momento stesso in cui coronava
un'insurrezione preparata dagli stessi patrioti romani nell'estate del 1867.
il processo di unificazione nazionale, ampliava così le fratture della
Si sperava in tal modo di giustificare il colpo di mano, presentandolo
società italiana e restringeva la già fragile base di consenso su cui si
come un atto di volontà popolare, e di evitare così l'intervento francese. A
reggevano le istituzioni.
metà ottobre, invece, Napoleone III inviò un corpo di spedizione nel
Da: F. Gaeta, P. Villani, C. Petraccone, Storia contemporanea, Milano,
Lazio, mentre l'insurrezione a Roma fallì per la sorveglianza della polizia
Principato, 1992, pp. 127-30; A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Nuovi profili
storici, vol.2, Bari, Laterza, 2008, pp. 779-85.
e per la scarsa partecipazione popolare. Il 3 novembre 1867, le truppe
francesi da poco sbarcate a Civitavecchia attaccarono presso Mentana le
Breccia di Porta Pia, Roma, 1870
forze garibaldine e le sconfissero.
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