Integrazione a Grande-Parini: anomia e questione del metodo 1) Anomia Letteralmente, significa “assenza di norme” Durkheim parla di anomia riferendosi a una situazione in cui viene messa a repentaglio la coesione sociale. L’ordinato e pacifico svolgimento della vita sociale non è più garantito dal consenso generalizzato verso un insieme di norme e valori condivisi, soprattutto verso le istituzioni che rappresentano e tutelano queste norme e questi valori. Inizialmente, Durkheim riteneva che le situazioni di anomia rappresentassero una condizione eccezionale per le società moderne. Successivamente, si rende conto che tale condizione è un rischio normale e costante per questo tipo di società. A partire dall’analisi del suicidio, egli inizia ad osservare che lo sviluppo della divisione del lavoro non sempre genera solidarietà. Anzi, può originare frequentemente tensioni e conflitti sociali. Questi problemi si verificano in due casi: 1) divisione anomica del lavoro: quando la divisione del lavoro cresce più rapidamente di quanto non riescano a cambiare le norme e le istituzioni. La nuova realtà (soprattutto la nuova realtà economica) non è più gestibile con le vecchie norme e istituzioni: si verifica un “vuoto” normativo e istituzionale, che pregiudica l’integrazione dei soggetti nel “corpo” sociale, 2) divisione coercitiva del lavoro: quando le norme e le istituzioni esistenti appaiono ingiuste verso alcune categorie di soggetti (squilibri nell’assegnazione dei singoli individui a ruoli/funzioni specializzati e/o nella regolazione delle ricompense del lavoro prestato in tali ruoli). 2) I fondamenti del metodo della ricerca sociale in Durkheim e Weber (i brani citati sono contenuti in: L. Perrone Metodi quantitativi della ricerca sociale, Feltrinelli, Milano, 1977) Gli aspetti fondativi delle due principali prospettive metodologiche (quantitativa e qualitativa) in sociologia si possono ricondurre al pensiero, rispettivamente, di Emile Durkheim (prospettiva quantitativa) e Max Weber (prospettiva qualitativa). Luca Perrone (nel testo sopra citato) sviluppa un confronto fra questi due autori, rispetto a tre questioni fondamentali: 1) ruolo dell’osservatore 2) ruolo dell’osservato 3) inferenza causale Ruolo dell’osservatore (il ricercatore) - l’osservatore è “passivo” per Durkheim e “attivo” per Weber Durkheim: secondo D. (v. Perrone a p. 23) l’osservatore “deve liberarsi da tutti i preconcetti e trattare i fenomeni sociali come ‘cose’ [i fatti sociali]. La più importante qualificazione della ‘cosa’ durkheimiana è la sua ‘impossibilità di essere modificata dal semplice esercizio della volontà’. Ne deriva che essa va trattata in termini dei suoi ‘comuni caratteri esterni’ e non deve assolutamente dipendere dal sociologo o dalla sua individuale inclinazione mentale’. In questo senso […] possiamo dire che, per Durkheim, l’osservatore è sostanzialmente passivo rispetto alla realtà empirica”. Weber: per W., invece, (v. Perrone, a p. 23) la conoscenza scientifica della società deriva da “scelte teoriche ‘unilaterali’, da punti di vista selettivi e intenzionali su differenti aspetti della vita sociale. I criteri della necessaria selettività nell’analisi sociale non derivano cioè dalla ‘natura esterna’ delle cose, ma dall’iniziativa del ricercatori e più esattamente dai suoi ‘preconcetti’ su ciò che è culturalmente significante 8cioè dai suoi ‘valori’). Quindi, l’approccio alla realtà empirica senza ‘preconcetti’ a cui invita Durkheim è per Weber semplicemente impossibile. [… Si può allora affermare che Weber attribuisce] al ricercatore un ruolo decisamente attivo nella produzione della conoscenza sociologica”. Ruolo dell’osservato (individuo-attore sociale) - l’osservato, come l’osservatore, può essere definito “passivo” per Durkheim e “attivo” per Weber. Durkheim: (v. Perrone, alle pp. 23-24) “la teoria di Durkheim consiste in quel distinto ordine di ‘cose’ chiamato fatti sociali: cioè fenomeni istituzionali, movimenti collettivi, ecc. che: a) godono di una esistenza indipendente dalla conoscenza individuale, e b) impongono la loro influenza sul comportamento individuale. Conseguentemente Durkheim critica ogni tentativo di spiegazione ‘psicologica’ dei fatti sociali, essendo questi governati da leggi proprie. In questo senso, gli attori sociali, in quanto soggetti individuali contribuiscono ben poco alla conoscenza sociologica”. Weber “all’opposto incorpora fin dall’inizio il livello psicologico nella sua definizione dell’oggetto formale della teoria, l’azione sociale, in quanto ‘dotata di senso’, cioè soggettivamente significante. L’azione è sociale in quanto il suo significato soggettivo tiene conto del comportamento altrui e si regola di conseguenza. Quindi l’azione sociale non può venir compresa, descritta o analizzata senza riferirla a questi suoi significati soggettivi. […] E’ chiaro che egli assegna all’individuo-attore sociale osservato un ruolo decisamente più attivo che Durkheim nel generare conoscenza sociologica”. Inferenza causale Rispetto a tale questione, bisogna tenere presente che, per Durkheim, l’obiettivo della ricerca è spiegare l’agire sociale, individuando i meccanismi di funzionamento della società, anche indipendentemente da volontà/motivazioni dei soggetti. Per Weber, invece, l’obiettivo è comprendere l’agire sociale, mettendo a fuoco le ragioni (strumentali, affettive, di valore) che orientano i comportamenti dei singoli. - Secondo Durkheim, si possono individuare delle “leggi” che governano i fenomeni sociali, a partire dalla scoperta di ripetute associazioni di empiriche tra un fatto-causa e un fatto-effetto, mentre per Weber ciò non è possibile. Durkheim: (v. Perrone, a p. 24) per questo autore “la causa determinante di un fatto sociale va ricercata tra i fatti sociali antecedenti e non già tra gli stati della coscienza individuale”; inoltre “a uno steso effetto corrisponde sempre una stessa causa “. Rispetto alla sua tipologia di suicidi, ad esempio, egli osserva che “se il suicidio dipende da varie cause, ciò accade perché, in realtà, vi sono varie specie di suicidio” (con un’affermazione un po’ “forzata”, diremmo oggi). Come si possono individuare questi nessi di causa-effetto? Durkheim adotta il metodo della “variazione concomitante” (da J. S. Mill), che oggi chiamiamo “covarianza o correlazione”, motivando la sua scelta come segue: “il semplice parallelismo dei valori attraverso i quali passano due fenomeni – purché sia stato stabilito per un numero di casi sufficientemente diversi – prova che tra essi esiste una relazione”. Weber: (v. Perrone a pp. 24-25) questo autore sostiene che la realtà è troppo complessa e mutevole da poter essere ricondotta a leggi, basate su rapporti causali diretti e unidirezionali. Per Weber, la causalità sociale “è concepita come una continua combinazione e ricombinazione di forze in costellazioni storiche uniche. Ne consegue che un medesimo effetto può essere generato da combinazioni differenti e virtualmente infinite di cause”. Al più, si possono stabilire nessi causali di carattere ipotetico e relativo