breve guida alla malattia di alzheimer ed alle altre

Regione Emilia Romagna
Anno internazionale dell’anziano
COMUNE DI FORLÌ
ASSESSORATO ALLE POLITICHE SOCIALI
In collaborazione con l’Associazione
A. R. A. D. – FORLÌ
ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA E L’ASSISTENZA DELLE DEMENZE A FORLÌ
BREVE GUIDA
ALLA MALATTIA D’ALZHEIMER ED ALLE
ALTRE FORME DI DEMENZA
opuscolo informativo per i familiari
A cura di:
Vincenzo Pedone
Primario del reparto di Geriatria – Ospedale Pierantoni di Forlì
Antonella Angelini
Aiuto Primario, reparto di Geriatria – Ospedale Pierantoni di Forlì
A. R. A. D. – FORLÌ
ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA E L’ASSISTENZA DELLE DEMENZE A FORLÌ
Soci fondatori:
Vincenzo Pedone
Fabrizio Rasi
Luigi Missiroli
Loretta Bertozzi
Antonella Angelini
Susanna Malagù
Giuseppe Benati
Giada Marchi
Giorgio Papi notaio
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Col senno di poi la cosa sembra ovvia ma sulle prime pensai che le sue smemoratezze fossero
comprensibili e nient’affatto eccezionali. Dimenticava dove aveva messo le chiavi, ma capita a
tutti. Dimenticava il nome di qualche conoscente, ma non degli amici e delle persone a noi più
vicine. A volte sbagliava la data sugli assegni ma non vi dava peso, semplici errori che si
commettono quando si pensa ad altro. Fu quando si manifestarono episodi più allarmanti che
cominciai a sospettare il peggio. Un ferro da stiro nel freezer, la biancheria nella lavapiatti, dei
libri nel forno. Il giorno in cui la trovai nella sua auto a tre isolati di distanza, china in singhiozzi
sul volante perché non trovava la via di casa, mi spaventai davvero. E si spaventò anche lei perché
quando bussai al finestrino si voltò e disse: “O Dio, che cosa mi succede? Per favore aiutami”.
“Mi spiace dovervelo dire” cominciò il dr. Barnwell, ma sembra che la signora sia al primo stadio
dell’Alzheimer…” É una malattia desolata, vuota ed arida come il deserto. Non sapevo che dirle
mentre lei singhiozzava sul mio petto e la strinsi a me cullandola.
(Nicholas Sparks, Le pagine della nostra vita, Frassinelli Ed., 1996)
tratto da: M. Trabucchi, Le demenze, UTET, 1998
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INTRODUZIONE
Il continuo aumento nella popolazione del numero degli anziani ha determinato un proporzionale
incremento delle malattie connesse all’invecchiamento, fra cui la demenza.
Già nel 1987, studiosi del settore definivano le demenze “epidemia silente degli anni futuri”
prevedendo ciò che si sta ormai verificando.
In particolare nei prossimi 25 anni si assisterà ad un drammatico aumento del numero di persone
affette da demenza. L’aumento sarà particolarmente marcato nei paesi in via di sviluppo.
Delle varie forme di demenza, la malattia d’Alzheimer rappresenta la più diffusa e quella su cui
verte il maggior numero di ricerche scientifiche.
Non esistono cure a tutt’oggi che possano guarire la malattia ma solo rallentarne l’evoluzione.
Ne consegue che i malati hanno bisogno d’assistenza e la famiglia resta il punto di riferimento
fondamentale.
Con questa breve guida s’intende diffondere la conoscenza della storia naturale della malattia, e
informazione sui comportamenti da adottare quando si debba fronteggiarla nella vita quotidiana.
CHE COSA É LA DEMENZA?
Col termine di demenza s’intende un deterioramento della memoria e di almeno un’altra delle
funzioni mentali superiori ad andamento progressivamente peggiorativo e tale da interferire con la
capacità di assolvere alle mansioni della vita quotidiana, in ciò rappresentando un declino rispetto
alle prestazioni usuali dell’individuo stesso.
Si tratta quindi di una condizione, nella quale non solo la memoria é compromessa, anche se
all’esordio della malattia il sintomo principale può essere un deficit della memoria.
CHE COSA É LA MEMORIA?
É quella funzione del cervello che ci permette di registrare, conservare e rievocare le informazioni
derivanti dall’ambiente circostante, dalle sensazioni e dai pensieri.
Esistono due tipi di memoria: quella a breve termine e quella a lungo termine.
La memoria a breve termine raccoglie le informazioni recenti: i messaggi provenienti dai sensi
attivano particolari aree localizzate nella corteccia cerebrale determinando un ricordo della durata
da pochi secondi a pochi minuti.
Solo un numero limitato di tali messaggi, quelli ritenuti di interesse, vengono immagazzinati più a
lungo in zone più profonde del cervello (l’ippocampo) costituendo la memoria a lungo termine.
Questi ricordi rimangono disponibili per mesi, od anni, od anche diversi decenni.
Il buon funzionamento della memoria dipende quindi anche dall’integrità degli organi di senso. Un
significativo deficit della vista o dell’udito genera una deprivazione sensoriale che é alla base di
alcune forme di deterioramento mentale.
Il buon funzionamento della memoria é altresì influenzato dal grado di attenzione che il soggetto
rivolge ad un evento.
La depressione e l’ansia si associano spesso ad un disturbo della memoria in quanto si tratta di
condizioni psichiche in cui l’attenzione é polarizzata su sensazioni di paura o di sfiducia non
essendo “interessata” a processi di memorizzazione per il futuro.
É purtroppo ancora opinione diffusa che l’invecchiamento si associ ad una progressiva perdita della
memoria come di altre funzioni fisiche.
In realtà col passare degli anni, si assiste ad un progressivo rallentamento dei processi di
apprendimento o delle prove di performances (fenomeno correlato alla progressiva perdita di
neuroni) ma il tutto é contenuto e compensato senza impatto sull’autonomia della persona.
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Vi può essere poi una condizione definita come “perdita di memoria legata all’eta”. Si tratta di un
disturbo della memoria di grado lieve, non associato ad altri deficit delle funzioni mentali, d’entità
tale da non interferire con la vita quotidiana.
É comunque opportuno che la comparsa di un disturbo della memoria anche in un anziano venga
preso in considerazione e segnalato al medico curante che valuterà l’indicazione ad effettuare
indagini più approfondite.
É, infatti, dimostrato che l’efficacia di un intervento terapeutico é massima a fronte di una diagnosi
precoce; ciò vale anche per la demenza.
Quando poi il disturbo della memoria interferisce con la capacità di vita indipendente o riguarda
informazioni importanti é indispensabile consultare il medico curante.
Un’altra condizione da distinguere dalla demenza é lo stato confusionale acuto (delirio) che spesso
si manifesta nell’anziano con una malattia organica (infezione, disturbo metabolico, disidratazione,
trauma cranico, stato post-operatorio, etc.)
Si tratta di una condizione di durata limitata nel tempo (ore o giorni), caratterizzata da
un’alterazione dello stato di coscienza oltre che da un deficit delle funzioni mentali.
É dunque una condizione reversibile con la malattia che l’ha determinata ma può essere talvolta la
spia di un’incipiente demenza.
Quando si manifesta un disturbo della memoria durante l’invecchiamento, soprattutto se é tale da
non compromettere le abituali attività quotidiane, é opportuno non drammatizzare.
Esistono metodi ed accorgimenti per mantenere “allenata” la memoria e compensare le
dimenticanze.
- Si può ricorrere all’uso di pro-memoria, appunti, liste per la spesa.
- Per ovviare alla perdita di oggetti (ad es. chiavi) é opportuno assegnare ad ogni oggetto sempre la
stessa collocazione.
-É opportuno rendere più visibili oggetti che si nascondono facilmente (ad es. mettere un
cordoncino agli occhiali per assicurarli al collo, porre un nastro alle forbici).
-É importante portare a termine le azioni iniziate per non rischiare di lasciarle in sospeso.
-É utile effettuare esercizi mnemonici (parole crociate, riassunti di letture o programmi televisivi).
In generale é utile aumentare interessi ed attività in modo da esercitare indirettamente la memoria.
LE DEMENZE
Col termine di demenza s’indica quindi una malattia del cervello che determina perdita della
memoria e di almeno un’altra funzione cognitiva (ragionamento astratto, linguaggio, orientamento,
calcolo, svolgimento di compiti complessi) tale da compromettere la capacità di vita autonoma.
Ai sintomi che riguardano le funzioni cognitive si accompagnano quasi sempre alterazioni del
comportamento che possono consistere in deliri, allucinazioni, apatia, disinibizione, comportamento
alimentare o sessuale inadeguato, agitazione, vagabondaggio, ansia o depressione, insonnia.
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Dalla letteratura scientifica si desume che la prevalenza della demenza nei soggetti d’età superiore
ai 65 anni é del 5% circa ma raddoppia approssimativamente ogni cinque anni d’età raggiungendo il
40% nella classe d’età fra gli 85 e gli 89 anni.
L’età rappresenta il principale fattore di rischio per le demenze.
Circa il 60% dei casi di demenza é dovuto alla malattia d’Alzheimer (dal nome del neurologo che la
descrisse per primo nel 1907).
In poco più del 10% dei casi é dovuta all’arteriosclerosi cerebrale ed in un altro 10% circa alla
coesistenza di malattia d’Alzheimer e di danni circolatori cerebrali.
Vi sono poi altre malattie degenerative cerebrali che possono essere responsabili di demenza: la
malattia di Pick, la malattia a corpi dei Lewy, la demenza fronto-temporale, il morbo di Parkinson,
la degenerazione cortico-basale.
In un rimanente 10% di casi la demenza é sostenuta da malattie passibili di guarigione se curate
tempestivamente (ad es. idrocefalo normoteso, ematoma subdurale, neoplasia cerebrale,
ipotiroidismo).
Va altresì ricordato che l’uso scorretto d’alcuni farmaci (tranquillanti, sonniferi) e di sostanze
tossiche (alcool) può essere responsabile di disturbi della memoria o di confusione mentale se non
di una vera e propria forma di demenza.
LA MALATTIA D’ALZHEIMER
La malattia di Alzheimer rappresenta la più frequente forma di demenza nei paesi occidentali con
una prevalenza di meno dell’1% al di sotto dei 65 anni, del 4-7% al di sopra dei 65 anni con circa il
20% negli ultraottantenni.
La malattia ha di norma un esordio subdolo essendo il primo sintomo rappresentato da una lieve
perdita di memoria per gli eventi recenti.
Tale deficit si accentua poi in maniera progressiva e ad esso si associano altri deficit. Compaiono
difficoltà nell’orientamento spaziale e temporale (l’individuo può perdersi in luoghi non familiari).
Vi é difficoltà nell’apprendere e ricordare nuove informazioni (appuntamenti, avvenimenti).
Compaiono difficoltà nel trovare le parole per esprimersi e nel nominare gli oggetti che vengono
indicati spesso con giri di parole od in maniera vaga (“il coso”, ”la cosa”).
Insorgono problemi nell’esecuzione di compiti complessi come attività che richiedono una
sequenza (ad es. la preparazione di un pasto).
Il comportamento appare più passivo, non interessato all’ambiente circostante.
Vi può essere irritabilità, accentuazione di alcuni tratti del carattere od, al contrario, modificazione
della personalità.
Talvolta l’individuo diviene sospettoso o sviluppa manie (di persecuzione, di furto).
Uno dei sintomi che spesso accompagnano l’esordio della demenza è la depressione, spesso reattiva
alla consapevolezza, talora presente nella fase iniziale della malattia, del proprio declino mentale.
La malattia ha un decorso variabile da individuo ad individuo ma in media ha una durata di 8-10
anni.
Nella malattia possono essere distinti tre stadi di gravità.
L’andamento della demenza di tipo vascolare é invece caratterizzato da un decorso “a gradini”
determinato dalle varie lesioni (ictus) responsabili del danno cerebrale. Possono cioè esservi fasi di
rapido peggioramento intercalate a fasi di relativa stazionarietà mentre nella malattia d’Alzheimer il
declino é tipicamente progressivo.
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GLI STADI DELLA DEMENZA
Nello stadio iniziale, abitualmente riconosciuto solo dopo 1-2 anni, é presente più che altro un
disturbo della memoria soprattutto per gli eventi recenti.
Il paziente diviene ripetitivo, tende a perdersi in ambienti nuovi, dimentica gli impegni, può essere
disorientato nel tempo. Il pensiero astratto risulta impoverito e la capacità di giudizio critico
diminuita. Il paziente esprime una progressiva incapacità a svolgere compiti prima a lui familiari.
In questa fase sono di solito i familiari a rilevare alterazioni del comportamento o della personalità.
É più facile l’individuazione di un deficit iniziale in individui che svolgono mansioni intellettuali,
piuttosto che in anziani con bassa scolarità o non impegnati in mansioni lavorative.
Nella fase intermedia il paziente presenta necessità d’assistenza nelle attività strumentali della vita
quotidiana. Può perdersi anche in ambienti familiari. Anche la memoria remota é compromessa.
Non riesce ad apprendere nuove informazioni. É completamente disorientato nello spazio e nel
tempo. É in grado di deambulare; spesso presenta irrequietezza e vagabondaggio con rischio di
cadute. In tale fase sono frequenti i deliri e le alterazioni del sonno.
La durata di questo periodo può essere di uno o più anni.
Nello stadio avanzato della malattia vi é totale perdita dell’autonomia anche nelle attività di base
della vita quotidiana. La comunicazione verbale é estremamente impoverita o assente. Compaiono
incontinenza sfinterica, incapacità motoria, incapacità ad alimentarsi per difficoltà nella
deglutizione.
Sono conseguentemente molto frequenti le complicanze: polmoniti, malnutrizione, disidratazione,
piaghe da decubito conseguenti all’allettamento.
Lo stadio avanzato della malattia può durare dai 2 ai 10 anni in media.
É essenziale che di fronte ai primi sintomi venga fatta una valutazione medica adeguata del caso che
passa attraverso una raccolta accurata dell’anamnesi del paziente dal familiare che più gli sta vicino
ed é quindi in grado di cogliere le più fini modificazioni del comportamento.
Oltre all’esame obiettivo si effettua di norma una serie di test neuropsicologici che, tenendo conto
dell’età e della scolarità dell’individuo, contribuiscono a rivelare deficit nelle varie funzioni
mentali.
Le indagini successive sono rappresentate dalle analisi del sangue e da una TAC cerebrale che ha
anzitutto lo scopo di evidenziare lesioni circolatorie cerebrali od altre patologie responsabili di
forme di demenza potenzialmente reversibili (ematomi, idrocefalo). Il grado di deterioramento
mentale poi non sempre corrisponde al livello di atrofia cerebrale documentato dalla TAC che può
risultare normale nelle forme iniziali.
Una volta formulata la diagnosi si effettua un programma terapeutico e di controlli periodici allo
scopo di seguire l’andamento del singolo paziente.
EREDITARIETÀ E FATTORI DI RISCHIO
Solo in pochissimi casi (circa l’1%) la demenza é ereditaria.
In un altro 25% di casi esiste una familiarità generica (analoga a quella esistente per il diabete o
l’ipertensione).
Nel restante 74% dei casi non é possibile riscontrare alcun tipo di legame ereditario e la malattia si
manifesta in modo imprevedibile. Ciò vale anzitutto per la malattia d’Alzheimer.
Nell’1% di casi di malattia di Alzheimer ereditaria, l’alterazione risiede in un gene (porzione di
cromosoma su cui sono scritte le istruzioni per la sintesi delle proteine) alterato la cui trasmissione
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determina il 100% di probabilità di sviluppare la malattia. Esistono tre tipi di alterazioni genetiche
possibili rispettivamente sul cromosoma n. 14 (sintesi della presenilina 1), sul cromosoma n. 1
(sintesi della presenilina 2) e sul cromosoma n. 21 (sintesi della proteina precursore dell’amiloide).
L’accumulo di sostanza amiloide é una delle caratteristiche alterazioni anatomiche del cervello
colpito da malattia d’Alzheimer.
Le forme ereditarie di malattia d’Alzheimer esordiscono in giovane età (40-50 anni), ed hanno una
chiara distribuzione familiare con presenza di casi di demenza nelle varie generazioni.
Le alterazioni a carico del gene per la proteina precursore dell’amiloide si associano ad un esordio
tra i 40 e i 65 anni; quelle della presenilina 1 tra i 30 e i 65 anni; quelle della presenilina 2 tra i 40 e
i 90 anni.
L’ampia variabilità nell’età di insorgenza della malattia limita l’utilità del test genetico dal punto di
vista dell’individuo che si sottopone ad esso anche se lo studio genetico resta indicato nei
discendenti di famiglie con casi di demenza ereditaria.
É stato altresì dimostrato che i soggetti portatori dell’allele E4 dell’apolipoproteina E hanno un
rischio maggiore di sviluppare la malattia d’Alzheimer. Si tratta comunque di un aumento di
probabilità e non di un rischio assoluto.
Per quanto riguarda poi la demenza vascolare i fattori di rischio sono gli stessi dell’arteriosclerosi e
cioè: età, ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, fumo, obesità.
L’età resta il principale fattore di rischio anche per la malattia d’Alzheimer visto che la maggiore
prevalenza della malattia si ha dopo i 75 anni.
La causa della malattia d’Alzheimer é a tuttoggi sconosciuta.
Un effetto combinato di fattori genetici ed ambientali potrebbe essere alla base dello sviluppo della
malattia.
LA CURA
Attualmente non esiste una cura che guarisca la demenza non essendone nota la causa. Esistono
tuttavia farmaci attivi a livello cerebrale che possono rallentarne il decorso e migliorare i disturbi
del comportamento.
In particolare per la malattia d’Alzheimer esistono da alcuni anni farmaci specifici, i cosiddetti
“inibitori delle colinesterasi”. Essi agiscono bloccando la degradazione di un neurotrasmettitore
(l’acetilcolina) la cui carenza sembra essere particolarmente importante nel determinare i disturbi
tipici della malattia d’Alzheimer.
Purtroppo questi farmaci hanno efficacia solo nel 30-50 % dei pazienti con demenza di grado lieve
o moderato.
Nei casi che rispondono alla terapia si possono ottenere dei miglioramenti per un periodo di tempo
variabile da individuo ad individuo ed un rallentamento nell’evoluzione della malattia.
La prescrizione di tali farmaci é di pertinenza specialistica (geriatra, neurologo).
Esistono altresì terapie non farmacologiche (metodi di riabilitazione cognitiva) che possono
contribuire a rallentare il declino mentale.
L’ASSISTENZA AL MALATO
La storia naturale della demenza é variabile da paziente a paziente ma é comunque un percorso
verso la perdita dell’autosufficienza, una parabola discendente costellata di problemi dei quali é la
famiglia, in primo luogo, a farsi carico.
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Esistono regole di comportamento che si sono dimostrate utili nell’affrontare la convivenza con un
congiunto affetto da demenza.
L’obiettivo di carattere generale che si deve perseguire é il mantenimento dell’autonomia del
paziente il più a lungo possibile.
Nelle fasi iniziali della malattia é utile istituire una routine nella vita quotidiana onde diminuire il
numero delle decisioni da prendere e cercare di mantenere un ordine strutturato fra le varie attività.
In tal senso é buona norma evitare spostamenti di oggetti e variazioni di ambiente che potrebbero
essere fonte di confusione per il malato.
L’ambiente dove vive il demente deve essere non solo stabile, immodificato nel tempo onde
mantenere quei punti di riferimento che la persona ha imparato ad avere nella sua vita, ma anche
ben illuminato e sicuro con percorsi facili e, se necessario, ben segnalati.
L’obiettivo di mantenere il più a lungo possibile uno standard di normalità richiede che
all’individuo sia lasciato lo svolgimento delle mansioni fisiche e mentali che dimostra di essere
ancora in grado di assolvere.
Pertanto é utile l’esercizio delle abilità acquisite nell’ambiente di lavoro limitatamente alle capacità
residue che possono fornire prestazioni semplici o pianificate.
É altrettanto utile il mantenimento degli hobbies e comunque di quelle che erano le consuetudini
prima della malattia.
Aiutare il paziente a mantenere le proprie abilità significa aiutare la persona a conservare la propria
dignità. L’individuo affetto da demenza prova emozioni e sentimenti e può essere ferito da un
insuccesso o da una discussione riguardante la sua condizione in sua presenza. Può arrivare a
sviluppare una reazione depressiva.
É opportuno evitare conflitti e sottolineare le incapacità, nate da un processo degenerativo e non da
un comportamento voluto.
Col progredire della malattia si rende necessaria una vera e propria assistenza nelle attività
strumentali della vita quotidiana.
Abbigliamento e cura della persona
La difficoltà a scegliere i vestiti e ad indossarli in maniera corretta così come il calo di interesse per
il proprio aspetto fisico e l’igiene personale rappresentano uno dei sintomi abbastanza precoci
nell’evoluzione della malattia.
É opportuno:
- limitare il numero dei vestiti nell’armadio onde semplificare la scelta
- evitare vestiti con chiusure complicate
- riporre gli abiti nello stesso ordine con cui devono essere indossati
- incoraggiare l’indipendenza nel vestirsi, intervenendo pazientemente con consigli in caso di
errori
- fare ripetere gli atti se necessario
- utilizzare scarpe allacciate con suole non scivolose
- anche nell’igiene personale permettere al paziente di fare da solo il più possibile mantenendo le
precedenti abitudini
- fare attenzione alle norme di sicurezza creando punti di appoggio per la doccia che in genere
risulta più semplice da effettuarsi rispetto al bagno in vasca
- se la proposta di fare un bagno é fonte di costante conflitto può essere utile talvolta farsi sostituire
da un’altra persona.
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Servizi igienici e incontinenza
Il paziente con malattia d’Alzheimer può perdere la capacità di riconoscere il bisogno di andare alla
toilette, dimenticare dove questa si trova o che cosa fare una volta che vi é giunto. Spesso i pazienti
dementi non sono in grado di inibire la minzione per il tempo necessario a raggiungere la toilette.
Nella malattia d’Alzheimer l’incontinenza si manifesta in uno stadio intermedio di malattia mentre
nella demenza vascolare può comparire anche nelle fasi iniziali. L’incontinenza può anche essere
uno dei segni, accanto alla difficoltà di deambulazione ed alla perdita di memoria, di una forma
reversibile di demenza, l’idrocefalo normoteso.
É opportuno:
- semplificare il percorso fino al bagno
- lasciare la porta del bagno aperta perché sia più facile identificarlo
- contrassegnare la porta del bagno con colori brillanti o cartelli di facile lettura
- utilizzare abiti che sia facile togliere sostituendo i bottoni con chiusure a strappo
- limitare le bevande prima di andare a coricarsi
- lasciare un vaso da notte od una comoda vicino al letto
- chiedere consiglio ad uno specialista urologo per escludere cause reversibili di incontinenza
legate all’apparato urinario.
Una volta instauratasi un’incontinenza irreversibile é opportuno programmare la minzione
accompagnando periodicamente in bagno il paziente ogni 2-3 ore, appena si sveglia al mattino,
prima di coricarsi ed una volta durante la notte.
Durante la notte possono anche essere utilizzati raccoglitori esterni.
L’uso del catetere vescicale va limitato al massimo in quanto predispone alle infezioni urinarie ed é
deprimente sul piano psicologico.
Di solito viene utilizzato nelle fasi avanzate della demenza specie in presenza di piaghe da decubito.
Alimentazione
Il paziente demente spesso dimentica di avere già mangiato e chiede continuamente cibo; altre volte
non si interessa al cibo. Col passare del tempo non riesce più ad utilizzare le posate e nelle fasi
avanzate della malattia deve essere imboccato. Nell’ultimo stadio della malattia compare anche una
grave difficoltà fino all’incapacità di deglutizione che può rendere necessario il ricorso
all’alimentazione artificiale.
É opportuno:
- verificare se la persona é ancora in grado di cucinare sorvegliando e collaborando nella
preparazione dei pasti
- eliminare oggetti appuntiti e taglienti che richiedano accortezza nella manipolazione
- installare dispositivi di sicurezza (gas in particolare)
- provvedere quando necessario a pasti già preparati sorvegliando l’effettivo consumo del cibo
- controllare lo stato dei denti e l’adeguatezza della protesi dentaria
- utilizzare tovaglie di plastica, tovaglioli assorbenti, bicchieri che non si rovescino facilmente
quando la destrezza nell’uso delle posate viene meno
- servire una portata alla volta tagliando il cibo in pezzi piccoli o ricorrendo a pasti triturati o
semiliquidi secondo necessità
- é preferibile riservare il pasto principale all’ora di pranzo per evitare problemi digestivi serali con
irrequietezza notturna
- variare il menù tenuto conto che non esistono restrizioni dietetiche.
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Deambulazione e cadute
Per effetto dell’invecchiamento cerebrale, di malattie croniche dell’apparato locomotore ed anche
per l’uso di farmaci (sonniferi, tranquillanti, antidepressivi) si verifica un peggioramento
dell’equilibrio e dell’andatura che solo parzialmente può essere migliorato da interventi di
riabilitazione. Diventa pertanto importante ridurre il rischio di cadute agendo sui fattori ambientali.
É opportuno:
- illuminare adeguatamente gli ambienti eliminando le zone d’ombra
- evitare l’uso di cere per pavimenti che li rendono scivolosi
- abolire tappeti e scendiletto soprattutto se non fissati a terra
- adeguare l’altezza del letto o della poltrona alle capacità dell’individuo
- dotare i servizi igienici e la vasca/doccia di maniglie
- dotare le scale di un corrimano per tutta la lunghezza di esse, meglio se da ambo i lati e
controllare la regolarità dei gradini
- eliminare dagli ambienti piccoli mobili, vasi od altri oggetti ingombranti che possano costituire
ostacoli sui percorsi abituali
- se necessario, in case con reparto notte al piano superiore, può essere opportuno attrezzare un
angolo con letto e comodino, vicino al bagno, nel reparto giorno.
Ogni intervento effettuato sull’ambiente al fine di minimizzare il rischio di cadute, anche se oneroso
dal punto di vista economico si tradurrà in guadagno in termini di qualità della vita dell’individuo a
rischio. Basti pensare alle conseguenze determinate da una caduta con frattura (ospedalizzazione,
compromissione dell’indipendenza, talvolta allettamento prolungato con possibile comparsa di
piaghe da decubito).
Nelle fasi avanzate della malattia, il paziente non é più in grado di deambulare e può arrivare
all’allettamento totale con rischio di comparsa di piaghe da decubito. La mobilizzazione passiva
ogni 2-3 ore dell’individuo unitamente all’uso di presidi antidecubito (materassi ad acqua) é la
necessaria e principale misura preventiva.
Comunicazione
Nella demenza il vocabolario di parole che l’individuo ha acquisito durante la vita si riduce ed il
paziente tende ad utilizzare frasi sempre più povere con vocaboli semplici od espressioni generiche
per definire un oggetto di cui non ricorda il nome. Nello stesso tempo é venuta meno la capacità di
memorizzare ciò che viene detto durante un colloquio.
É opportuno:
- rivolgersi al demente parlando lentamente con parole scandite e frasi semplici
- interpretare disturbi del comportamento come possibile espressione di disagio nell’incapacità di
comunicare adeguatamente
- utilizzare la comunicazione non verbale per rassicurare e confortare di fronte ad espressioni di
ansia o depressione
- sapere che l’individuo può non essere in grado di manifestare disturbi fisici o sintomi.
É frequente, infatti, la sensazione, da parte del familiare di un demente, che ci sia “qualcosa che non
va” e che si manifesta magari con uno stato confusionale acuto o irrequietezza (ad es. febbre,
costipazione). Molte volte i familiari riconoscono modalità di comunicazione non verbale che solo
essi, data la consuetudine col malato, riescono ad interpretare.
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Le complicanze
Il demente, soprattutto nelle fasi più avanzate della malattia, é a rischio di sviluppare malattie
concomitanti.
Accade di frequente che un accentuarsi dell’agitazione preceda la comparsa di altri sintomi (ad es.
la febbre). Può anche accadere l’opposto e, cioè, che compaia uno stato di torpore apparentemente
non spiegabile.
Tale manifestazione é frequentemente associata alla disidratazione, condizione cui va incontro
facilmente il demente in fase avanzata che comincia a manifestare difficoltà nell’assunzione di cibo
e bevande.
Tale difficoltà si manifesta con frequenti fenomeni di tosse che succedono alla deglutizione. Nella
fase estrema della demenza, é frequente la comparsa di broncopolmoniti dovute all’erroneo
passaggio di cibo nelle vie respiratorie proprio per un’inadeguata deglutizione.
L’incapacità di assumere adeguate quantità di alimenti, ancorché triturati o frullati, é alla base di
una condizione tipica della demenza in fase avanzata: la malnutrizione.
La malnutrizione diminuisce le difese immunitarie ed, oltre una certa soglia, é irreversibile ed é di
per sé condizione che porta a morte.
La fase terminale della demenza é associata alla cosiddetta sindrome da immobilizzazione.
L’individuo non più capace di camminare ed infine anche di mantenere la posizione seduta, tende a
rimanere costantemente a letto.
Le conseguenze di una prolungata degenza a letto sono:
- atrofia muscolare
- blocco delle articolazioni
- instabilità vasomotoria con fenomeni di abbassamento brusco della pressione arteriosa in caso di
alzata
- peggioramento della stipsi e dell’incontinenza
- peggioramento della confusione mentale
- aumentato rischio di broncopolmonite
- rischio di trombosi venosa profonda agli arti inferiori con possibilità di embolia polmonare
- comparsa di piaghe da decubito.
Col termine di piaga da decubito s’intende una lesione localizzata della pelle e dei tessuti
sottostanti, causata da una prolungata ed eccessiva pressione che si sviluppa sulle parti del corpo a
contatto con il piano di appoggio.
É soggetto allo sviluppo di piaghe da decubito il paziente che non é in grado di compiere movimenti
volontari o involontari attraverso i quali scaricare periodicamente la pressione cui sono sottoposte le
zone di appoggio del corpo sul piano del letto.
Senza l’eliminazione della pressione ogni misura preventiva e terapeutica é inutile.
Per ridurre la pressione locale sono stati creati dispositivi “antidecubito”: materasso ad acqua (che
amplia la superficie di appoggio), materasso ad aria a pressione alternata, materasso in materiale
supersoft.
Nessuno di questi presidi é in grado da solo di prevenire le piaghe da decubito: ne riduce solo il
rischio ma non elimina il bisogno di cambiamento di posizione che va effettuata girando il paziente
ad intervalli di 2-3 ore, anche la notte.
Una volta che una piaga da decubito ha iniziato a svilupparsi, il tempo d’assistenza aumenta
notevolmente, e coloro che presentano piaghe da decubito presentano un elevato rischio di essere
istituzionalizzati.
I DISTURBI COMPORTAMENTALI
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Insonnia e vagabondaggio
Il camminare incessantemente da una parte all’altra della casa durante il giorno ma a volte anche la
notte, é un sintomo molto frequente nel demente. Il sonno può essere frammentario ed associato ad
agitazione od accentuazione del disorientamento.
Insonnia e vagabondaggio rappresentano una delle principali cause di rottura di un equilibrio
assistenziale.
É opportuno:
- scoraggiare il sonno durante il giorno
- stimolare l’attività fisica durante il giorno, ad es. facendo camminare a lungo
- installare dispositivi che impediscano l’apertura incontrollata della porta di casa
- mantenere una certa illuminazione durante la notte per favorire l’orientamento
- se necessario ricorrere, dietro prescrizione medica, all’uso di farmaci
A volte il vagabondaggio si complica con lo smarrimento.
Di fronte a tale rischio occorre:
- assicurarsi che il paziente abbia con sé qualcosa che consenta di identificarlo se non un
dispositivo cercapersone
- disporre di fotografie aggiornate dell’anziano, in caso di necessità di ricerca
- non arrabbiarsi al momento del ritrovamento ma dimostrare comprensione.
Deliri ed allucinazioni
Il delirio é costituito da un’interpretazione errata della realtà vissuta come assolutamente vera. Per
esempio il malato può credere di essere minacciato, calunniato, derubato magari dalla persona che
lo assiste o esprimere false identificazioni (può ritenere che vi sia un’altra persona in casa o
dialogare coi personaggi della televisione e non riconoscere poi una persona familiare).
Le allucinazioni sono invece percezioni di stimoli inesistenti.
Ad es. il demente può vedere figure inesistenti (persone, animali, cose) od udire voci inesistenti.
É opportuno:
- non avviare una discussione sul contenuto di tali percezioni
- distrarre il paziente richiamandolo alla realtà
- rassicurarlo se si presenta spaventato dalle proprie percezioni
- ricorrere, su prescrizione medica, a farmaci che possano contrastare l’ideazione delirante
quando disturbante ed eventualmente sospendere quei farmaci che possano favorirla.
Depressione
La depressione dell’umore é un sintomo molto frequente sia all’inizio sia durante il decorso della
demenza.
Purtroppo spesso la depressione nel demente non viene diagnosticata né trattata per quanto invece
esistano oggi farmaci efficaci e ben tollerati che possono migliorarla e, spesso anche dare qualche
miglioramento delle funzioni cognitive.
Tra i sintomi indicativi di depressione dobbiamo annoverare, oltre che evidenti manifestazioni di
tristezza ed il pianto, anche stanchezza, perdita dell’appetito, apatia, irregolarità del sonno e, a volte
nelle fasi non più iniziali della demenza, agitazione ed aggressività.
Di fronte a tali disturbi é opportuno:
- chiedere consiglio al proprio medico od allo specialista che segue il paziente
- adottare un comportamento rassicurante ed offrire calore umano al paziente
- fare in modo che la persona abbia qualcosa di interessante da fare ogni giorno (passeggiare,
lavorare in giardino, ascoltare musica, giocare a carte)
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-
non aspettarsi una remissione immediata dei sintomi depressivi una volta iniziato un trattamento
specifico.
Aggressività ed agitazione
Il soggetto demente si presenta spesso agitato sia dal punto di vista motorio (incapacità a stare
fermo) che verbale (irritabilità, confabulazione ad alta voce) che psichico (stato d’ansia).
L’agitazione può anche essere dovuta ad altri problemi di salute che il soggetto non riesce ad
esprimere diversamente (dolore, stitichezza, febbre).
In certi momenti, l’agitazione può diventare notevole ed associarsi a collera ed aggressività proprio
perché la persona non riesce a comprendere ciò che le sta succedendo intorno.
Di fronte a tale situazione occorre:
- rimanere il più possibile calmi parlando pacatamente
- cercare di distrarre l’attenzione del paziente indirizzandola verso altri argomenti
- cercare di individuare l’eventuale causa scatenante cercando di prevenire il ripetersi di
situazioni analoghe
- concedere al paziente ampio spazio per muoversi
- se gli episodi di agitazione sono frequenti chiedere consiglio al medico che potrà ricorrere alla
prescrizione di un farmaco specifico.
Va comunque tenuto presente che l’uso protratto ed a dosi non corrette degli psicofarmaci é
responsabile d’effetti collaterali.
La sedazione eccessiva é altresì responsabile di un maggior rischio di cadute.
LA FAMIGLIA E LO STRESS DI CHI ASSISTE IL DEMENTE
Il decorso della demenza si caratterizza per un impegno assistenziale progressivamente crescente da
parte del coniuge o del familiare che se ne fa carico. L’impegno é anzitutto emotivo ma col
progredire della malattia anche fisico nella gestione del paziente. Si determina cioè un vero e
proprio “stress” assistenziale che deriva da vari fattori:
- la reazione depressiva di fronte alla perdita di una figura di riferimento (coniuge, madre, padre)
che finisce col non riconoscere più i propri cari
- il senso di colpa per il fatto di ritenere di non riuscire a sostenere a lungo un così gravoso carico
assistenziale, pensando quindi all’istituzionalizzazione
- la vergogna determinata dai comportamenti del paziente stesso in pubblico
- la rabbia che si prova per la situazione in cui ci si viene a trovare col rischio di perdere il
controllo nei confronti della persona che si assiste
- il maggior carico di responsabilità e compiti che prima erano del paziente ed ora si riversano
sulla persona che se ne fa carico (ad es. gestione della casa)
- la solitudine in cui ci si può venire a trovare sia perché l’impegno assistenziale continuo riduce
il tempo per i contatti sociali, sia perché talora per imbarazzo si può tendere ad isolarsi insieme
con la persona ammalata
- la mancanza di informazione sulla malattia e sui comportamenti da adottare per fronteggiarla.
L’equilibrio che può stabilirsi fra malato e chi lo assiste (“caregiver”), é molte volte un equilibrio
forte anche se intriso di fatica e di sofferenza.
Se però all’interno di una famiglia il peso dell’assistenza ad un demente grava sempre sulla stessa
persona il rischio di usura del caregiver é assai elevato.
Per potersi occupare a lungo e bene del proprio familiare malato é necessario poter dedicare a se
stessi un po’ di tempo al giorno e contare su di un po’ di riposo di tanto in tanto.
Non si resiste sempre alla richiesta continua d’assistenza e ciò é del tutto normale ed umano.
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Allo scopo di fornire una migliore conoscenza della malattia, favorire l’incontro fra persone che
affrontano gli stessi problemi assistenziali e quindi diminuire l’isolamento, vengono organizzati
incontri informativi rivolti ai familiari gestiti da operatori medici e sociali che si occupano di malati
di demenza.
É inoltre importante conoscere le sedi ove é possibile ottenere aiuto dal punto di vista medico,
organizzativo, assistenziale.
I SERVIZI SOCIO-SANITARI PER IL DEMENTE
Un punto di riferimento utile per avere indicazioni sui servizi presenti nella zona é certamente
l’assistente sociale del distretto di residenza.
Essa può fornire indicazioni riguardanti:
- centri medici di diagnosi e cura
- assistenza domiciliare generica od integrata
- centri diurni
- modalità di ingresso in casa protetta od in RSA (Residenza Assistenziale Sanitaria)
- eventuali organizzazioni di volontariato
- pensione di invalidità, assegno di accompagnamento o di cura, detassazione di oneri sostenuti
per l’assistenza
- concessione di ausili (ad es. per l’incontinenza).
L’assistenza domiciliare integrata consiste in un insieme di prestazioni mediche, infermieristiche,
riabilitative, socio-assistenziali, erogate a domicilio a soggetti non autosufficienti o parzialmente
autosufficienti al fine di consentire loro la permanenza nel proprio ambiente di vita, riducendo così
anche il ricorso alle strutture residenziali.
In sintesi a domicilio possono essere fornite:
- visite mediche di base e specialistiche
- prestazioni infermieristiche
- prestazioni riabilitative
- aiuto domestico
- igiene della persona
- servizio pasti
- servizio lavanderia
- disbrigo commissioni.
É indubbio che l’assistenza domiciliare può essere usufruita soltanto da quegli individui che
possono comunque contare su familiari o conviventi in grado di fornire un’assistenza continua.
I centri diurni sono strutture di tipo aperto (private o collocate all’interno di case di riposo), in
grado di fornire assistenza diurna quale misura di sostegno alla famiglia.
In un centro diurno vengono erogate: ristorazione, attività ricreativa, attività sanitaria
prevalentemente riabilitativa.
Esistono centri diurni rivolti a persone autosufficienti ed altri invece dedicati anche ad ospiti disabili
(fra cui anche anziani affetti da demenza).
L’utilizzo di tali strutture in molti casi ritarda l’epoca d’istituzionalizzazione definitiva.
Di solito i servizi di trasporto al centro diurno vengono erogati dal comune.
All’interno del centro diurno operano addetti all’assistenza di base, infermieri, terapisti della
riabilitazione, medici.
Quando diventa impossibile garantire assistenza adeguata al domicilio si rende necessario il ricorso
all’istituzionalizzazione in casa di riposo o casa protetta.
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Nel prossimo futuro le case di riposo saranno sempre più chiamate ad accogliere ospiti con
demenza ed é per questo che alcune di esse stanno istituendo al loro interno unità specifiche per
dementi con disturbi comportamentali.
Tali unità (moduli di circa 20 posti con caratteristiche architettoniche specifiche) possono anche
essere luogo di soggiorno temporaneo per “ricoveri sollievo” per la famiglia in alternativa
all’istituzionalizzazione definitiva.
La RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) é invece una struttura a valenza mista, assistenziale e
sanitaria, che si colloca in posizione intermedia fra un reparto di degenza ospedaliera
(lungodegenza) ed una casa di riposo. All’interno di essa é garantita un’assistenza sanitaria
continua, tale da potere assolvere a compiti riabilitativi o di terapia medica non così impegnativi da
richiedere l’intensività del ricovero ospedaliero.
La collocazione all’interno dell’RSA é comunque generalmente temporanea in vista del rientro al
domicilio od in casa protetta.
PROBLEMI ETICI
La diagnosi di demenza comporta una serie di problemi di tipo etico, dei quali é costellata la storia
naturale della malattia: comunicazione della diagnosi, comportamenti vietati (ad es. guida
dell’automobile), gestione delle fasi finali della malattia (accanimento terapeutico), rispetto delle
scelte individuali (“living will” dei paesi anglosassoni) precedentemente espresse, consenso
informato nelle indagini diagnostiche e nelle sperimentazioni clinico-farmacologiche.
Di fronte a tali problematiche non esistono certezze ma solo comportamenti orientativi che vanno
calati nelle singole realtà.
ASPETTI MEDICO-LEGALI
La legislazione italiana prevede la possibilità di ottenere benefici per coloro che, a causa di una
malattia invalidante non siano più in grado di svolgere le attività della vita quotidiana (assegno di
accompagnamento, esenzione dai tickets).
L’erogazione di tali benefici é conseguente al riconoscimento della invalidità civile.
La domanda di invalidità civile va presentata all’ufficio invalidi civili della propria AUSL corredata
del certificato del medico di famiglia contenente la diagnosi determinante la presunta invalidità.
Per presentare la domanda di invalidità ci si può altresì rivolgere ai patronati la cui assistenza é
gratuita.
All’atto della visita presso l’apposita commissione nominata in ogni AUSL é opportuno presentare
tutta la documentazione sanitaria aggiornata attestante lo stato di salute del malato.
Il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento richiede che venga anzitutto accertata
un’invalidità civile del 100% e viene effettuata, su richiesta, a coloro che necessitano di assistenza
continua e presentano un grado elevato di disabilità.
L’indennità di accompagnamento viene concessa indipendentemente dall’età e dal reddito e viene
sospesa qualora il malato sia ricoverato in istituti con rette a carico di enti pubblici.
L’assegno di cura regionale é un contributo economico che la regione Emilia-Romagna eroga alla
famiglia che ospita al suo interno un individuo bisognoso di assistenza allo scopo di integrare la
perdita economica derivante da una mancata attività lavorativa del “caregiver” che spende il suo
tempo nell’assistenza.
Il provvedimento ha lo scopo di limitare l’istituzionalizzazione favorendo la permanenza al proprio
domicilio dell’individuo disabile.
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Il declino cognitivo progressivo dovuto alla demenza, fa sì che ad un certo punto l’individuo non sia
più in grado di prendere decisioni assennate riguardo alla propria esistenza ed al proprio patrimonio.
Per tali circostanze esistono i seguenti provvedimenti: procura, inabilitazione, interdizione.
La procura é una sorta di incarico di rappresentanza che può essere limitato ad un singolo affare
che viene individuato nel momento in cui la si concede (procura speciale) oppure non avere limiti
operativi (procura generale).
Con la procura restano legalmente validi gli atti che il soggetto continua a compiere in proprio.
Per procedimenti di inabilitazione od interdizione occorre invece presentare domanda al giudice
tutelare della Procura della Repubblica presso il Tribunale competente per territorio.
L’inabilitazione, una volta sentenziata, determina l’incapacità di compiere gli atti eccedenti la
semplice amministrazione rendendo necessaria, per tali atti l’assistenza di un curatore.
L’interdizione, una volta sentenziata, determina invece la totale incapacità di agire e pone
l’interdetto in stato di tutela gestita da un tutore.
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