Corte di Cassazione, se. V Penale, sentenza 4 luglio – 27 novembre 2013, n. 47175 Presidente Zecca – Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 14.3.2013, la corte di appello di L'Aquila ha confermato la sentenza 12.11.08 del tribunale di L'Aquila, con la quale A.U.A. era stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di 4 mesi di reclusione, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perché ritenuto responsabile del reato di diffamazione, per avere diffuso, quale operatore del 118, tramite telefono cellulare, tra più persone il contenuto di una telefonata che S.E. , in data (…), aveva inoltrato al Pronto Soccorso, nella quale erano percepibili difetti di linguaggio cagionati dalla balbuzie. La telefonata era stata portata a conoscenza del figlio, dei compagni di scuola di quest'ultimo, nonché dei compaesani dello S. . Il difensore dell'imputato ha presentato ricorso per i seguenti motivi: 1. vizio di motivazione : manca la prova della divulgazione della telefonata nonché della sua propalazione tra più persone; quali condotte riferibili al ricorrente. La corte, con apodittica affermazione, conclude che "poco importa se l'abbia comunicata a più persone o ad una sola, dalla quale sono,poi, partite le successive diffusioni, dal momento che il mezzo prescelto presupponeva inevitabilmente la possibilità di conoscenza del supporto da parte di un numero indeterminato di soggetti". Secondo il ricorrente, l'estremo della comunicazione con più persone sussiste quando l'agente pur comunicando l'offesa ad un solo soggetto, agisca affinché questo, a sua volta, la comunichi ad altri. Nel caso in esame, non può escludersi che il contenuto della telefonata sia stata comunicata dall'A. ad una sola persona e la sua divulgazione sia stata effettuata su autonoma iniziativa di quest'ultima. Alla luce delle emergenze processuali può ritenersi non provato che la divulgazione del contenuto della telefonata sia da attribuire al ricorrente, in quanto qualsiasi operatore sanitario, presente in sala operativa, avrebbe potuto impossessarsi del file sonoro, estrapolando la telefonata dalla memoria del personal computer. Secondo il ricorrente nella sentenza impugnata non è stato adeguatamente esaminato un aspetto nodale della vicenda: la valenza diffamatoria della telefonata che, lungi dal contenere frasi ed epiteti offensivi, si limita a riportare la voce di una persona affetta da balbuzie. Posto che, nel caso in esame l'offesa o la creazione del senso del ridicolo non sono derivati da un facere esterno, ma dallo stesso soggetto passivo, la diffusione della sua voce non integra il reato di diffamazione, così come non costituisce tale reato la diffusione di una ripresa televisiva riproducente l'immagine di un uomo claudicante o incerto sulle gambe; 2. violazione di legge: i giudici hanno individuato, senza convincente giustificazione il dies a quo del termine prescrizionale nel 15.9.05, data in cui il figlio della persona offesa ricevette un mms che riproduceva la conversazione telefonica del padre - avvenuta il (…) - Hanno ritenuto senza adeguata motivazione l'assenza di altri riferimenti su una divulgazione della telefonata in epoca precedente, spostando la maturazione della prescrizione, tenuto conto del periodo di sospensione causato dal terremoto di (…), all'(omissis); 3. vizio di motivazione: la corte di appello ha confermato le statuizioni civili senza tener conto della sproporzione dell'entità della liquidazione del danno rispetto alla minima rilevanza dei fatti. Il ricorso merita accoglimento, in base al seguente ordine argomentativo. Innanzitutto va affrontato il punto nodale richiamato dal ricorrente, relativo alla valenza diffamatoria della diffusione della telefonata, da cui emerge in maniera diretta ed eclatante il balbettante eloquio con cui lo S. , titolare di un agriturismo, ha formulato la richiesta al servizio sanitario del Pronto Soccorso di inviare un'autoambulanza, necessaria al trasporto di un proprio cliente in ospedale. È noto che il termine balbettare correntemente significa pronunziar male o con difficoltà le parole per impedimento di lingua, connaturato o accidentale. È bene precisare, ai fini dell'esauriente analisi della rilevanza penale della diffusione della telefonata, che la balbuzie (dal latino bàlbus) è un disordine della parola in cui la fluidità è interrotta da ripetizioni involontarie e prolungamenti di suoni, sillabe, parole o frasi, vocali e semivocali e da involontarie pause o blocchi. La parola "balbuzie", volgarmente usata, copre un ampio spettro di gravità: può comprendere individui con difficoltà appena percettibili, per cui il disordine è più che altro estetico, così come soggetti con una sintomatologia estremamente grave, per cui il problema può effettivamente impedire la maggior parte della comunicazione verbale. Questo disordine è anche variabile, a seconda delle situazioni; tipica è quella della comunicazione telefonica nel corso della quale, la difficoltà può essere più o meno severa, dipendendo dal livello di ansia collegato con il contenuto di quanto comunicato. Un'accentuata sottolineatura della balbuzie può sfociare nella caricatura della persona che ne sia affetto, nel senso che questo limitata caratteristica, se enfatizzata ed esagerata comicamente, può assurgere in contesto sociale, a elemento individualizzante l'intera persona. Anche se la balbuzie non deriva e non ha riflessi in ordine alle capacità intellettive (le persone che balbettano sono assolutamente normali nel senso clinico del termine) è notoria una diffusa credenza popolare, secondo cui, al di là della difficoltà di trasformare i pensieri in parole, esiste anche un problema, sia pur marginale, di carattere cerebrale. Il senso comune, sia pure frutto di ignoranza, ha reso la balbuzie una disabilità stigmatizzata e oggetto di derisione e quindi fonte di ostacolo nelle relazioni umane, sociali, lavorative. Quindi la condotta di chi consapevolmente diffonda in via caricaturale questo disordine nella comunicazione orale di un consociato determina sicuramente una lesione della sua reputazione, intesa come patrimonio di stima, di fiducia, di credito, accumulato dal singolo nella società e,in particolare, nell'ambiente in cui quotidianamente opera. Reclamizzando ed enfatizzando questo limite espositivo del proprio pensiero, si attribuisce alla balbuzie un primato identificativo, nel senso che gli altri caratteri dell'individuo sono soverchiati e agli occhi dei consociati, nei rapporti personali e lavorativi, egli appare precipuamente come il diverso, il balbuziente, il cui pensiero è mal tradotto in parole ed è mal percepibile nelle relazioni della quotidianità. Avvicinandoci più specificamente al caso in esame, va rilevato che chi sia in procinto di entrare in rapporto con un venditore di beni e servizi (come il gestore di un agriturismo) caricaturalmente presentato come balbuziente è messo sull'avviso che il dialogo su prezzi,servizi, osservazioni critiche, richieste di prestazioni accessorie, presumibilmente passerà attraverso un disincentivante dialogo, la cui fluidità sarà prevedibilmente interrotta da ripetizioni involontarie e prolungamenti di suoni, sillabe, parole o frasi, vocali e semi-vocali e da involontarie pause o blocchi. Questa prognosi è razionalmente ravvisabile nei potenziali interlocutori dello S. , dopo che era stata diffusa la registrazione della concitata conversazione telefonica, nel corso della quale egli aveva accentuato il proprio disordine espressivo. Deve quindi concludersi con il riconoscimento della valenza diffamatoria della comunicazione,in via caricaturale, a un indeterminato numero di consociati nel comune di (OMISSIS) e dintorni, della disabilità di eloquio dello S. , con esiti di ilarità (sul punto, Trib. pp.2,3), attraverso la diffusione della conversazione telefonica, nel corso della quale era percepibile una particolare esposizione della sua balbuzie. Né può invocarsi l'ipotesi dell'assenza di offensività in tale condotta di ampliamento conoscitivo, di pubblicizzazione della balbuzie di cui è pacificamente affetto il S. , nel senso di ritenere che non può esservi offesa di una reputazione già vulnerata : una volta che sia risultato che nella collettività in cui opera il querelante o comunque in un ampio ambito sociale la balbuzie della persona offesa fosse già nota, la sua anomalia, la sua diversità già ne avevano intaccato il patrimonio di stima, di fiducia, di credito, accumulato tra i consociati. Nel nostro complessivo quadro normativo è da escludere la sussistenza di un vuoto di tutela per la reputazione di una determinata categoria di cittadini, caratterizzati da intrinseche e incontestate qualità fisiche, etniche, morali, culturali. Il bene giuridico tutelato dal diritto penale trova negli artt. 2 e 3 Cost. uno specifico referente contenutistico: affinché possa aversi la piena realizzazione, nell'ambito personale e sociale, dell'individuo, a questi è dovuto quel minimum essenziale di rispetto,indispensabile per consentire all'autonomia individuale di esplicarsi, come asse portante della dignità dell'uomo, di qualsiasi uomo. In conclusione la casta dei diversi, degli indegni perenni, dei bersagli gratuiti delle altrui beffe e offese non è ipotizzabile nel nostro ordinamento. Fatta questa premessa e riconosciuta la sussistenza della valenza lesiva della reputazione del querelante alla diffusione della suindicata telefonata, va considerato che: - la diffamazione è un reato di evento, inteso quest'ultimo come avvenimento esterno all'agente e causalmente collegato al comportamento di costui. Si tratta di evento non fisico, ma psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte del terzo (rectius dei terzi) della espressione offensiva; - l'elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione ma anche nella volontà che la condotta denigratoria venga percepita da più persone. Pertanto è necessario che l'autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con modalità che lascino intendere che egli si rappresenti e voglia l'evento che notizia o commento sicuramente vengano a conoscenza di altri(Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010 Rv. 248431); - nel caso in esame è necessario quindi dimostrare, al di la di ogni ragionevole dubbio, che sia stato l’A. a portare il contenuto della offensiva telefonata registrata alla conoscenza di più persone o anche alla conoscenza di un solo soggetto, ma con modalità tali che siano dimostrative della sua volontà che,grazie a quest'ultimo, la registrazione fosse percepita da più persone. Sotto quest'ultimo profilo la motivazione della sentenza impugnata è irrimediabilmente lacunosa, in quanto, come rilevato dal ricorrente, si limita al richiamo di una generica e incontrollabile esistenza di materiale probatorio, da cui ritiene desumibile che l’A. razionalmente ritenuto possessore della registrazione della telefonata - abbai curato,direttamente o indirettamente, la diffusione del suo contenuto tra più persone. La corte,infatti, parte da dati storicamente accertati in maniera non contestata: la telefonata è stata ricevuta dall'imputato, nell'esercizio delle sue funzioni di addetto al servizio collegato all'utenza telefonica del 118; ha parlato del suo contenuto, dopo pochi giorni, all'interno di un bar, alla presenza di alcuni avventori e poi anche alla presenza dello S. ; successivamente la registrazione della telefonata, via mms, è pervenuta all'apparecchio cellulare del figlio della persona offesa ed è stata progressivamente diffusa tra i suoi compagni di scuola e tra gli abitanti di (omissis) . Fatta questa premessa storica, il giudice di appello non da però alcuna risposta all'osservazione critica della difesa sulla mancata identificazione dell'ignoto "trasmettitore" della telefonata, raccolta inizialmente dell'imputato, e sul persistente vuoto probatorio concernente la dimostrazione che possessore e diffusore della registrazione si identifichino nell'A. o che questi l'abbia affidata a un terzo con specifiche modalità dimostrative della sua consapevolezza e volontà che il suo contenuto fosse percepito da più persone. Al contrario, il giudice di appello si è rifugiato in un generico richiamo ai predetti elementi di fatto, attribuendo loro, senza alcuna giustificazione, la forza persuasiva sulla "riconducibilità all'imputato della condotta diffusiva" della registrazione. Inoltre, riconosce implicitamente il mancato raggiungimento della prova certa sulla diretta attribuzione all'imputato della diffusione della telefonata, attraverso l'affermazione "poco importa se l'abbia comunicata a più persone o ad una sola". Infine,senza che siano state ricostruite le circostanze oggettive e soggettive sul chi, come e quando sia avvenuta la consegna all'ignoto trasmettitore ha così concluso sulla responsabilità indiretta "il mezzo prescelto presupponeva inevitabilmente la possibilità di conoscenza del supporto da parte di un numero indeterminato di soggetti". Deve quindi concludersi con l'assoluzione dell'A. , in assenza della prova che questi, rappresentandosi e volendo tale evento, abbia effettuato,direttamente o indirettamente, la comunicazione, in via caricaturale, a un indeterminato numero di consociati del comune di (OMISSIS) , della disabilità comunicativa dello S. , attraverso la diffusione della conversazione telefonica, nel corso della quale era percepibile una particolare esposizione della sua balbuzie. Il riconoscimento della fondatezza di questo motivo comporta l'assorbimento delle altre doglianze contenute nel ricorso. La sentenza va quindi annullata senza rinvio perché il fatto addebitato non costituisce reato. P.Q.M. Annulla l'impugnata sentenza senza rinvio perché il fatto contestato non costituisce reato.