Antonio Gramsci
DISCIPLINA E LIBERTA’
La città futura, 11 febbraio 1917, p. 2
Associarsi a un movimento vuol dire assumersi una parte della responsabilità degli avvenimenti
che si preparano, diventare di questi avvenimenti stessi gli artefici diretti. Un giovane che si
iscrive al movimento giovanile socialista compie un atto di indipendenza e di liberazione.
Disciplinarsi è rendersi indipendenti e liberi. L'acqua è acqua pura e libera quando scorre fra le
due rive di un ruscello o di un fiume, non quando è sparsa caoticamente sul suolo, o rarefatta si
libra nell’atmosfera. Chi non segue una disciplina politica è appunto materia allo stato gassoso,
o materia bruttata da elementi estranei: pertanto inutile e dannosa. La disciplina politica fa
precipitare queste lordure, dà allo spirito il suo metallo migliore, alla vita uno scopo, senza la
quale la vita non varrebbe la pena di essere vissuta. Ogni giovane proletario che sente quanto
sia pesante il fardello della sua schiavitù di classe, deve compiere l'atto iniziale della sua
liberazione, iscriversi al Fascio giovanile socialista più vicino a casa sua.
Antonio Gramsci
UOMINI O MACCHINE ?
Avanti!, ediz. piemontese 24 dicembre 1916, sotto la rubrica «La scuola e i socialisti ».
La breve discussione svoltasi nell'ultima seduta conciliare fra i nostri compagni e qualche
rappresentante della maggioranza a proposito dei programmi per l'insegnamento professionale,
merita di essere commentata, anche se brevemente e compendiosamente. L'osservazione del
compagno Zini («La corrente umanistica e quella professionale si urtano ancora nel campo
dell'insegnamento popolare: occorre riuscire a fonderle, ma non bisogna dimenticare che prima
dell'operaio vi è ancora l'uomo, al quale non bisogna precludere la possibilità di spaziare nel
più ampi orizzonti dello spirito, per asservirlo subito alla macchina») e le proteste del
consigliere Sincero contro la filosofia (la filosofia trova specialmente degli avversari quando
afferma delle verità che colpiscono gli interessi particolari) non sono dei semplici episodi
polemici occasionali: sono scontri necessari tra chi rappresenta dei principi fondamentalmente
diversi.
1. Il nostro Partito non si è ancora affermato su un programma scolastico e concreto che si
differenzi da quelli soliti. Ci siamo finora . accontentati di affermare il principio generale della
necessità della cultura sia elementare, che professionale, che superiore, e questo principio
abbiamo svolto, abbiamo propagandato con vigore ed energia. Possiamo affermare che la
diminuzione dell'analfabetismo in Italia non è tanto dovuta alla legge sull'istruzione
obbligatoria quanto alla vita spirituale, al sentimento di certi determinati bisogni della vita
interiore, che la propaganda socialista ha saputo suscitare negli strati proletari del popolo
italiano. Ma non siamo andati più in là. La scuola in Italia è rimasta un organismo
schiettamente borghese, nel peggior senso della parola. La scuola media e superiore, che è di
Stato, e cioè è pagata con le entrate generali, e quindi anche con le tasse dirette pagate dal
proletariato, non può essere frequentata che dal giovani figli della borghesia, che godono
dcll'indípcndenza economica necessaria per la tranquillità degli studi. Un proletario, anche se
intelligente, anche se in possesso di tutti i numeri necessari per diventare un uomo di cultura, è
costretto a sciupare le sue qualità in attività diversa, o a diventare un refrattario, un autodidatta,
cioè (fatte le dovute eccezioni) un mezzo uomo, un uomo che non può dare tutto ciò che
avrebbe potuto, se si fosse completato ed irrobustito nella disciplina della scuola. La cultura è
un privilegio. La scuola è un privilegio. E non vogliamo che tale essa sia. Tutti i giovani
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dovrebbero essere uguali dinanzi alla cultura. Lo Stato non deve pagare coi denari di tutti la
scuola anche per i mediocri e deficienti, figli dei benestanti, mentre ne esclude gli intelligenti e
capaci, figlioli dei proletari. La scuola media e superiore deve essere fatta solo per quelli che
sanno dimostrare di esserne degni. Se è interesse generale che essa esista, e sia magari sorretta
e regolata dallo Stato, è.anche interesse generale che ad essa possano accedere tutti gli
intelligenti, qualunque sia la loro potenzialità economica. Il sacrifizio della collettività è
giustificato solo quando esso va a beneficio di chi se lo merita. Il sacrifizio della collettività
perciò deve servire specialmente a dare ai valenti quella indipendenza economica, che è
necessaria per poter tranquillamente dedicare il proprio tempo allo studio e poter studiare
seriamente.
2.
Il proletariato, che è escluso dalle scuole di cultura media e superiore per le attuali
condizioni della società che determinano una certa specializzazione degli uomini, innaturale,
perché non basata sulle diverse capacità, e quindi distruttrice ed inquinatrice della produzione,
deve riversarsi nelle scuole collaterali: tecniche e professionali. Quelle tecniche, istituite con
criteri democratici dal ministro Casati, hanno subito per le necessità antidemocratiche del
bilancio statale, una trasformazione che le ha in gran parte snaturate. Sono ormai in gran parte
diventate superfetazioni delle scuole classiche, e uno sfogatolo innocente della impiegomania
piccolo-borghese. Le tasse di iscrizione in continua ascensione, e le possibilità determinate che
danno per la vita pratica, hanno fatto anche di esse un privilegio, e del resto il proletariato ne è
escluso, nella sua grandissima parte, automaticamente, per la vita incerta ed aleatoria che è
costretto a condurre il salariato; vita che non è certo la più propizia per seguire con frutto un
corso di studio.
3. Al proletariato è necessaria una scuola disinteressata. Una scuola in cui sia data al fanciullo
la possibilità di formarsi, di diventare uomo, di acquistare quei criteri generali che servono allo
svolgimento del carattere. Una scuola umanistica, insomma, come la intendevano gli antichi e i
più recenti uomini del Rinascimento. Una scuola che non ipotechi l’avvenire del fanciullo e
costringa la sua volontà, la sua intelligenza, la sua coscienza in formazione a muoversi entro un
binario a stazione prefissata. Una scuola di libertà e di libera iniziativa e non una scuola di
schiavitù e di meccanicità. Anche i figli dei proletari devono avere dinanzi a sé tutte le
possibilità, tutti i campi liberi per poter realizzare la propria individualità nel modo migliore, e
perciò nel modo più produttivo per loro e per la collettività. La scuola professionale non deve
diventare una incubatrice di piccoli mostri aridamente (NEL TESTO ORIG: “avidamente”)
istruiti per un mestiere, senza idee generali, senza cultura generale, senza anima, ma solo
dall’occhio infallibile e dalla mano ferma. Anche attraverso la cultura professionale può farsi
scaturire, dal fanciullo, l’uomo. Purché essa sia cultura educativa e non solo informativa, o non
solo pratica manuale. Il consigliere Sincero, che è un industriale, è troppo gretto borghese
quando protesta contro la filosofia. Certo, per gli industriali grettamente borghesi, può essere
più utile avere degli operai-macchine invece che degli operai-uornini. Ma i sacrifizi cui tutta la
collettività si assoggetta volontariamente per migliorarsi e per far scaturire dal suo seno i
migliori e i più perfetti uomini che la innalzino ancor più, devono riversarsi beneficamente su
tutta la collettività e non solo su una categoria o una classe.
E’ un problema di diritto e di forza. E il proletariato deve stare all’erta, per non subire un'altra
sopraffazione dopo le tante che già subisce.
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