Strategie metodologiche con alunni in situazione di

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Strategie metodologiche con alunni in situazione di handicap
1. Richiami
Innanzitutto ribadiamo (e ce n'è ancora bisogno!) il significato - con le sue implicanze
didattiche - della dicitura più giusta quando si parla di integrazione scolastica di soggetti con
handicap.
Abbiamo preferito l'espressione «alunni in situazione di handicap», piuttosto che altre
più ricorrenti (come handicappati o disabili), perché si intende evidenziare, non solo a livello di
mentalità comune ma soprattutto in termini metodologici, che il problema del loro inserimento
scolastico non tocca solo gli alunni con specifiche difficoltà, ma coinvolge l'intera «situazione»
in cui si trovano.
Perciò dicendo «situazione di handicap» non si fa riferimento unicamente a un soggetto che ha
delle particolari carenze, ma a tutto il «contesto scuola» nel quale viene integrato l'individuo
che ha dei bisogni particolari, di cui la scuola deve farsi carico. Questo significa prendere in
adeguata considerazione i diversi soggetti che sono abitualmente collocati in tale situazione: il
soggetto deficitario vive la situazione di handicap insieme con i suoi compagni di classe e i suoi
insegnanti, e tutte le persone che abitualmente stanno con essi.
Per ridurre l'handicap è necessario controllare, attraverso strategie e metodi adeguati, la
«situazione» (cioè la scuola, la classe e tutti quelli che hanno un comune riferimento) e non
limitarsi a predisporre qualche intervento isolato (ordinariamente affidato all'insegnante di
sostegno). Così, per esempio, un processo riabilitativo - che pure applica un trattamento
tecnico relativo al soggetto in difficoltà - non può non prendere in considerazione le altre
persone che vivono nel suo contesto familiare o sociale. Allo stesso modo, l'inserimento dei
soggetti con difficoltà nella comunità parrocchiale non riguarda solo loro, ma richiede il
coinvolgimento di tutta la realtà parrocchiale (pastori, catechisti, famiglie, fedeli tutti...).
Nella scuola ogni disciplina (e quindi il relativo docente) deve fare delle scelte
metodologiche; ciò comporta la conoscenza della capacità di apprendimento dei singoli
individui, per facilitare a ciascuno il raggiungimento dell'obiettivo didattico. Si deve pensare a
un piano di apprendimento possibilmente individualizzato, che garantisca la graduale
acquisizione degli obiettivi, da un livello minimo ad uno massimo. E questo deve avvenire nella
«situazione scuola e classe» in cui è necessario creare le condizioni che consentano la messa in
moto delle operazioni necessarie all'incorporazione del contenuto disciplinare nella struttura
conoscitiva del soggetto.
Occorre anche ribadire che ogni strategia metodologica richiede all'insegnante un marcato
impegno diretto a mediare la realtà educativa dei soggetti con difficoltà di comprensione e i
possibili percorsi illuminati dalla pedagogia e dalla didattica speciale.
Va anche affermato che se il problema più immediato all'interno dell'educazione scolastica è
quello specificamente «didattico», esso tuttavia non va considerato in modo autonomo e
isolato. Necessariamente va collegato almeno ad altri due aspettidell'elaborazione di un
itinerario formativo: la scelta e definizione degli obiettivi e la determinazione dei
contenuti, resi essenziali.[1]
Si deve inoltre ricordare che la scelta di un metodo si richiama ad almeno tre poli fondamentali
della programmazione educativa e didattica (come per ogni disciplina di insegnamento):
- la popolazione scolastica e la domanda educativa che essa pone;
- i traguardi formativi e gli obiettivi didattici che emergono come
prioritari o rilevanti;
- i contenuti formativi intesi come mezzi che consentono di avvicinare tra
di loro la realtà degli alunni nella classe con i contenuti formativi
necessari a far maturare la loro personalità, anche nella dimensione
religiosa.
Quindi, la determinazione di un metodo didattico ha almeno due ruoli fondamentali:
- «quello di favorire l'acquisizione da parte degli allievi dei contenuti
formativi prescelti;
- quello di raggiungere gli obiettivi educativi, intesi come schemi
concettuali, come atteggiamenti e capacità che incidono più
profondamente e permangono più stabilmente nella personalità
dell'educando».[2]
Occorre anche ricordare che all'alunno (tutti e ciascuno) deve essere riconosciuto un ruolo
centrale nell'applicazione di un metodo didattico: la sua personale «esperienza di
apprendimento», l'interazione con le diverse condizioni esterne presenti nel contesto «Scuola»
sono condizionamenti che provocano risultati differenti e possono portare a reagire
diversamente agli stimoli didattici.
Per questo si ribadisce il principio che, anche davanti ad alunni in situazione di handicap,
occorre tenere presenti i diversi stili di apprendimento e adoperarsi nella scelta dei metodi, al
fine di favorire il più largamente possibile l'incontro delle differenti matrici cognitive con il
contenuto dell'apprendimento.
In questa prospettiva psicopedagogica, un altro impegno fondamentale in cui ogni alunno deve
essere protagonista, è la sua capacità di motivare. La non motivazione, soprattutto con gli
alunni in difficoltà di apprendimento, è spesso causa di barriere (o di rifiuti) che possono
scoraggiare, se non addirittura bloccare i tentativi degli insegnanti. Si tratta di barriere
psicologiche, anche latenti, che impediscono l'impegno in un dialogo che viene percepito come
pericoloso, o come fonte di insicurezza o addirittura inutile.
Di conseguenza, il rapporto comunicativo tra docente e alunno è legato soprattutto al tipo di
relazione educativa che l'insegnante instaura, che può essere di accettazione incondizionata, di
proposta semplice e personalizzata, di comprensione empatica...
2. La costruzione di itinerari didattici
I principi didattici richiamati sono stati precisati per l'integrazione scolastica degli alunni in
situazione di handicap; ma non sempre sono stati tenuti presenti, di fatto, nel lavoro
scolastico. È perciò necessario ribadire che per poter pensare e organizzare concretamente un
itinerario didattico, l'insegnante deve avere presenti i «passaggi nodali» così da rispettare,
nell'articolazione dell'intervento, la coerenza, l'organicità, la fattibilità e l'unitarietà
dell'insegnamento dentro i vari percorsi. Questa è naturalmente un'operazione che coinvolge in prima persona - l'insegnante nella sua disciplina, ma contemporaneamente richiede la
responsabilità collegiale di tutti gli altri.
Tutto ciò ha valore sia dal punto di vista didattico (relativo alla disciplina) che pedagogico
(relativo alla maturazione della personalità dell'allievo). Sia quando l'insegnamento è rivolto ad
un gruppo di alunni che sono considerati «normali», sia che abbia come referenti alunni con
difficoltà di comprensione. In questa seconda situazione, l'insegnante avrà come obiettivo
primario quello di ipotizzare un percorso metodologico-didattico adeguato alle reali capacità e
abilità (diverse) degli alunni, prediligendo - dal punto di vista metodologico - la scelta e
l'applicazione di metodologie di gruppo al fine di stabilire una migliore socializzazione ed
integrazione del gruppo-classe.
Ci sembra perciò che le metodologie più idonee ad una didattica in presenza di alunni con
difficoltà di comprensione (specie con difficoltà di comprensione media e lieve) siano: il gruppo
di «apprendimento cooperativo» (cooperative learning), l'uso di «mappe concettuali», la
costruzione di «matrici progettuali».
2.1. L'apprendimento cooperativo
È un lavorare insieme («cooperativo»), all'interno di una classe eterogenea, mediante gruppi di
lavoro, che vengono solitamente formati in base alle abilità degli alunni. In genere gli studenti
più dotati sanno lavorare bene sia singolarmente che in gruppo. Ma si nota che quando gli
studenti sono messi nelle condizioni di aiuto, imparano a correggere il proprio lavoro,
dimostrano molto piùinteresse, si applicano più volentieri e, di conseguenza, apprendono con
maggior profitto. Il gruppo non deve, però, gestire il proprio lavoro autonomamente, ignorato
dall'insegnante. Si richiede, al contrario, una sua presenza vigile. In particolare si può
introdurre questo accorgimento: si fa scrivere la parola «aiuto» su un cartoncino, che ogni
studente potrà esibire quando dovesse aver bisogno dell'aiuto dell'insegnante. In questo modo
il lavoro può essere controllato e corretto in maniera tempestiva.
Proponiamo alcune idee guida per gli insegnanti che vogliono lavorare ispirandosi al
cooperative learning:[3]
- formare gruppi di studenti con abilità più o meno simili;
- iniziare con un gruppo di più capaci, suddivisi in coppie omogenee per
abilità. All'interno di questi gruppi «più capaci» si potrà inserire l'alunno
con difficoltà di apprendimento; i compagni se ne devono fare un
carico;
- gli alunni di ciascuna coppia devono leggere a turno le istruzioni e
discutere insieme circa lo svolgimento dell'esercizio;
- quando le coppie o i gruppi di tre dimostrano di aver capito cosa fare, li
si invita a lavorare separatamente. Alla fine del lavoro le coppie o i
gruppi si riuniscono per confrontare i risultati.
Se le risposte date dai singoli coincidono abbastanza, vuol dire che la spiegazione è stata
efficace e l'apprendimento corretto. Se invece le risposte sono discordanti, l'insegnante deve
far motivare le risposte date. Alla fine dell'esercizio ogni gruppo deve confrontare le proprie
risposte con quelle degli altri gruppi, per arrivare a un quadro unitario degli obiettivi di
apprendimento.
Il procedimento deve rispettare i passaggi:
- leggere le istruzioni prima che si inizi a lavorare;
- dividersi e cercare di risolvere l'esercizio da soli;
- confrontare le proprie risposte con quelle del compagno;
- evidenziare le risposte su cui si è d'accordo;
- controllare le risposte con l'insegnante (chi ha risposto in maniera
corretta deve spiegare come è riuscito ad arrivare a questa risposta);
- se la risposta è sbagliata in diverse coppie, discutere insieme per capire
perché la risposta esatta era un'altra.
2.2. La mappa concettuale
La mappa concettuale è la rappresentazione essenziale di un concetto: l'uso del linguaggio
grafico consente di illustrare le sue componenti, nella complessità delle interrelazioni, più
efficacemente di quanto si può fare con il solo linguaggio verbale. [4] Nell'elaborare la mappa
concettuale l'insegnante, , sceglie un «concetto organizzatore», che diventa lo snodo cruciale
dell'Unità Tematica. Propone la definizione del concetto e la spiega con uno schema, una
rappresentazione grafica, segnalando le relazioni logiche e procedurali fra gli elementi che la
costituiscono.
Le mappe concettuali attraverso «l'espediente grafico» portano ad accertare la padronanza di
un argomento: diventa, perciò, un esercizio auto-formativo per lo stesso insegnante, oltre che
un elemento di natura grafica che favorisce lo sviluppo di abilità intuitive ed espressive in
alunni con difficoltà di apprendimento razionale.
[1] M. PELLEREY, Progettazione didattica, SEI, Torino 1994, p. 94.
[2] Ibidem m. p. 94.
[3] G. N. MOORE, Analizzare e schematizzare are. Abilità per la comprensione del testo,
Edizioni Erickson, Trento 1999, p. 7.
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