Approfondimenti: L’insegnante di sostegno Una figura rilevanti ai fini dell’integrazione è quella relativa all’insegnante di sostegno introdotta nella scuola Italiana con la legge n 517 del 1977. Essa prevede che nella scuola dell’obbligo, laddove vi siano alunni disabili o portatori di handicap, vadano ad operare insegnanti specializzati, con l’obiettivo di attuare forme di integrazione e di conseguenza garantire il pieno inserimento degli alunni svantaggiati. L’insegnante di sostegno è a tutti gli effetti docente dell’intera classe in base all’articolo 13 comma 6 L. 104/1992, in quanto assume la cotitolarità delle sezioni e delle classi in cui opera, partecipando infatti alla programmazione educativa, didattica, alle elaborazione e verifiche delle attività di competenza dei consigli di classe e dei collegi dei docenti. Partecipa, per tanto, a pieno titolo alle operazioni di valutazione con diritto di voto per tutti gli alunni della classe (art. 15 comma 10 dell’O.M. 90 del 21/05/2001). Come tutti gli altri docenti, l’insegnante di sostegno, ha il compito e la responsabilità del processo di istruzione e di apprendimento, nel rispetto del diritto ad apprendere di tutti gli allievi e nel riconoscimento e valorizzazione della loro diversità. L’insegnante di sostegno viene assegnata al circolo/istituto, in rapporto all’intera popolazione scolastica, nella misura di una unità ogni 138 alunni, così da garantire la presenza di un organico fisso in grado di integrare le proprie competenze con il progetto complessivo della scuola superando la logica insegnante di sostegno-alunno certificato. L’insegnante di sostegno opera all’interno delle scuole materne, nelle elementari e in quelle secondarie di primo grado e dal 1992 anche nelle scuole del secondo ciclo. Partecipa alla programmazione didattica ed educativa insieme agli altri insegnanti e ne integra l’attività con interventi orientati a favorire lo sviluppo dei disabili. L’azione dell’insegnante di sostegno non deve essere mirata esclusivamente all’integrazione scolastica ma anche sociale, e soprattutto tende a rendere l’alunno disabile il più autonomo possibile Per poter comunque svolgere il ruolo di insegnante di sostegno all’interno di scuole statali occorre essere insegnanti ed aver frequentato appositi corsi di formazione e specializzazione. Il lavoro dell’insegnante di sostegno è sicuramente un lavoro di rete in cooperazione con operatori socio-sanitari del territorio, con i colleghi al fine di suggerire una nuova modalità di insegnamento apprendimento più vicina al mondo del soggetto disabile, con lo scopo di ridurre il gap tra lui ed il resto della classe, intrattenere rapporti con le altre scuole, per costruire un percorso di continuità educativa e soprattutto curare le relazioni con la famiglia dell’alunno disabile costruendo un rapporto di fiducia e scambio mirato alla restituzione di un’ immagine dell’alunno che ne comprenda i limiti, e difficoltà ma anche quelle potenzialità latenti, i suoi interessi e predisposizioni. Un insegnante specializzato dunque dovrebbe collegare i bisogni del disabile alle risorse necessarie, secondo una logica progettuale che si realizzi con la messa in opera di tutte le professionalità disponibili e le risorse utilizzabili, dopo aver individuato i fattori che determinano la situazione di disagio o handicap negli alunni. Dovrebbe creare le condizioni idonee affinché si verifichi la piena espressione dell’identità e delle capacità dell’alunno disabile e svolgere un ruolo di supporto nei confronti dell’alunno portatore di handicap e di ponte comunicativo tra reale condizione dell’alunno e i diversi insegnanti di classe. Bisogna però stare attenti a non sovraccaricare troppo l’insegnante di sostegno di responsabilità che la porterebbero con i tempo ad accusare problemi e malesseri psicofisici che la spingerebbero a non poter più lavorare al meglio. Potrebbe quindi incorrere in una forma di burn-out inteso come “ un tipo di risposta ad una situazione avvertita come intollerabile in quanto l’operatore percepisce una distanza incolmabile tra quantità delle richieste rivoltegli dagli utenti, e risorse disponibili (individuali o organizzative) per rispondere positivamente a tali richieste. Ne deriva un senso di impotenza acquisita dovuta alle condizioni di non poter far nulla per modificare la situazione.” ( Zani, Cicognani, 2000). Quindi è possibile giungere a “un coinvolgimento eccessivo, da un lato, un certo tipo di relazioni interpersonali psicologicamente molto impegnative e gravose e, dall’altro, a uno stato di emarginazione e di solitudine” (Trisciuzzi L., Fratini C, Galanti M. A., 2002). Prof. Giovanni D'Angiò , Dott. ssa Arianna Recco , Dot..ssa Paola Ottobre Universita’ di Cassino Polo Didattico di Sora Facoltà Scienze della Comunicazione