LA PREVENZIONE DELLA PUBALGIA Prof. Roberto Sassi Molte sono le indagini presenti nella letteratura scientifica internazionale che analizzano le cause della pubalgia, cause che secondo alcuni Autori (Jarvinen e coll. 1997; Gal 2000) possono essere svariate decine. Negli ultimi anni, per cercare di intervenire su alcune di esse, abbiamo cercato di modificare in modo sostanziale la pianificazione e l’utilizzo di alcuni mezzi di allenamento nelle squadre professionistiche da noi allenate. Cambiando una parte del metodo di lavoro, abbiamo riscontrato una riduzione dei problemi alla regione pubica, sino ad osservarne pochi casi e senza gravi conseguenze negli ultimi anni. Per arrivare a questo risultati, abbiamo posto grande attenzione alle ricerche presentate in letteratura non solo sulla problematica specifica delle pubalgie, ma più in generale sull’evoluzione delle metodologie specifiche di allenamento del calciatore. Ci siamo posti così l’obiettivo di migliorare il collegamento tra gli esercizi di allenamento specifici per il gioco del calcio ed alcune metodiche di carattere generale importanti in ambito preventivo, nel quadro di una generale ottimizzazione della programmazione e dell’esecuzione dei diversi mezzi di allenamento. In questo contributo si vuole presentare l’esperienza così maturata sul campo riguardo la prevenzione della pubalgia, che viene da noi attuata sulla base degli interventi di seguito elencati. a) Un riscaldamento con esercizi prevalentemente basati sullo stretching dinamico in sostituzione quasi totale degli esercizi di stretching statico (Szymanski, 2001). A nostro avviso le tradizionali procedure di riscaldamento erano parzialmente inadeguate nell’ottica della prevenzione delle problematiche muscolari, tendinee ed articolari, e di conseguenza della prevenzione dei problemi del pube (Shrier, 2004). Riteniamo che si debbano svolgere alcuni esercizi dinamici che interessano soprattutto l’articolazione coxo-femorale, riservando maggior attenzione ai “particolari”: maggiore cura, durante l’esecuzione dell’esercizio, all’ampiezza del movimento e alla dinamicità; il principio da seguire è quello secondo cui i movimenti devono simulare con la massima ampiezza di escursione articolare il gesto tecnico che successivamente verrà effettuato durante il gioco. b) Un lavoro di tonificazione muscolare prevalentemente a catena cinetica chiusa (ma non solo in questa modalità), con esercizi che rispettino i parametri cinematici della gestualità specifica del calciatore. Per tale ragione abbiamo sostituito la quasi totalità del potenziamento usualmente effettuato utilizzando macchine isotoniche con esercizi svolti con attrezzi che rendono possibile lavorare sui gesti simili a quelli che effettua il calciatore sul campo, attivando in modo continuo regimi di contrazione concentrico-eccentrico ad elevata velocità di esecuzione (Askling et al., 2003; Alkner & Tesch, 2004). Per indirizzarci meglio alla specificità degli esercizi ci siamo avvalsi di test di tensiometria (Tous, 2006) attraverso i quali è possibile valutare con maggior attendibilità i muscoli che necessitano di un rafforzamento specifico. c) Una quantificazione più accurata del numero di tiri in porta effettuati in allenamento: il tiro in porta che è universalmente riconosciuto come il gesto più traumatico per il calciatore. Pensiamo che non sia necessario effettuare molte esecuzioni alla massima intensità, ma si debba dare molta più importanza alla precisione del tiro. Inoltre, la preparazione dell’azione di tiro dovrebbe rispettare maggiormente il tipo di movimenti che si svolgono generalmente durante la partita. Abbiamo ottenuto buone impressioni facendo precedere a questo tipo di allenamento un lavoro di forza reattiva. d) Un programma graduale di esercizi basati sui cambi di direzione. Il gioco del calcio è caratterizzato prevalentemente da corse con cambi di direzione (mediamente uno ogni 4-6 secondi) effettuati a diverse velocità, con fasi di lavoro marcate di tipo concentrico (in accelerazione) ed eccentrico (specie in frenata) (Ellis et al., 2000). Quest’ultima fase, che implica anche molti spostamenti laterali, è stata a nostro avviso sino ad oggi troppo trascurata durante gli allenamenti, soprattutto nel periodo invernale della stagione: in inverno richiederebbe maggiori attenzioni, in quanto le mutevoli superfici del terreno creano più facilmente problematiche agli adduttori. e) Un lavoro specifico di potenziamento individuale ed esercizi collettivi basati sulla “core stability”, che sembra dare maggiori vantaggi rispetto ai classici esercizi addominali (pur riconoscendo che quest’ultimi vengono effettuati ultimamente in maniera molto più corretta, senza creare eccessivi traumi alla colonna e tensioni inadeguate nella zona pubica). f) L’utilizzo di una concatenazione di esercizi specifici, della durata di circa 10 minuti: una serie di “micromovimenti” della zona coxo-femorale che vengono effettuati prima o dopo allenamenti o partite, soprattutto quando i giocatori manifestano tensioni o affaticamento muscolari. g) Una modulazione dei diversi carichi di allenamento, tale da consentire all’organismo la possibilità di beneficiare di una supercompensazione corretta, evitando così quei sovraccarichi funzionali che potrebbero col tempo danneggiare le strutture più deboli dell’apparato locomotore dell’atleta (Foster & Lehmann, 1997; Smith, 2003; Sassi A. 2005). La cura dei “dettagli” e la perseveranza nello svolgere il lavoro sopra descritto costituiscono il fulcro della nostra strategia di prevenzione delle problematiche legate alla pubalgia. Bibliografia Gal C. (2000). La pubalgia. Prevenzione e trattamento. Società Stampa Sportiva, Roma. Jarvinen M., Orava S., Kuyala M. (1997). Groin pain (adductor syndrome). Operative techniques in sport medicine, 5(3): 133-137. Shrier I. (2004). Does stretching improve performance? A systematic and critical review of the literature. Clin. J. Sport Med., 14(5): 267-273.